CASSAZIONE

La Tariffa di Igiene Ambientale non è assoggettabile ad IVA.

Tributi – Tariffa di igiene ambientale (T.I.A.) – Mera variante della TARSU – Natura di tributo – Non soggetta ad IVA – Ripetibilità nei confronti dell’affidataria del servizio di raccolta e di smaltimento rifiuti dell’IVA applicata sulla T.I.A.

La cosiddetta TIA (Tariffa di igiene ambientale) non è assoggettabile a IVA.  E’ questo il principio affermato dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione nella sentenza n. 5078 depositata il 15 marzo 2016, con la quale è stato risolto un contrasto interpretativo insorto nella più recente giurisprudenza di legittimità. Secondo l’orientamento costante della Sezione Quinta, la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. n. 22/1997 (art. 49) non è assoggettabile a IVA in ragione della sua natura di tributo; l’IVA mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972, non quando si paga un’imposta, anche se destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente (fra le altre, v. Sezione V, n. 3756 del 09/03/2012 che aveva espresso la seguente massima: “La tariffa di igiene ambientale,, disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della T.a.r.s.u. (disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993) e conserva la qualifica di tributo, propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi a oggetto la debenza del canone per lo smaltimento di rifiuti urbani, come appunto la t.i.a., hanno natura tributaria e sono da attribuire alla cognizione delle commissioni tributarie”.

Da questa interpretazione si sono però discostate alcune decisioni della Sezione Prima, le quali hanno fatto leva sulla previsione contenuta nella parte terza della tabella A allegata al D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA, laddove (n. 127 sexiesdecies) è stabilito che le prestazioni di raccolta, trasporto recupero e smaltimento dei rifiuti sia urbani che speciali sono assoggettate al pagamento dell’IVA al 10%.

Questa previsione è stata introdotta dal D.L. n. 557/1993 quando era ancora in vigore la Tarsu (disciplinata dal D.P.R n. 507/1993), la cui natura tributaria è sempre stata indiscussa; ciò dimostrerebbe quindi che l’applicazione dell’IVA all’importo corrisposto per smaltimento dei rifiuti prescinde dalla sua natura tributaria o meno. Per dirimere il contrasto e fare definitiva chiarezza sulla questione sono quindi intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno aderito all’orientamento espresso dalla Sezione Tributaria.

Questi in sintesi gli argomenti su cui si basa la decisione del Supremo Consesso:

  • la presenza di “elementi autoritativi” che caratterizzano la TIA: l’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente; la totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico, essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici; l’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento a IVA;
  • nello stesso senso depone la normativa europea: l’art. 13 della direttiva 2006/112 CE stabilisce infatti che “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”.

In sostanza la TIA non costituisce un’entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della Tarsu, di cui conserva la qualifica di tributo: da qui la conclusione per cui sull’importo della TIA non va applicata l’IVA.

Questo, in sintesi, è ciò che ha stabilito la Corte di Cassazione. Come per tutte le sentenze dei tribunali italiani per casi del genere, il problema adesso è l’impatto che questa sentenza avrà, perché essa potrà essere ricordata da altri cittadini che hanno pagato l’IVA.

Vediamo cosa è successo e cosa potrebbe avvenire.

La vicenda è del 2009, quando un contribuente veneto presentò ricorso al Giudice di Pace di Venezia proprio sul pagamento dell’IVA inserita nella Tassa di Igiene Ambientale. Il Giudice di Pace accettò le ragioni del ricorrente e ingiunse alla società affidataria del servizio di raccolta e di smaltimento rifiuti per il Comune di Venezia il pagamento della somma di € 67,36, oltre interessi e spese, a titolo di ripetizione di IVA applicata e riscossa alla Tariffa di Igiene Ambientale di cui all’art. 49 del D.Lgs. n. 22/1997 riconoscendo alla Tariffa la natura di tributo e ritenendo alla stessa inapplicabile l’IVA.

