CASSAZIONE

La motivazione apparente rende nulla la sentenza

Tributi – IRES e IVA – Accertamento – Presunzioni – Contenzioso tributario – Acquisto beni –  Oggettivamente inesistenti – Soggettivamente inesistenti – Qualificazione – Motivazioni degli atti impositivi ed onere della prova – Omessa o apparente motivazione – Principio di iura novit curia

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 2392 del 24 gennaio 2024 ha stabilito un  giusto principio in tema di operazioni inesistenti, motivazioni degli atti impositivi e onere della prova, riaffermando quanto sostenuto dall’attuale linea interpretativa, che dichiara: “… In virtù del principio iura novit curia (art. 113 cod. proc. civ.), il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame” (cfr. Cass., V, n. 33952/2019).

Prima di esaminare nel merito la vicenda è opportuno premettere che, in generale, si parla di “operazioni soggettivamente inesistenti” riferendosi a quelle operazioni che sono state effettivamente realizzate, ma tra soggetti diversi da quelli che risultano dalla relativa documentazione contabile, trattandosi  di operazioni effettivamente realizzate ma non in capo ai soggetti che risultano dal punto di vista documentale. La normativa relativa alle fatture soggettivamente inesistenti è contenuta nell’articolo 21, comma 7, DPR 633/1972 e nell’articolo 1, lettera a), dD.lgs. 74/2000.

In buona sostanza, gli Ermellini hanno ritenuto nulla la sentenza impugnata essenzialmente perché i giudici tributari avevano attribuito, alla ripresa a tassazione operata dall’ufficio ai fini IVA, una qualificazione (fattura soggettivamente inesistente) non contenuta nemmeno nell’avviso di accertamento, nel quale un rilievo era stato motivato solo sulla pretesa assenza di certezza e oggettiva determinabilità. La sanzione di nullità non interessa, quindi, solo le sentenze del tutto carenti di motivazione dal punto di vista sostanziale o quelle che evidenziano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o che espongono una “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, ma anche quelle che accolgono una motivazione manifestamente apparente e, di conseguenza, integralmente paragonabile alla più rilevante espressione di irregolarità.

Le operazioni soggettivamente inesistenti, con riguardo a divergenze in tema di onere probatorio e diritto alla detraibilità dell’IVA, hanno destato nel tempo un certo numero di controversie causate dalle nutrite interpretazioni fornite dalla Corte di Giustizia e dalla Suprema Corte di legittimità, che hanno alimentato  alcuni contrasti tra norme comunitarie e di diritto interno. In linea generale la regola sostanziale del principio giuridico, secondo il quale spetta a chi agisce in giudizio dare la prova dei fatti addotti a fondamento del diritto vantato, è posta dal parametro normativo di cui all’art. 2697 c.c.

Le disposizioni fiscali non pongono divieti espressi o taciti all’applicazione nella materia tributaria, seppur collocata nel quadro di specialità che ne caratterizza il settore relativo all’art. 2697 c.c., perciò, l’Amministrazione finanziaria non potrà non ricoprire il ruolo di “attore sostanziale” poiché portatrice di una pretesa formalizzata in un provvedimento amministrativo. In effetti, quest’ultimo sarà motivato dai presupposti di fatto e di diritto che ne hanno posto il fondamento. Altrimenti, la produzione di un atto amministrativo con mera finalità di provocatio ad opponendum violerebbe i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità (art. 97 Cost.), oltre che il diritto al buon andamento dell’Amministrazione (art. 41, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

Anche solo in via preliminare risulterebbe sufficientemente chiaro quanto recepito dalla giurisprudenza (ex multis Cass. Sent. n. 905/2006) attraverso cui  ne discende l’onere, per l’Amministrazione, di selezionare i fatti e valutare la profondità dell’elemento volitivo concernente l’azione posta dal contribuente, ossia il quantum dell’onere probatorio che l’ente impositore è chiamato ad assolvere: ed è evidente che spetterà al contribuente provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa erariale in via residuale o anche solo “preventiva”.

Va di conseguenza anche ricordato quanto gli Ermellini ebbero nel tempo statuito: “… in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (v. Cass. n. 27566/2018).

