L’accertamento parziale, se definito con adesione, non preclude a un ulteriore accertamento
Tributi – Società – Accertamento e riscossione – Avviso di accertamento parziale – Possibilità di procedere ad ulteriore accertamento per il medesimo periodo di imposta – Sussistenza – Condizioni – Elementi nuovi o conosciuti successivamente – Emersione di altri redditi non dichiarati – Ricostruzione della posizione fiscale – Art. 41-bis del D.P.R. n. 600/73 – Presupposti e condizioni – Necessità – Fondamento
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1277 del 17 gennaio 2023 si è occupata di un particolare aspetto dell’attività di controllo per l’adempimento degli obblighi fiscali dei contribuenti, affermando che l’accertamento parziale non preclude a un ulteriore accertamento da parte del Fisco se quest’ultimo si basa su una nuova documentazione.
L’accertamento parziale è una tipologia di accertamento che rappresenta una deroga al principio di unicità e globalità dell’accertamento tributario, trattandosi non di un metodo di accertamento autonomo, rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39, DPR 600/1973 e 54 e 55, DPR 633/1972, bensì di una modalità procedurale che ne segue le stesse regole.
In definitiva, come ricorda la stessa Suprema Corte, l’avviso di accertamento parziale ex artt. 41-bis, DPR 600/1973, e 54, comma 5, DPR 633/1972, non impedisce all’ufficio di procedere a un ulteriore accertamento per il medesimo periodo di imposta, nei termini di decadenza previsti dalla legge, purché questo sia fondato su fonti diverse da quelle poste a base del primo o, comunque, su dati la cui conoscenza da parte dell’ente impositore sia sopravvenuta non già in applicazione degli artt. 43, comma 4, DPR 600/1973, e 57, comma 4, DPR 633/1972, in tema di accertamento integrativo – stante la non sovrapponibilità dei due istituti – ma in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti, di cui gli strumenti previsti da queste due disposizioni costituiscono deroga, altrimenti pregiudicandosi il diritto del contribuente a una difesa unitaria e complessiva che tale principio garantisce (Cass. n. 27788 del 2020).
Infatti, la peculiarità dell’accertamento parziale è esclusivamente quella di favorire la sollecita emersione della materia imponibile, che non preclude, pertanto, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice anche ove definito con adesione (Cass. n. 1542/2018; Cass. n. 11057/2006).
Si evidenzia inoltre che non è necessario che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dall’art. 43 del medesimo DPR, che risponde a diverse finalità, sebbene il successivo atto non possa fondarsi su fatti già emersi e non contestati (Cass. n. 23685 del 2018). Proprio in detta pronunzia gli Ermellini avevano contribuito alla definizione della questione affermando che l’accertamento parziale, fondato su segnalazioni per le quali è irrilevante che siano semplici o complesse, e la cui finalità è quella di perseguire la sollecita emersione di materia imponibile, può essere integrato da un successivo accertamento senza che si renda necessario specificarne gli elementi.
In buona sostanza, a un primo atto può succederne un altro senza che si renda necessario specificarne gli atti o fatti sopraggiunti, come invece prescritto nell’ipotesi di supplemento al controllo generale. Resta comunque evidente che l’art 41-bis, DPR 600/1973, nella parte in cui fa salva l’ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, fa riferimento a pretese dell’ufficio fondate su fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia sopravvenuta all’accertamento. Ne consegue che l’atto integrativo ha come necessario presupposto un precedente accertamento, pienamente legittimo, che resta in vita e non è sostituito ma solo integrato dall’accertamento successivo, per cui ciascuno di essi conserva la propria autonoma esistenza ed efficacia. L’azione accertatrice è dunque tendenzialmente unitaria, salvo integrare l’atto in caso di sopraggiunta conoscenza di nuovi elementi.
In ultimo si evidenzia che in una situazione analoga la S.C. si è espressa nella pronuncia n. 12490/2022 affermando, sostanzialmente, che se successivamente all’accertamento con adesione l’Amministrazione finanziaria sia venuta a conoscenza di elementi fattuali nuovi, prima non conosciuti ma rilevanti sul piano probatorio, che consentono di procedere a un nuovo accertamento, l’ufficio è legittimato ad accertare profili di evasione di imposta prima non riscontrabili.
