La rettifica della rendita catastale con Docfa richiede una spiegazione più approfondita
Tributi – Catasto – Estimi – Docfa – Classamento – Immobile – Elementi di discontinuità – Incongruità – Variazione della rendita catastale – Art. 1, c.21 della l. 208/2015 – Norma “Imbullonati”- Rettifica
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16884 del 19 giugno 2024 si è occupata del classamento immobiliare, soffermandosi in particolare sulla determinazione della rendita catastale degli immobili censiti nei gruppi catastali D ed E, riaffermando che “… il principio in forza del quale, in tema di classamento di immobili, l’attribuzione della rendita catastale mediante procedura cd. Docfa si distingue dal riclassamento operato su iniziativa dell’ufficio ai sensi dell’art. 1, comma 335, della l. n. 211 del 2004: nel primo caso, trattandosi di procedura collaborativa, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è assolto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza con la rendita proposta derivi da una diversa valutazione tecnica sul valore economico dei beni; nel secondo caso, invece, dovendosi incidere su valutazioni già verificate in termini di congruità al fine di mutare il classamento precedentemente attribuito, la motivazione è più approfondita, in quanto volta ad evidenziare gli elementi di discontinuità che legittimano la variazione” (v. Cass. n. 30166/2019, Cass. n. 24677/2022 e Cass. n. 29085/2023).
Nel caso in cui vi sia una però una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e deve specificare le differenze riscontrate, sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. 12777/2018 e n. 31809/2018). Interpretazione, questa, confermata anche della pronunzia Cass. n. 29955/2022, che aveva portato importanti precisazioni sull’argomento, nei quali veniva confermato che “… Nell’ipotesi in cui l’avviso di classamento consegua ad un’iniziativa del contribuente, questa Corte ha più volte ribadito che, in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della c.d. procedura “DOCFA”, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (ex multis: Cass., Sez. 6-5, 16 giugno 2016, n. 12497; Cass., Sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12777; Cass., Sez. 6-5, 7 dicembre 2018, n. 31809; Cass., Sez. 6-5, 23 febbraio 2021, n. 4807; Cass., Sez. 5, 24 febbraio 2021, n. 4955). 1.6 L’obbligo di motivazione assume una connotazione più ampia anche quando l’Agenzia del Territorio (ora, l’Agenzia delle Entrate) muta d’ufficio il classamento ad un’unità immobiliare che ne risulti già munita; in tal caso la dilatazione della componente motivazionale si giustifica per il fatto che, andando ad incidere su valutazioni che si presumono già verificate in termini di congruità, è necessario mettere in evidenza gli elementi di discontinuità che ne legittimano la variazione. Costituisce, infatti, altro orientamento consolidato quello secondo cui, in tema di estimo catastale, quando procede all’attribuzione d’ufficio di un nuovo classamento ad un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, l’Agenzia del Territorio (ora, l’Agenzia delle Entrate), a pena di nullità del provvedimento per difetto di motivazione, deve specificare se tale mutamento è dovuto a trasformazioni specifiche subite dall’unità immobiliare in questione, oppure ad una risistemazione dei parametri relativi alla microzona in cui si colloca l’unità immobiliare. L’Agenzia dei Territorio (ora, l’Agenzia delle Entrate) dovrà indicare, nel primo caso, le trasformazioni edilizie intervenute, e nel secondo caso l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano. Tali specificazioni e indicazioni, infatti, sono necessarie per rendere possibile al contribuente di conoscere i presupposti del riclassamento, di valutare l’opportunità di fare o meno acquiescenza al provvedimento e di approntare le proprie difese con piena cognizione di causa, nonché per impedire all’amministrazione finanziaria, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre in un eventuale successivo contenzioso ragioni diverse rispetto a quelle enunciate (ex multis: Cass., Sez. 6-5, 25 luglio 2012, n. 13174; Cass., Sez. 6”-5, 14 novembre 2012, n. 19949; Cass., Sez. 5”, 20 settembre 2013, n. 21532; Cass., Sez. 5, 30 luglio 2014, n. 17328; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34603; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2020, n. 6867; Cass., Sez. 6-5, 23 novembre 2021, nn. 36217 e 36218)”.
