CASSAZIONE

L’Agenzia non è legittimata alla riscossione quando è stato annullato l’avviso di accertamento

Tributi – Contribuente fallito – Ammissione al passivo fallimentare – Iscrizione a ruolo straordinario – Azione di riscossione provvisoria – Giudizio di impugnazione – Annullamento dell’avviso di accertamento – Criteri – Perdita di Efficacia – Fondamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14384 del 6 maggio 2022, ha stabilito l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo straordinaria quando gli atti presupposti siano stati annullati, anche con sentenza non passata in cosa giudicata, nell’ipotesi in cui il contribuente sia stato dichiarato fallito.

In altre parole la Suprema Corte, ricordando l’importante sentenza delle SS. UU. n. 758/2017, ha confermato che in caso di annullamento totale o parziale, l’atto impositivo – pur se in via non definitiva in attesa dell’eventuale giudizio di impugnazione – rispettivamente in toto o nei limiti della parte annullata, non può che perdere efficacia quale titolo idoneo a legittimare, in radice, l’inizio o la prosecuzione di un’azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare.

Il nucleo della questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite, che riveste notevole importanza nell’ambito del tema dell’assetto dei rapporti tra Fisco e contribuente, attiene all’efficacia dell’istituto cautelare di garanzia del credito tributario costituito dall’iscrizione nel ruolo straordinario, effettuata in caso di fondato pericolo per la riscossione ai sensi degli articoli 11 e 15-bis, DPR 602/1973, a fronte di una sentenza non definitiva del giudice tributario che annulli, in tutto o in parte, l’atto impositivo presupposto.

Ricordiamo che in proposito l’iscrizione nel ruolo straordinario previsto dall’articolo 15-bis del DPR 602/1973 consente all’ufficio di procedere, sulla base di accertamenti non definitivi, alla riscossione dell’intero importo delle imposte, sanzioni e interessi, in luogo della riscossione del solo terzo delle imposte e degli interessi (con esclusione delle sanzioni), consentito dalla iscrizione nei ruoli ordinari ex articolo15, DPR citato. Tale procedura di carattere eccezionale, poiché legittima la riscossione dell’intero importo indicato in un avviso di accertamento non definitivo, perciò passibile di annullamento totale o parziale a opera del giudice, richiede, a norma dell’articolo 11, comma 3, del medesimo DPR 602/1973, la sussistenza del “fondato pericolo per la riscossione”.

La specificazione normativa del presupposto di fatto legittimante, in via di eccezione, l’iscrizione a ruolo dell’intero importo richiesto con l’avviso di accertamento non definitivo, comporta per l’Amministrazione finanziaria l’obbligo di indicare nella cartella le ragioni per cui, in deroga alla procedura ordinaria, ha ritenuto la sussistenza di fatti indicativi di un fondato – cioè, non aprioristicamente e immotivatamente affermato – periculum in mora,tale da giustificare la riscossione integrale del credito tributario (comprese le sanzioni), ancorché privo del requisito della definitività.

Ma se all’Amministrazione finanziaria fosse consentito di omettere qualunque motivazione circa i fatti costitutivi della pretesa di riscossione integrale di un credito tributario ancora sub iudice, risulterebbe compromesso il diritto di difesa del contribuente, il quale si vedrebbe costretto a impugnare la cartella senza conoscere le ragioni (e quindi senza poterle specificamente contestare) per le quali l’Ufficio, sulla base di motivi non palesati, ha ritenuto la sussistenza delle condizioni per procedere all’iscrizione a ruolo straordinario. D’altro canto è pur vero che la cartella, specie se preceduta dalla notifica del prodromico avviso di accertamento, non richiede una particolare motivazione; ma ciò vale con riguardo alle ragioni di fatto e di diritto su cui si basa la pretesa impositiva, già nota al contribuente perché contenuta nell’atto impositivo o perché desumibile dalla sua stessa dichiarazione (nel caso di cartelle emesse a seguito di controlli automatizzati o formali ex articoli 36 e 36-ter, DPR 600/1973), rendendo in tali casi superflua la ripetizione, nell’atto della riscossione, dei motivi della pretesa impositiva.