L’azienda ha presentato appello al Tribunale di Venezia e successivamente alla Suprema Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 5078 pubblicata il 15.3.2016, hanno rigettato il ricorso affermando che per la Tassa di Smaltimento Rifiuti, qualsiasi sia la sigla che la contraddistingue, l’IVA non è dovuta. La motivazione principale è che essa deve colpire le qualità contributive nate quando si acquista e si vende un bene o anche un servizio. La Tassa sui rifiuti, come impropriamente viene definita, non è una tassa vera e propria, bensì un tributo e come tale, il suo pagamento rappresenta il corrispettivo all’utilizzo di un servizio che non da vita ad aumenti di valore del servizio o a proprietà contributive intese come tali.

Con espresso riferimento alla applicabilità dell’IVA al tributo in questione, le Sezioni Unite – richiamato il contrasto tra la Quinta e la Prima Sezione della Corte – hanno ritenuto di dar seguito all’indirizzo espresso dalla Sezione Tributaria ovvero della Quinta Sezione che con orientamento costante ha affermato: “… la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall’art. 49 del DLgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non è assoggettabile ad IVA, in quanto essa ha natura tributaria, mentre l’imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui all’art. 3 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non quando si paga un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente.

Secondo le Sezioni Unite tale determinazione trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che caratterizzano la TIA, elementi costituiti dall’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore e utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici – nonché dall’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento a IVA.

Ma cosa ci si deve aspettare adesso se, come affermato dalla Cassazione, l’IVA è dovuta quando tra chi cede un bene o eroga un servizio e chi lo riceve, si instaura un contratto per cui vi è la certezza che il bene o servizio sia reso direttamente al beneficiario che ne deve pagare il corrispettivo controvalore.

La natura generalista di queste tasse, cioè il fatto che un cittadino deve pagare una somma non collegata strettamente e inequivocabilmente alla quantità di rifiuti che produce, la rende esterna al campo di applicazione dell’IVA. La vicenda è riferita espressamente alla Tassa di Igiene Ambientale, ma si allarga a tutte le forme di tasse per i rifiuti. I vari tribunali che hanno dato il contributo in questa storia, hanno confermato come questa altro non sia che una variante della TARSU, che è la tassa sui rifiuti solidi urbani. La condanna alla ditta veneta consentirebbe a tutti coloro che hanno pagato l’IVA per le vecchie rate versate per i rifiuti, di ricorrere per il risarcimento di quanto ingiustamente pagato. Se pensiamo che la tariffa per lo smaltimento rifiuti è nata con il decreto n. 22 del 5 febbraio 1997, è possibile anche immaginare uno scenario di contenzioso che potrebbero dare via a ricorsi, class-action e rimborsi esosi.

Ci sono battaglie che, se vinte, non portano trofei e nemmeno denaro o fama: sono le battaglie di principio, condotte con l’unico scopo di impedire che vengano commesse delle ingiustizie.

Piccole o grandi che siano.

cestino con soldi

Corte di Cassazione

Sentenza n. 5078 del 15 marzo 2016

Svolgimento del processo

  1. Il Giudice di Pace di Venezia, su ricorso di Gino Boscolo, in data 22.9.2009, ingiunse alla Veneziana Energie Risorse Idriche Ambiente Servizi – V.E.R.I.T.A.S. s.p.a., di seguito Veritas, il pagamento della somma di € 67,36, oltre interessi e spese, a titolo di ripetizione di Iva applicata alla Tariffa di Igiene Ambientale di cui all’art. 49 del DLgs. n. 22/1997 – cd. Tia – riscossa dalla Veritas, nella qualità di affidataria del servizio di raccolta e di smaltimento rifiuti per il Comune di Venezia, riconoscendo alla Tariffa la natura di tributo e ritenendo alla stessa inapplicabile Piva. L’opposizione proposta dalla Veritas venne rigettata con sentenza del 4.7.2011.
  2. II Tribunale di Venezia, adito dalla società, con sentenza del 14.3.2014, n. 574, accolse l’appello limitatamente al regime delle spese processuali, confermando nel resto la decisione di I grado, n tribunale riaffermò la natura tributaria della Tia in quanto mera variante della Tarsu, in conformità alla giurisprudenza della Corte Costituzionale n. 64/2010 e delle successive pronunce di questa Corte; escluse l’assoggettabilità della Tia ad Iva sia per l’assenza di una normativa specifica, sia per essere le relative entrate riconducibili ai diritti, canoni e contributi percepiti nell’esercizio di pubbliche autorità.
  3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi la Veritas; resiste con controricorso Gino Boscolo.