Tanto premesso e tornando alla vicenda oggi in discussione, due soci di una società contribuente ricevevano avvisi di accertamento emessi successivamente ad altri, per il medesimo anno, definiti con procedimento di adesione. Rivolgendosi allora alla giustizia tributaria i contribuenti ricevevano un primo arresto sfavorevole, mentre la CTR annullava l’operato dell’ufficio finanziario ritenendo che l’accertamento definito con adesione precludeva ogni ulteriore attività accertativa.
L’Agenzia ricorreva in Cassazione lamentando, nell’unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 6, D.lgs. 218/1997 e dell’art. 41-bis, DPR 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, perché il precedente accertamento definito con adesione aveva natura di accertamento parziale e non precludeva un ulteriore accertamento.
L’Avvocatura erariale affermava, a sostegno dell’Agenzia, che l’acquisizione di nuova documentazione bancaria aveva dato luogo a una più completa verifica della situazione della società e dei soci, dalla quale era derivata l’emersione di ulteriori ricavi non dichiarati, e precisando inoltre che negli avvisi di accertamento impugnati si era agito ai sensi dell’art. 2, comma 4, lett. b), del D.lgs. 218/1997, in quanto quelli precedenti, definiti con adesione su istanza di parte ai sensi dell’art. 6, D.lgs. 218/1997, costituivano accertamenti parziali. La Suprema Corte, nel condividere il motivo di ricorso, ha rilevato che “…Ai sensi dell’art. 2 comma 4 d.lgs. n. 218 del 1997, secondo il testo vigente ratione temporis, la definizione con adesione « non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre1973, n. 600, relativo all’accertamento delle imposte sui redditi, e dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, riguardante l’imposta sul valore aggiunto: a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a centocinquanta milioni di lire; b) se la definizione riguarda accertamenti parziali…” 3. E’ pacifico, quindi, che l’accertamento per adesione non preclude la possibilità di procedere ad un ulteriore accertamento, in presenza di elementi nuovi o quando la definizione riguarda un accertamento parziale (v. Cass. n. 1542 del 2018; Cass. n. 12490 del 2022); nel caso in esame l’Agenzia aveva precisato, negli avvisi di accertamento impugnati, di aver agito proprio ai sensi dell’art. 2 comma 4 lett. b) del d.lgs. 218/97, in quanto quelli precedenti, definiti con adesione su istanza di parte ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 218/97, costituivano accertamenti parziali (v. trascrizione a pag. 6 del ricorso). La CTR, invece, afferma che «L’Amministrazione non poteva ulteriormente integrare il reddito definito, venendo così a ledere un diritto del contribuente …» e, osservando che gli elementi a base degli accertamenti impugnati erano conoscibili dall’Ufficio già al momento dell’accertamento con adesione e che i redditi accertati erano inferiori ad euro 77.468,00, mostra di aver considerato soltanto la fattispecie alla lettera a) dell’art. 2 comma 4 cit. 4. E’ bene rammentare che, secondo l’art. 41 – bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dal d.P.R. 14 aprile 1982, n. 309, e rubricato «accertamento parziale» (in tema di Iva, disposizione analoga e del tutto sovrapponibile a quella di cui al citato art. 41-bis è recata dall’art. 54, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché da segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazione in società, associazioni e imprese di cui all’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni e agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli artt. 36 -bis e 36 ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibile, ovvero la maggior imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218». 4.1. L’accertamento parziale è uno «strumento diretto a perseguire la finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie» ma non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole (Cass. n. 21984 del 2015, Cass. n. 28681 del 2019, Cass. n. 23685 del 2018; Cass. n. 8406 del 2018) ed è fondata sulla disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi che, in ragione della loro oggettiva consistenza, consentono il confezionamento dell’atto sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento (cfr. Cass. n. 27323 del 2014; Cass. n. 2633 del 2016), lasciando salva l’ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, facendo riferimento a pretese dell’Ufficio fondate su fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale (in tal senso, Cass. n. 18065 del 2010). 