La rendita catastale presentata con la procedura DOCFA può essere sempre corretta
Contenzioso tributario – Catasto – Classamento – Attribuzione rendita a seguito di procedura Docfa – Rettifica – Facoltà del contribuente illimitata nel tempo – Obbligo di motivazione – Limiti
La Cassazione, con l’ordinanza n. 31574 del 4 novembre 2021 è tornata sul tema dell’idoneità e validità dell’istanza di variazione catastale per correggere, con effetto retroattivo, la rendita “proposta” con la procedura DOCFA, riconoscendo al contribuente il diritto di modificare, senza alcun limite temporale, la rendita stessa ogni qualvolta la situazione di fatto o di diritto dichiarata all’origine non sia veritiera.
Come la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, lo stesso principio va applicato alla dichiarazione DOCFA, che costituisce l’atto iniziale di un procedimento amministrativo di tipo “cooperativo” per la corretta classificazione degli immobili e la determinazione delle rendite dagli stessi prodotte. Nel vigente sistema tributario la rendita catastale, del resto, non ha mai efficacia costitutiva diretta di alcuna obbligazione fiscale ma solo una efficacia riflessa, ai fini delle imposte sul reddito complessivo, ai fini delle imposte sul patrimonio immobiliare e ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti immobiliari.
La rendita catastale non forma oggetto di una dichiarazione annuale del contribuente e non esaurisce la propria efficacia con riguardo a una singola annualità d’imposta, avendo – al contrario – efficacia pluriennale escludente in radice qualsiasi ipotesi di definitività o irrevocabilità.
Avendo la rendita catastale efficacia illimitata nel tempo, altrettanto illimitata deve essere la facoltà del contribuente di presentare istanze di variazione, rettifica e correzione, per cui deve essere riconosciuto a ogni titolare di immobile la facoltà di chiedere una diversa classificazione catastale e quindi una diversa rendita del bene e, ovviamente, in caso di risposta negativa, di rivolgersi al giudice.
In ogni caso reputiamo utile ricordare con parole semplici che l’acronimo DOCFA non è altro che l’abbreviazione di DO-cumento Ca-tasto Fa-bbricati e che opera da ben 25 anni, da quando fu resa operativa la prima versione DOCFA 1.0, trasmessa agli uffici in data 12 novembre 1996. L’Agenzia del Territorio ha operato nel tempo molte modifiche e miglioramenti tecnologici, creando una banca dati censuaria dei fabbricati informatizzata che molti oggi reputano molto attendibile.
La procedura DOCFA si compone del software utile per effettuare gli aggiornamenti catastali, con cui tecnici e professionisti presentano agli Uffici Provinciali del Territorio il modello “Accertamento della Proprietà Immobiliare Urbana” quando l’immobile subisce una modifica rilevante oppure è di nuova costruzione.
Aggiungiamo, inoltre, che la rendita catastale è intesa come quel reddito che l’Agenzia delle Entrate attribuisce a ogni singolo bene immobile, fabbricato e terreno, in grado di produrre o generare, appunto, un reddito. Al Catasto fabbricati la rendita catastale è collegata alla singola unità immobiliare e fanno eccezione gli immobili a destinazione particolare (stazioni, ponti, chiese, cimiteri, etc.) e gli immobili a destinazione speciale (industriali e commerciali a cui viene attribuita una rendita catastale con modalità diverse).
Al catasto terreni la rendita catastale è collegata alla particella catastale ovvero il terreno, ed è distinta in: reddito dominicale, che viene attribuito al proprietario e reddito agrario, che viene attribuito all’attività agricola. La rendita catastale rappresenta dunque la base imponibile per il calcolo di alcune imposte sugli immobili e viene definita sulla base di due elementi, la consistenza dell’unità immobiliare e la tariffa d’estimo unitaria. La consistenza dell’unità immobiliare è data dalla superficie dell’immobile, dal numero di vani e dalla sua volumetria, mentre la tariffa d’estimo unitaria rappresenta un valore numerico relativo al Comune e alla zona ove è ubicato il bene immobile e varia sia in base alla suddivisione della zona, sia dalla categoria e classe catastale di appartenenza dell’unità immobiliare.
