CASSAZIONE

La non ricorribilità della risposta della DRE sull’interpello non è retroattiva

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25498 del 26/10/2017, seguendo l’attuale interpretazione giurisprudenziale ha ritenuto che in virtù dell’interpretazione estensiva dell’elenco di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, la risposta ad un interpello disapplicativo sia da considerarsi come un atto autonomamente impugnabile presso il giudice tributario. I giudici di legittimità hanno di fatto sancito che l’art. 6 del D.Lgs. n. 156/2015, nel quale è stabilito che la risposta dell’ente impositore a seguito di interpello non è autonomamente impugnabile dal contribuente, non può avere valenza retroattiva.

Ne consegue che il ricorso di questi contro il diniego di interpello opposto dalla DRE può essere inoltrato autonomamente, senza cioè dover attendere il successivo atto impositivo.

Gli Ermellini hanno anche ritenuto che se l’impugnazione è considerata facoltativa, anche in ipotesi di omissione, il contribuente ha la capacità di difendersi liberamente nel merito, impugnando l’avviso di accertamento o ricorrendo contro il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria.

In un recente quadro di ripensamento generale per la revisione dell’interpello tributario, il legislatore  è intervenuto con la legge 23/2014 (“Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”) e all’art. 6 ha dettato le seguenti linee guida per la revisione dell’istituto dell’interpello, essenzialmente al fine di garantire una maggiore omogeneità, sia per la classificazione delle diverse tipologie sia per la regolamentazione degli effetti e della procedura applicabile, per ridurre i tempi complessivi di lavorazione delle istanze e per assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri. Inoltre, si vuole procedere a una razionalizzazione dell’istituto anche attraverso la tendenziale eliminazione delle forme di interpello obbligatorio, attraverso un bilanciamento del peso degli oneri posti a carico dei contribuenti rispetto ai benefici, valutabili essenzialmente in termini di monitoraggio preventivo, per l’Amministrazione finanziaria.

Il successivo D.Lgs. n 156/2015, in attuazione delle indicazioni di principio contenute nella legge delega, ha provveduto a un riordino complessivo del sistema intervenendo sull’art. 11 della legge n. 212/2000 (“Statuto dei diritti del contribuente”) e modificando la precedente formulazione della norma, al fine di sostituire il riferimento all’interpello ordinario col riferimento all’istituto dell’interpello in tutte le sue articolazioni, declinando espressamente i requisiti per la valida presentazione dell’istanza, disciplinando l’istruttoria e i tempi di lavorazione delle istanze, codificando espressamente le cause di inammissibilità e, infine, intervenendo con modifiche alle norme sostanziali vigenti al fine di renderle compatibili con la nuova disciplina.

In attuazione dell’art. 8, il 4 gennaio 2016 è stato pubblicato il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate contenente le nuove disposizioni procedurali applicabili alle istanze validamente presentate a partire dalla predetta data e con il quale sono stati individuati le modalità di presentazione delle istanze, gli uffici competenti ai fini della loro presentazione e ai fini delle risposte, le modalità di comunicazione delle medesime e ogni altra regola procedurale.

Alle istanze presentate prima della pubblicazione del provvedimento si applicano le disposizioni procedurali in vigore al momento della presentazione.

Restano esclusi dall’area degli interpelli in esame quelli presentati dai soggetti che accedono al regime dell’adempimento collaborativo di cui all’art. 3 e seguenti, D.Lgs. n. 128/2015, le ipotesi rientranti nell’ambito applicativo dei nuovi accordi preventivi per le imprese con attività internazionale di cui all’articolo 31-ter del Dpr 600/1973 e gli interpelli sui nuovi investimenti di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 147/2015.

Inoltre, nella circolare 9/E del 1° aprile 2016 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in ordine alla disciplina sostanziale e procedurale dell’interpello del contribuente, con riferimento alle istanze relative ai tributi amministrati dall’Agenzia stessa.

Ricordiamo, inoltre, che ai sensi dell’articolo 11, comma 2, dello Statuto, il contribuente presenta interpello per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. La differente formulazione della norma (“il contribuente interpella”, per il disapplicativo, in luogo de “il contribuente può interpellare”, per le altre tipologie di interpello) dà evidenza della esclusione degli interpelli ordinari, probatori e antiabuso dall’alveo degli interpelli obbligatori, che sono limitati soltanto all’interpello disapplicativo, che peraltro costituisce l’unica tipologia di interpello obbligatorio e consente al contribuente di richiedere un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti – come si è detto – elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.

Tanto premesso e tornando al caso di specie, nell’ambito normativo appena citato, l’art. 6 del citato D.Lgs. n. 156 era intervenuto a disporre che ogni contestazione del cittadino contribuente dovesse avvenire in sede di ricorso contro il successivo atto impositivo. Secondo il riconosciuto orientamento della Corte in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 ha  natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53, Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97, Cost.), e in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448.

In buona sostanza, il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37-bis, comma 8, DPR n. 600/1973, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine a un determinato rapporto tributario” (Cass. n. 17010/12, secondo Cass. n.8663/11, il diniego disapplícativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione).

