LA REVISIONE DEI REATI TRIBUTARI Parte 2
4 luglio 2016
Continuiamo l’esame delle novità intervenute con l’approvazione del cd “decreto sanzioni” nell’ottobre 2015, anche alla luce di importanti fatti nuovi intervenuti.
Di immediato rilievo appare l’innalzamento delle soglie di punibilità rispetto alla precedente fattispecie: da 50.000 euro di imposta evasa si passa a 150.000 ed il valore assoluto di imponibile evaso è incrementato da due a tre milioni.
Il nuovo comma 1‐bis prevede, poi, che, ai fini dell’applicazione del comma 1, non si debba tenere conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. Sono dunque esclusi dalla rilevanza penale i costi indeducibili se reali, e gli errori sull’inerenza e sulla competenza.
Il Decreto inoltre sancisce che la parola “fittizi”, ovunque prevista nella norma, debba essere intesa come “inesistenti”, con la conseguenza che i costi realmente sostenuti, ancorché indeducibili, non potranno “determinare imposta evasa” ai fini penali.
E’ stato anticipato che il nuovo comma 1‐bis dell’articolo 4 prevede ora che, ai fini della configurazione del reato di dichiarazione infedele, non è rilevante la non corretta classificazione, la valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti.
In precedenza era espressamente previsto che per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici oltre che per la dichiarazione infedele non davano luogo a fatti punibili, le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differivano in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Inoltre degli importi compresi in tale percentuale non si teneva conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità. In ogni caso, era sancita l’irrilevanza penale delle rilevazioni e valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati fossero stati comunque indicati nel bilancio.
La nuova norma di modifica conferma, ma solo per la fattispecie di dichiarazione infedele, e non più per quella fraudolenta:
- l’irrilevanza, ai fini dell’imposta evasa, della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti;
- la “tolleranza” del 10% nelle valutazioni.
E’ bene sottolineare che in passato erano ininfluenti ai fini penali (per la dichiarazione sia fraudolenta, sia infedele) eventuali errori sulla determinazione dell’esercizio di competenza, ma solo se commessi sulla base di metodi costanti di impostazione contabile. In altri termini era fondamentale che l’errore di imputazione del costo o del ricavo fosse ripetuto negli anni e non commesso solo in determinate circostanze. Il Decreto invece – pur limitando la non punibilità alla sola dichiarazione infedele – non esige più che l’errore sia connesso all’applicazione di metodi costanti: la scriminante quindi potrà essere invocata anche per l’errore riferibili ad un solo periodo di imposta.
L’articolo 5 del DLgs 74/2000, nella sua formulazione precedente, prevedeva che fosse punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa era superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro trentamila.
Le modifiche al reato di omessa presentazione riguardano:
- l’innalzamento della soglia di punibilità che passa da 30.000 euro di imposta evasa a 50.000 euro;
- l’inasprimento delle pena della reclusione (da un anno a tre anni si passa alla reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni).
Deve peraltro essere ricordato che non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine così come la dichiarazione non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
L’articolo 10 del decreto legislativo 74/2000 puniva, con la reclusione da sei mesi a cinque anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Con la recente riforma è stata innalzata la pena, ora fissata in una forchetta da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione
Tale scelta legislativa fornisce alle Autorità inquirenti un ulteriore strumento investigativo: sono consentite le intercettazioni telefoniche in base all’articolo 266 del codice di procedura penale.
Altra novità intervenuta è costituita dalla soglia per l’omesso versamento di ritenute (articolo 10‐bis) che sale da 50.000 a 150.000 euro: ora è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.
L’articolo 10‐ter del Decreto Legislativo 74/2000, a seguito delle recenti modifiche prevede ora che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila (la precedente soglia penale era di 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta).
Ulteriori innovazioni sono costituite dalla previsione di pene più severe per l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti: il nuovo articolo 10‐quater del Decreto Legislativo 74/2000, differentemente dal passato, distingue le pene previste per l’uso di crediti non spettanti da quelli inesistenti, inasprendo il regime sanzionatorio solo per questi ultimi.
Nella formulazione ante riforma, in sostanza, le due ipotesi erano punite con la reclusione da sei mesi a due anni mentre ora per i crediti inesistenti la sanzione viene aumentata con la previsione della reclusione da 1 anno e sei mesi a 6 anni.
Resta inalterata, invece, la soglia dell’importo annuo superiore a cinquantamila euro che determina l’illecito penale
Per ulteriori approfondimenti cfr Roberto Fanelli, “Sanzioni – Fiscali, Previdenziali e Societarie”, XIII edizione, marzo 2016, IPSOA – GUIDE OPERATIVE, Wolters Kluver Italia, Milanofiori Assago (MI)
………………………………..
(segue sul prossimo numero della rivista)