Se l’esito del procedimento di classamento è di tipo accertativo, e mira solo a fornire chiarezza sul valore economico del bene (attraverso il sistema del Catasto) in vista di una congrua tassazione secondo le diverse leggi di imposta (IRPEF, IMU, registro), si deve risolvere che quando la situazione di fatto e di diritto ab origine denunziata non sia veritiera, il contribuente mantiene il diritto di modificare la rendita proposta all’Agenzia delle Entrate-Territorio.
Secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, la rendita catastale non è il fatto costitutivo di nessuna obbligazione tributaria, ma solo il risultato di un procedimento di tipo accertativo, strumentale alla determinazione del valore economico di un bene, rilevante ai fini di una pluralità d’imposte che ha un’efficacia illimitata nel tempo, ma non è definitiva. Pertanto, se all’Ufficio finanziario è concesso d’intervenire per rettificare la rendita proposta dal contribuente (ex Dm n. 701/1994), ugualmente è diritto del contribuente di presentare istanze di variazione, anche a correzione dei propri errori, atteso che la non emendabilità di eventuali dichiarazioni inesatte cristallizzerebbe, in contrasto con l’art. 53 Cost., un’imposizione falsata nei presupposti.
Da notare, infatti, che già nella sentenza n. 19379/2008 i giudici di legittimità, sulla scorta dei principi della propria precedente sentenza n. 16824/2006, avevano confermato che la proposta della rendita catastale, avanzata tramite la procedura informatica DOCFA di cui al Dm n. 701/1994, al pari della dichiarazione dei redditi, non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera dichiarazione di scienza e di giudizio che costituisce l’atto iniziale di un procedimento amministrativo di tipo cooperativo per la corretta classificazione degli immobili e, per l’effetto, la corretta determinazione delle relative rendite.
Reputiamo, infine, il presente pronunciamento in commento come una ulteriore e positiva puntualizzazione dell’attuale interpretazione della Suprema Corte, di cui ricordiamo fra le molte le Ord. n. 12799/2020; n. 6718/2020; n. 34001/2019; n.2995/2015; n.19379 e n. 22557/2008, in considerazione soprattutto del motivo che per molti anni tale questione è stata al centro di una vasta e pungente polemica.
D’altronde, la centralità del sistema catastale, nel funzionamento di un segmento rilevante della fiscalità immobiliare, unitamente alle esigenze di cassa degli Enti locali, ai quali è destinata una parte del gettito tributario, continua a suscitare pressanti attenzioni nell’evoluzione delle fonti.
In questa prospettiva si è registrato un particolare fermento, volto a rinnovare i metodi di determinazione degli estimi catastali e a definire i compiti dell’Agenzia del Territorio e dei Comuni in ordine alla gestione del Catasto nel contesto del federalismo fiscale, incoraggiando le azioni di recupero dell’evasione immobiliare attraverso l’accertamento dei fabbricati non censiti e di quelli che hanno perso i requisiti di ruralità, a stimolare l’adozione di misure di riclassamento parziale per le microzone omogenee, nonché le attività di riclassamento dei fabbricati oggetto di rilevanti interventi edilizi e le operazioni finalizzate all’accertamento catastale di specifiche fattispecie, anche in relazione al Dl n. 28/2010, convertito in legge n. 122/2010, in ordine alla c.d. conformità oggettiva.
In conclusione, è possibile considerare che la motivazione del provvedimento di riclassamento non può limitarsi a indicare un quantum, ma deve illustrare le ragioni della mutata condizione dell’immobile, individuandone l’origine, ossia le trasformazioni intrinseche, gli interventi che hanno inciso sulla quantificazione della rendita catastale e i provvedimenti di modifica dei parametri della microzona di riferimento (Cass. n. 2357/2014).
