FISCALITA

La prescrizione dei reati IVA dipende anche dalla gravità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45751 del 5 ottobre 2017, ha affrontato il tema delle prescrizioni delle frodi in materia d’IVA deliberando che l’evasione IVA, se non connotata da particolare gravità, non integra una fattispecie tale da precludere l’estinzione per prescrizione del reato (ex art. 5, D.lgs. 74/2000). Ricordiamo che la pronuncia con cui la Corte di Giustizia dell’Unione europea – la c.d. “sentenza Taricco” – ha ritenuto che la normativa italiana in tema di prescrizione, impedendo nei casi di frode grave in materia IVA l’inflizione effettiva e dissuasiva di sanzioni a causa di un termine complessivo di prescrizione troppo breve, potrebbe ledere gli interessi finanziari dell’Unione. I supremi giudici della Cassazione hanno anche riconosciuto che la disapplicazione della normativa nazionale in tema di prescrizione, sancita dalla Corte di Giustizia UE, è prevista solo per le condotte di evasione dell’IVA, in presenza di sussistenza di una frode connotata da particolare gravità che abbia cagionato un danno rilevante per le casse dell’erario.

Per la verità, la sentenza si allinea ad altri recenti precedenti (vedi ex multis la sentenza 22 giugno 2017, n. 31265) e non pare portare elementi di novità, poiché la appena richiamata sentenza n. 31265 puntualizzava efficacemente che: “Per l’effetto, in ossequio al principio del primato del diritto dell’Unione, ha ordinato che il giudice nazionale dia piena efficacia alle norme del Trattato, se necessario disapplicando le disposizioni nazionali che con queste si pongano in contrasto, ordine di disapplicazione cui la Corte di Cassazione ha, con la sentenza Pennacchini, sostanzialmente aderito. La questione può dirsi peraltro tutt’altro che consolidata, attesa anche la decisione della Corte d’Appello di Milano (App. Milano, Sez. II, 18 settembre 2015, De Bortoli + altri) che – ravvisando un contrasto tra l’art. 2 della legge 123/2008 (esecutiva del TFUE in Italia) e l’art. 25, comma 2 Cost., proprio nella parte in cui si risolve nell’imporre la prevalenza dei Trattati su una norma penale interna anche qualora da ciò derivi (come nel caso di specie) l’applicazione retroattiva all’imputato di una disciplina penale sostanziale sfavorevole – ha pronunciato ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale affinché giudichi della legittimità della descritta disciplina; decisione cui ha fatto seguito un’ulteriore ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale resa da questa Corte – Sez. 3, Ordinanza n. 28346 del 30/03/2016, Cestari, Rv. 267259 – che ha reputato non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale – in relazione agli artt. 3, 11, 25 comma secondo, 27, comma terzo, 101, comma secondo, Cost. – dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n.130, che ordina l’esecuzione del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l’art. 325, par.1 e 2 TFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione con la sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco, da cui discende l’obbligo per il giudice nazionale – in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA – di disapplicare le disposizioni in materia di prescrizione di cui agli artt. 160, comma terzo e 16, comma secondo cod.pen. “anche quando dalla disapplicazione e dal conseguente prolungamento della prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato. Nelle more, la Corte di Cassazione – Sez. 4, n. 7914 del 25/01/2016, Tormenti, Rv. 266078 – è intervenuta per delimitare l’ambito della eventuale disapplicazione, affermando che i principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande sezione, Taricco e altri del 8 settembre 2015, C-105/14, in ordine alla possibilità di disapplicazione della disciplina della prescrizione prevista dagli artt. 160 e 161 cod. pen. se ritenuta idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, non si applicano ai fatti già prescritti alla data di pubblicazione di tale pronuncia, avvenuta il 3 settembre 2015.

Ancora, in attesa di verificare l’esito del sindacato di legittimità costituzionale, con successiva pronuncia – Sez. 3, n. 44584 del 07/06/2016, Puteo e altro, Rv. 269281 – questa Corte ha precisato che l’applicazione dei principi affermati dalla sentenza Taricco presuppone, da un lato, l’esistenza di un procedimento penale riguardante “frodi gravi”, da intendersi con riferimento sia alle fattispecie espressamente connotate da fraudolenza, sia a quelle che, pur non richiamando espressamente tale requisito della condotta, siano dirette all’evasione dell’Iva (ma, in senso contrario, Sez. 3, n. 16458 del 16/12/2016, dep. 31./03/2017, Damian, in attesa di massimazione, secondo cui l’art. 325, TFUE, come interpretato nella sentenza Taricco, non si applica alle fattispecie di reato strutturalmente non caratterizzate da frode, come quella di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000), la cui gravità va desunta da tutti i criteri previsti dall’art. 133, primo comma, cod. pen.; dall’altro, l’ineffettività delle complessiva disciplina sanzionatoria in un “numero considerevole di casi di frode grave”, da valutarsi in relazione alle fattispecie concrete oggetto del singolo giudizio, considerando il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi. Tanto premesso, risulta evidente come – indipendentemente da ogni valutazione sulla compatibilità costituzionale di una eventuale disapplicazione di norme suscettibile di ripercuotersi in senso sfavorevole per l’imputato e sulla conseguente necessità di attendere il pronunciamento del giudice delle leggi (motivo per il quale si ritiene non necessario accedere alla richiesta di sospensione avanzata dal PG di udienza) – nella fattispecie difettino i presupposti stessi per una eventuale applicazione dei principi indicati dalla sentenza Taricco e fatti propri dalla sentenza Pennacchini, in ragione della lampante mancanza del carattere di ‘grave frode’”.