Peraltro, con l’ordinanza  n. 25233/2022 la S.C. si era occupata con dovizia di argomentazioni della nullità della sentenza per vizio di motivazione, rammentando come, per costante giurisprudenza, quando esiste una mancanza di motivazione quale causa di nullità della sentenza, essa va giudicata tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse o obiettivamente incomprensibili.

Tuttavia, riconoscono ancora gli Ermellini, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile”, e allora la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente esistente e, talvolta, anche sovrabbondante, risulta tuttavia essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost..

Si legge infatti, nella citata pronunzia, che “… Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975). Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627). 2.2 Nella specie, tuttavia, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia sufficiente o coerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’inadeguata esposizione delle ragioni sottese al rigetto dell’appello (al di là di ogni considerazione sul piano della loro fondatezza in diritto), con particolare riguardo all’estímazione del valore di avviamento, al fondamento del provvedimento di autotutela parziale ed all’irrilevanza probatoria (ai fini comparativi) dell’atto indicato dall’amministrazione finanziaria a fronte di una non meglio specificata documentazione prodotta dalle contribuenti. Si rammenta, in proposito, che, in tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’amministrazione finanziaria nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa; con la conseguenza che, fermo restando l’onere della prova gravante sull’amministrazione finanziaria, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, (nella specie, relativo all’imposta di registro sulla cessione di azienda), senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 novembre 2013, n. 25153; Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2017, n. 22148; Cass., Sez. 5^, 25 novembre 2020, n. 26795; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10025; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022, n. 11427). Per cui, la sentenza impugnata non dà conto del percorso argomentativo sotteso alla valutazione negativa degli elementi addotti dall’amministrazione finanziaria, posto anche che il richiamo alla decisione di prime cure si risolve nella acritica ed irragionevole affermazione dell’equivalenza dell’autotutela parziale ad una tacita ammissione dell’infondatezza della rideterminazione del valore di avviamento”.

In sostanza, le presunzioni semplice attivate dall’ufficio, sempre in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, trovano ampio conforto nella consolidata giurisprudenza di legittimità e anche nell’orientamento della Corte di Giustizia UE (v. Cass. Ord. n. 1888/21).

Infine, viene ancora ricordato che costituisce ius receptum (v. Cass. n. 2876/2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge costituzionalmente imposto (art. 111, Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.lgs. 546/1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

Venendo poi al tema della inesistenza soggettiva, viene anche ricordato che “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (cfr. Cass., V, n. 27566/2018).

Inoltre, “In virtù del principio iura novit curia (art. 113 cod. proc. civ.), il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame” (cfr. Cass., V, n. 33952/2019).

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, essa aveva inizio quando l’ufficio fiscale  notificava un avviso di accertamento ad una società contribuente nel quale venivano svolti tre rilievi, dove il terzo aveva a oggetto i componenti negativi non documentati e indebitamente dedotti in violazione dell’art. 109, TUIR, con due imponibili contestati ai fini IRES e IVA. La società ricorrente impugnava l’atto impositivo contestando tutti e tre i rilievi. La CTP aderiva integralmente alle difese della società ricorrente, mentre la CTR riteneva provata l’effettività della prestazione, l’inerenza del costo e la sua determinabilità, dimostrata dalla scrittura conclusa con l’altra società. Inoltre, i giudici tributari ritenevano legittima la ripresa a tassazione ai fini IVA non essendo stata fornita alcuna prova in merito alla cessione del contratto tra le due società, ed essendo i relativi costi riportati da una fattura soggettivamente inesistente, trattandosi di cessione non effettuata dal preteso cedente. La società contribuente si rivolgeva allora alla Suprema Corte con cinque motivi di ricorso, nei quali essenzialmente lamenta la nullità della sentenza ed error in procedendo per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e, segnatamente, vizio di ultrapetizione ex art. 112, c.p.c. e art. 57, D.lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.