Più in particolare, riferendosi alla questione esaminata, sarà utile cennare anche l’ordinanza n. 22025/2020, che ha anticipato le considerazioni a fondamento dell’attuale pronuncia in quanto affermava similarmente che “… In tema di classamento, la rendita catastale, che non è il fatto costitutivo di alcuna obbligazione tributaria, ma il risultato di un procedimento di tipo accertativo, strumentale alla determinazione del valore economico di un bene, rilevante ai fini di una pluralità d’imposte, ha un’efficacia illimitata nel tempo, ma non definitiva, per cui, come all’Ufficio finanziario va riconosciuto, oltre il termine di 12 mesi di cui al d.m. 19 aprile 1994, n. 701, il potere d’intervenire per rettificare la rendita proposta dal contribuente, quest’ultimo può sempre presentare istanze di variazione , anche a correzione dei propri errori, atteso che la non emendabilità di eventuali dichiarazioni inesatte cristallizzerebbe, in contrasto con l’art. 53 Cost., un’imposizione falsata nei presupposti.”
Sembrerebbe di poter affermare, allora, che al contribuente il diritto di modificare senza alcun limite temporale la rendita “proposta” con la procedura informatica DOCFA esiste da tempo nel riconoscimento dalla Corte di legittimità, che con diversi arresti ha più volte ribadito che la proposta di attribuzione di rendita catastale, deve essere inviata con la procedura informatica DOCFA per tutti i tipi di fabbricati (immobili a destinazione ordinaria dei gruppi A, B e C, per gli immobili a destinazione speciale classificabili nel gruppo D e per gli immobili a destinazione particolare classificabili nel gruppo E) e che tale dichiarazione è diretta a ottenere l’attribuzione della rendita catastale.
Secondo i giudici la natura di tale procedimento (DOCFA) è equiparabile alla natura della dichiarazione dei redditi e quindi in diritto rappresenta una dichiarazione di scienza o come meglio definito dalla prassi della stessa Amministrazione finanziaria: costituisce l’atto iniziale di un procedimento amministrativo di tipo cooperativo per la classificazione degli immobili e le rendite da questi prodotte, (cfr. Agenzia del Territorio, circolare n. 7 del 4 luglio 2005).
Allora, poiché il procedimento di classamento è di tipo accertativo in quanto diretto a far chiarezza sul valore economico del bene per la equa tassazione, deve concludersi che al contribuente deve sempre essere riconosciuto il diritto di modificare la rendita proposta all’Ufficio provinciale dell’Agenzia delle Entrate-Territorio (ex multis ordinanza n. 21097/2019 e sentenza n. 32548/2019; Ordinanze n. 12799/2020 e n. 6718/2020); se, quindi, al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di modificare senza alcun limite temporale la rendita proposta all’UTE, quando la situazione di fatto o di diritto oggetto di dichiarazione non sia veritiera, non viene (qui) in considerazione il potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria che (come nel diritto amministrativo generale) costituisce “un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente”, così che “Il privato può naturalmente sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso” (così Corte Cost., n. 181/ 2017;, Cass. n. 34594/2019; Cass. n. 19379/2008; Cass. n. 3001/2015; Cass. n. 2995/2015; Cass. n. 14383/2011; Cass. n. 8165/2011).
Si segnalano pure altre ordinanze, la n. 12799/2020 e la n. 6718/2020, con le quali i giudici di legittimità hanno rinverdito tale consolidato orientamento, in tema di rettifica del classamento catastale (fra tante, le ordinanze n. 6216/2020, n. 34001/2019 e n. 3119/2013).
Ricordiamo infine anche l’Ordinanza n. 19691/2018, che dando seguito all’orientamento prevalente formatosi di recente, stabiliva come “… in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall’art. 2 del d.l. n. 16/1993, convertito in L. 75/93 e dal d.m. n. 701/1994 (c.d. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può ritenersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso”.
Tanto premesso e tornando alla questione dibattuta, la controversia approdata in Cassazione nasce dall’impugnazione di diniego di autotutela dell’istanza di riclassificazione catastale di un fabbricato presentata da due contribuenti, i quali pertanto si rivolgevano alla giustizia tributaria, che nei due gradi riconosceva però le ragioni addotte dall’Amministrazione. Da qui il presente ricorso alla S.C. nella quale, con unico motivo, si dolevano della violazione ed errata applicazione degli artt. 2, comma 3, e 19, comma 1, lett. f, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’istanza di variazione catastale potesse essere qualificata in termini di istanza di autotutela.