Tornando al caso di specie, un contribuente veniva indagato per il reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5, D.lgs. n. 74/2000 per l’anno di imposta 2006, che aveva comportato un’evasione dell’IVA di circa 155.000 euro. Tuttavia, in fase predibattimentale il tribunale competente dichiarava di non doversi procedere nei confronti dell’indagato poiché il reato si era estinto per prescrizione. Il Procuratore generale impugnava la decisione del giudice di primo grado, proponendo ricorso in Cassazione. Il Pubblico Ministero denunciava il mancato rispetto dell’obbligo, a carico del giudice nazionale, di disapplicare la normativa interna relativa ai tempi di maturazione della prescrizione in materia IVA; nello specifico, il giudice di prime cure avrebbe dovuto, in rispetto all’art 325 TFUE, non applicare gli articoli 160 e 161 c.p., aumentando così il termine della prescrizione per perseguire la grave frode fiscale e preservare gli interessi economici dell’Unione europea.

I Giudici del Palazzaccio hanno ritenuto, nel caso esaminato, la totale assenza dei presupposti per i quali il giudice di merito avrebbe dovuto affrontare la problematica derivante dall’applicazione dei principi affermati dalla sentenza Taricco ed eventualmente applicare il più sfavorevole regime prescrizionale, fornendo le seguenti motivazioni: “… Questa Corte ha infatti già affermato che il più attendibile parametro oggettivo per la determinazione della gravità della frode nell’ordinamento italiano deve essere rappresentato dal complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato contenuti nel primo comma dell’art. 133 cod. pen., che fa riferimento non solo alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa (n. 2), ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell’azione (n. 1), nonché all’elemento soggettivo (n. 3). Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno già di rilevantissima gravità, appaiono necessari, per connotare tale requisito, ulteriori elementi, quali in particolare l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzazione di “cartiere” o società-schermo, l’interposizione di una pluralità di soggetti, l’esistenza di un contesto associativo criminale. Inoltre, nelle ordinanze con cui questa sezione ha rimesso a suo tempo alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l’art. 325, § 1 e 2, T.F.U.E., (Sez. 3, n. 28346 del 30/03/2016, dep. 08/07/2016, Cestari e altri, Rv. 267259, e n. 33538 del 31/03/2016, dep. 01/08/2016, Adami e altri), e nella già ricordata sentenza di Sez. 4, 25/01/2016, n. 7914, si è rilevato, quanto al requisito, considerato dalla Corte di Giustizia, del “numero considerevole di casi di frode grave” che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, che lo stesso, del tutto indeterminato, deve essere valutato non in astratto, ovvero con riferimento all’integralità dei procedimenti pendenti dinanzi alle autorità giudiziarie italiane (giacché lo stesso implicherebbe una prognosi di natura statistica che esula dai limiti cognitivi e valutativi del giudice, necessariamente circoscritti ai fatti di causa), bensì, in concreto, con riferimento alle fattispecie oggetto del singolo giudizio, potendosi ritenere sufficiente anche una singola frode solo qualora questa sia di rilevantissima gravità. Sicché, nell’applicare tale requisito nel caso concreto, il giudice deve considerare il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi. Va infine aggiunto che, in presenza di fattispecie contrassegnate da soglie di punibilità come, nella specie, rapportate all’entità dell’imposta evasa, la individuazione della gravità della frode non può non tenere conto di detta soglia, da considerarsi quale indice della ritenuta assenza di offensività, da parte del legislatore, delle evasioni di importo inferiore (Sez. 3, n. 12160 del 15/12/2016, dep. 14/03/2017, Scanu, Rv. 269323). Ciò posto, quindi, nella specie, il requisito della gravità non appare in concreto ricorrere giacché la omessa dichiarazione per l’anno d’imposta 2006 oggetto di addebito ha determinato una evasione Iva pari ad euro 155.700,00 euro e quindi, tenuto conto della soglia di punibilità di 50.000 euro (nella specie applicabile in quanto più favorevole rispetto a quella, più bassa, prevista al momento del fatto), di un indice quantitativo di gravità pari ad euro 105.700,00 a fronte di fattispecie nella quale non si rilevano condotte ulteriori rispetto a quella di mera omessa dichiarazione”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 45751 del 5 ottobre 2017

Ritenuto in fatto

Tornando ora al caso in questione, il procuratore generale presso la Corte d’appello di Venezia ricorreva per Cassazione per vizio di motivazione della sentenza di appello affermando che in essa non si dava conto del motivo di disapplicazione dei principi della Corte di giustizia (sentenza Taricco, C-105/14) in ambito di prescrizione dei reati Iva.

