La mancata iscrizione al VIES non impedisce l’esecuzione di operazioni intracomunitarie
Tributi – IVA – Scambi intracomunitari – Esenzione soggetto passivo – Art. 38, D.l. 331/1993 – Non iscrizione VIES – Avviso di accertamento – Prevalenza indirizzo sostanzialista – Giurisprudenza Corte di Giustizia Ue – Obbligatorietà iscrizione al VIES dal 2020 – Condizioni sostanziali – Sussiste
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7404 del 20 marzo 2025, intervenendo sulla correttezza di alcune cessioni intracomunitarie avvenute senza l’iscrizione al registro VIES, ha confermato l’interpretazione sostanzialista della non imponibilità IVA, che privilegia una visione concreta e non formale delle transazioni economiche, salvo che non riguardino casi di frode, non precludendo così lo svolgimento delle operazioni intracomunitarie.
In proposito oggi viene sottolineato dai Supremi Giudici quanto affermato recentemente dalla stessa Suprema Corte in un caso simile: “… In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale, che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, sempre che la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di Giurisprudenza soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 12822 del 2021). Comunque va anche ricordata la interpretazione dell’Agenzia delle entrate, che con risposta a interpello n. 230 del primo marzo 2023, riteneva la comunicazione da parte del cessionario comunitario di un numero di identificazione IVA valido come condizione effettiva per l’applicazione della non imponibilità di un’operazione. La condizione di iscrizione al Vies, per effetto dell’articolo 41, comma 2-ter, Dl 331/1993 (inserito in attuazione dell’articolo 138 della Direttiva IVA), assumeva pertanto un effetto sostanziale per poter qualificare la cessione intracomunitaria quale operazione non imponibile ai fini IVA in Italia. La diversa interpretazione dell’Agenzia delle entrate si cristallizzava essenzialmente nel riprendere pedissequamente il quadro normativo, che definisce solo formalmente le condizioni di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie. In particolare, evidenziava quanto previsto dall’articolo 41, comma 2-ter, del Dl 331/1993 (in attuazione della direttiva IVA) secondo cui:“… Le cessioni di cui al comma 1, lettera a), e al comma 2, lettera c), costituiscono cessioni non imponibili a condizione che i cessionari abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito da un altro Stato membro (enfasi aggiunta) e che il cedente abbia compilato l’elenco di cui all’articolo 50, comma 6, o abbia debitamente giustificato l’incompleta o mancata compilazione dello stesso”.
In sostanza, secondo quanto oggi affermato dagli Ermellini, che hanno respinto il ricorso proposto dalle Entrate, le cessioni intracomunitarie non sono imponibili IVA anche se l’operatore viene inserito nel registro VIES dopo averle effettuate, ricordando a ulteriore conferma un precedente principio di diritto che recitava: “… In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale, che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, sempre che la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di Giurisprudenza soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode”(Cass. n. 25651/2018).
Ricordiamo che con l’acronimo VIES intende Vat Information Exchange System, ovvero il Sistema di scambio di informazioni sull’IVA: un sistema elettronico utilizzato nell’Unione europea per il controllo della validità delle partite IVA intracomunitarie nei rapporti commerciali tra imprese di diversi Stati membri, che è stato concepito essenzialmente per la verifica delle partite IVA e che consente alle aziende di controllare se un cliente o un fornitore in un altro Stato membro è registrato ai fini IVA e, quindi, può effettuare operazioni intracomunitarie senza l’applicazione dell’imposta nel paese di origine, che aiuta le autorità fiscali degli Stati membri a contrastare frodi come il c.d. carosello IVA. Tutto ciò serve anche per garantire che le operazioni tra imprese registrate siano conformi alle normative IVA dell’Unione europea. Tuttavia, la mancata iscrizione dell’impresa cessionaria nel registro VIES non rappresenta, di per sé, una prova dell’inesistenza dell’operazione. La Corte di Giustizia dell’Unione europea, proprio in questo specifico, ha più volte chiarito che la sostanza economica dell’operazione prevale sugli aspetti formali. L’amministrazione fiscale può comunque considerare la mancata iscrizione come un elemento indiziario nell’ambito di una valutazione più ampia, soprattutto se vi sono altri elementi che fanno sospettare un’operazione fraudolenta o inesistente. In ogni caso, se l’operazione è reale e correttamente documentata, il contribuente può difendersi dimostrando la buona fede e la sostanza economica della transazione. Di conseguenza, come è stato indicato anche dalla stessa Suprema Corte, è stato affermato che “… In tema di cessioni intracomunitarie, la mancata iscrizione dell’impresa cessionaria nel registro “Vies” non costituisce indizio della inesistenza dell’operazione poiché, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 9 febbraio 2017, causa C – 21/16), ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità dell’IVA, rilevano esclusivamente le condizioni sostanziali, salvo i casi di frode” (Cass. n. 10006/2018).
Però, per la giurisprudenza anche unionale, l’iscrizione al VIES del soggetto passivo IVA non è decisiva per l’applicazione della non imponibilità, sempre che ne siano soddisfatte le condizioni essenziali sostanziali. Queste ultime si concretano nei presupposti che cedente e cessionario siano soggetti passivi IVA, che il bene sia fuoriuscito e sia nella disponibilità del cessionario.