La Suprema Corte, facendo anche menzione della copiosa giurisprudenza al riguardo, ha riconosciuto la validità dell’appello presentato dai contribuenti, statuendo che: “ … Né si può sostenere che il diniego o rifiuto di variazione catastale rientrerebbe nella tipologia degli atti impugnabili soltanto sub specie del diniego espresso o tacito di autotutela, che può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2018, n. 7616; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2018, n. 21146; Cass., Sez. 5^, 26 settembre 2019, n. 24032; Cass., Sez. 5”, 4 dicembre 2020, n. 27806; Cass., Sez. 6^-5, 16 marzo 2021, n. 7378).A tale proposito, il collegio rileva che l’art. 19, lett. f, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 stabilisce che il ricorso può essere proposto avverso «gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 2», dello stesso D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, e quest’ultima disposizione annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti «la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale». Non vi è, dunque, ragione di escludere dall’ambito degli «atti relativi alle operazioni catastali» di cui all’art. 19, lett. f, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 il tacito o espresso diniego ad una istanza di variazione catastale. Pertanto, la domanda dei contribuenti di accertamento della nuova rendita va correttamente qualificata come impugnativa del diniego espresso opposto dall’amministrazione finanziaria alla istanza di variazione catastale avanzata dai contribuenti nel 2005, diniego qualificabile come atto relativo alle operazioni catastali di classamento. In sostanza, con l’istanza del 30 marzo 2017, i contribuenti hanno denunciato l’erroneità della rendita catastale, invitando l’amministrazione finanziaria ad apportare le necessarie correzioni, ma quest’ultima ha opposto un rifiuto, confermando la validità della rendita precedentemente attribuita su proposta del medesimo contribuente.
Il provvedimento negativo con il quale l’amministrazione finanziaria ha mantenuto la precedente rendita, rigettando l’istanza di variazione avanzata dai contribuenti, deve considerarsi atto riguardante l’operazione catastale di attribuzione di rendita.
A quest’ultimo riguardo, va sottolineato che gli atti catastali sono, tra quelli impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie, gli atti assoggettati alla più ampia “libertà di forma”, non avendo il legislatore definito il nome od il tipo dell’atto nei cui confronti il contribuente è ammesso a proporre ricorso e limitandosi a rinviare alle operazioni catastali ricomprese nella giurisdizione tributaria, cioè a tutti gli atti ad esse operazioni afferenti senza distinguo di sorta.
La previsione della generica impugnabilità degli atti catastali va di conseguenza letta nell’ottica del rispetto del diritti di difesa e di tutela giudiziaria contro tutti gli atti idonei a produrre effetti giuridici negativi in capo al contribuente quale è la determinazione della rendita catastale che rappresenta, ai finì di una pluralità di tributi, la misura della capacita contributiva del soggetto passivo con riferimento alla titolarità di un diritto di proprietà su un bene immobile sito nel territorio dello Stato.
