CASSAZIONE

La disponibilità del bene ai fini del sequestro preventivo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 167 dell’8 gennaio 2018 ritorna sull’annosa questione della legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente quando a esserne oggetto sia un bene nella “disponibilità” della persona indagata e, tuttavia, intestato a un terzo estraneo al reato, affermando che per l’applicazione del sequestro preventivo è necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della disponibilità dello stesso bene da parte dell’indagato.

Quindi, nel rispetto della copiosa giurisprudenza al riguardo, la S.C. afferma che è illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca su un bene intestato a soggetto diverso dall’indagato se non è provata l’intestazione fittizia: non è applicabile, infatti, alcuna presunzione poiché sono necessarie prove concrete sulla disponibilità.

Il Supremo Collegio, con riguardo a casi analoghi, era già stato chiamato a far chiarezza sull’ampiezza semantica da attribuire al termine “disponibilità”, onde ritener legittimi confisca di valore e prodromico sequestro preventivo, a fronte del divieto generale di provvedimenti ablativi in pregiudizio di persona estranea al reato sancito anche dall’art. 322-ter c.p. (vedi ex multis Cass. n. 6573 del 13 febbraio 2017): si deve intendere “la relazione effettuale con il bene, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà”.

Non si deve quindi cadere nella facile tentazione di identificarla con la formale titolarità del diritto di proprietà.

I giudici del Palazzaccio, nel caso di specie, sono stati interessati a una vicenda processuale che vedeva il legale rappresentante di una Srl indagato per i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e omessa dichiarazione, nel contesto di una frode carosello e indagato per i reati di cui agli artt. 2 e 5, D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Nei confronti dello stesso amministratore era stato quindi disposto il sequestro preventivo di certuni beni, compreso un appartamento che negli accordi di divorzio tra lui e la ex moglie risultava nella disponibilità esclusiva di quest’ultima e dei figli.

Il Tribunale del riesame aveva confermato in toto la misura cautelare e da qui era derivata l’impugnazione del provvedimento, dinanzi alla Corte di legittimità, da parte sia dell’indagato che della coniuge.

La Suprema Corte adita preliminarmente rammenta come sia del tutto legittimo includere nel provvedimento beni formalmente intestati a terzi, ma ha accolto la specifica doglianza sollevata dalla donna per il sequestro dell’immobile, ritenendo la motivazione dei giudici di merito “di mera apparenza”.

Difatti. hanno spiegato gli Ermellini, quanto motivato dal Tribunale risultava insufficiente a giustificare il permanere del vincolo sul bene, posto che non emergeva alcun elemento adeguato da risultare come prova della disponibilità del bene in capo all’indagato dal quale trarre una sua disponibilità uti dominus sul bene. Nell’ordinanza di sequestro non era infatti citato alcun dato che attestasse un uso materiale dell’immobile da parte dell’uomo e non poteva, quindi, ritenersi superata la presunzione relativa di disponibilità esclusiva del bene in capo alla ex coniuge.

Rileva dunque la Corte: “… A tale proposito, ossia sul concetto di “disponibilità” del bene (e, soprattutto, nei casi di discrasia tra titolarità fittizia e disponibilità reale), questa Corte ha poi più volte affermato che, per essa, si deve intendere una relazione effettuale con il bene medesimo connotata dall’esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà, ossia di un rapporto uti dominus (tra le altre, Sez. 5, n. 40286 del 27/6/2014, Cucci, 260305; Rv. Sez. 2, n. 22153 del 22/02/2013, Ucci e altri, Rv. 255950); si che la res, seppur formalmente intestata a terzi estranei al reato, deve comunque ritenersi nella disponibilità dell’indagato anche quando, sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali, rientri nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essa venga esercitato per il tramite di terzi (Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012, Costagliola ed altri, Rv. 252378). Da ciò, dunque, (anche) il principio di diritto secondo il quale, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni formalmente intestati a persona estranea al reato, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo a quest’ultima, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della disponibilità degli stessi da parte dell’indagato (Sez. 3, n. 38512 del 22/6/2016, Friso, Rv. 268086; Sez. 3, n. 36530 del 12/05/2015, Oksanych, Rv. 264763). A siffatte condizioni, dunque, il sequestro di beni formalmente intestati a terzi – ma nella disponibilità della persona indagata – ben può essere disposto per equivalente; esattamente come nel caso di specie, alla luce delle adeguate e non censurabili considerazioni spese dal Tribunale del riesame.