Altro punto interessante toccato dall’odierna sentenza riguarda l’individuazione delle tipologie di impianti da considerare nella determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione produttiva, ricordando innanzitutto che con l’approvazione della legge di stabilità n. 208/2015 è stata varata (comma 21), con decorrenza dal primo gennaio 2016, una nuova disciplina per la determinazione della rendita catastale degli immobili censiti nei gruppi catastali D ed E. Dagli elementi da computare nel calcolo della rendita sono esclusi i c.d. “imbullonati”, cioè quei macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali allo specifico processo produttivo; rimangono invece soggetti al processo di valutazione catastale (attraverso stima diretta) il suolo, le costruzioni e i soli impianti a essi strutturalmente connessi che accrescono normalmente la qualità e utilità dell’unità immobiliare.
La finalità perseguita dalla norma è quella di diminuire il carico fiscale derivante dai tributi locali determinati su base catastale sulle attività caratterizzate da una maggiore incidenza delle componenti tecnologico/impiantistiche/meccaniche rispetto agli opifici tradizionali. Obiettivo che risulta confermato e corroborato dalla facoltà di presentare atti di aggiornamento per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti (c.d. Docfa di scorporo), attribuita agli intestatari degli immobili già censiti dal successivo comma 22 dell’art. 1 cit., nonché dalla specifica compensazione finanziaria a favore dei Comuni prevista dal comma 24 dell’art. 1 cit., connessa alla perdita di gettito IMU/TASI. Giova ricordare che con la legge di stabilità 2015, infatti, nel richiamare quanto chiarito dalla Circolare n. 6/2012 dell’Agenzia del territorio, il legislatore ha confermato che tali immobili sono soggetti a una puntuale valutazione tecnica delle componenti edilizie e impiantistiche, con la conseguenza che alla determinazione della stima catastale dell’immobile devono partecipare anche gli impianti e i macchinari che ne fanno parte.
La valutazione tecnica è operata dai professionisti incaricati dalla proprietà, al momento della presentazione dei documenti di aggiornamento catastale (tramite la procedura Docfa) ed è verificata dai tecnici dell’Agenzia delle entrate. Nello specifico, con la circolare n. 6/2012 – indicata dall’art. 1, comma 244, legge n. 190/2014 quale strumento di interpretazione autentica per la corretta applicazione del procedimento di stima diretta degli immobili a destinazione produttiva, finalizzato all’attribuzione della rendita catastale – l’Agenzia del territorio precisava che “… al fine di valutare quale impianto debba essere incluso o meno nella stima catastale, deve farsi riferimento non solo al criterio dell’essenzialità dello stesso per la destinazione economica dell’unità immobiliare, ma anche della circostanza che lo stesso sia fisso, ovvero stabile (anche nel tempo), rispetto alle componenti strutturali dell’unità immobiliare”.
In generale, l’individuazione delle tipologie di impianti da considerare nella determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione produttiva ha subito, nel tempo, una complessa evoluzione normativa, giurisprudenziale e di prassi, dove l’inclusione degli “imbullonati” nella rendita del fabbricato industriale trova storico fondamento giuridico nel combinato disposto degli articoli 4 e 5 del Regio decreto legge 652/1939 e 812 del codice civile, sino ad arrivare all’articolo 1-quinquies del Dl 44/2005 quale norma interpretativa delle regole di determinazione della rendita catastale degli immobili a uso produttivo, censiti nelle categorie catastali del gruppo D, introducendo – limitatamente alle centrali elettriche – una precisa nozione giuridica di immobile catastale: “…i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso”.
Sull’argomento, oltre ai copiosi interventi della giurisprudenza di merito, si è espressa anche la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sull’eccezione di incostituzionalità dell’articolo 1-quinquies, con la sentenza 162/2008, sino ad arrivare alla citata legge di stabilità 2015 (commi 244 e 245), che ha disposto che le regole di accatastamento dei fabbricati produttivi dovessero essere uniformate al rispetto della suddetta circolare 6/2012.