Come, dunque, non vi sarebbe ragione precludere al contribuente la possibilità di emendare la denuncia di classamento precedentemente presentata, non vi è ragione di assegnare al diniego dell’amministrazione finanziaria la natura di atto non impugnabile. Per cui, deve essere riconosciuto ad ogni titolare di immobile la facoltà di chiedere una diversa classificazione catastale e quindi una diversa rendita del bene e, ovviamente, in caso di risposta negativa, di rivolgersi al giudice. In conclusione, si può ribadire che, in tema di contenzioso tributario, l’articolo 19, comma 1, lett. f), del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 stabilisce che può essere presentato ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, del medesimo D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, norma quest’ultima che annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti «l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo (…), nonché quelle, concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale». L’atto di diniego della variazione catastale emesso a seguito di richiesta del contribuente concerne, senza dubbio, una delle operazioni catastali menzionate nel citato art. 2 – e, in particolare, l’attribuzione della rendita catastale all’immobile posseduto – ed è, quindi, impugnabile dinanzi le commissioni tributarie (Cass., 19379/2008; Cass. 2006/2019; con riferimento al silenzio rigetto: Cass., 3001/ 2015). Nella specie, riqualificando l’atto impugnato in termini di diniego di autotutela, la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria sul presupposto che ne fosse possibile l’impugnazione soltanto per motivi inerenti l’illegittimità del rifiuto. In tal modo, però, il giudice di merito non si è attenuto al principio enunciato, esonerando l’amministrazione finanziaria dall’esame dell’istanza di variazione catastale dei contribuenti. Alla stregua delle precedenti argomentazioni, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 4 novembre2021, n. 31574
sul ricorso iscritto al n. 4584/2020 R.G., proposto da:
M. A. e M. G., rappresentati e difesi dall’Avv. Marco Miglioli, con studio in Piacenza, e dall’Avv. Bruno Cossu, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliati, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTI
CONTRO l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
CONTRORICORRENTE
AVVERSO la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 2 luglio 2019 n. 2874/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15 settembre 2021 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo;
RILEVATO CHE
M. A. e M. G. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 2 luglio 2019 n. 2874/06/2019, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di diniego di autotutela in relazione all’istanza di riclassificazione catastale di un fabbricato sito in Barzanò (LC) alla Via IV Novembre n. 109, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dei medesimi avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecco il 16 marzo 2018 n. 70/01/2018, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure sul presupposto che il diniego espresso o tacito di autotutela potesse essere impugnato soltanto per eventuali profili di illegittimità del rifiuto opposto dall’amministrazione Finanziaria.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con unico motivo, si denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 2, comma 3, e 19, comma 1, lett. f, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’istanza di variazione catastale potesse essere qualificata in termini di istanza di autotutela.
RITENUTO CHE
1. Il motivo è fondato.
1.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante: Cass., Sez. 5”, 15 luglio 2008, n. 19379; Cass., Sez. 5”, 11 aprile 2011, n. 8165; Cass., Sez. 6^-5, 19 marzo 2014, n. 6411; Cass., Sez. 6^-5, 13 giugno 2014, n. 13535; Cass., Sez. 6^-5, 13 febbraio 2015, nn. 2995 e 3001; Cass. Sez. 5^, 21 giugno 2021, n. 17627), al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di modificare, senza alcun limite temporale, la rendita proposta con la procedura DOCFA, quando la situazione di fatto o di diritto ab origine denunziata non sia veritiera.
Al riguardo è stato, infatti, evidenziato che il termine di dodici mesi dalla presentazione della DOCFA, fissato dall’art. 1 del D.M. 19 aprile 1994 n. 701, per la determinazione della rendita catastale definitiva da parte dell’amministrazione finanziaria (eventualmente modificativa della rendita proposta dal contribuente), non ha natura perentoria, ma meramente ordinatoria, costituendo una modalità di esercizio dei poteri per la formazione e l’aggiornamento del catasto (Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2006, n. 16824; Cass. Sez. 5^, 15 luglio 2008, nn. 19379 e 19380; Cass. Sez. 5”, 11 marzo 2011, n. 5843; Cass., Sez. 6^-5, 19 marzo 2014, n. 6411; Cass., Sez. 6^-5, 13 giugno 2014, n. 13535; Cass., Sez. 6^-5, 13 febbraio 2015, n. 2995; Cass., Sez. 6^-5, 19 febbraio 2015, nn. 3355 e 3358; Cass. Sez. 5^, 13 marzo 2015, n. 5051).
Se, dunque, l’esito del procedimento di classamento è di tipo accertativo e mira solo a fornire chiarezza sul valore economico del bene, attraverso il sistema del catasto, in vista di una congrua tassazione secondo le diverse leggi d’imposta, deve concludersi che quando la situazione di fatto e di diritto ab origine denunziata non sia veritiera il contribuente mantiene il diritto di modificare la rendita proposta all’amministrazione finanziaria.