Con istanza del 29.1.2015 la Veritas ha chiesto la rimessione della questione alle SS UU assumendo l’esistenza di un contrasto tra le sezioni civili della Corte, nonché la particolare importanza della questione. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

  1. Con primo motivo la ricorrente assume la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3, 4 co. II, III e V lett. b DPR 633/1972, 4, co. DL 557/1993, conv. in L. n. 133/1994, introduttivo della voce 127-sexiesdecies di cui alla Parte Terza della Tabella A, allegata al DPR 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata escluso la soggezione ad Iva della Tia sulla base della erroneamente supposta inesistenza di norme espresse che prevedano l’assoggettamento ad Iva della tariffa disciplinata dall’art. 49, DLgs. 22/1997, nonché per avere la sentenza affermato che la prestazione di raccolta e smaltimento dei rifiuti, in assenza dì norme impositive espresse (che pur si danno) sarebbe esente dall’imposta sul valore aggiunto”. La modifica alla parte terza della Tab. A del DPR 633/72, introdotta dall’art. 4 DL. 30 dicembre 1997, n. 557, con la quale è stato aggiunto il numero: “127- sexiesdecies – prestazioni di smaltimento, previste dall’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, di rifiuti urbani e speciali di cui all’art. 3, commi primo e secondo, dello stesso decreto.”- farebbe appunto riferimento alle prestazioni svolte dalla Veritas. La norma sarebbe stata introdotta a seguito della abrogazione, contenuta nell’art. 2 della stesso DL dell’originaria esenzione dall’Iva delle prestazione di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani. Nello stesso senso, gli artt. 1 co. 1 e 2 co. 1 del DM 24.9.2000, n. 370, prevederebbero la possibile emissione di bollette che tengono luogo delle fatture, all’esito della prestazione del servizio, con relativa annotazione nel registro previsto dall’art. 24 del DPR 633/72. Erroneo sarebbe inoltre il richiamo del giudice di appello all’art. 4 co. 5 lett. b) del DPR 633/72, norma “eccezionale” dalla quale non potrebbe conseguire “che le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti necessitino di essere ricondotte, una per una, nel campo dì applicazione dell’Iva da previsioni speciali”.
  2. Con secondo motivo la ricorrente assume la “violazione o falsa applicazione degli artt. 49 DLgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nonché degli artt. 1, 3, 4 del DPR 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso l’assoggettabilità adiva della tariffa di gestione dei rifiuti per la supposta assenza di un rapporto sinallagmatico tra il servizio di smaltimento dei rifiuti e la controprestazione gravante sugli utenti, beneficiari del servizio”. La determinazione del corrispettivo, prescinderebbe dal rapporto sinallagmatico; la nozione di “corrispettivo” ai fini Iva andrebbe correlata non alla nozione civilistica di contratto sinallagmatico, bensì ad un “collegamento economicamente valutabile”. Secondo la ricorrente le prestazioni di servizio di cui all’art. 3 del DPR 633/72 prescinderebbero dalla fonte del rapporto; la correlazione non potrebbe essere esclusa dalla circostanza che parte della tariffa sia destinata a remunerare le prestazioni di raccolta e smaltimento di rifiuti esterni; la “ratio commutativa della tariffa” non sarebbe menomata dal ricorso a presunzioni forfettarie di rifiuti; il nesso di corrispettività tra il servizio di raccolta dei rifiuti e la tariffa che lo remunera non sarebbe poi stato escluso dalla sentenza della Corte Cost. n. 238 del 24.7.2009, che aveva comunque rilevato il collegamento tra la produzione dei rifiuti e la copertura del costo; la decisione del tribunale sarebbe infine “sorda di fronte all’interpretazione della Sesta direttiva Iva offerta dalla Corte di Giustizia Europea” che avrebbe a tal fine ritenuto rilevante “l’essenza economica dello scambio tra le prestazioni e non la cornice negoziale o autoritativa entro la quale lo stesso si realizza.”