Alla luce di tale interpretazione, ai macchinari “imbullonati” è stata attribuita – in via definitiva e in forza di legge – una rendita autonoma, che li ha resi immediatamente assoggettabili alle imposte locali IMU e TASI.
Tanto premesso e tornando alla vicenda in trattazione, la vicenda ha inizio quando una importante banca nazionale riceveva l’avviso di accertamento, in materia di estimi catastali, emesso dall’Agenzia delle entrate a seguito di una rettifica di una comunicazione Docfa.
La parte contribuente, ritenendo non congruo tale accertamento si rivolgeva alla giustizia tributaria, ricevendo in entrambi i gradi un rigetto. Allora la banca proponeva ricorso in Cassazione fondato su tre motivi, in cui essenzialmente lamentava che i giudici di secondo grado avevano del tutto omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di gravame, con il quale si censurava la decisione di primo grado nella parte in cui aveva escluso che l’onere della prova sulla rendita accertata ricadesse a carico dell‘ente impositore. La Suprema Corte ha disatteso tutti e tre i motivi presentati dalla parte contribuente, affermando invece che: “…. Il primo motivo è infondato. La sentenza impugnata nella parte in fatto ha riportato pedissequamente le intere difese di entrambe le parti e nella difesa dell’odierna controricorrente è stato riportato uno stralcio dell’avviso impugnato, in particolare, dell’allegato 1. Da esso si evince, alla voce «integrazione della motivazione », «Dall’esame del Do.C.Fa presentato come tipologia di documento ai sensi dell’art. 1, comma 22, della legge 208/2015, che riguarda i cosiddetti imbullonati, non risulta l’esclusione di nessun impianto rispetto al Do.C.Fa prot. 341748 del 24/12/2002 E già validato da questo ufficio. Pertanto, si ripristinano i conteggi e la rendita catastale presenti in atti». Si deve ritenere,pertanto , in assenza di specifiche contestazioni sul punto da parte della ricorrente, che l’avviso impugnato contenesse tutti gli elementi necessari per approntare un’adeguata difesa. Corretta è, dunque, la motivazione fornita dalla sentenza impugnata in ordine alla lamentata carenza di motivazione dell’avviso,in quanto rispondente al prevalente orientamento di legittimità. Deve, infatti, essere riaffermato il principio in forza del quale, in tema di classamento di immobili, l’attribuzione della rendita catastale mediante procedura cd. Docfa si distingue dal riclassamento operato su iniziativa dell’ufficio ai sensi dell’art. 1, comma 335, della l. n. 211 del 2004: nel primo caso, trattandosi di procedura collaborativa, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è assolto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza con la rendita proposta derivi da una diversa valutazione tecnica sul valore economico dei beni; nel secondo caso, invece, dovendosi incidere su valutazioni già verificate in termini di congruità al fine di mutare il classamento precedentemente attribuito, la motivazione è più approfondita, in quanto volta ad evidenziare gli elementi di discontinuità che legittimano la variazione(Cass. Sez. 5, n. 30166/2019 , Rv. 655929 –01, Sez. 6 – 5, n. 24677/2022 , Rv. 665503 – 01 ) . Si osserva che nel caso di specie, pur trattandosi di rettifica a seguito di una procedura cd Docfa, l’avviso non si è limitato a indicare i dati oggettivi e la classe attribuita, ma ha riportato chiaramente le ragioni per le quali ha proceduto alla rideterminazione. 2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,la violazione dell’art. 112 e dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Si duole che i giudici di secondo grado abbiano del tutto omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di gravame con cui si censurava la decisione di primo grado nella parte in cui aveva escluso che l’onere della prova sulla rendita accertata ricadesse a carico dell‘ente impositore. 