Tornando alla vicenda in esame si è trattato, in concreto, di stabilire se la pronuncia del giudice in senso (totalmente o parzialmente) favorevole al contribuente, sia pure ancora soggetta a impugnazione, si rifletta sulla detta misura cautelare incidendo sulla sua efficacia, oppure se questa resti insensibile alla statuizione giudiziale e i suoi effetti perdurino fino all’eventuale sopravvenire del giudicato negativo del credito.

Essa, come riportano gli Ermellini, discende dal riconoscimento della efficacia immediata delle sentenze delle Commissioni tributarie concernenti atti impositivi (ora l’immediata esecutività è stata espressamente prevista – e ampliata – dall’art. 9 del D.lgs. 156/2015, che ha introdotto varie modifiche al D.lgs. 546/1992 in attuazione dell’art. 10 della legge di delega 24/2013). Oltre al generale rinvio alle norme del codice di rito ordinario, e quindi anche all’art. 282, operato dall’art. 1, comma 2, del D.lgs. 546/1992, tale immediata efficacia rinveniva la sua specifica base normativa nel citato art. 68 del medesimo testo normativo: sia il comma 2 – che prevede l’obbligo dell’Amministrazione di rimborsare entro breve termine al contribuente quanto versato in eccedenza rispetto al decisum della sentenza di accoglimento totale o parziale del ricorso – sia il comma 1 – che disciplina la riscossione frazionata e graduale del tributo e dei relativi interessi sempre sulla base delle statuizioni della sentenza, trovando in questa, quindi, il titolo per l’esercizio del relativo potere – postulano evidentemente che le sentenze tributarie di merito abbiano un effetto immediato: basta osservare che, se quanto già eventualmente riscosso in più va (celermente) restituito, a fortiori non può configurarsi la riscossione di un credito la cui esistenza sia stata negata dalla pronuncia del giudice.

Va aggiunto che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’art. 18 del D.lgs. 472/1997 prevede, al comma 4, che le sentenze delle Commissioni tributarie concernenti provvedimenti di irrogazione delle sanzioni sono “immediatamente esecutive” (nei limiti di cui al successivo art. 19, che richiama il menzionato art. 68).

In definitiva, come ritiene il Collegio, è possibile dar seguito al principio di diritto espresso anche dalla pronunzia della Cassazione n. 99932016,  secondo la quale “… La proposizione del ricorso principale per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che il ricorrente, ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un’altra parte, non può introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, né ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile, pur restando esaminabile come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l’impugnazione avversaria” (v. anche Cass., Sez. U., n. 2568/2012).

Tanto premesso e tornando ai fatti oggi in discussione, la vicenda vede l’approdo in Cassazione quando i Giudici tributari regionali rigettavano l’appello del Fisco contro la decisione della Commissione tributaria provinciale, che aveva accolto il ricorso della contribuente, peraltro fallita, annullando la cartella di pagamento.

Ricorre allora l’Agenzia lamentando essenzialmente la violazione degli artt.11, 15-bis e 96, legge fallimentare, 88 DPR 602/1973, 33 D.lgs. 112/1999, e 68 D.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Corte ha confermato l’attuale indirizzo interpretativo e respingendo la tesi dell’Avvocatura erariale ha affermato che “ … come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. sent. 13/1/2017 n.758) e ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. ord. 21/10/2020 n. 22938),.« l’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dagli artt. 11 e 15.bis del d.P.R. n. 602 del 1973, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata»; in particolare la decisione delle Sezioni unite ha ritenuto l’infondatezza della tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui l’iscrizione a ruolo straordinario non troverebbe ostacolo nella sentenza che accerti l’insussistenza del credito qualora essa sia emessa (come nella fattispecie) nei confronti di un soggetto fallito, in quanto in tal caso la misura ha il solo fine di consentire all’agente della riscossione l’ammissione dell’intero credito al passivo del fallimento;dunque, in caso di annullamento totale o parziale, l’atto impositivo (pur se in via non definitiva in attesa dell’eventuale giudizio di impugnazione), rispettivamente in toto o nei limiti della parte annullata, non può che perdere efficacia quale titolo idoneo a legittimare, in radice, l’inizio o la prosecuzione di un’azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare; come chiaramente affermato dalle Sezioni Unite, con l’indirizzo che qui si condivide, « riconoscere all’istituto in esame una capacità di resistenza all’annullamento, ancorché non ancora irretrattabile, dell’avviso di accertamento che ne costituisce il presupposto di base, cioè, in definitiva, al venir meno anche della mera probabilità di fondatezza della pretesa tributaria in ragione della quale la misura è adottata (e quindi dell’esistenza del diritto di credito il cui soddisfacimento si intende garantire), non ha fondamento normativo e non risponde ad un equo bilanciamento degli interessi contrapposti»; Infine non può non rilevarsi, peraltro, che questa Corte ha affermato, da un lato che la legittimazione del concessionario a far valere il credito tributario nell’ambito della procedura fallimentare non esclude la legittimazione dell’amministrazione finanziaria, che conserva la titolarità del credito azionato e la possibilità di agire direttamente per farlo valere in sede di ammissione al passivo, dall’altra che la domanda di ammissione ai passivo di un fallimento avente ad oggetto un credito di natura tributaria non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l’allegazione all’istanza di documentazione comprovante l’avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su titoli di diverso tenore (quali, ad esempio, titoli erariali, fogli prenotati a ruolo, sentenze tributarie di rigetto dei ricorsi del contribuente) (Cass., Sez. U., n. 4126 del 2012, richiamata in S.U. n.758/2027 ed in S.U. n.33408/2021)”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 6 maggio 2022, n. 14384