Tale principio regolatore (isolatamente disatteso da Cass. n. 5843/2012) si è consolidato nel diritto vivente (es. Cass. n.20394/12, 335/14, 25281/15, 6200/15 e da ultimo, v. Cass. ord. n.19962/17) sino ad essere stato ripreso anche in altri contesti fiscali (v. in motivazione S.U. nn. 7665/16, 19704/15, 12760/15, 649/15, 13451/14; cfr. ex plurimis: Cass. nn. 11397/17, 5723/16, n. 2616/15, 11922/14,25916/13).

Nel caso in questione, sulla base dei superiori principi ai quali il Collegio ha intenso dare continuità, la società contribuente aveva un interesse qualificato, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., a insorgere contro un atto che non era meramente consultivo, ma aveva una sua lesività, in quanto tale risposta all’interpello ha l’effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante, in ordine alla dichiarazione dei redditi, in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata.

Conclude la Suprema Corte: “… Va, infine, precisato come l’art. 6 del d.lgs. n. 156/15, non ha una valenza interpretativa, come opinato dall’ufficio ricorrente, ma di nuova disciplina della materia dell’interpello e, quindi, non dispone che per l’avvenire. Del resto, né la struttura né la funzione della nuova e articolata disciplina, contenente tra l’altro la limitazione dell’impugnazione, manifestano le caratteristiche tipiche dell’interpretazione autentica (in saldatura con la pregressa disciplina) o dell’innovazione retroattiva, secondo i parametri ermeneutici tracciati dal giudice delle leggi (es. C. cost. n. 41/11), in disparte, diversamente opinando, i rilievi di dubbia conformità convenzionale (art. 6 CEDU) desumibili da taluna giurisprudenza europea (Corte EDU, Maggio vs. Italia). Peraltro, premesso che ogni testo normativo deve essere interpretato secondo il suo contenuto obiettivo mentre i lavori preparatori non costituiscono elemento decisivo per la sua interpretazione (cfr. in motivazione Cass. n. 16679/16), neppure il tenore della relazione illustrativa del d.lgs. offre obiettivo riscontro dell’asserita valenza interpretativa della nuova normazione delegata. V.Cass.16962/17”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza n. 25498 del 26/10/2017

 

Presidente: CIRILLO ETTORE

Relatore: SOLAINI LUCA

sul ricorso 27667-2016 proposto da:

STAMPERIA POZZI SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato DARIO MINELLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2528/42/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 28/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/09/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Con ricorso in Cassazione affidato a un unico motivo, nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione tardivo, la società ricorrente impugnava la sentenza della CTR della Lombardia, relativa al diniego di accoglimento di istanza d’interpello disapplicativo, ex art. 37 bis comma 8 del DPR n. 600/73, delle disposizioni contenute nell’art. 30 della legge n. 724/94 recante la normativa di contrasto all’utilizzo a fini elusivi di società non operative, denunciando la violazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/92, con riferimento al disconoscimento dell’interesse concreto e attuale ad agire avverso la risposta ottenuta a seguito del predetto interpello in capo alla società ricorrente e dell’impugnabilità del provvedimento di diniego stesso.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.

Il ricorso è infondato.

Secondo l’orientamento di questa Corte “In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento  con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario” (Cass. n. 17010/12, secondo Cass. n. 8663/11, il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione). Tale principio regolatore (isolatamente disatteso da Cass. n. 5843/2012) si è consolidato nel diritto vivente (es. Cass. n. 20394/12, 335/14, 25281/15, 6200/15) sino ad essere stato ripreso anche in altri contesti fiscali (v. in motivazione S.U. nn. 7665/16, 19704/15, 12760/15, 649/15, 13451/14; cfr. ex plurimis: Cass. nn. 16962/17, 11397/17, 5723/16, n. 2616/15, 11922/14, 25916/13)” .

Nel caso di specie, sulla base dei superiori principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, la società contribuente aveva un interesse qualificato, ai senso dell’art. 100 c.p.c., a insorgere contro un atto che non era meramente consultivo, ma aveva una sua lesività, in quanto tale risposta all’interpello ha l’effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante, in ordine alla dichiarazione dei redditi, in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata.

Va, infine, precisato come l’art. 6 del d.lgs. n. 156/15, non ha una valenza interpretativa, come opinato dall’ufficio ricorrente, ma di nuova disciplina della materia dell’interpello e, quindi, non dispone che per l’avvenire. Del resto, né la struttura né la funzione della nuova e articolata disciplina, contenente tra l’altro la limitazione dell’impugnazione, manifestano le caratteristiche tipiche dell’interpretazione autentica (in saldatura con la pregressa disciplina) o dell’innovazione retroattiva, secondo i parametri ermeneutici tracciati dal giudice delle leggi (es. C. cost. n. 41/11), in disparte, diversamente opinando, i rilievi di dubbia conformità convenzionale (art. 6 CEDU) desumibili da taluna giurisprudenza europea (Corte EDU, Maggio vs. Italia).

Peraltro, premesso che ogni testo normativo deve essere interpretato secondo il suo contenuto obiettivo mentre i lavori preparatori non costituiscono elemento decisivo per la sua interpretazione (cfr. in motivazione Cass. n. 16679/16), neppure il tenore della relazione illustrativa del d.lgs. offre obiettivo riscontro dell’asserita valenza interpretativa della nuova normazione delegata. V.Cass.16962/17.

La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, alla camera di consiglio del giorno 26.9.2017.

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