  1. In particolare, quanto alla vettura intestata alla C., l’ordinanza impugnata, per un verso, ha rilevato che la stessa interessata non risultava aver mai posseduto provviste sufficienti per l’acquisto del mezzo (quel che, peraltro, come appena richiamato, non sarebbe di per sé sufficiente) e, per altro verso, ha sottolineato circostanze in fatto tali da far ritenere – in questa fase cautelare e con argomento non apparente – che la stessa compera fosse avvenuta con disponibilità finanziarie interamente proprie dell’indagato; in dettaglio, il Tribunale ha analiticamente richiamato gli accertamenti tributari compiuti, così evidenziando che una somma di 11.800,00 euro era pervenuta alla ricorrente tramite fattura della “Quantum Crest” – società riferibile proprio al convivente P. per il 50% – in relazione ad una generica “consulenza per servizio”, della quale, però, non era stata indicata o dedotta alcuna tipologia. Accredito, peraltro, avvenuto il 1°/6/2016, ossia in epoca non lontana dall’acquisto del bene in esame; ancora, accredito di importo molto prossimo a quello versato per la medesima compera (pari a 11.000,00 euro), sì da ribadirsi ulteriormente il fumus di una intestazione fittizia, con disponibilità esclusiva del bene in capo all’indagato, convivente.Sul punto, pertanto, l’ordinanza merita conferma, con condanna della C. al pagamento delle spese processuali.
  2. A conclusioni difformi, invece, perviene la Corte con riguardo al ricorso presentato dalla M.;

a giudizio del Collegio, infatti, la motivazione concernente il sequestro dell’immobile sito in Bologna, via di C. 76, risulta di mera apparenza, imponendo, pertanto, l’annullamento con rinvio della decisione. In particolare, il Tribunale si è limitato a richiamare una clausola contenuta negli accordi di separazione tra coniugi (tali essendo il P. e la ricorrente) sin dall’udienza presidenziale del 16/1/2006, e poi presenti nella sentenza di scioglimento del matrimonio pronunciata dal Tribunale di Bologna il 27/6/2013; clausola in forza della quale l’immobile in oggetto – già abitazione coniugale – sarebbe rimasto nella disponibilità esclusiva della donna e dei figli nati dall’unione. Ancora, l’ordinanza ha sottolineato che il bene è di proprietà de La C. s.r.l., amministrata proprio dalla ricorrente a far data dal 15/3/2001; società che – a muover dal 24/10/2006 – vede le quote distribuite tra la stessa donna (nella misura del 20%) e la madre del P., tale Nerina Diolaiti (all’80%). Orbene, rileva la Corte che tutto quanto appena richiamato risulta insufficiente – anche in questa fase cautelare – a giustificare il permanere del vincolo sul bene, non emergendo alcun elemento adeguato dal quale trarre che l’indagato ne manterrebbe una disponibilità uti dominus nei termini anzidetti; ed invero, premesso che l’ordinanza non cita alcun dato che attesti un uso materiale dell’immobile da parte del P., si osserva che l’eventuale controllo economico/giuridico dello stesso potrebbe esser esercitato dall’indagato al più attraverso la madre, titolare della maggioranza delle quote della società proprietaria, ma di ciò non emerge neppure un accenno. In altri termini, mentre con riguardo ad un diverso appartamento intestato alla medesima s.r.l., sito in Riccione, il Tribunale ha fornito congrui argomenti nel senso della disponibilità esclusiva in capo all’indagato (giusta il ritrovamento di oggetti certamente allo stesso riferibili), sì da giustificare il fumus di un’effettiva gestione de La C. da parte di questi, così non risulta quanto all’immobile posto in via di C. n. 76; quel che non consente alla motivazione – neppure in questa sede – di superare la presunzione relativa di disponibilità esclusiva del bene in capo alla ricorrente, alla luce della documentazione versata in atti”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 8 gennaio 2018, n. 167