Va ricordato allora che la Corte UE impone la disapplicazione degli articoli 160 e 161 Codice penale nazionale. Infatti la disciplina italiana in tema di prescrizione, risultante dal combinato disposto degli articoli 160, ultimo comma, e 161 del codice penale, nella parte in cui determina per frodi gravi in materia di Iva un’interruzione del termine di prescrizione non superiore ad un quarto della sua durata iniziale, impedirebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in caso di “frode grave”.

Ciò sarebbe in contrasto con gli obblighi imposti agli stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2 T.f.u.e., di perseguire le ipotesi gravi di frode fiscale.

Peraltro la Corte UE non ha chiarito tale ultimo concetto di frode grave.

La terza sezione ricorda allora che già nella sua recente giurisprudenza si è ritenuto che il più attendibile parametro oggettivo per la determinazione della gravità della frode nell’ordinamento italiano deve essere rappresentato dal complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato contenuti nel primo comma dell’art. 133 cod. pen., che fa riferimento non solo alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa (n. 2), ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell’azione (n. 1), nonché all’elemento soggettivo (n. 3). Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno già di rilevantissima gravità, appaiono necessari, per connotare tale requisito, ulteriori elementi, quali in particolare l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzazione di “cartiere” o società-schermo, l’interposizione di una pluralità di soggetti, l’esistenza di un contesto associativo criminale.

Un contribuente veniva indagato per il reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000 per l’anno di imposta 2006 che aveva comportato un’evasione dell’IVA di circa 155.000 euro. Tuttavia in fase predibattimentale il tribunale competente dichiarava di non doversi procedere, nei confronti dell’indagato, poiché il reato si era estinto per prescrizione. Il procuratore generale impugnava la decisione del giudice di primo grado, proponendo ricorso in Cassazione.

In particolare il pubblico ministero lamentava il mancato rispetto dell’obbligo, a carico del giudice nazionale, di disapplicare la normativa interna relativa ai tempi di maturazione della prescrizione in materia IVA; nello specifico, il giudice di prime cure avrebbe dovuto, in rispetto all’art 325 TFUE non applicare gli articoli 160 e 161 c.p., aumentando così il termine della prescrizione, per perseguire la grave frode fiscale e preservare gli interessi economici dell’Unione Europea, come sancito nella sentenza Taricco dalla Corte di Giustizia UE.

Ritenuto in fatto

  1. Il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Venezia ha proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Padova in data 14/12/2015 di non doversi procedere nei confronti di D.M. per essere il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione all’evasione di Iva 2006 per euro 155.700 e di Irpef 2006 per 151.116,00, estinto per prescrizione.
  2. Con un unico motivo lamenta mancanza di motivazione della sentenza; in particolare, dopo avere richiamato il contenuto della sentenza n. 2210 del 17/09/2015 della Corte di cassazione nel senso dell’obbligo per il giudice nazionale, come discendente dalla lettura datane dalla Corte di Giustizia, di disapplicazione degli artt. 160 e 161 cod. pen. a fronte della non compatibilità dei termini di prescrizione ivi previsti con gli obblighi imposti agli stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2 T.f.u.e., di perseguire le ipotesi gravi di frode fiscale, lamenta che il Tribunale non abbia spiegato in alcun modo la ragione della non adesione ad un tale indirizzo e la sua scelta, invece, di ritenuto perfezionamento della prescrizione.

Considerato in diritto

  1. Va premesso che, essendo la sentenza impugnata stata pronunciata, come desumibile dal verbale di udienza, in fase predibattimentale, la stessa è stata correttamente fatta oggetto di ricorso per cassazione.