1.2 Nel vigente sistema tributario la rendita catastale, del resto, non ha mai efficacia costitutiva diretta di alcuna obbligazione fiscale ma solo una efficacia riflessa, ai fini delle imposte sul reddito complessivo, ai fini delle imposte sul patrimonio immobiliare e ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti immobiliari. La rendita catastale non forma oggetto di una dichiarazione annuale del contribuente e non esaurisce la propria efficacia con riguardo ad una singola annualità d’imposta, avendo – al contrario – efficacia pluriennale escludente in radice qualsiasi ipotesi di definitività o irrevocabilità. Avendo la rendita catastale efficacia illimitata nel tempo, altrettanto illimitata deve essere la facoltà del contribuente di presentare istanze di variazione, di rettifica, di correzione. Pertanto, come l’amministrazione finanziaria, senza conseguenze caducazione dei suoi poteri accertativi, può sempre intervenire a rettificare la rendita proposta dal contribuente non vi è ragione per cui quest’ultimo – avvedutosi dell’errore dichiarativo – non possa correggere i propri errori od omissioni ripristinando l’esatto valore secondo il reddito effettivamente retraibile.
La non emendabilità di dichiarazioni ab origine inesatte, del resto, finirebbe per cristallizzare nel tempo una imposizione falsata nei suoi presupposti, in contrasto con il principio della capacità contributiva garantito dall’art. 53 Cost. È, infatti, principio generale che le dichiarazioni del contribuente che risultino affette da errore di fatto o di diritto sono sempre emendabili e ritrattabili, quando possa derivarne l’assoggettamento e ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Come la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, costituendo essa solo un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria, lo stesso principio va – a maggior ragione – applicato alla dichiarazione di classificazione catastale, che costituisce l’atto iniziale di un procedimento amministrativo di tipo “cooperativo” per la classificazione degli immobili e le rendite da questi prodotte che – per valere come base per il calcolo dell’imposta – debbono essere idonee a rappresentare l’indice di capacità contributiva del cittadino. Tanto in sintonia con l’art. 10 della Legge 7 luglio 2000 n. 212 (c.d. “Statuto del contribuente”), secondo cui «i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio di collaborazione e buona fede», essendo – appunto – conforme a buona fede non percepire somme non dovute, ancorché versate per errore dall’obbligato su dichiarazione da lui stesso effettuata.
1.3 Nessuna preclusione di definitività dell’accatastamento poteva, dunque, essere opposta dall’amministrazione finanziaria alla istanza di variazione presentata dai contribuenti il 30 marzo 2017. Peraltro, l’amministrazione finanziaria persiste ad individuare nell’istanza dei contribuenti una sorta di richiesta di “annullamento in via di autotutela”, ma ciò si deve escludere anche alla luce della qualificazione correttamente fattane dal giudice di prime cure, nei termini, cioè, di una “istanza di variazione della classificazione catastale”, trattandosi di domande prospettabili in qualsivoglia momento proprio perché il procedimento di classamento è di tipo accertativo, con conseguente facoltà del contribuente di chiedere la rettifica della rendita proposta, quando la situazione di fatto o di diritto denunciata non corrisponda al vero (in particolare: Cass., Sez. 6^-5, 13 febbraio 2015, n. 2995). Invero, se l’ordinamento riconosce al possessore dell’immobile il diritto ad una definizione mirata e specifica relativa alla sua proprietà, consegue indubbiamente che, ove il classamento non risulti soddisfacente il privato può ricorrere al giudice tributario, previo il diniego dell’amministrazione finanziaria (Cass. Sez. 5^, 8 settembre 2008, n. 22557).
1.4 Né si può sostenere che il diniego o rifiuto di variazione catastale rientrerebbe nella tipologia degli atti impugnabili soltanto sub specie del diniego espresso o tacito di autotutela, che può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2018, n. 7616; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2018, n. 21146; Cass., Sez. 5^, 26 settembre 2019, n. 24032; Cass., Sez. 5”, 4 dicembre 2020, n. 27806; Cass., Sez. 6^-5, 16 marzo 2021, n. 7378).