Resisteva l’Avvocatura generale dello Stato con un controricorso. I Supremi Giudici di legittimità hanno riconosciuto la validità delle affermazioni poste alla base del ricorso della parte contribuente, affermando che “… Con il secondo motivo la società contribuente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, co. 2, n. 4 D.Lgs. n. 546/92, dell’art. 132, co. 2, n, 4 c.p.c., art. 118 disp. attuaz. c.p.c., art. 111, co. 6, Cost. in parametro all’art. 3690, co. 1, n. 4 c.p.c. – motivazione apparente dei due capi della sentenza di 2° grado specificatamente afferenti il recupero IVA di cui al rilievo n. 3 rubricato “Componenti negativi non documentati, indebitamente dedotti, in violazione dell’art. 109 TUIR”.  4.1 In sintesi lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione dopo aver riqualificato la fattura come soggettivamente inesistente sul presupposto della mancata prova della cessione del contratto tra la Dream Engine s.r.l. e la Dream Engine 2 s.r.l. e per non essersi la CTR avveduta della circostanza che tale fattura poteva trovare il suo presupposto anche nella sola cessione del credito, di cui era stata fornita ampia documentazione al riguardo. Soggiunge che, in ogni caso, nulla la CTR ha argomentato in ordine al disegno fraudolento sotteso alla fattura soggettivamente inesistente e di cui la ricorrente avrebbe dovuto avvedersi secondo l’ordinaria diligenza. 5. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi tra loro e vanno accolti. 5.1 Va precisato che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. Come da ultimo precisato da questa Corte, “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. 25456 del 2018; n. 26766 del 2020). 5.2 Tanto premesso, in punto di operazioni soggettivamente inesistenti, è stato affermato che “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (cfr. Cass., V, n. 27566/2018).5.3 Va inoltre ricordato che “In virtù del principio iura novit curia (art. 113 cod. proc. civ.), il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame” (cfr. Cass., V, n. 33952/2019). 6. Nella fattispecie in esame la CTR, nel qualificare l’operazione e la fattura come soggettivamente inesistenti, non ha dato conto di alcuno degli elementi della fattispecie concreta, né sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione in ordine all’oggettiva fittizietà del cedente e alla consapevolezza da parte del contribuente del meccanismo fraudolento né sotto quello dell’onere della prova a contrario a carico di quest’ultimo, che – senza indicare previamente se e in quali termini l’Ufficio avesse assolto all’onere probatorio a proprio carico – ha ritenuto apoditticamente non assolto. 7. Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 18, co. 1, e 19, co. 1, D.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 167 e 168 della Direttiva 2006/112/CE in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.  7.1 In sintesi lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha avvallato la ripresa a tassazione ai fini IVA giacché, di tal via, ha di fatto annullato il principio di neutralità dell’IVA avendo la ricorrente già versato l’IVA a Dream Engine 2 s.r.l. e da questa poi corrisposta all’Erario, che nulla aveva contestato sul punto in giudizio. 8. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 24 gennaio 2024, n. 2392

sul ricorso iscritto al n. 33701/2018 R.G. proposto da

O.M.P. R. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., corrente in Ronco Scrivia (GE), con gli avv.ti prof. Antonio Lovisolo, Andrea Lovisolo e Marco Poletti ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Filippo Corridoni n. 14

– ricorrente –

contro Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del la Liguria,n. 479/03/2018 pronunciata il 20 aprile 2018 e depositata in pari data,non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09 gennaio 2024 dal Co. Marcello M. Fracanzani;

Svolgimento del processo

1. La società ricorrente riscontrava la notifica di un questionario con cui l’Ufficio chiedeva l’invio di documentazione, che la contribuente trasmetteva. A distanza di oltre un anno, l’Ufficio chiedeva l’invio di altra documentazione, poi seguita da una ulteriore richiesta, entrambe riscontrate dalla contribuente, da ultimo in data 30.09.2013. In tale documentazione confluivano anche una scrittura privata tra la ricorrente e la società Dream Engine nonché un atto di cessione del credito tra la società Dream Engine 2 s.r.l. e il Consorzio Creativo Library.

2. Il 13.12.2013 l’Ufficio notificava un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2008, ivi tenendo conto anche delle risultanze di altra verifica esperita in relazione al diverso periodo d’imposta 01.10.2009-30.09.2010, e nel quale venivano svolti tre rilievi.