Ciò posto, il ricorso è infondato. Premesso che il dedotto difetto di motivazione, attenendo ad aspetto di diritto, si traduce, in realtà, in violazione di legge (tra le altre, Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015, dep. 20/04/2015, P.G. in proc. De Gennaro, Rv. 263326; Sez. 3, n. 6174 del 23/10/2014, dep. 11/02/2015, Monai, Rv. 264273), va ribadito che, anche a ritenere che, nel caso di specie, riguardante il reato di omessa dichiarazione per una singola annualità, si sia in presenza di una condotta di “frode” di per sé implicante una connotazione di necessaria decettività (frode per la quale, sola, il giudice nazionale dovrebbe, secondo quanto espresso dalla Corte di giustizia con la decisione Grande sezione, Taricco e altri, del 08/09/2015, C-105/14, procedere a disapplicazione della disciplina della prescrizione ex artt. 160 e 161 cod. pen.), detta disapplicazione, ovviamente limitata alla sola condotta di evasione dell’Iva, non opera comunque, come già affermato da questa Corte (Sez. 4, n. 7914 del 25/01/2016, dep. 26/02/2016, Tormenti, Rv. 266078), con riguardo ai fatti già prescritti, alla stregua della disciplina nazionale, alla data di pubblicazione di tale pronuncia del 03/09/2015, tra i quali, quindi, anche quello di specie, prescrittosi in data 30/06/2015.

In secondo luogo difetterebbe comunque, quale necessario, ulteriore, requisito, quello della “gravità” della frode. Questa Corte ha infatti già affermato che il più attendibile parametro oggettivo per la determinazione della gravità della frode nell’ordinamento italiano deve essere rappresentato dal complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato contenuti nel primo comma dell’art. 133 cod. pen., che fa riferimento non solo alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa (n. 2), ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell’azione (n. 1), nonché all’elemento soggettivo (n. 3). Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno già di rilevantissima gravità, appaiono necessari, per connotare tale requisito, ulteriori elementi, quali in particolare l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzazione di “cartiere” o società-schermo, l’interposizione di una pluralità di soggetti, l’esistenza di un contesto associativo criminale.

Inoltre, nelle ordinanze con cui questa sezione ha rimesso a suo tempo alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l’art. 325, § 1 e 2, T.F.U.E., (Sez. 3, n. 28346 del 30/03/2016, dep. 08/07/2016, Cestari e altri, Rv. 267259, e n. 33538 del 31/03/2016, dep. 01/08/2016, Adami e altri), e nella già ricordata sentenza di Sez. 4, 25/01/2016, n. 7914, si è rilevato, quanto al requisito, considerato dalla Corte di Giustizia, del “numero considerevole di casi di frode grave” che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, che lo stesso, del tutto indeterminato, deve essere valutato non in astratto, ovvero con riferimento all’integralità dei procedimenti pendenti dinanzi alle autorità giudiziarie italiane (giacché lo stesso implicherebbe una prognosi di natura statistica che esula dai limiti cognitivi e valutativi del giudice, necessariamente circoscritti ai fatti di causa), bensì, in concreto, con riferimento alle fattispecie oggetto del singolo giudizio, potendosi ritenere sufficiente anche una singola frode solo qualora questa sia di rilevantissima gravità. Sicché, nell’applicare tale requisito nel caso concreto, il giudice deve considerare il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi. Va infine aggiunto che, in presenza di fattispecie contrassegnate da soglie di punibilità come, nella specie, rapportate all’entità dell’imposta evasa, la individuazione della gravità della frode non può non tenere conto di detta soglia, da considerarsi quale indice della ritenuta assenza di offensività, da parte del legislatore, delle evasioni di importo inferiore (Sez. 3, n. 12160 del 15/12/2016, dep. 14/03/2017, Scanu, Rv. 269323). Ciò posto, quindi, nella specie, il requisito della gravità non appare in concreto ricorrere giacché la omessa dichiarazione per l’anno d’imposta 2006 oggetto di addebito ha determinato una evasione Iva pari ad euro 155.700,00 euro e quindi, tenuto conto della soglia di punibilità di 50.000 euro (nella specie applicabile in quanto più favorevole rispetto a quella, più bassa, prevista al momento del fatto), di un indice quantitativo di gravità pari ad euro 105.700,00 a fronte di fattispecie nella quale non si rilevano condotte ulteriori rispetto a quella di mera omessa dichiarazione.

  1. Sicché, in definitiva, a prescindere dalla questione dell’applicabilità dei principi affermati dalla “sentenza Taricco” con riferimento a condotte, come quelle di specie, poste in essere anteriormente alla adozione della pronuncia della Corte di giustizia sopra ricordata in ragione del possibile conflitto in particolare con i principi costituzionali dell’art. 25, comma 2, nonché degli artt. 3, 11, 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost., che ha portato successivamente questa stessa Corte di legittimità a sollevare dinanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l’art. 325, § 1 e 2, T.F.U.E., (v. ordinanze Sez. 3, n. 28346 del 30/03/2016, dep. 08/07/2016, Cestari e altri, Rv. 267259, e n. 33538 del 31/03/2016, dep. 01/08/2016, Adami e altri) e, a propria volta, la Corte costituzionale a sollevare, con l’ordinanza n. 24/17 del 23/11/2016, questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia, correttamente il giudice di merito ha ritenuto maturata la prescrizione e, quindi, estinto il reato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.G.

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