sul ricorso n.5028/2018 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata ope legis in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– ricorrente –

contro Fallimento della T. s.r.l., in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Gabriele Escalar, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma al viale G. Mazzini n.11.

 -controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n.206/24/2017, pronunciata il 17 gennaio 2017, depositata in data 27 gennaio 2017 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 marzo 2022 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

RILEVATO CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo contro il fallimento della T. s.r.l., che resiste con controricorso, avverso la sentenza n.206/24/2017, pronunciata il 17 gennaio 2017, depositata in data 27 gennaio 2017 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello dell’ufficio contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Lecco, che aveva accolto il ricorso della contribuente annullando una cartella di pagamento, posto l’annullamento, in sede giurisdizionale, del propedeutico avviso di accertamento;

con la sentenza impugnata, la C.t.r., conformemente all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 13/1/2017 n.758, riteneva che l’annullamento, anche non definitivo, in sede giurisdizionale dell’avviso di accertamento privava l’amministrazione finanziaria del titolo per procedere alla riscossione, per carenza del suo necessario presupposto, anche in caso di fondato pericolo per la riscossione ex artt. 11 e 15-bis d.P.R. n.602/1973; il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 22 marzo 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

CONSIDERATO CHE:

con l’unico motivo, l’agenzia ricorrente denuncia la violazione degli artt.11, 15 bis e 96 legge fallimentare, 88 d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, 33 d.lgs. 13 aprile 1999, n.112 e 68 d.lgs. 31 dicembre 1992 1 n.546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.;

i fatti di causa sono pacifici, e precisamente:

a) con sentenza n. 61/01/2012 la C.t.p. di Lecco accoglieva il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento;

b) con sentenza del 12.6.2014 veniva dichiarato il fallimento della società;

c) in data 11 15.9.2014 veniva notificata la cartella di pagamento derivante dalla iscrizione a ruolo straordinario ex art. 11 d.P.R. n. 602/1973;

l’amministrazione, pur consapevole della decisione emessa da questa Suprema Corte a Sezioni Unite (n. 758/2017), richiamata anche nella sentenza impugnata, ritiene tuttavia che tale posizione debba essere rimeditata e che comunque, nella fattispecie, la Commissione tributaria regionale non avrebbe dovuto annullare la cartella di pagamento;

ciò in quanto occorre considerare che l’art. 15-bis viene sovente utilizzato nei casi in cui il contribuente sia sottoposto a procedura concorsuale;

in tali ipotesi l’iscrizione a ruolo straordinaria (e l’emissione della relativa cartella) ha lo scopo, non di poter agire in via esecutiva nei confronti del contribuente (anzi, vi è il divieto di simili azioni, alla luce di quanto previsto dall’art. 51 della Legge Fallimentare), ma solo di consentire all’agente della riscossione di insinuarsi al passivo del fallimento per l’intero credito, ai fini della futura (ed eventuale) ripartizione dell’attivo fallimentare;

