CASSAZIONE EUROPA

La mancata iscrizione al VIES non prova l’inesistenza della cessione intra Ue

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10006 del 24 aprile 2018, ha confermato che l’assenza di iscrizione al VIES (Sistema elettronico di scambio di dati sull’IVA) del cessionario, non determina il venir meno dell’effettività della cessione intracomunitaria e il corrispondente regime di non imponibilità IVA, fatto salvo il caso di una consapevole partecipazione ad una frode tributaria.

La Corte di Cassazione, allineandosi peraltro a quanto affermato dalla Corte Ue il 9 febbraio 2017, causa C-21/16, ha così respinto nel punto, l’ultimo, in ordine di tempo, ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate.

I giudici del Palazzaccio, partendo dalla ripartizione dell’onere della prova in caso di contestazione di fatture inesistenti, hanno voluto ribadire che l’assenza di requisiti formali, come la non iscrizione al VIES, non rappresenta di per sè un ostacolo per l’applicazione del regime di non imponibilità IVA in caso di cessioni intracomunitarie.

In Italia il punto in questione, però, è stato lungamente dibattuto.

La dichiarazione con la quale i contribuenti manifestano la volontà di effettuare operazioni intra Ue è disciplinata dall’art. 35, DPR n. 633/72, e l’interpretazione della norma da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 1/8/2011, n. 39/E, ma anche con la Risoluzione 27/4/2012, n. 42/E, sembrava negare il dispositivo della sentenza dei giudici europei in quanto l’Amministrazione finanziaria italiana, nelle cessioni intra Ue, sembra privilegiare la forma sulla sostanza.

Difatti, secondo quanto stabilito dalla Corte, ai fini della realizzazione di una cessione intracomunitaria, sono necessarie esclusivamente le condizioni sostanziali previste dalla normativa di riferimento, mentre l’iscrizione al VIES del soggetto passivo comunitario non risulta rilevante ma rappresenta solamente un requisito “formale”. Quello che conta, in buona sostanza, è la condizione sostanziale, e uno dei requisiti sostanziali è appunto rappresentato proprio dal trasferimento fisico del bene da uno Stato membro all’altro.

Merita a proposito evidenziare che la Corte di Cassazione, nelle sentenze 29/7/2014, n. 17254, n. 15639 del 24/7/2015 e con l’Ordinanza n. 14369 dell’8/6/2017, aveva peraltro già riconosciuto la non imponibilità di una cessione intra Ue anche se risultava l’assenza, nella fattura, del corretto numero identificativo dell’acquirente.

In breve, tornando alle motivazioni espresse con la risoluzione 27/7/2012, n.42/E, l’Amministrazione finanziaria, analizzando le conseguenze della mancata iscrizione al VIES dei soggetti passivi che effettuavano operazioni intracomunitarie introduceva, a partire dal 31/5/2010 (data di entrata in vigore del D.L. 78/2010), l’obbligo di iscrizione alla banca dati VIES di tutti i contribuenti intenzionati a operare in ambito intracomunitario.

È bene evidenziare, in proposito, che è sempre stata determinante la data in cui prende effettivamente corpo l’acquisto e i tempi di comunicazione, e quelli di autorizzazione non sono stati mai allineati, creando un vulnus sostanziale per l’operatore.

Al momento della richiesta non avviene l’automatica assegnazione della partita IVA comunitaria e sono necessari infatti 30 giorni perché l’Agenzia delle Entrate analizzi lo status del contribuente, riconoscendo requisiti di affidabilità, perfezioni la procedura tramite il silenzio assenso.

Senza iscrizione al VIES, l’acquisto effettuato da una ditta italiana in un altro Stato Ue non poteva essere considerato una transazione intracomunitaria esente dall’imposta sul valore aggiunto. Di conseguenza, non risulta applicabile il regime del reverse charge.

Nel caso in esame, basato sulla contestata effettività delle operazioni intracomunitarie legate a un’impresa spagnola non iscritta al registro VIES, il Fisco notificava ad una S.a.s. avviso di accertamento nel quale si contestava IVA ritenuta indetraibile.

