ONLUS

La riforma del Terzo Settore: prospettive, suggerimenti e dubbi

Con la presentazione degli emendamenti al Senato del mese scorso, preceduti dalla complessa relazione del Relatore Lepri, il percorso di riforma del Terzo Settore fa un ulteriore passo avanti.

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Il Forum Nazionale (http://www.forumterzosettore.it), pur senza effettuare una distinta analisi degli emendamenti, ha provveduto a sottolineare alcuni punti centrali che “possono e debbono orientare il percorso di riforma, individuando alcuni criteri distintivi che aiutino a meglio definire in positivo il settore, salvaguardandone finalità e missione”.

Partecipazione e Responsabilità

Come è stato evidenziato nelle Linee Guida proposte dal Governo, il Terzo Settore è, prima di ogni altra cosa, il luogo della “libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune”. Gli enti di terzo settore sono i luoghi dove esercitare la “libera, autonoma e volontaria partecipazione dei cittadini attivi alla assunzione di responsabilità” in qualità di modello per costruire un rinnovato impegno sociale e un nuovo rapporto con e tra le Istituzioni, riconoscendo al Terzo Settore la qualità di soggetto educante al bene comune.

Finalità

Sono le finalità a definire il Terzo Settore, non soltanto le attività.

L’impegno dei cittadini attivi è rivolto innanzitutto alla costruzione di fiducia e coesione sociale mirando a finalità civiche e solidaristiche, rivolgendosi quindi “alle marginalità sociali, alla riduzione delle diseguaglianze, a promuovere la cultura per tutti, a favorire la sostenibilità ambientale, a proteggere e valorizzare i beni comuni”.

Perimetrare il Terzo Settore

La definizione del Terzo Settore fornita dall’attuale art. 1 comma 1, se per un verso individua “per cosa” vengono costituiti tali enti, cioè senza scopo di lucro, per finalità civiche e solidaristiche, svolgendo attività d’interesse generale e anche producendo beni e servizi di utilità sociale o forme di mutualità, per un altro verso non dice nulla per quanto riguarda “da chi e con quali modalità” vengono costituiti. “Tali ‘colonne’ hanno necessità di stabile fondamenta, a nostro avviso individuabile nella partecipazione dei cittadini che, in modo libero ed autonomo, si assumono una responsabilità e creano organizzazioni, dedicando il loro tempo e/o risorse economiche per dedicarsi agli altri e/o ai beni comuni. La partecipazione dei cittadini attivi è la molla che porta a costituire gli enti di terzo settore. Suggeriamo pertanto che il concetto di partecipazione sia ricompreso nella definizione”.

In sostanza la partecipazione è, da un lato, la condizione fondamentalmente necessaria alla costituzione e vita di ogni ente di Terzo Settore – “e stupisce che ciò non sia citato nella attuale definizione di Terzo Settore” – ma è anche il vero ed effettivo “prodotto” del Terzo Settore. Evidentemente, la partecipazione non deve obbligatoriamente confluire in un rapporto associativo, sia perché non tutte le forme giuridiche lo permettono (tra queste, le fondazioni), sia perché esistono coinvolgimenti “geneticamente” temporanei come, ad esempio, la partecipazione a giornate di sensibilizzazione o raccolte fondi.

Volontariato-di-impresa

Volontariato e promozione sociale

Si evidenzia l’importanza fondamentale di valorizzare e promuovere il Terzo Settore, che è un patrimonio del Paese, un tesoro di capitale sociale e di fiducia indispensabile ai fini della coesione sociale. Nel “mettere mano alla Riforma, la prima domanda da porsi deve essere: se oggi sono oltre 4,7 milioni i cittadini attivi volontari che si prendono cura degli altri e/o dei beni comuni, come rivedere le norme affinché tra 5-10 anni tali cittadini aumentino, e con essi venga incrementato il capitale sociale e la fiducia (e di conseguenza anche le attività economiche e le ricadute occupazionali) dell’Italia?”.

E’ dunque necessario reperire le opportune forme per sostenere e incentivare il volontariato, svolto sotto qualsiasi forma giuridica o legge speciale – “poiché non ci sono volontari di serie A e di serie B” – anche con forme di autofinanziamento realizzate con modalità contraddistinte dal massimo della trasparenza. Diventa indispensabile evitare abusi in grado di camuffare forme di remunerazione e di conseguenza lavoro nero e concorrenza sleale, ma è necessario regolamentare, allo stesso tempo, l’aspetto degli eventuali rimborsi dei volontari in modo trasparente, realizzando una semplificazione delle attività di rendicontazione delle spese, agevolando il fine sociale e senza scopo di lucro dell’attività svolta. Poiché solo in questo modo le numerose realtà diffuse possono “costruire una propria autonoma e indipendente capacità di rappresentanza, va anche quindi prevista la possibilità, per tutti gli enti di secondo livello, di remunerare gli incarichi direttivi degli aderenti”.