  3. Con terzo motivo la ricorrente assume la “violazione o falsa applicazione degli artt. 13 co. 1 Direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, rilevante ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile alle prestazioni di servizi rese dalla Veritas, società per azioni di diritto privato svolgente attività di impresa, l’esenzione soggettiva dall’Iva di diritti, canoni, contributi percepiti dagli enti pubblici per le sole attività od operazioni che essi esercitano in quanto pubbliche autorità”. L’esenzione di cui all’art. 13 citato si applicherebbe ai soli enti pubblici ed all’esercizio di attività in veste di pubblica autorità, circostanze non ricorrenti nel caso in esame. Quanto alla prima condizione, la Corte di Giustizia avrebbe ripetutamente affermato che l’esenzione prevista dall’art. 4 n. 5, primo comma, della sesta direttiva non opererebbe laddove l’attività venga affidata ad un terzo, in posizione di autonomia, non integrato nell’organizzazione della pubblica amministrazione. Relativamente alla seconda, l’attività di raccolta e smaltimento non sarebbe svolta dalla società con poteri o prerogative autoritativi, bensì nell’ambito di un’autonoma organizzazione imprenditoriale.
  4. Con quarto motivo la ricorrente assume la ”violazione o falsa applicazione dell’art. 13, co 1, secondo cpv. direttiva 2006/112/Ce in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha tenuto in alcun conto la con-dizione ostativa all’applicazione del regime di non assoggettamento ad Iva di cui all’art. 13 cit., rappresentata dalla distorsione della concorrenza di una certa importanza. Alternativamente, nullità della sentenza per violazione dell’art. 101, co. II c.p.c. rilevante ex art. 360 n. 4 c.p.c., per avere il giudice di merito implicitamente giudicato non sussistente alcun rischio di distorsione della concorrenza, senza avere previamente sollecito il contraddittorio delle parti su tale questione”. La equiparazione tra ente pubblico e soggetto privato affidatario del servizio di smaltimento dei rifiuti, operata dal Tribunale, determinerebbe il rischio di distorsioni alla concorrenza. La Veritas, nel caso di mancata applicazione dell’Iva sulle prestazioni da essa rese in favore degli utenti, si troverebbe a vantare sistematicamente rilevanti crediti di imposta nei confronti dello Stato: da ciò la possibile qualificazione del meccanismo quale aiuto di stato indiretto.
  5. I primi tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati. La normativa a fondamento delle questioni sollevate è costituita dall’art. 49 del DLgs. 5.2.1997, n. 22 – con il quale venne soppressa a decorrere dal 1° gennaio 1999, la cd. Tarsu, disponendo che i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, fossero coperti dai comuni mediante l’istituzione di una tariffa (usualmente denominata Tariffa di Igiene ambientale)- composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi digestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
  6. La Corte costituzionale, giudicò infondata la questione dì legittimità costituzionale del DL. n. 203 del 2005, art. 3-bis, conv. con modif. con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) lo smaltimento dei rifiuti urbani, con sentenza 238/2009, ritenendo che il prelievo presentasse tutte le caratteristiche del tributo, che il medesimo non fosse pertanto inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisse una mera variante della TARSU disciplinata dal DPR n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima. Analoghi principi vennero affermati dalla Corte Cost., con la sentenza n. 64/2010.
  7. Nell’adeguarsi a tale orientamento, questa Corte, in sede di regolamento di giurisdizione, ha affermato: “In tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale (TIA), in quanto, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal DPR 15 novembre 1993 n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo (SS.UU. 14903/2010, 25929/2011)”.
  8. Con espresso riferimento alla applicabilità dell’IVA al tributo in questione la 5a sezione di questa Corte, con orientamento costante ha affermato: “la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall’art. 49 del DLgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non è assoggettabile ad IVA, in quanto essa ha natura tributaria, mentre l’imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui all’art. 3 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, non quando si paga un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente (Sentenza n. 3293 del 2.3.2012; Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 9.3.2012; Sez. 5, Sentenza n. 5831 del 13.4.2012). 