La pretesa erariale si basava sul fatto che la società avrebbe contabilizzato fatture inesistenti per operazioni intracomunitarie, emesse da due fornitori ritenuti al riguardo delle mere cartiere per le frodi “carosello”.

Presentato ricorso, lo stesso veniva accolto dalla CTP, con decisione confermata dalla CTR. Quest’ultima, da un lato riteneva l’atto impositivo scarsamente motivato, dall’altro che la contribuente avesse fornito la prova, attraverso la documentazione prodotta, che i soggetti emittenti le fatture contestate fossero in realtà esistenti e operanti.

La pronuncia era contestata dall’Agenzia delle Entrate, eccependo un vizio di motivazione della sentenza e sostanzialmente il fatto di aver dimostrato la qualifica di cartiere dei fornitori.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, la mancata iscrizione al VIES non è un ostacolo per l’applicazione del regime di non imponibilità IVA e “… Ora, va richiamata la recente giurisprudenza unionale, secondo cu la mancata iscrizione al Vies non costituisce un ostacolo per l’applicazione del regime di non imponibilità iva nell’ambito delle cessioni intracomunitarie, salvo si tratti di casi di frode (Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 febbraio 2017, causa C-21/16). Al riguardo, la Corte unionale considera necessarie, ai fini della realizzazione di una cessione intracomunitaria, esclusivamente le condizioni sostanziali (previste dall’art. 138, par. 1, della direttiva 2006/112/CE; in riferimento all’art. 41, co. 1 del d.l. n.331/93 a livello nazionale) relegando alla posizione di requisito “formale” non rilevante l’iscrizione al Víes del soggetto passivo iva comunitario. Secondo l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, in presenza dei requisiti sostanziali contemplati elencati, la detassazione di un’operazione intracomunitaria può essere messa in discussione nei soli casi previsti (se il cedente abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale, e nel caso in cui la violazione del requisito formale dell’iscrizione al Vies abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa della sussistenza dei requisiti sostanziali). Nel caso concreto, dunque, la mancata iscrizione dell’impresa spagnola cessionaria in tale registro Vies non poteva costituire indizio dell’inesistenza dell’operazione di cessione, non essendo stata allegata l’insussistenza delle suddette condizioni sostanziali richieste dalla normativa unionale”.

 

Corte di Cassazione Ordinanza 24 aprile 2018, n. 10006

Sul ricorso n. 13694/12, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore p.t., rappres. e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n.12;

RICORRENTE

CONTRO

Diff. O. di D’A. P. & C. s.a.s., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in Roma, alla p.zza Cavour n.17, presso l’avv. Ferdinando Barucco, che la rappres. e difende unitamente all’avv. Mario Ciancio, con procura speciale a margine del controricorso;

CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza n. 422/17/2011 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 2/12/2011;

udita la relazione del consigliere, dott. Rosario Caiazzo, in camera di consiglio.

RILEVATO CHE

La Diff. O. s.a.s. impugnò un avviso d’accertamento che recuperò a tassazione maggiore iva in ordine ad alcune fatture relative ad operazioni inesistenti in quanto riferite ad imprese risultate non operanti; l’ufficio si costituì resistendo al ricorso.

La Ctp accolse il ricorso;

l’ufficio propose appello rigettato dalla Ctr in quanto, premesso che l’avviso impugnato era scarsamente motivato, era stato dimostrato che le imprese che avevano emesso le fatture contestate erano esistenti ed operanti, come desumibile dalla documentazione acquisita.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste la società e i due soci, con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO CHE

Con il primo motivo è stata denunziata insufficiente e omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo afferente alla ritenuta esistenza delle operazioni, oggetto delle fatture contestate emesse dalla ditta F. P. P. di P.G. avendo la Ctr affermato che le stesse operazioni erano da considerare effettive sulla base della documentata iscrizione nel registro delle imprese che, di per sé, non aveva efficacia probatoria della dedotta omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali.