4.2.La figura non è sovrapponibile all’ accertamento integrativo (vedi Cass. n. 23685 del 2018; Cass. n. 21992 del 2015), previsto dal successivo art. 43, comma quarto (per l’IVA si veda l’art. 57, quarto comma del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), il quale stabilisce che «fino alla scadenza del termine stabilito dai commi precedenti, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte». 4.3.Proprio la locuzione che apre le disposizioni di cui ai citati artt. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972 definisce la finalità dello strumento dell’accertamento parziale, ossia quella di favorire la sollecita emersione della materia imponibile senza preclude re l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, anche ove definito con adesione (sul punto Cass. n. 1542 del 2018; anche Cass. n. 11057 del 2006), purché questo sia fondato su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti (Cass. n. 27788 del 2020); non è necessario, peraltro, che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dall’art. 43 del medesimo d.P.R., che risponde a diverse finalità, sebbene il successivo atto non possa fondarsi su fatti già emersi e non contestati (Cass. n. 23685 del 2018). 5. Negli avvisi impugnati l’Agenzia aveva riportato che, a seguito del reperimento di documentazione extracontabile, era stata «richiesta e ottenuta l’autorizzazione all’acquisizione di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o operazione effettuata con operatori finanziari dalla società e dai soci» e che si era proceduto, in data 3.9.2009, alla verifica poi conclusa il 15.4.2010, dalla quale erano risultate movimentazioni bancarie non giustificate con emersione di altri ricavi non dichiarati per euro 27.505,00. Gli stessi contribuenti davanti alla CTP (v. trascrizione a pag. 7 del ricorso) avevano ammesso che gli avvisi oggetto del presente giudizio erano scaturiti da una «compiuta ricostruzione della posizione fiscale della società (..) in relazione a qualsiasi rapporto intrattenuto o operazione effettuata dalla società e dai soci con operatori finanziari». 6. In sostanza, gli accertamenti oggetto del presente giudizio derivavano da una completa «ricostruzione della posizione fiscale della società», sulla base di nuova documentazione, che aveva portato all’emersione di altri redditi non dichiarati, mentre in precedenza vi era stato un accertamento solo parziale, la cui definizione per adesione non esclude, secondo quanto previsto dall’art. 2 comma 4 lett. b) cit., un’ulteriore attività accertativa. 7. Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità”.
Corte di Cassazione – Ordinanza 17 gennaio 2023, n. 1277
sul ricorso iscritto al n. 23212/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro LA L. NEL P. DI B. P. C SNC, B. P., F. R.
-intimati
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PERUGIA n. 134/2015 depositata il26/02/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/10/2022 dal Consigliere GIOVANNI LA ROCCA.
RILEVATO CHE:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della CTR Umbria sopra citata che, in riforma di sentenza della CTP Perugia, aveva accolto il ricorso della società La L. nel P. di B. P. C. snc e dei soci B. P. e F. R. contro gli avvisi di accertamento per l’anno di imposta 2006, emessi successivamente ad altri, per il medesimo anno, definiti con procedimento di adesione.
Secondo la CTR l’accertamento definito con adesione precludeva ogni ulteriore attività accertativa, anche considerato che gli elementi a base degli accertamenti impugnati erano conoscibili dall’Ufficio già al momento della prima iniziativa, che i redditi accertati erano inferiori ad euro 77.468,00, che l’accertamento successivo aveva interessato gli stessi redditi oggetto dell’accertamento con adesione. Sono rimasti intimati società e soci.
CONSIDERATO CHE
1. Con l’unico motivo l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 6 d.lgs. n. 218/1997 e dell’art. 41 bis d.P.R. n. 600/73, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c, perché il precedente accertamento definito con adesione aveva natura di accertamento parziale e non precludeva un ulteriore accertamento: infatti, l’acquisizione di nuova documentazione bancaria aveva dato luogo ad una più completa verifica della situazione della società e dei soci dalla quale era derivata l’emersione di ulteriori ricavi non dichiarati.
Il motivo è fondato.
2.Ai sensi dell’art. 2 comma 4 d.lgs. n. 218 del 1997, secondo il testo vigente ratione temporis, la definizione con adesione «non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre1973, n. 600, relativo all’accertamento delle imposte sui redditi, e dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, riguardante l’imposta sul valore aggiunto:
a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a centocinquanta milioni di lire;
b) se la definizione riguarda accertamenti parziali…».