12. In contrasto con tale indirizzo sono le affermazioni contenute in alcune decisioni della Sezione I di questa Corte, nell’ambito di giudizi aventi ad oggetto la natura privilegiata, ex art. 2752, comma III, c.c., del credito relativo al tributo in questione, laddove leggesi: “La natura tributaria in questione non può neppure essere contestata in base alla considerazione che la parte terza della tabella A allegata al DPR n. 633 del 1972, in materia di IVA, preveda (n. 127 sexiesdecies) che le prestazioni di raccolta, trasporto recupero e smaltimento dei rifiuti sia urbani che speciali siano soggette al pagamento dell’IVA 10%. E’ sufficiente a tale proposito osservare che detta previsione normativa è stata introdotta dal DL. n. 557 del 1993, art. 4, comma 1, convertito con L. n. 133 del 1994, quando era ancora in vigore la TARSU, la cui natura tributaria è sempre stata indiscussa, il che dimostra che l’applicazione dell’Iva all’importo corrisposto per smaltimento dei rifiuti prescinde dalla sua natura tributaria o meno” (Cass. 5297/2009; Cass. 5298/2009; Cass. 5299/2009; Cass. 12006/2012; Cass. 12007/2012, Cass. 17768/2012; Cass. 17994/2014).
  9. Secondo queste Sezioni Unite va dato seguito all’indirizzo espresso dalla Sezione Tributaria, non senza rilevare che la questione dell’assoggettamento ad Iva della Tia 1 non costituiva espressamente oggetto delle pronunce della Sezione la, risultando un mero obiter a favore della natura non privatistica della Tia nell’ambito della disciplina speciale in tema di crediti privilegiati.
  10. Tale determinazione trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che caratterizzano la cd. Tia 1, elementi costituiti dall’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici – nonché dall’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento ad IVA (artt. 3 e 4 del DPR n. 633/1972).
  11. Questo indirizzo è altresì conforme all’art. 13 della direttiva 2006/112 CE – secondo cui “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”-.
  12. Va in proposito rilevato che l’ordinamento eurocomunitario reputa essenziale la gestione dei rifiuti, tanto da addossare sui singoli Stati l’obbligo di adottare le misure necessarie atte a garantire il recupero, riutilizzo, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti medesimi (artt. 4,10,12 e 13 dir. 2008/98 CE), rimettendo alla discrezionalità degli Stati medesimi la determinazione degli oneri correlati ai costi di gestione (“allo stato attuale del diritto comunitario, non vi è alcuna normativa adottata in base all’art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità” (…) “le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa” punti 48 e 50 sent. 15.7.2009, causa C-254/08).
  13. E che tale servizio sia connesso all’esercizio di attività di pubblica autorità trova conforto anche nelle decisioni della Corte di Giustizia (Quarta Sezione nella causa C-174/14 punto 71) secondo cui: l’esenzione prevista all’articolo 13, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/112 concerne principalmente le attività esercitate dagli enti di diritto pubblico in quanto pubbliche autorità che, pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all’esercizio di prerogative di pubblico potere (sentenza Isle of Wight Council e a., C-288/07, EU:C:2008:505, punto 31); nonché nella Sentenza del 14 dicembre 2000, nella causa C-446/98 (punti 15-17), secondo cui: alla luce degli obiettivi della sesta direttiva, mette in evidenza che per l’applicazione dell’esenzione devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire l’esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l’esercizio di attività in veste di pubblica autorità (v. segnatamente, sentenza 25 luglio 1991, causa C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, Race, pag. 1-4247, punto 18). I- 11469 SENTENZA 14.12.2000 – CAUSA C-446/98 16 Per quanto riguarda quest’ultima condizione, sono le modalità di esercizio delle attività in esame che consentono di determinare la portata dell’esenzione degli enti pubblici (sentenze 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, Comune di Carpaneto Piacentino e a., Race. pag. 3233, punto 15, e 15 maggio 1990, causa C-4/89, Comune di Carpaneto Piacentino e a., Race. pag. 1-1869, punto 10).