In base a tale indirizzo, derivato dalla sentenza C-21/16 del 9 febbraio 2017 della Corte di Giustizia Ue, la CTR abruzzese aveva rigettato l’appello dell’ufficio e confermato l’esito del primo grado. Secondo i giudici, infatti, ai sensi degli articoli 131 e 138 della direttiva 2006/112/CE, l’amministrazione tributaria non può negare l’esenzione dall’imposta di una cessione intracomunitaria per il solo motivo che l’acquirente, domiciliato sul territorio dello Stato membro di destinazione e titolare di un numero di identificazione valido per le operazioni in tale Stato, non è iscritto al VIES e non è assoggettato a un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari.
Tanto premesso e tornando alla vicenda odierna, l’Agenzia delle entrate, con un avviso di accertamento mirato a recuperare importi fiscali, aveva contestato alla contribuente di aver computato in detrazione, alla stregua di acquisti intracomunitari, operazioni effettuate fra l’1 gennaio 2011 e il 20 ottobre 2011 con soggetti di nazionalità francese e tedesca, ancorché non rivestisse in detto periodo lo status di operatore intracomunitario, essendo stata inclusa nell’archivio telematico VIES soltanto a decorrere dal 20 ottobre 2011.
La parte contribuente, rivoltasi alla giustizia tributaria, vedeva il proprio ricorso accolto dalla CTP e dalla CTR, che rigettava il successivo appello erariale. In Cassazione, l’Agenzia delle entrate presentava l’unico motivo di ricorso denunciando, essenzialmente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 35, co. 15–quater, DPR 633/1972 e per avere la CTR erroneamente considerato intracomunitarie operazioni prive della preventiva autorizzazione rilasciata dalle Entrate e dell’inclusione nell’archivio VIES del soggetto richiedente. La Corte ha ritenuto il motivo infondato e ha affermato, invece, che “… Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 35, co. 15 – quater D.P.R. n. 533 del 1972, dei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2010, n. 188376 e del 12 giugno 2017, n. 110418, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente considerato intracomunitarie operazioni prive della preventiva autorizzazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e dell’inclusione nell’archivio VIES del soggetto richiedente. Il motivo è infondato. Non rileva la violazione meramente formale relativa alla mancata allegazione di copia fotostatica di un documento di identificazione del richiedente, né l’inclusione nel registro VIES dell’operatore. Questa Corte ha affermato condivisibilmente che “In tema di cessioni intracomunitarie, la mancata iscrizione dell’impresa cessionaria nel registro “Vies” non costituisce indizio della inesistenza dell’operazione poiché, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 9 febbraio 2017, causa C – 21/16), ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità dell’IVA, rilevano esclusivamente le condizioni sostanziali, salvo i casi di frode” (Cass. n. 10006 del 2018). La Corte nomofilattica ha soggiunto efficacemente che “In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale che non indice sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, quando la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 25651 del 2018). L’assetto dei principi è completato dal principio di recente affermazione, al lume del quale “In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale, che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, sempre che la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di Giurisprudenza soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 12822 del 2021). Il giudice di secondo grado si è posto sulla scia dell’orientamento nomofilattico, il che postula il rigetto del ricorso”.
Corte di Cassazione – Ordinanza 20 marzo 2025, n. 7404
sul ricorso iscritto al n.5865/2021 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro A. I. SRL
– intimato –
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 4217/ 06/ 2020 depositata il 23/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere SALVATORE LEUZZI.
Fatti di causa
L’Agenzia notificava ad A. I. Srl un avviso di accertamento mirato a recuperare importi fiscali, contestando alla contribuente di aver computato in detrazione, alla stregua di acquisti intracomunitari ex art. 38 d.l. n. 331 del 1993, operazioni effettuate fra l’1 gennaio 2011 e il 20 ottobre 2011 con soggetti di nazionalità francese e tedesca, ancorché non rivestisse in detto periodo lo status di operatore intracomunitario, essendo stata inclusa nell’archivio telematico VIES soltanto a decorrere dalla predetta data del 20 ottobre 2011.
La CTP di Ragusa accoglieva il ricorso della contribuente.
La CTR della Sicilia ha rigettato il successivo appello erariale.
L’Agenzia affida ora il proprio ricorso per cassazione a un solo motivo.
La contribuente è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 35, co. 15 – quater D.P.R. n. 533 del 1972, dei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 dicembre 2010, n. 188376 e del 12 giugno 2017, n. 110418, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente considerato intracomunitarie operazioni prive della preventiva autorizzazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e dell’inclusione nell’archivio VIES del soggetto richiedente.
Il motivo è infondato.
Non rileva la violazione meramente formale relativa alla mancata allegazione di copia fotostatica di un documento di identificazione del richiedente, né l’inclusione nel registro VIES dell’operatore.
Questa Corte ha affermato condivisibilmente che “In tema di cessioni intracomunitarie, la mancata iscrizione dell’impresa cessionaria nel registro “Vies” non costituisce indizio della inesistenza dell’operazione poiché, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 9 febbraio 2017, causa C – 21/16), ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità dell’IVA, rilevano esclusivamente le condizioni sostanziali, salvo i casi di frode” (Cass. n. 10006 del 2018).
La Corte nomofilattica ha soggiunto efficacemente che “… In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale che non indice sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, quando la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 25651 del 2018).
L’assetto dei principi è completato dal principio di recente affermazione, al lume del quale “In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale, che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, sempre che la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di Giurisprudenza soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode” (Cass. n. 12822 del 2021).
Il giudice di secondo grado si è posto sulla scia dell’orientamento nomofilattico, il che postula il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025