A tale proposito, il collegio rileva che l’art. 19, lett. f, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 stabilisce che il ricorso può essere proposto avverso «gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 2», dello stesso D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, e quest’ultima disposizione annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti «la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale».
Non vi è, dunque, ragione di escludere dall’ambito degli «atti relativi alle operazioni catastali» di cui all’art. 19, lett. f, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 il tacito o espresso diniego ad una istanza di variazione catastale.
1.5 Pertanto, la domanda dei contribuenti di accertamento della nuova rendita va correttamente qualificata come impugnativa del diniego espresso opposto dall’amministrazione finanziaria alla istanza di variazione catastale avanzata dai contribuenti nel 2005, diniego qualificabile come atto relativo alle operazioni catastali di classamento. In sostanza, con l’istanza del 30 marzo 2017, i contribuenti hanno denunciato l’erroneità della rendita catastale, invitando l’amministrazione finanziaria ad apportare le necessarie correzioni, ma quest’ultima ha opposto un rifiuto, confermando la validità della rendita precedentemente attribuita su proposta del medesimo contribuente.
Il provvedimento negativo con il quale l’amministrazione finanziaria ha mantenuto la precedente rendita, rigettando l’istanza di variazione avanzata dai contribuenti, deve considerarsi atto riguardante l’operazione catastale di attribuzione di rendita.
A quest’ultimo riguardo, va sottolineato che gli atti catastali sono, tra quelli impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie, gli atti assoggettati alla più ampia “libertà di forma”, non avendo il legislatore definito il nome od il tipo dell’atto nei cui confronti il contribuente è ammesso a proporre ricorso e limitandosi a rinviare alle operazioni catastali ricomprese nella giurisdizione tributaria, cioè a tutti gli atti ad esse operazioni afferenti senza distinguo di sorta.
La previsione della generica impugnabilità degli atti catastali va di conseguenza letta nell’ottica del rispetto del diritti di difesa e di tutela giudiziaria contro tutti gli atti idonei a produrre effetti giuridici negativi in capo al contribuente quale è la determinazione della rendita catastale che rappresenta, ai finì di una pluralità di tributi, la misura della capacita contributiva del soggetto passivo con riferimento alla titolarità di un diritto di proprietà su un bene immobile sito nel territorio dello Stato.
Come, dunque, non vi sarebbe ragione precludere al contribuente la possibilità di emendare la denuncia di classamento precedentemente presentata, non vi è ragione di assegnare al diniego dell’amministrazione finanziaria la natura di atto non impugnabile.
Per cui, deve essere riconosciuto ad ogni titolare di immobile la facoltà di chiedere una diversa classificazione catastale e quindi una diversa rendita del bene e, ovviamente, in caso di risposta negativa, di rivolgersi al giudice.
1.6 In conclusione, si può ribadire che, in tema di contenzioso tributario, l’articolo 19, comma 1, lett. f), del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 stabilisce che può essere presentato ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, del medesimo D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, norma quest’ultima che annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti «l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo (…), nonché quelle, concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale».
L’atto di diniego della variazione catastale emesso a seguito di richiesta del contribuente concerne, senza dubbio, una delle operazioni catastali menzionate nel citato art. 2 – e, in particolare, l’attribuzione della rendita catastale all’immobile posseduto – ed è, quindi, impugnabile dinanzi le commissioni tributarie (Cass. 19379/2008; Cass. 2006/2019; con riferimento al silenzio rigetto: Cass. 3001/ 2015).
1.7 Nella specie, riqualificando l’atto impugnato in termini di diniego di autotutela, la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria sul presupposto che ne fosse possibile l’impugnazione soltanto per motivi inerenti l’illegittimità del rifiuto. In tal modo, però, il giudice di merito non si è attenuto al principio enunciato, esonerando l’amministrazione finanziaria dall’esame dell’istanza di variazione catastale dei contribuenti.
2. Alla stregua delle precedenti argomentazioni, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nell’adunanza camerale effettuata da remoto il 15 settembre 2021.