3. E’ pacifico, quindi, che l’accertamento per adesione non preclude la possibilità di procedere ad un ulteriore accertamento, in presenza di elementi nuovi o quando la definizione riguarda un accertamento parziale (v. Cass. n. 1542 del 2018; Cass. n. 12490 del 2022); nel caso in esame l’Agenzia aveva precisato, negli avvisi di accertamento impugnati, di aver agito proprio ai sensi dell’art. 2 comma 4 lett. b) del d.lgs. 218/97, in quanto quelli precedenti, definiti con adesione su istanza di parte ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 218/97, costituivano accertamenti parziali (v. trascrizione a pag. 6 del ricorso).
La CTR, invece, afferma che «L’Amministrazione non poteva ulteriormente integrare il reddito definito, venendo così a ledere un diritto del contribuente …» e, osservando che gli elementi a base degli accertamenti impugnati erano conoscibili dall’Ufficio già al momento dell’accertamento con adesione e che i redditi accertati erano inferiori ad euro 77.468,00, mostra di aver considerato soltanto la fattispecie alla lettera a) dell’art. 2 comma 4 cit.
4.E’ bene rammentare che, secondo l’art. 41 – bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dal d.P.R. 14 aprile 1982, n. 309, e rubricato «accertamento parziale» (in tema di Iva, disposizione analoga e del tutto sovrapponibile a quella di cui al citato art. 41 -bis è recata dall’art. 54, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché da segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazione in società, associazioni e imprese di cui all’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni e agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli artt. 36 -bis e 36 ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibile, ovvero la maggior imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218».
4.1. L’accertamento parziale è uno «strumento diretto a perseguire la finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie» ma non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole (Cass. n. 21984 del 2015, Cass. n. 28681 del 2019, Cass. n. 23685 del 2018; Cass. n. 8406 del 2018) ed è fondata sulla disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi che, in ragione della loro oggettiva consistenza, consentono il confezionamento dell’atto sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento (cfr. Cass. n. 27323 del 2014; Cass. n. 2633 del 2016), lasciando salva l’ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, facendo riferimento a pretese dell’Ufficio fondate su fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale (in tal senso, Cass. n. 18065 del 2010).
4.2. La figura non è sovrapponibile all’ accertamento integrativo (vedi Cass. n. 23685 del 2018; Cass. n. 21992 del 2015), previsto dal successivo art. 43, comma quarto (per l’IVA si veda l’art. 57, quarto comma del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), il quale stabilisce che «fino alla scadenza del termine stabilito dai commi precedenti, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte».
4.3. Proprio la locuzione che apre le disposizioni di cui ai citati artt. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972 definisce la finalità dello strumento dell’accertamento parziale, ossia quella di favorire la sollecita emersione della materia imponibile senza preclude re l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, anche ove definito con adesione (sul punto Cass. n. 1542 del 2018; anche Cass. n. 11057 del 2006), purché questo sia fondato su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti (Cass. n. 27788 del 2020); non è necessario, peraltro, che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dall’art. 43 del medesimo d.P.R., che risponde a diverse finalità, sebbene il successivo atto non possa fondarsi su fatti già emersi e non contestati (Cass. n. 23685 del 2018).
5. Negli avvisi impugnati l’Agenzia aveva riportato che, a seguito del reperimento di documentazione extracontabile, era stata «richiesta e ottenuta l’autorizzazione all’acquisizione di dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o operazione effettuata con operatori finanziari dalla società e dai soci» e che si era proceduto, in data 3.9.2009, alla verifica poi conclusa il 15.4.2010, dalla quale erano risultate movimentazioni bancarie non giustificate con emersione di altri ricavi non dichiarati per euro 27.505,00. Gli stessi contribuenti davanti alla CTP (v. trascrizione a pag. 7 del ricorso) avevano ammesso che gli avvisi oggetto del presente giudizio erano scaturiti da una «compiuta ricostruzione della posizione fiscale della società (..) in relazione a qualsiasi rapporto intrattenuto o operazione effettuata dalla società e dai soci con operatori finanziari».
6. In sostanza, gli accertamenti oggetto del presente giudizio derivavano da una completa «ricostruzione della posizione fiscale della società», sulla base di nuova documentazione, che aveva portato all’emersione di altri redditi non dichiarati, mentre in precedenza vi era stato un accertamento solo parziale, la cui definizione per adesione non esclude, secondo quanto previsto dall’art. 2 comma 4 lett. b) cit., un ulteriore attività accertativa.
7.Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. Roma, 12 ottobre 2022