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Viene poi ribadita la necessità di approfondire il tema e di intervenire sull’intero sistema, dalla base sociale alle modalità di accreditamento, dall’architettura della vigilanza e dei controlli alla modalità di fruizione dei servizi fino alla trasparenza delle regole di governance, per incidere sulle attuali criticità. E si ritiene opportuno approfondire il senso della missione, la funzione, gli strumenti dei Centri di servizio per il volontariato (CSV) alla luce delle attuali esigenze del volontariato e del Terzo Settore italiano.

In presenza di un eventuale ampliamento dei soggetti beneficiari a tutto il Terzo Settore, si deve prevedere, di conseguenza, anche una estensione dei soggetti che partecipano alla governance dei Centri di servizio, perché in caso contrario “non sarebbe giustificata l’esistenza di una tale asimmetria”.

Per quanto concerne le risorse, dal Forum arriva la richiesta di confermare il meccanismo attualmente garantito dalla legge n. 266/1991, prevedendo però “sia che il costo delle strutture di vigilanza, monitoraggio e controllo siano ricomprese nel ‘15’ sia anche meccanismi di perequazione delle risorse stesse, per assicurare una parità di livello di servizi su tutto il territorio nazionale”. Viene inoltre richiamata l’attenzione sulla necessità che, soprattutto per le piccole organizzazioni, venga evitato di aggregare sui Centri di servizio sia funzioni di fornitura di servizi e di sostegno economico e progettuale, sia anche funzioni esclusive di verifica e controllo; i CSV sono nati per fornire servizi alle organizzazioni di volontariato, per cui non si ritiene utile, vista anche la loro modesta entità, che le già limitate risorse vengano utilizzate diversamente da quanto previsto, accrescendone compiti e funzioni.

La Riforma deve costituire “un’occasione per fare chiarezza, non per aumentare la confusione di ruoli, creando situazioni per le quali i controllati (i CSV) diventano i controllori dei loro controllanti (le OdV)”.

L’impresa sociale

In tema di definizione di impresa sociale, “dando per scontato che sia una qualifica e non una nuova natura giuridica, e che la stessa sia parte del Terzo Settore, riteniamo che la definizione possa essere di molto alleggerita, rinviando anche il tema 3 dell’impatto sociale all’art 7 (in quanto più consono ai temi di monitoraggio delle attività degli enti)”.

Il Forum ribadisce, inoltre, che gli enti che si avvalgono della qualifica di ‘imprese sociali’ devono essere soggetti che svolgono la loro attività ponendosi quale obiettivo “non il perseguimento di un profitto (che sia o meno low), bensì finalità sociali”. Con la riforma devono essere evitate formule che invece di trasparenza rischiano di creare ambiguità: si tratta, perciò, di promuovere e sostenere “l’esistenza di soggetti che danno vita al pluralismo economico nonché forma e sostanza alla democrazia economica, sfuggendo al ‘pensiero unico’ economico dominante incentrato sulla semplice massimizzazione dell’utile. Partendo da questa posizione riteniamo, così come già previsto da anni per le cooperative a mutualità prevalente, possano esser solo previste limitate e contenute modalità di distribuzione degli utili, assicurando comunque la prevalente destinazione degli utili a riserva indivisibile”.

I rapporti con le Pubbliche amministrazioni

Si considera necessario approfondire il tema del rapporto tra P.A. e Terzo Settore, richiamando l’esigenza di fare chiarezza sulla materia con regole chiare e criteri nazionali relativi ad autorizzazioni, accreditamenti ed affidamenti, per fissare una scelta “che veda riconosciuta una matura sussidiarietà ed effettiva partnership”.

La tutela dei lavoratori
I lavoratori del settore devono essere tutelati tramite l’applicazione dei CCNL sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente maggiormente rappresentative ed evitando che le P.A. ricorrano alle gare al massimo ribasso.

I controlli

Anche in questa occasione il Forum continua a manifestare rammarico per il diniego all’istituzione di una apposita Agenzia, ispirandosi ad esempio alla Charity Commission.