3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,la violazione degli artt. 36 e 62 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 cod. proc. civ.. Censura che la sentenza impugnata abbia omesso ogni motivazione relativamente al merito della controversia. 4. I motivi secondo e terzo sono in fondati e, stante la loro stretta connessione, in quanto incentrate sull’omessa motivazione , possono essere trattati congiuntamente. Nel caso in esame deve escludersi che la sentenza impugnata abbia omesso la motivazione, in quanto, nel riportare analiticamente il contenuto degli atti introduttivi e richiamando per relationem la sentenza di primo grado ha consentito la ricostruzione del percorso motivazionale. Per quanto riguarda l’omessa pronuncia sul secondo motivo di gravame che censurava l’esclusione dell’onere della prova della rendita accertata a carico dell’ufficio, va ricordato che la controricorrente ha ripristinato i valori catastali attribuiti precedentemente all’ultima Docfa e che dall’avviso, per come riportato negli atti, cui sopra si è già fatto riferimento, e che si riproduce nuovamente per comodità, risulta: «Dall’esame del Do.c.fa presentato come tipologia di documento ai sensi dell’art. 1, comma 22, della legge 208/2015, che riguarda i cosiddetti imbullonati, non risulta l’esclusione di nessun impianto rispetto al Do.C.Fa prot. 341748 del 24/12/2002E già validato da questo ufficio. Pertanto, si ripristinano i conteggi e la rendita catastale presenti in atti». Nessuna sostanziale variazione sembra essere stata apportata e neppure un’indicazione nella nuova Docfa delle componenti impiantistiche da escludere sulla base della l. n. 208 del 2015. Sulla base di queste situazioni di fatto è da escludere che fosse a carico della controricorrente l’onere di dimostrare le ragioni del ripristino della rendita catastale originariamente riconosciuta. Incombeva, viceversa,sulla ricorrente l’onere, non assolto, di dimostrare i presupposti per il riconoscimento del ritenuto attuale minore valore. Con riferimento al merito, poi, della controversia, la stessa ricorrente ha riportato un passo della motivazione della CTP, condiviso dalla sentenza impugnata, nel quale si legge: «Quanto alla rideterminazione della rendita, al di là dell’esclusione degli imbullonati, in una prospettiva dichiaratamente complessiva e più ampia, si osserva come i criteri adottati e i risultati si discostino significativamente e immotivatamente da quelli indicati dallo stesso contribuente nella denuncia Docfa dell’anno 2002, sia quanto alle consistenze delle varie tipologie costituenti il compendio in questione,sia quanto ai costi di costruzione unitari senza che siano intervenute apprezzabili modifiche strutturali nell’immobile (anche al netto degli imbullonati che sarebbero peraltro di modesto valore)». La ricorrente, dunque, proprio a proposito del merito della controversia,con il motivo oggi proposto non ha neanche indicato le specifiche contestazioni disattese facendo semplicemente riferimento alle perizie depositate in giudizio, senza, peraltro prendere posizione sulle chiare ragioni esplicitate nella sentenza di primo grado e condivise dal giudice di appello. Le doglianze si risolvono, dunque, in una censura circa il cattivo governo dei mezzi istruttori, preclusa in questa sede. Giova, infatti, ricordare che in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C., restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass. Sez. 3, n. 37382/2022, Rv. 666679 –05)”.