lo strumento del ruolo straordinario ex art. 15-bis del d.P.R. n. 602/1973, assume una natura diversa a seconda se viene emesso nei confronti di un soggetto in bonis – nel qual caso l’Amministrazione ha la facoltà di procedere alla riscossione immediata del credito – ovvero di un soggetto fallito;

in quest’ultimo caso infatti, l’iscrizione a ruolo dell’intero credito è finalizzata esclusivamente all’ammissione al passivo ed alla successiva ripartizione del ricavato;

secondo la ricorrente, se nel primo caso la presenza di una sentenza di merito che accerti (in via ancora non definitiva) la insussistenza del credito è di certo ostativa alla iscrizione a ruolo straordinario, nel secondo caso un tale ostacolo non sussiste, in quanto il ruolo straordinario ha una finalità diversa;

in tali ipotesi il ruolo straordinario semplificherà l’azione dell’amministrazione, consentendo l’ammissione al passivo con riserva dell’intero credito in contestazione, senza necessità di procedere ad insinuazioni parziali in funzione della graduale esigibilità del credito ex artt. 15 d.P.R. n. 602/1973 e 68, comma 1, d.lgs. n. 546/1992;

inoltre, ritiene la ricorrente che, a confermare la correttezza della propria tesi vi sarebbe la disposizione di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 112/1999, in forza del quale ai debitori sottoposti alle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ed al d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, l’ente creditore iscrive a ruolo il credito ed il concessionario provvede all’insinuazione del credito in tali procedure; tale norma, secondo la ricorrente, legittimerebbe sempre l’Agente della riscossione a chiedere l’ammissione al passivo del fallimento senza che tale facoltà sia subordinata a condizioni, quali l’inesistenza di una sentenza di merito anche non definitiva; il motivo è infondato e va rigettato;

come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. sent. 13/1/2017 n.758) e ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. ord. 21/10/2020 n. 22938), «l’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dagli artt. 11 e 15.bis del d.P.R. n. 602 del 1973, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata»;

in particolare la decisione delle Sezioni unite ha ritenuto l’infondatezza della tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui l’iscrizione a ruolo straordinario non troverebbe ostacolo nella sentenza che accerti l’insussistenza del credito qualora essa sia emessa (come nella fattispecie) nei confronti di un soggetto fallito, in quanto in tal caso la misura ha il solo fine di consentire all’agente della riscossione l’ammissione dell’intero credito al passivo del fallimento;

dunque, in caso di annullamento totale o parziale, l’atto impositivo (pur se in via non definitiva in attesa dell’eventuale giudizio di impugnazione), rispettivamente in toto o nei limiti della parte annullata, non può che perdere efficacia quale titolo idoneo a legittimare, in radice, l’inizio o la prosecuzione di un’azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare; come chiaramente affermato dalle Sezioni Unite, con l’indirizzo che qui si condivide, « riconoscere all’istituto in esame una capacità di resistenza all’annullamento, ancorché non ancora irretrattabile, dell’avviso di accertamento che ne costituisce il presupposto di base, cioè, in definitiva, al venir meno anche della mera probabilità di fondatezza della pretesa tributaria in ragione della quale la misura è adottata (e quindi dell’esistenza del diritto di credito il cui soddisfacimento si intende garantire), non ha fondamento normativo e non risponde ad un equo bilanciamento degli interessi contrapposti»;

infine non può non rilevarsi, peraltro, che questa Corte ha affermato, da un lato che la legittimazione del concessionario a far valere il credito tributario nell’ambito della procedura fallimentare non esclude la legittimazione dell’amministrazione finanziaria, che conserva la titolarità del credito azionato e la possibilità di agire direttamente per farlo valere in sede di ammissione al passivo, dall’altra che la domanda di ammissione ai passivo di un fallimento avente ad oggetto un credito di natura tributaria non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l’allegazione all’istanza di documentazione comprovante l’avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su titoli di diverso tenore (quali, ad esempio, titoli erariali, fogli prenotati a ruolo, sentenze tributarie di rigetto dei ricorsi del contribuente) (Cass., Sez. U., n. 4126 del 2012, richiamata in S.U. n.758/2027 ed in S.U. n.33408/2021);

pertanto il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente; rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 9.000,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, il giorno 22 marzo 2022

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