Con il secondo motivo è stata denunziata la violazione dell’art. 2697 c.c., non avendo la Ctr applicato correttamente le norme sull’onere probatorio.

Con il terzo motivo è stato denunziato il vizio di motivazione in ordine alla ratio decidendi relativa alla cessione intracomunitaria dell’impresa spagnola N., poiché i documenti esaminati dalla Ctr non dimostravano l’effettività della stessa cessione.

Con il quarto motivo è stata ancora dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c. e la falsa applicazione delle norme in tema di disconoscimento delle visure camerali e dei presupposti della querela di falso.

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni d’inammissibilità poiché il ricorso è autosufficiente, indicando con sufficiente chiarezza i fatti di causa e i vizi lamentati.

I primi due motivi, da trattare congiuntamente poiché tra loro connessi, sono da accogliere.

La Ctr non ha adeguatamente motivato circa la prova dell’effettiva esistenza ed operatività delle due imprese che hanno emesso le fatture, rispettivamente, per le operazioni relative ai lavori eseguiti dalla ditta F. P. P. di P.G., ed alle cessioni alla N. E.

La sentenza impugnata non è correttamente motivata, sulla base della sola iscrizione delle Diff. O. s.a.s nel registro delle imprese, se si considera la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali e l’insussistenza di attività commerciali a suo nome, come desumibile dall’avviso d’accertamento.

Sussiste altresì la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto l’ufficio aveva dimostrato, attraverso le informazioni acquisite dal comune di Soverato e sulla base della mancanza delle dichiarazioni dei redditi, il carattere di mera “cartiera” della Diff. O. s.a.s., mentre gravava sul contribuente l’onere di provare la reale esecuzione delle operazioni.

Al riguardo, occorre richiamare la costante giurisprudenza della Corte secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che dette operazioni, in realtà, non sono state effettuate, mentre, in presenza di siffatta prova, spetta al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili. (Cass. n. 25775/14).

Il terzo motivo è parimenti fondato.

Sussiste il vizio di motivazione in quanto la Ctr ha indicato genericamente l’ulteriore documentazione rilasciata dall’Agenzia tributaria spagnola che avrebbe dimostrato l’effettiva operazione intracomunitaria, senza specificare i documenti prodotti. Infine, il quarto motivo è infondato.

Al riguardo, l’Agenzia ricorrente aveva contestato l’effettività dell’operazione intracomunitaria poiché l’impresa spagnola non era iscritta nel registro Vies.

Ora, va richiamata la recente giurisprudenza unionale, secondo cu la mancata iscrizione al Vies non costituisce un ostacolo per l’applicazione del regime di non imponibilità iva nell’ambito delle cessioni intracomunitarie, salvo si tratti di casi di frode (Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 febbraio 2017, causa C-21/16).

Al riguardo, la Corte unionale considera necessarie, ai fini della realizzazione di una cessione intracomunitaria, esclusivamente le condizioni sostanziali (previste dall’art. 138, par. 1, della direttiva 2006/112/CE; in riferimento all’art. 41, co. 1 del d.l. n. 331/93 a livello nazionale) relegando alla posizione di requisito “formale” non rilevante l’iscrizione al Víes del soggetto passivo iva comunitario.

Secondo l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, in presenza dei requisiti sostanziali contemplati elencati, la detassazione di un’operazione intracomunitaria può essere messa in discussione nei soli casi previsti (se il cedente abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale, e nel caso in cui la violazione del requisito formale dell’iscrizione al Vies abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa della sussistenza dei requisiti sostanziali).

Nel caso concreto, dunque, la mancata iscrizione dell’impresa spagnola cessionaria in tale registro Vies non poteva costituire indizio dell’inesistenza dell’operazione di cessione, non essendo stata allegata l’insussistenza delle suddette condizioni sostanziali richieste dalla normativa unionale. Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Ctr, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso e rigetta il quarto. Rinvia alla Ctr della Campania, in diversa composizione, anche per le spese.

 

 

 

 

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