Corte di Cassazione – Ordinanza 19 giugno 2024, n. 16884
sul ricorso iscritto al n. 2585/2021R.G. proposto da:
Banca Nazionale del lavoro s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Vittorio Giordano, presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, via Aurora, n. 39 , domicilio digitale vittoriogiordano@ordineavvocatiroma.org
– ricorrente –
Contro Agenzia delle Entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione regionale tributaria della Lombardia n. 1225/2020depositata il 24 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella udienza del 31 maggio 2024 dal Consigliere Stefania Billi;
RITENUTO CHE
Oggetto della controversia è l’avviso di accertamento ( n. PV013 7935 ) emesso dall’Agenzia delle Entrate (d’ora in poi controricorrente) nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.(d’ora in poi ricorrente), a seguito di una rettifica di una comunicazione Docfa, in materia di estimi catastali;
l’attuale ricorrente aveva, in particolare, proposto per un’unità immobiliare sita in Pavia la categoria speciale D/5 rendita € 46.144,00, ma l’attuale controricorrente, ritenendo non congruo il classamento, aveva rideterminato la rendita in € 99.400,00, ripristinando la rendita precedentemente accertata;
– la CTP ha rigettato il ricorso dell’odierna ricorrente;
– la CTR ha confermato la pronuncia di primo grado sulla base delle seguenti considerazioni:
– sulla questione relativa al la lamentata carenza di motivazione dell’atto impugnato deve trovare applicazione l’orientamento di legittimità per il quale, ove l’attribuzione della rendita catastale abbia luogo a seguito di procedura Docfa ed in base ad una stima diretta, l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento dell’immobile deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’ufficio, trattandosi di elementi che sono conosciuti o comunque facilmente conoscibili dal contribuente, in ragione della struttura fortemente partecipativa dell’avviso stesso;
– la giurisprudenza di legittimità ha, specificato che, in caso di procedura Docfa, l’obbligo di motivazione dell’avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni cassati, dovendosi procedere, in caso contrario, ad una motivazione più approfondita e specificare le differenze riscontrate, sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso;
– con riguardo al merito della pretesa « è agevolmente desumibile l’infondatezza delle doglianze (e conseguentemente del gravame) dell’odierna appellata . L’appello in esame in definitiva va respinto».
L’odierna ricorrente ha proposto ricorso fondato su tre motivi;
il controricorrente si è costituito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta , in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3,cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, degli artt. 8 e 10 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, degli artt. 8 e 30 del regolamento 1° dicembre 1949, n. 1142. Contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sufficiente la motivazione dell’avviso impugnato, rilevando che nella specie la controricorrente ha effettuato una diversa ricognizione dei cd imbullonati, il che avrebbe implicato una più specifica motivazione.
2. Il primo motivo è infondato.
La sentenza impugnata nella parte in fatto ha riportato pedissequamente le intere difese di entrambe le parti e nella difesa dell’odierna controricorrente è stato riportato uno stralcio dell’avviso impugnato, in particolare, dell’allegato 1. Da esso si evince, alla voce «integrazione della motivazione », «Dall’esame del Do.C.Fa presentato come tipologia di documento ai sensi dell’art. 1, comma 22, della legge 208/2015, che riguarda i cosiddetti imbullonati, non risulta l’esclusione di nessun impianto rispetto al Do.C.Fa prot. 341748 del 24/12/2002 E già validato da questo ufficio. Pertanto, si ripristinano i conteggi e la rendita catastale presenti in atti». Si deve ritenere,pertanto , in assenza di specifiche contestazioni sul punto da parte della ricorrente, che l’avviso impugnato contenesse tutti gli elementi necessari per approntare un’adeguata difesa. Corretta è, dunque, la motivazione fornita dalla sentenza impugnata in ordine alla lamentata carenza di motivazione dell’avviso,in quanto rispondente al prevalente orientamento di legittimità. Deve, infatti, essere riaffermato il principio in forza del quale, in tema di classamento di immobili, l’attribuzione della rendita catastale mediante procedura cd. Docfa si distingue dal riclassamento operato su iniziativa dell’ufficio ai sensi dell’art. 1, comma 335, della l. n. 211 del 2004: nel primo caso, trattandosi di procedura collaborativa, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è assolto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza con la rendita proposta derivi da una diversa valutazione tecnica sul valore economico dei beni; nel secondo caso, invece, dovendosi incidere su valutazioni già verificate in termini di congruità al fine di mutare il classamento precedentemente attribuito, la motivazione è più approfondita, in quanto volta ad evidenziare gli elementi di discontinuità che legittimano la variazione (Cass. Sez. 5, n. 30166/2019 , Rv. 655929 –01, Sez. 6 – 5, n. 24677/2022 , Rv. 665503 – 01 ) .