Il terzo, in particolare, aveva ad oggetto i componenti negativi non documentati e indebitamente dedotti in violazione dell’art. 109 TUIR con due imponibili contestati ai fini IRES e IVA, ambedue per Euro 12.000,00.

3. La società ricorrente impugnava l’atto impositivo aggredendo tutti e tre i rilievi contestati: costituitosi l’Ufficio, la CTP aderiva integralmente alle difese della società ricorrente.

4. L’appello promosso dall’Ufficio veniva parzialmente accolto in relazione al terzo rilievo.

Segnatamente la CTR, dopo aver dichiarato inammissibile la mera riproposizione delle eccezioni pregiudiziali rimaste assorbite all’esito del giudizio di primo grado, riteneva provata l’effettività della prestazione, l’inerenza del costo e la sua determinabilità, dimostrata dalla scrittura conclusa con la Dream Engine. Riteneva invece legittima la ripresa a tassazione ai fini IVA non essendo stata fornita alcuna prova in merito alla cessione del contratto tra la Dream Engine s.r.l. e la Dream Engine 2 s.r.l. ed essendo i relativi costi riportati da una fattura soggettivamente inesistente, trattandosi di cessione non effettuata dal preteso cedente.

5. Invoca la cassazione della sentenza la società contribuente che si affida a cinque motivi di ricorso e cui resiste l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.

6. In prossimità dell’odierna adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.

Motivi della decisione

1. In via preliminare va dato atto che è stato revocato il decreto di estinzione del giudizio n. 20834/2023 avendo la parte ricorrente depositato istanza di trattazione ex art. 6, co. 13, D.L. n. 119/2018.

2. Va poi respinta l’eccezione di inammissibilità svolta dall’Avvocatura generale dello Stato avendo la parte ricorrente promosso delle censure che attengono specificatamente a profili di nullità della sentenza che non presuppongo affatto un riesame del merito della vertenza.

3. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza ed error in procedendo per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e, segnatamente, vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. e art. 57 D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.

3.1 In sostanza, critica la sentenza impugnata per aver la CTR attribuito alla ripresa a tassazione, operata dall’Ufficio ai fini IVA, una qualificazione (fattura soggettivamente inesistente) non contenuta nemmeno nell’avviso di accertamento, nel quale il rilievo n. 3 era invero fondato solo sulla pretesa assenza di certezza ed oggettiva determinabilità, conseguente alla mancata prova della cessione del contratto tra la Dream Engine s.r.l. e la Dream Engine 2 s.r.l.

4. Con il secondo motivo la società contribuente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, co. 2, n. 4 D.Lgs. n. 546/92, dell’art. 132, co. 2, n, 4 c.p.c., art. 118 disp. attuaz. c.p.c., art. 111, co. 6, Cost. in parametro all’art. 3690, co. 1, n. 4 c.p.c. – motivazione apparente dei due capi della sentenza di 2° grado specificatamente afferenti il recupero IVA di cui al rilievo n. 3 rubricato “Componenti negativi non documentati, indebitamente dedotti, in violazione dell’art. 109 TUIR”.

4.1 In sintesi lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione dopo aver riqualificato la fattura come soggettivamente inesistente sul presupposto della mancata prova della cessione del contratto tra la Dream Engine s.r.l. e la Dream Engine 2 s.r.l. e per non essersi la CTR avveduta della circostanza che tale fattura poteva trovare il suo presupposto anche nella sola cessione del credito, di cui era stata fornita ampia documentazione al riguardo. Soggiunge che, in ogni caso, nulla la CTR ha argomentato in ordine al disegno fraudolento sotteso alla fattura soggettivamente inesistente e di cui la ricorrente avrebbe dovuto avvedersi secondo l’ordinaria diligenza.

5. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi tra loro e vanno accolti.

5.1 Va precisato che costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. Come da ultimo precisato da questa Corte, “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. 25456 del 2018; n. 26766 del 2020).

5.2 Tanto premesso, in punto di operazioni soggettivamente inesistenti, è stato affermato che “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (cfr. Cass., V, n. 27566/2018).