Si sottolinea che le verifiche e i controlli dovrebbero essere sostanziali, nel rispetto del fine sociale e non lucrativo, strutturali, ordinati, coordinati e efficaci. In questo momento il Terzo Settore è sottoposto “a moltissimi controlli (Agenzia delle Entrate, soggetti erogatori, Prefetture, Regioni o enti territoriali che tengono Albi e Registri e, limitatamente ad alcune attività, ASL, Tribunali, Assessorati …), ma questi, nella loro disorganicità, appesantiscono l’attività sia degli enti di terzo settore che dei controllori e sono perlopiù inefficaci. È importante che i controlli siano più uniformi e non orientati alla mera correttezza formale e il più possibile ‘ex post’, tesi a verificare l’attività effettiva”.servizio-civile

Viene poi espressa la perplessità circa il motivo di vedere attribuita “all’Agenzia delle Entrate una funzione di vigilanza, monitoraggio e controllo degli Enti del Terzo Settore quando la stessa è parte del Ministero dell’Economia e Finanze e ha delle funzioni istituzionali definite per legge, alle quali sono già sottoposti gli Enti di Terzo Settore (così come tutti i contribuenti). Per non parlare dei possibili conflitti di attribuzione con le competenze del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e con la funzione di coordinamento che sempre l’attuale testo di Riforma attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei Ministri”.

Il servizio civile

La Camera dei Deputati ha già agito in maniera positiva “sul testo base del Governo sia per precisare aspetti rilevanti (contratto fra giovani e Stato, enti accreditati di natura pubblica e senza scopo di lucro) sia per respingere emendamenti discutibili (messa in capo agli enti del pagamento dell’assegno mensile dei giovani, alias cofinanziamento e contingenti numerici regionali)”.

In proposito il Forum segnala i principali nodi rimasti aperti dopo la votazione alla Camera.servizio-civile-logo

  • Definizione – l’obiettivo principale è un testo che fornisca un’identità prioritaria e governance efficace all’istituto del Servizio Civile Universale che, come viene ricordato, dal 2017 dovrebbe coinvolgere 100.000 giovani e quindi necessita di basi solide. La base costituzionale, “già recepita nelle Linee Guida e poi nella formulazione originaria del testo di Riforma, risiede nella pluralità e complementarietà dei modi di realizzare la Difesa del Paese, fra componente armata e civile, non armata, a cui ricondurre i molteplici risultati aggiuntivi generati da un buon servizio civile. Si vedano le diverse sentenze della Corte Costituzionale e la legge 64/2001 istitutiva dell’attuale SCN che ha recepito alla lettera a) dell’art. 1 proprio questo impianto”.
  • Giovani stranieri – si sottolinea l’opportunità di prevedere che anche i giovani stranieri possano accedere a tale strumento, come previsto anche da recenti sentenze, come forma di integrazione.
  • Coordinamento – appare coerente con questo obiettivo la precisazione del ruolo del Dipartimento del Servizio Civile Universale quale organo di coordinamento e attuazione delle disposizioni del piano triennale.
  • Servizio all’estero – il Forum segnala che sulla durata del periodo di servizio civile l’indicazione specifica è rimandata alla programmazione triennale: in tale contesto rimarrebbe preclusa, per il servizio all’estero una eventuale durata superiore a dodici mesi, mentre invece l’esperienza spesso la richiede.

 

La fiscalità

Viene ricordato che la definizione di ‘ente non commerciale’ è di natura tributaria “e comprende tutti gli enti indicati nel libro primo del codice civile che, allo stato attuale, svolgono in via non prevalente attività di impresa. L’ipotizzato allargamento della definizione, con l’attribuzione della qualifica di ente non commerciale legata alle finalità, trova il nostro pieno consenso”.

Per quanto riguarda la possibilità di introdurre regimi di favore legati a particolari settori di attività (vengono citati i settori rientranti nell’attuale disciplina delle ONLUS, D.Lgs. n. 460/1997, e dell’impresa sociale, D.Lgs. n. 155/2006), fino a prevedere una esenzione totale in caso di attività svolte in tali settori, in assenza di distribuzione di utili, “anche questa sembra una ipotesi interessante, che peraltro ricalca – ampliandolo – l’attuale regime fiscale previsto per le ONLUS.

Evidentemente, non possono essere agevolate le sole attività svolte in determinati settori, ma – sempre in caso di sostanziale non lucratività – anche quelle effettivamente prestate nei confronti dei propri associati, e quelle volte a favorire l’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate”.

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