Si osserva che nel caso di specie, pur trattandosi di rettifica a seguito di una procedura cd Docfa, l’avviso non si è limitato a indicare i dati oggettivi e la classe attribuita, ma ha riportato chiaramente le ragioni per le quali ha proceduto alla rideterminazione.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,la violazione dell’art. 112 e dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Si duole che i giudici di secondo grado abbiano del tutto omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di gravame con cui si censurava la decisione di primo grado nella parte in cui aveva escluso che l’onere della prova sulla rendita accertata ricadesse a carico dell‘ente impositore.
3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,la violazione degli artt. 36 e 62 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 cod. proc. civ.. Censura che la sentenza impugnata abbia omesso ogni motivazione relativamente al merito della controversia.
4. I motivi secondo e terzo sono in fondati e, stante la loro stretta connessione, in quanto incentrate sull’omessa motivazione , possono essere trattati congiuntamente. Nel caso in esame deve escludersi che la sentenza impugnata abbia omesso la motivazione, in quanto, nel riportare analiticamente il contenuto degli atti introduttivi e richiamando per relationem la sentenza di primo grado ha consentito la ricostruzione del percorso motivazionale. Per quanto riguarda l’omessa pronuncia sul secondo motivo di gravame che censurava l’esclusione dell’onere della prova della rendita accertata a carico dell’ufficio, va ricordato che la controricorrente ha ripristinato i valori catastali attribuiti precedentemente all’ultima Docfa e che dall’avviso, per come riportato negli atti, cui sopra si è già fatto riferimento, e che si riproduce nuovamente per comodità, risulta: «Dall’esame del Docfa presentato come tipologia di documento ai sensi dell’art. 1, comma 22, della legge 208/2015, che riguarda i cosiddetti imbullonati, non risulta l’esclusione di nessun impianto rispetto al Do.C.Fa prot. 341748 del 24/12/2002E già validato da questo ufficio. Pertanto, si ripristinano i conteggi e la rendita catastale presenti in atti». Nessuna sostanziale variazione sembra essere stata apportata e neppure un’indicazione nella nuova Docfa delle componenti impiantistiche da escludere sulla base della l. n. 208 del 2015. Sulla base di queste situazioni di fatto è da escludere che fosse a carico della controricorrente l’onere di dimostrare le ragioni del ripristino della rendita catastale originariamente riconosciuta. Incombeva, viceversa,sulla ricorrente l’onere, non assolto, di dimostrare i presupposti per il riconoscimento del ritenuto attuale minore valore. Con riferimento al merito, poi, della controversia, la stessa ricorrente ha riportato un passo della motivazione della CTP, condiviso dalla sentenza impugnata, nel quale si legge: «Quanto alla rideterminazione della rendita, al di là dell’esclusione degli imbullonati, in una prospettiva dichiaratamente complessiva e più ampia, si osserva come i criteri adottati e i risultati si discostino significativamente e immotivatamente da quelli indicati dallo stesso contribuente nella denuncia Docfa dell’anno 2002, sia quanto alle consistenze delle varie tipologie costituenti il compendio in questione,sia quanto ai costi di costruzione unitari senza che siano intervenute apprezzabili modifiche strutturali nell’immobile (anche al netto degli imbullonati che sarebbero peraltro di modesto valore)».
La ricorrente, dunque, proprio a proposito del merito della controversia,con il motivo oggi proposto non ha neanche indicato le specifiche contestazioni disattese facendo semplicemente riferimento alle perizie depositate in giudizio, senza, peraltro prendere posizione sulle chiare ragioni esplicitate nella sentenza di primo grado e condivise dal giudice di appello. Le doglianze si risolvono, dunque, in una censura circa il cattivo governo dei mezzi istruttori, preclusa in questa sede. Giova, infatti, ricordare che in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C., restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass. Sez. 3, n. 37382/2022, Rv. 666679 –05).
5. Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 4.500,00, per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge nella misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 31 maggio 2024