5.3 Va inoltre ricordato che “In virtù del principio iura novit curia (art. 113 cod. proc. civ.), il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame” (cfr. Cass., V, n. 33952/2019).

6. Nella fattispecie in esame la CTR, nel qualificare l’operazione e la fattura come soggettivamente inesistenti, non ha dato conto di alcuno degli elementi della fattispecie concreta, né sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione in ordine all’oggettiva fittizietà del cedente e alla consapevolezza da parte del contribuente del meccanismo fraudolento né sotto quello dell’onere della prova a contrario a carico di quest’ultimo, che – senza indicare previamente se e in quali termini l’Ufficio avesse assolto all’onere probatorio a proprio carico – ha ritenuto apoditticamente non assolto.

7. Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 18, co. 1, e 19, co. 1, D.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 167 e 168 della Direttiva 2006/112/CE in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

7.1 In sintesi lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha avvallato la ripresa a tassazione ai fini IVA giacché, di tal via, ha di fatto annullato il principio di neutralità dell’IVA avendo la ricorrente già versato l’IVA a Dream Engine 2 s.r.l. e da questa poi corrisposta all’Erario, che nulla aveva contestato sul punto in giudizio.

8. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

9. Con il quarto motivo la società ricorrente prospetta la nullità della sentenza e l’error in procedendo per violazione dell’art. 346 c.p.c. e dell’art. 56 D.Lgs. n. 546/1992 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. 9.1 Segnatamente critica la sentenza impugnata nella parte in cui la CTR ha ritenuto inammissibile la devoluzione al giudice d’appello delle eccezioni pregiudiziali rimaste assorbite all’esito del giudizio di primo grado mediante il mero rinvio agli atti del primo grado sia perché le stesse erano chiaramente desumibili dagli atti di causa sia perché, e a tutto voler concedere, la riproposizione può avvenire con qualsiasi forma idonea a sottoporre la questione al Giudice d’appello.

10. Il motivo è infondato.

In materia questa Corte ha già affermato che “Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado (Cass., Sez. U., 21 marzo 2019, n. 7940). È stato, inoltre, precisato che, in mancanza di una norma specifica sulla forma con la quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea a evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse (Cass., 11 maggio 2009, n. 10796; Cass., 20 agosto 2004, n. 16360); tale riproposizione, tuttavia, seppur libera da forme, dev’essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (Cass., 15 ottobre 2020, n. 22311)” (Cfr. Cass. T, n. 10993/2023).

Il motivo va pertanto disatteso.

11. Con l’ultimo motivo la società ricorrente prospetta censura sull’applicabilità dello ius superveniens e del favor rei con riguardo alle sanzioni irrogate nell’accertamento di che trattasi. E ciò sia per l’ipotesi di reiezione del presente ricorso, sia per l’ipotesi di suo accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio al giudice di 2° grado. 11.1 In particolare ritiene doverosa la cassazione della sentenza sotto il profilo delle sanzioni, dovendo trovare applicazione lo ius superveniens introdotto dall’art. 15, co. 1, lett. a), e) e f) e dell’art. 3, co. 3, D.Lgs. n. 472/1997 a far data dal 1° gennaio 2016. Afferma infatti che le sanzioni non debbono più essere comminate nella misura pari al 100% del minimo edittale ma nella misura che va dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta.

12. Va dato atto che è stata ridisciplinata la materia delle sanzioni a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 158/20215, sicché la controversia va rimessa alla Corte di merito per la valutazione in ordine alla eventuale applicabilità alla fattispecie in esame della novella e per la concreta rideterminazione della sanzione – Cfr. Cass. n. 4960/2017).

13. In conclusione, vanno accolti i primi due motivi ed il quinto motivo di ricorso mentre il terzo va dichiarato assorbito, il quarto rigettato. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla competente Corte di giustizia tributaria di secondo grado che provvederà a nuova valutazione delle questioni di merito, fornendo adeguata e congrua motivazione, nonché alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi di ricorso primo, secondo e quinto, mentre dichiara assorbito il terzo ed infondato il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 09 gennaio 2024

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