EDITORIALE

L’anno che verrà …

di Sergio Scibetta

Ma io sono convinto che noi faremo del nostro Paese un Paese nel quale non sia possibile vivere civilmente, onestamente, da uomini liberi, se non sapremo mettere ordine in questa casa tributaria nella quale ora purtroppo manca l’ordine e manca l’equilibrio”.

Questa dichiarazione è stata fatta nel 1951 da Ezio Vanoni, economista e politico italiano, Ministro delle Finanze e del Bilancio in diversi Governi De Gasperi. Nella biografia pubblicata si legge, tra l’altro, che “Appena giunto al Governo, iniziò a lavorare alla riforma tributaria prefiggendosi l’obiettivo di raggiungere una giustizia fiscale, che era anche uno dei presupposti di una democrazia autentica. Ma, prima di una riforma in ambito di ordinamento legislativo, era necessaria, innanzitutto, una rivoluzione morale. Bisognava cambiare le coscienze e convincere gli italiani riguardo ai loro obblighi nei confronti del fisco, in virtù di un dovere sociale che era anche un dovere morale”.Il 2019 sarà l’anno della svolta, della rivoluzione morale auspicata da Vanoni oltre sessant’anni fa? La ripresa attesa consentirà a famiglie e imprese di pagare meno tasse?

È quello che si augurano (da troppo tempo) tutti gli Italiani onesti, che pagano le tasse, nucleo di quello che una volta era considerato il ceto medio e che, oggi, risulta ancora gravato dalla crisi economica che ha pesantemente caratterizzato gli ultimi anni.

L’inizio del nuovo anno sarà sicuramente contraddistinto da inquietudini politiche ricche di spaccature, con l’intero arco costituzionale impegnato nelle rituali scaramucce preelettorali. E intanto i conti della previdenza fanno sempre fatica a quadrare, mettendo così a rischio il diritto alla pensione per le future generazioni, con grandi problemi anche per gli attuali pensionati.

Sul fronte fiscale, peraltro, si confermano le altrettanto consuete problematiche: una tassazione invasiva per cittadini e imprese, una pletora di adempimenti e scadenze, un rapporto tra Fisco e contribuenti che per certi versi sembra ricalcare ancora quello tra sovrano e sudditi. Bisogna trasformare i cittadini in interlocutori del referente pubblico; è necessario rimuovere norme slegate dalla realtà, viziate da eccesso di discrezionalità, nella ricerca di una razionalità fondata sul senso comune e sulla concretezza. Viviamo in un Paese in cui, da una parte, l’art. 53 della Costituzione recita che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, mentre dall’altra permane l’evasione rilevante ed una pressione fiscale tra le più elevate al mondo.

I numeri già quantificati illustrano come un’impresa di medie dimensioni sia oppressa da un carico fiscale complessivo superiore al 64%, superiore di oltre 20 punti alla media europea. Il problema è una realtà ormai patologica, di dimensioni enormi, che non è solo un fattore di iniquità ma anche di distorsione della concorrenza. D’altra parte l’evasione in Italia deve rientrare nei limiti fisiologici presenti negli altri Paesi europei, e lo stesso dicasi per l’entità del prelievo fiscale. Recuperare l’evasione fiscale dovrebbe essere il primo concreto imperativo di ogni Governo, non soltanto una declamazione.

In merito poi al contesto delle riscossioni uno studio dell’Agenzia delle Entrate ha evidenziato il significativo scostamento tra la maggiore imposta accertata e quella effettivamente riscossa mentre la macchina dell’Amministrazione finanziaria è riuscita a conseguire un livello di grande efficienza e le entrate funzionano e affluiscono nelle casse erariali.

Ma non siamo ancora arrivati a un linguaggio ed a comportamenti che si possono definire “della trasparenza”, nonostante in materia di strumenti di colloquio con l’utenza, l’Agenzia delle Entrate sia senz’altro all’avanguardia e al passo con i tempi, anche grazie alla presenza sul territorio dell’utilizzo di Internet.

Uno studio della Banca d’Italia delinea l’identikit dell’evasore fiscale italiano che di fatto decide a che livello evadere sulla base di tre elementi: la probabilità percepita di subire un accertamento fiscale, il vantaggio ricavato e il peso dell’eventuale sanzione.

L’auspicio è quello che sia varata una riforma del sistema fiscale improntata ad un salto di qualità nei rapporti tra Amministrazione e contribuenti perché troppe volte, ancora, persiste una rigidità nel prelievo che presenta aspetti vessatori in caso di accertamenti o sequestri, facendo prevalere l’impressione di un accanimento fiscale.

Risulta emblematica, in tal senso, la sentenza di una Commissione Tributaria che ha condannato l’Agenzia delle Entrate per “lite temeraria”: i giudici tributari, oltre a rifarsi all’articolo 2043 del Codice Civile in materia di risarcimento materiale del danno, hanno riconosciuto al malcapitato contribuente anche un danno morale derivante dal “patema d’animo e dallo stress” causati dalla ostinata resistenza dell’Agenzia delle Entrate. Una pronuncia in qualche modo “rivoluzionaria”.

Sembra giunta l’ora, dopo oltre 230 anni (!), per questi ed altri motivi, di poter controbattere quanto affermava lo scrittore tedesco Goethe nel 1873, dopo aver vissuto qualche anno in Italia: “L’Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole. C’è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida, e i capi dello Stato, pure loro, pensano solo per sé”.

 

 

 

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