17 Risulta così da una consolidata giurisprudenza della Corte che le attività esercitate in quanto pubbliche autorità, ai sensi dell’art. 4, n. 5, primo comma, della sesta direttiva, sono quelle svolte dagli enti pubblici nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati, (v. sentenze 12 settembre 2000, causa C-276/97, Commissione/Francia, punto 40, causa C-358/97, Commissione/Irlanda, punto 38, causa C-359/97, Commissione/Regno Unito, punto 50, causa C-408/97, Commissione/Paesi Bassi, punto 35, e causa C-260/98, Commissione/Grecia, punto 35).

  1. Anche la necessità di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e contro-prestazione, ai fini della imponibilità, risulta conforme alla giurisprudenza comunitaria. Nella Sentenza della Terza Sezione del 20 giugno 2013, nella causa C-653/11, p. 40) leggesi: “Ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva, sono soggette a IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale». Con riferimento, più in particolare, alla nozione di prestazione di servizi, la Corte ha affermato in più occasioni che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso» ai sensi dell’articolo 2, punto 1, di tale direttiva e, pertanto, configura un’operazione imponibile solo quando tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, MacDonald Resorts, C-270/09, Race. pag. 1-13179, punto 16 e giurisprudenza ivi citata)”. Egualmente nella Sentenza della Quarta Sezione del 29 ottobre 2015, causa C-174/14, ai punti 31 e 32, si è ritenuto: Sono assoggettate all’IVA, in generale e conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, le prestazioni di servizi fornite a titolo oneroso, comprese quelle fornite dagli enti di diritto pubblico. Gli articoli 9 e 13 della stessa direttiva attribuiscono pertanto un ambito di applicazione molto ampio all’IVA (sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-79/09, EU:C:2010:171, punto 76 e giurisprudenza ivi citata). 32. La possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso presuppone unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario (v., in particolare, sentenza Serebryannay vek, C-283/12, EU:C:2013:599, punto 37 e giurisprudenza ivi citata)”.
  2. Inoltre, nella determinazione della base imponibile, la Corte di giustizia ha affermato “(…) affinché imposte, dazi, tasse e prelievi possano rientrare nella base imponibile dell’IVA, pur non rappresentando un valore aggiunto e non costituendo il corrispettivo economico della cessione del bene, essi devono presentare un legame diretto con tale cessione” (Corte Giust. 28 luglio 2011, C-106/10, punto 33; Corte Giust. 22 dicembre 2010, C-433/09, Commissione/Austria, punto 34), successivamente precisando che tale legame diretto è ravvisabile allorquando le tasse, i tributi e i prelievi divengono esigibili dal momento che sono fomiti e solo quando sono fomiti i servizi (Corte Giust. in C-618/11, C-637/11 e C-659/11, TVI – Televisao Independente SA, punto 41). 20. Irrilevante ai fini di causa è quindi il disposto della voce 127 sexiesdecies dalla tabella A parte III del DPR 633/1972, relativa ai beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%, secondo cui: le “prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, previste dall’art. 6, comma 1, lettere d), l) e m), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, di rifiuti urbani di cui all’art. 7, comma 2, e di rifiuti speciali di cui all’art. 7, comma 3, lettera g), del medesimo decreto, nonché prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione”; nonché il DM 24 ottobre 2000, n. 370, nel disciplinare le modalità di riscossione dell’IVA, prevede espressamente, all’art. 1, che “Per le operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati, di fognatura e depurazione, possono essere emesse bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui all’art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, sempre ché contengano tutti gli elementi di cui all’art. 21 del medesimo decreto”. Tali disposizioni sono infatti applicabili nei casi in cui le prestazioni in esame vengano svolte “con corrispettivo”, elemento assente, per quanto sopra ritenuto, nel caso in esame.
  3. Va pertanto esclusa rilevanza alla questione prospettata con il terzo motivo di ricorso, nonché la sussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, come richiesto da parte ricorrente in sede di memorie.
  4. Inammissibile è il quarto motivo di ricorso non risultando la questione oggetto del giudizio dì merito e comportando la stessa nuovi accertamenti di fatto (Cass. n. 3796/2013; Cass. n. 11642/2010, Cass. n. 2420/2006).
  5. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore del Boscolo, delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi € 1.100,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
  6. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del Boscolo, delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi € 1.100,00 oltre € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay