La mancata impugnazione dell’intimazione di pagamento rende legittimo il pignoramento
Tributi – Accertamento – Intimazione di pagamento -Art. 50, comma 2, DPR 602/73 – Non impugnata – Cartella – Pignoramento – Legittimità
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6436 dell’11 marzo 2025 ha fornito chiarimenti sulla qualificazione dell’intimazione di pagamento, modificando l’attuale orientamento giurisprudenziale e stabilendo che
l’intimazione di pagamento emessa dall’agente della riscossione (in base all’art. 50, comma 2, DPR 602/1973) è un atto riconducibile agli atti tipizzati impugnabili in via autonoma davanti al giudice tributario (di cui all’art. 19 D.lgs 546/92), in quanto equiparabile all’avviso di mora. Al riguardo i Supremi Giudici hanno fornito un netto principio di diritto che così recita: “… In tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 DPR 29 settembre 1973 n. 602, in quanto equiparabile all’avviso di mora di cui al precedente articolo 46 DPR citato, è impugnabile autonomamente ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 546 del 1992, sicché la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione”.
In definitiva, se alla ricezione dell’intimazione il contribuente non contesta tempestivamente l’intervenuta prescrizione del debito tributario, la pretesa si consolida e l’eccezione di prescrizione diventa inammissibile. Quindi l’intimazione di pagamento, proprio perché possiede una propria capacità lesiva nei confronti del contribuente, è da considerarsi come un atto propedeutico all’esecuzione forzata e rappresenta un avviso formale al debitore, con cui l’agente della riscossione lo invita a pagare il debito residuo entro 5 giorni, pena l’avvio di azioni esecutive come pignoramenti o ipoteche.
Nonostante derivi da una cartella esattoriale, l’intimazione di pagamento non si limita a un mero richiamo del debito già accertato, ma è un atto con effetti propri; in caso di contestazioni sulla legittimità del titolo esecutivo o sulla prescrizione del credito, il contribuente ha interesse a impugnarlo.
Il D.lgs. 546/1992 detta una serie di regole che indubbiamente incidono profondamente sulla natura del processo tributario, segnandone il carattere impugnatorio. Il “cuore” della norma è costituito dall’art. 19, commi 1 e 3, in combinato disposto con il successivo art. 21, del medesimo decreto, nella parte in cui il legislatore dispone la disciplina degli atti impugnabili e dei termini entro cui proporre l’impugnazione a pena di decadenza: in particolare, viene posta una basilare distinzione tra “atti autonomamente impugnabili” e “atti diversi” che non sarebbero direttamente impugnabili al momento della loro notificazione o della loro conoscenza, ma impugnabili insieme al primo atto successivo autonomamente impugnabile al momento della sua notifica, secondo un modello di “tutela differita”.
Anche gli atti “tipizzati” sono impugnabili solo “per vizi propri”. Comunque, a salvaguardia della tutela giurisdizionale, la norma dispone che la “… mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’ impugnazione unitamente a quest’ultimo e che l’eventuale mancata impugnazione insieme al primo atto utile dovrebbe determinare situazioni di incontrovertibilità, secondo la regola dell’impugnazione “per vizi propri” (v. Cass., Sent. n.26283/2022 e, in senso avverso, Cass. Sent. n. 20735/2018 e Cass., n. 26185/2019). Inoltre, la mancata, tardiva o carente impugnazione determina le definitività anche parziale, dell’atto o delle situazioni non contestate.
L’evoluzione giurisprudenziale in materia di contenzioso tributario ha riguardato anche l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 del citato decreto 546, indicandolo come una mera facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (Cass. Ord. n. 26129/2017, Cass. Ord. n. 14675/2016 e Cass. Ord. n. 14045/2017). Gli atti, pertanto, detti facoltativamente impugnabili, sono quelli non elencati nell’art 19 del D.lgs. 546/92, dove le regole applicabili a tale categoria di atti possono quindi essere così riepilogate, iniziando dall’atto dell’Amministrazione finanziaria che contiene una pretesa impositiva sostanzialmente individuata o comunque individuabile, in ragione degli effetti dell’atto (come nel caso degli interpelli o pareri disapplicativi) che è facoltativamente impugnabile. L’atto facoltativamente impugnabile, però, non potrà più essere impugnato autonomamente, al momento della notifica di un successivo atto “tipizzato” in relazione al quale sussisterebbe un onere di impugnazione anche in pendenza del giudizio sull’atto facoltativamente impugnabile, giudizio che si concluderà, quindi, con una pronuncia di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse.
Al riguardo esiste una copiosa giurisprudenza più recente, che fa risalire tale interpretazione alla pronunzia n. 7344/2012, poi ribadita in Cass., n. 30691/2021 e, soprattutto, nella n. 30736/2021 e affermato anche da Cass. n. 13207/2024, Cass. n. 14771/2024 e Cass., n. 17300/2024.
Scrivevano al tempo i Supremi Giudici: “ … Va, quindi, riconosciuta la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa Tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit. atteso l’indubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione di quella notizia, dell’interesse (art. 100 c.p.c. ) a chiarire, con pronuncia idonea ad acquistare effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale – ormai, allo stato, esclusiva del giudice tributario – comunque di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass., SS.UU., 27. 3.2007 n. 7388). Si deve, quindi, riconoscere la ricorribilità di provvedimenti davanti al giudice tributario ogni qual volta vi sia un collegamento tra atti della Amministrazione e rapporto tributario, nel senso che tali provvedimenti devono essere idonei ad incidere sul rapporto tributario, dovendosi ritenere possibile una interpretazione non solo estensiva ed anche analogica della categoria degli atti impugnabili previsti dall’art. 19 DLgs. 546/92”( Cass. Sent. n.7344/2012).
Da tale ricostruzione si deduce, dunque, che le regole dettate dall’art. 19, D.lgs. 546/1992, nascono con la funzione di semplificare l’indagine preliminare del giudice prima di pronunciarsi sul merito della causa, quindi la mera esistenza di un atto impugnabile, in osservanza alle regole dettate per la sua impugnazione, rappresenta una condizione necessaria ma anche sufficiente per l’ammissibilità del ricorso.
Questa premessa trova fondamento anche in altre pronunce della Cassazione, tra cui si evidenziano quelle che confermano la possibilità di contestare l’intimazione quando l’atto presupposto non è mai stato notificato o risulta affetto da nullità. Le pronunce segnalate evidenziavano comunque i limiti dell’impugnazione delle intimazioni di pagamento, dove la Suprema Corte sottolineava che tali atti potevano essere contestati solo per vizi propri e non per vizi derivanti dagli atti presupposti non impugnati nei termini previsti.
Al riguardo si segnala che nella scorsa primavera, fra aprile e maggio 2024, gli Ermellini sono intervenuti sulla materia con due ordinanze, dettando due principi almeno in apparenza radicalmente opposti.
Da una parte, si affermava che non vi è l’onere di impugnare anche i successivi atti della riscossione laddove siano stati impugnati gli atti presupposti, dato che l’accoglimento del primo ricorso travolge anche gli atti successivi in rapporto di dipendenza con i primi.
Dall’altra, si statuisce che in caso di notificazione del ruolo e della cartella di pagamento, la sola impugnazione del ruolo richiede anche la dimostrazione di uno specifico interesse ad agire da parte del contribuente, dato che, diversamente, la mancata impugnazione anche della cartella consolida la pretesa in essa rassegnata con conseguente inammissibilità del ricorso.
Nello specifico, l’ordinanza n. 13207/2024 avverte che, in caso di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo presupposto, non vi è l’onere di impugnare la successiva ingiunzione di pagamento dato che quest’ultima, in quanto atto della riscossione, “perde il proprio fondamento” in esito all’accoglimento del primo ricorso e con riferimento generale al rapporto esistente tra gli atti attuativi del tributo. Nel documento si legge, infatti, che l’accoglimento del ricorso avente a oggetto l’atto impositivo “integra un fatto estintivo della pretesa tributaria necessariamente destinato a ripercuotersi sull’iscrizione a ruolo, che resta priva di titolo, e sulla cartella di pagamento che viene a mancare dell’obbligazione”. La precedente ordinanza, la n. 9991/2024, affermava invece il principio secondo cui è inammissibile l’impugnazione tempestiva del ruolo separatamente dalla relativa cartella di pagamento ritualmente notificata, difettando un concreto interesse ad agire del contribuente.
Peraltro, le stesse Sezioni unite, nell’ottobre dello stesso anno, affrontando la questione sollevata dalle precedenti pronunce sorta proprio sulla natura dell’intimazione di pagamento, ribadivano che il sollecito di pagamento ricevuto dal contribuente è certamente atto che precede l’esecuzione, potendo lo stesso essere assimilato, al di là della differenza di denominazione, all’avviso previsto dall’articolo 50 citato, avviso comunemente denominato “avviso di mora”, la cui impugnabilità davanti alle Commissione tributarie è esplicitamente prevista dall’articolo 19, comma 1, del D.lgs. 546/1992. Inoltre, i giudici delle Sezioni unite segnalano che l’intimazione di pagamento, impugnabile davanti al giudice tributario, non determina l’inizio dell’esecuzione forzata tributaria ma si pone a monte di essa, assolvendo così alla funzione di nuovo precetto, ed è assimilabile all’avviso previsto dall’art. 50, comma 2, del DPR 602/1973.
La giurisdizione tributaria si estende a ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo e si arresta unicamente di fronte agli atti dell’esecuzione tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso ex art. 50, DPR 602/1973 (Cassazione SSUU n. 26817/2024).
Al di là, quindi, della diversa denominazione dei singoli atti, è possibile ritenere che si deve aver riguardo alla funzione propria dell’atto, che, nella specie, è quello di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata. Del resto, l’impugnabilità dell’intimazione di pagamento dovrebbe garantire al contribuente la possibilità di difendersi prima che vengano avviate azioni esecutive, evitando così misure più gravi come pignoramenti o fermi amministrativi. L’intimazione di pagamento è, in definitiva, un atto autonomamente impugnabile perché non si limita a un semplice sollecito di pagamento, ma costituisce un passaggio determinante nell’ambito della riscossione coattiva, con potenziali effetti pregiudizievoli per il contribuente. Se alla ricezione dell’intimazione il contribuente non contesta tempestivamente l’intervenuta prescrizione del debito tributario, la pretesa si consolida e l’eccezione di prescrizione diventa inammissibile.
Si evidenzia, infine, che la pronuncia oggi in commento rappresenterebbe un cambio di orientamento della Suprema Corte, in quanto anche nel recente passato (v. Cass n. 16473/ 2024) il collegio di legittimità aveva invece ritenuto che l’intimazione non fosse equiparabile all’avviso di mora e, dunque, rientrasse tra gli atti solo facoltativamente impugnabili. Di conseguenza, l’eventuale mancata contestazione della stessa non determinava alcuna preclusione in capo al contribuente, in quanto in capo al contribuente sorgeva una facoltà e non un onere di impugnare.
Tanto premesso e tornando al caso di specie, un contribuente aveva impugnato un atto di pignoramento evidenziando l’intervenuta prescrizione del debito tributario rispetto alla data di notifica delle cartelle di pagamento: si rivolgeva, allora, alla giustizia tributaria, che respingeva in entrambi i gradi il ricorso della parte contribuente. Avverso l’ultima sentenza la società contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi, in cui essenzialmente rilevava, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2946 e 2948 cod. civ. e dell’art. 19, D.lgs. 546/1992, soprattutto nella parte in cui i giudici tributari avevano affermato che l’eccezione di prescrizione non fosse proponibile impugnando l’atto di pignoramento, in assenza di impugnazione dell’atto di intimazione di pagamento.
I Giudici della Cassazione hanno però giudicato infondato il motivo di ricorso, affermando che: “… 3.3.2. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’ art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche. È stata, in particolare, riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indicati (tra le più recenti, Cass. 09/12/2024, n. 31630). E’ pacifico pertanto che la mera facoltatività dell’impugnazione sussiste solo per gli atti non tipici. 3.3.3. L’art. 50 comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973, del quale si discute nell’odierna controversia, prevede che, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, la stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di < corrisponde al precedente di cui all’art. 46 d.P.R. cit. nella versione precedente. A tal fine basti considerare che il vecchio art. 46 – intestato – prevedeva che l’esattore prima di iniziare l’espropriazione forzata nei confronti del debitore moroso dovesse notificargli un avviso contenente l’indicazione del debito, distintamente per imposte, sopratasse, pene pecuniarie, interessi, indennità di mora e spese, e l’invito a pagare entro cinque giorni; che, dopo le modifiche di cui al d.l.gs. 26 febbraio 1999 n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) analoga disposizione si trova nell’attuale art. 50 – intestato lett. e) d.lgs. n. 546 del 1992. In questo senso, del resto, si sono espresse anche le Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez. U. 31/03/2008, n. 8279. Nello stesso senso Cass. 14/09/2022, n. 27093.) 3.3.4. Con riferimento all’intimazione di pagamento in generale – quale atto il cui scopo è quello di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata – questa Corte ha ribadito che si tratta di atti assimilati all’avviso di cui all’art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973 (cfr. tra le più recenti Cass. n. 22108 del 2024 cit.). Del resto, questa Corte ha già evidenziato che la questione sulla facoltatività o meno dell’impugnazione dell’atto non possa risolversi sulla scorta della mera formale dizione contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 545 del 1992, dovendosi guardare alla funzione intrinseca, analoga a quella propria di uno degli atti tipici ivi contemplati (cfr. Cass. 15/12/2021, n. 40233). Da ultimo, le Sezioni Unite, affrontando, se pure ai fini di statuizione della giurisdizione, la questione della natura dell’intimazione di pagamento, hanno ribadito denominazione dei singoli atti, deve aversi riguardo alla funzione propria dell’atto ovvero, nella specie, di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata. 3.3.5. Va data, pertanto, continuità alla giurisprudenza secondo la quale il meccanismo di cui all’art. 19, comma 3, ultimo periodo, d.Igs. n. 546 del 1992 (a mente del quale la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo), comporta che, se l’intimazione di pagamento nel senso sopra precisato – non viene impugnata (facendo valere la sua sola nullità per mancata notifica degli atti presupposti o anche l’illegittimità della pretesa per vicende ad essa attinenti, come la prescrizione della stessa), il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica (Cass., n. 22108 del 2024 cit., Cass. 22/04/2024, n. 10736). Va, viceversa, disatteso, il diverso ed isolato orientamento (fatto proprio, tra le più recenti, da Cass. 17/06/2024, n. 16743) che, facendo leva sul solo riferimento letterale, ritiene che l’avviso di intimazione, sebbene contenente l’esplicitazione di una ben definita pretesa tributaria, non sia un atto previsto tra quelli di cui all’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con conseguente facoltà e non obbligo di impugnazione. 3.3.6. Il contribuente, pertanto, ha l’onere d’impugnare l’avviso di intimazione per fare valere l’eventuale prescrizione dei crediti tributari maturati tra la data di notificazione delle cartelle di pagamento e quella di notificazione dell’avviso stesso; ugualmente deve ritenersi con riferimento alla cartella che si assume che nemmeno sia stata notificata. In altri termini l’eccezione di prescrizione, che si afferma maturata prima dell’intimazione di pagamento va fatta valere impugnando quest’ultima, restando preclusa, invece, in sede di impugnazione del successivo atto di pignoramento. 3.4. Va, pertanto, formulato il seguente principi di diritto: “ … In tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 d.P.R. 29 settembre 1973,n.602 del 1973, in quanto equiparabile all’avviso di mora. Di cui al precedente art.46 d.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art.19 comma 1 lett.e), dlgs 31 dicembre 1992 n.546, sicchè la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione”.
Corte di Cassazione – Sentenza 11 marzo 2025, n. 6436
sul ricorso iscritto al n. 18432/2022 R.G. proposto da:
(Omissis) S.R.L., rappresentata e difesa dagli Avv. (Omissis) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma in (Omissis)
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata ex lege,
– controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LAZIO N. 316/2022, depositata il 25 gennaio 2022;
udita la relazione svolta in pubblica udienza del 6 febbraio 2025 dal Consigliere Rosanna Angarano;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale Paola Filippi e sentito il Sostituto Procuratore Generale, Michele Di Mauro, che hanno chiesto entrambi l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo,
sentiti per ricorrente l’Avv.(Omissis) e per l’Agenzia delle entrate l’Avv. dello Stato Francesca D’Ambrosio
Fatti di causa
1. La s.r.l. ricorre nei confronti dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe.
Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Roma che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso spiegato avverso due pignoramenti di crediti – nn. (Omissis)- per un importo complessivo di euro 4.049.015,98, emessi, entrambi, anche a seguito di ventitrè cartelle di pagamento (su un totale di cinquanta) aventi ad oggetto crediti tributari e preceduti da intimazione ex art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973, notificata il 27 aprile 2016.
1.1. Con il ricorso originario, per quanto ancora rileva, la contribuente, con il primo motivo, sosteneva la nullità dei pignoramenti stante l’omessa o irregolare notifica delle cartelle.
Con il secondo motivo eccepiva la prescrizione dei crediti alla data della notifica dell’atto di pignoramento, stante l’omessa notifica delle cartelle di pagamento e delle intimazioni. Aggiungeva, tuttavia, che la prescrizione si era maturata per la maggior parte dei crediti fin dalla data di asserita notifica delle stesse.
Con il terzo motivo eccepiva l’illegittimità degli atti impugnati per omessa o illegittima notifica dell’avviso di intimazione.
1.2. La C.t.p. rigettava il ricorso ritenendo che le cartelle e l’intimazione di pagamento fossero state tutte regolarmente notificate e che la prescrizione non fosse maturata.
1.3. Avverso detta sentenza proponeva appello la contribuente la quale, per quanto ancora di rilievo, censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto validi i pignoramenti, nonostante non fosse stata data la prova della notifica dell’intimazione di pagamento (terzo motivo);
per aver ritenuto che i termini di prescrizione fossero stati interrotti da due istanze di rateazione (quarto motivo);
per aver ritenuto provata la notifica della cartella di pagamento n. (Omissis) (quinto motivo);
per non aver rilevato la prescrizione anche nell’ipotesi di legittima notificazione delle cartelle di pagamento alle data indicate dal concessionario (sesto motivo);
per aver ritenuto validamente provate le notificazioni effettuate con la pec, provate con fotocopie degli avvisi di ricevimento e consegna la cui conformità agli originali era stata inoltre disconosciuta ex art. 23 del d.lgs. n. 82/2005 (settimo motivo).
1.4. La C.t.r. rilevava che l’intimazione di pagamento risultava regolarmente notificata in data 27 aprile 2016. Quanto alla notifica delle cartelle confermava la sentenza di primo grado la quale aveva ritenuto provata la medesima, avvenuta a mezzo pec;
solo per la cartella n.(Omissis) riteneva fondato il quinto motivo di appello, non essendovi prova della relativa notifica.
Ciononostante, rigettava integralmente il ricorso.
Osservava che la decorrenza del termine di prescrizione doveva essere fatta valere allorquando erano state notificate le cartelle esattoriali le quali, invece, non erano sta te oggetto di alcuna impugnazione;
che la decorrenza del termine prescrizionale prima della notifica delle cartelle avrebbe dovuto essere sollevata impugnando le cartelle e successivamente l’intimazione di pagamento;
che dopo detta ultima, risalente al 27 aprile 2016, e dopo la notifica del pignoramento in data 10 giugno 2016, alcun termine di prescrizione era decorso;
che, per quanto riguardava la cartella n.(Omissis) non notificata, la prescrizione doveva essere eccepita impugnando l’intimazione di pagamento;
che il disconoscimento della documentazione comprovante la regolarità delle notifiche delle cartelle era generico.
2. Avverso detta sentenza la società contribuente frappone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, e l’Agenzia delle Entrate resiste a mezzo controricorso.
La contribuente depositava memoria.
3. Con ordinanza interlocutoria n. 26980 del 2024 questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo per trattazione in pubblica udienza mancando l’evidenza decisoria sulla questione se con riferimento all’intimazione di pagamento inclusa negli atti impugnabili laddove porti a conoscenza del contribuente una precisa e definitiva pretesa tributa ria – il contribuente abbia facoltà di impugnarla oppure onere di impugnarla, con conseguente preclusione della possibilità d’impugnazione con l’atto successivo.
4. L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2946 e 2948 cod. civ. e dell’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che l’eccezione di prescrizione non fosse proponibile impugnando l’atto di pignoramento, in assenza di impugnazione dell’atto di intimazione di pagamento.
2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 83 e dell’art. 2719 cod. civ. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto conformi le fotocopie delle attestazioni di accettazione e consegna delle PEC – con le quali sarebbero state notificate le cartelle di pagamento e le intimazioni di pagamento in assenza di attestazione di conformità da parte di pubblico ufficiale autorizzato e pur essendo state espressamente disconosciute.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. La C.t.r., con esclusione della cartella n.(Omissis) ha rigettato il motivo con il quale la contribuente aveva sostenuto che non vi era prova della notifica.
Di seguito, con riferimento a tutte le cartelle, ha sostenuto che la decorrenza del termine di prescrizione doveva essere fatta valere quando erano state notificate le cartelle e, successivamente, l’intimazione di pagamento;
che tra la notificazione di quest’ultima, in data 27 aprile 2016, e la notificazione dei due pignoramenti, in data 10 giugno 2016, non era maturato alcun termine di prescrizione.
На ribadito, infine, che, per la cartella per la quale non vi era prova della notifica la prescrizione avrebbe dovuto essere eccepita impugnando l’intimazione di pagamento.
Secondo la C.t.r., pertanto, la prescrizione maturata prima della notifica delle cartelle avrebbe dovuto farsi valere impugnando dette ultime;
la prescrizione maturata successivamente, così come la prescrizione in assenza di notifica della cartella, avrebbe dovuto farsi valere impugnando l’intimazione di pagamento.
3.2. La prima di dette statuizioni è corretta.
Infatti, in tema di contenzioso tributario, qualsiasi eccezione relativa a un atto impositivo divenuto definitivo, come quella di prescrizione del credito fiscale maturato precedentemente alla notifica di tale atto, è preclusa, secondo il fermo principio della non impugnabilità, se non per vizi propri, di un atto successivo ad altro divenuto definitivo perché rimasto incontestato (tra le più recenti Cass. 05/08/2024, n. 22108 che, a propria volta richiama numerosa giurisprudenza di legittimità conforme).
3.3. La seconda statuizione è anch’essa corretta se pure, come rilevato nella ordinanza interlocutoria, si registrano ordinanze di questa Corte di segno contrario.
3.3.1. Nella fattispecie in esame si discute, specificamente, dell’obbligatorietà o facoltatività dell’impugnazione dell’avviso di cui all’art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973 in ragione della sua riconducibilità o meno all’elenco di atti di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992.
3.3.2. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’ art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche. È stata, in particolare, riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit.
Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indicati (tra le più recenti, Cass. 09/12/2024, n. 31630). E’ pacifico pertanto che la mera facoltatività dell’impugnazione sussiste solo per gli atti non tipici.
3.3.3. L’art. 50 comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973, del quale si discute nell’odierna controversia, prevede che, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, la stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di < corrisponde al precedente di cui all’art. 46 d.P.R. cit. nella versione precedente.
A tal fine basti considerare che il vecchio art. 46 – intestato – prevedeva che l’esattore prima di iniziare l’espropriazione forzata nei confronti del debitore moroso dovesse notificargli un avviso contenente l’indicazione del debito, distintamente per imposte, sopratasse, pene pecuniarie, interessi, indennità di mora e spese, e l’invito a pagare entro cinque giorni; che, dopo le modifiche di cui al d.I.gs. 26 febbraio 1999 n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) analoga disposizione si trova nell’attuale art. 50 – intestato lett. e) d.lgs. n. 546 del 1992. In questo senso, del resto, si sono espresse anche le Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez. U. 31/03/2008, n. 8279. Nello stesso senso Cass. 14/09/2022, n. 27093.)
3.3.4. Con riferimento all’intimazione di pagamento in generale – quale atto il cui scopo è quello di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata – questa Corte ha ribadito che si tratta di atti assimilati all’avviso di cui all’art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973 (cfr. tra le più recenti Cass. n. 22108 del 2024 cit.). Del resto, questa Corte ha già evidenziato che la questione sulla facoltatività o meno dell’impugnazione dell’atto non possa risolversi sulla scorta della mera formale dizione contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 545 del 1992, dovendosi guardare alla funzione intrinseca, analoga a quella propria di uno degli atti tipici ivi contemplati (cfr. Cass. 15/12/2021, n. 40233).
Da ultimo, le Sezioni Unite, affrontando, se pure ai fini di statuizione della giurisdizione, la questione della natura dell’intimazione di pagamento, hanno ribadito denominazione dei singoli atti, deve aversi riguardo alla funzione propria dell’atto ovvero, nella specie, di invitare il contribuente al pagamento prima di dare avvio all’esecuzione forzata.
3.3.5. Va data, pertanto, continuità alla giurisprudenza secondo la quale il meccanismo di cui all’art. 19, comma 3, ultimo periodo, d.Igs. n. 546 del 1992 (a mente del quale la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo), comporta che, se l’intimazione di pagamento nel senso sopra precisato – non viene impugnata (facendo valere la sua sola nullità per mancata notifica degli atti presupposti o anche l’illegittimità della pretesa per vicende ad essa attinenti, come la prescrizione della stessa), il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica (Cass., n. 22108 del 2024 cit., Cass. 22/04/2024, n. 10736).
Va, viceversa, disatteso, il diverso ed isolato orientamento (fatto proprio, tra le più recenti, da Cass. 17/06/2024, n. 16743) che, facendo leva sul solo riferimento letterale, ritiene che l’avviso di intimazione, sebbene contenente l’esplicitazione di una ben definita pretesa tributaria, non sia un atto previsto tra quelli di cui all’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con conseguente facoltà e non obbligo di impugnazione.
3.3.6. Il contribuente, pertanto, ha l’onere d’impugnare l’avviso di intimazione per fare valere l’eventuale prescrizione dei crediti tributari maturati tra la data di notificazione delle cartelle di pagamento e quella di notificazione dell’avviso stesso;
ugualmente deve ritenersi con riferimento alla cartella che si assume che nemmeno sia stata notificata.
In altri termini l’eccezione di prescrizione, che si afferma maturata prima dell’intimazione di pagamento va fatta valere impugnando quest’ultima, restando preclusa, invece, in sede di impugnazione del successivo atto di pignoramento.
3.4. Va, pertanto, formulato il seguente principi di diritto: “ … In tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 d.P.R. 29 settembre 1973,n.602 del 1973, in quanto equiparabile all’avviso di mora. Di cui al precedente art.46 d.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art.19 comma 1 lett.e), dlgs 31 dicembre 1992 n.546, sicchè la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione”.
4. Il secondo motivo è infondato.
4.1. In virtù del disposto di cui all’art. 23, comma 1, d.lgs. n. 82 del 2005, la dichiarazione di conformità di un pubblico ufficiale – in qualunque caso e per qualunque tipologia di riproduzione, incluso il caso dell’originale unico e il caso della riproduzione informatica di documento analogico è idonea a garantire alla copia la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è tratta. In virtù del disposto di cui successivo comma 2, in assenza di dichiarazione di conformità, le copie conformi alla vigenti regole tecniche hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta.
4.2. Questa Corte, sul punto, ha chiarito che il disconoscimento ai sensi dell’art. 23, comma 2, cit. è da riportare all’ipotesi generale di cui all’art. 2712 cod. civ. (Cass. 06/03/2023, n. 6569).
Inoltre, in tema di disconoscimento, in genere, della conformità della copia all’originale, per giurisprudenza costante, occorre che, pur senza vincoli di forma, la contestazione venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni. Cass. 20/06/2019, n. 16557).
4.3. La C.t.r. si è attenuta a questi principi. Infatti, dopo aver espressamente riportato il testo dell’art. 23, comma 2, cit. – che, come detto, si riferisce alle copie su supporto analogico di documenti informatici prive dell’attestazione di conformità di cui al comma 1 – ha affermato che la contestazione della conformità all’originale del documento prodotto in copia non poteva avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma andava operata, a pena di inefficacia, in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intendeva contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisse dall’originale e doveva avvenire, sulla base dei principi sanciti rispetto alla norma codicistica, in modo chiaro ed espressamente riferito alla conformità tra copia ed originale.
Per l’effetto, ha concluso che, nel caso in esame, il disconoscimento fosse generico.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, delle spese di lite che liquida in euro 29.000,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bís del citato art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, 6 febbraio 2025