 

sui ricorsi proposti da

Marasà Concetta, nata ad Enna il 5/3/1966

Ciochina Irina, nata in Moldavia il 22/11/1988

avverso l’ordinanza del 12/7/2017 del Tribunale di Forlì;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibili i ricorsi;

udite le conclusioni del difensore della ricorrente Ciochina, Avv. Andrea Soliani, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso

Ritenuto in fatto

  1. Con ordinanza del 12/7/2017, il Tribunale del riesame di Forlì rigettava il ricorso proposto da M. P., D. P., I. C. e C. M. e, per l’effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo – finalizzato a confisca per equivalente – emesso il 5/6/2017 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale; a M. P. erano contestati i delitti di cui agli artt. 2 e 5, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, commessi – nell’abito di una frode carosello – quale legale rappresentante della “E. s.r.l.”.
  2. Propongono distinto ricorso per cassazione C. M. e I. C., a mezzo del proprio difensore e procuratore speciale, deducendo i seguenti motivi:

M.:

– violazione di legge. L’ordinanza avrebbe sottoposto a vincolo taluni immobili di proprietà de “La C. s.r.l.” (della quale la ricorrente – ex moglie dell’indagato – è amministratore unico), sul presupposto – del tutto errato – che gli stessi fossero nella disponibilità del P.; orbene, tale assunto si fonderebbe soltanto su una fallace lettura di una clausola contrattuale – del tutto decontestualizzata – inserita nell’ambito di un accordo di divorzio, dalla cui lettura complessiva emergerebbe, per contro, che lo stesso atto non avrebbe ad oggetto alcuna intestazione fittizia di beni. Del pari, non sarebbe stata dimostrata l’effettiva disponibilità – in capo all’indagato – di quanto in sequestro, così riscontrandosi una palese carenza motivazionale. Da ultimo, non sarebbero state esaminate le censure proposte in tema di autonoma valutazione degli elementi di fatto e di diritto interessati, che difetterebbe del tutto sin dal provvedimento genetico;

C.:

– violazione di legge. Con riguardo alla vettura sottoposta a vincolo – formalmente intestata alla ricorrente, compagna convivente di M. P. – l’ordinanza si sarebbe limitata ad affermare che la donna non avrebbe avuto le disponibilità per acquistarla, sì da riferirla di fatto a quest’ultimo; orbene, tale conclusione risulterebbe errata ed insufficiente, atteso che – per costante giurisprudenza di questa Corte – occorrerebbe diversamente dimostrare l’effettiva disponibilità del bene in capo all’indagato destinatario della misura, con riguardo alla quale, tuttavia, difetterebbe ogni motivazione. E fermo restando, peraltro, che gli elementi indiziari evidenziati dal Collegio quanto al primo profilo risulterebbero, comunque, privi di univoco significato.

Si chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza.

Considerato in diritto

  1. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).

Ciò premesso, si rileva innanzitutto l’infondatezza del ricorso proposto dalla C..

  1. Al riguardo, occorre ribadire il costante indirizzo per cui, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il bene non rileva nella sua specificità, ma solo come unità di misura del valore equivalente al prezzo o al profitto del reato, cosicché la disponibilità da parte del reo del bene stesso costituisce condizione che legittima la sua immediata apprensione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 322-ter, comma 1, cod. pen., e art. 321, comma 2, cod. proc. pen.

Qualora, poi, sia un terzo interessato a rivendicare la titolarità o la disponibilità esclusiva di quanto sottoposto a vincolo, questi pone comunque in discussione la legittimità stessa del sequestro (in quanto, di fatto, operato nei suoi confronti), sicché non può essere privato del diritto di far valere dinanzi al giudice le proprie ragioni, sol perché il bene non è stato indicato nel decreto di sequestro ma è stato individuato in sede esecutiva, in quanto ritenuto dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria in “disponibilità” del reo, pur a fronte di una intestazione formale di segno opposto.

A tale proposito, ossia sul concetto di “disponibilità” del bene (e, soprattutto, nei casi di discrasia tra titolarità fittizia e disponibilità reale), questa Corte ha poi più volte affermato che, per essa, si deve intendere una relazione effettuale con il bene medesimo connotata dall’esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà, ossia di un rapporto uti dominus (tra le altre, Sez. 5, n. 40286 del 27/6/2014, Cucci, 260305; Rv. Sez. 2, n. 22153 del 22/02/2013, Ucci e altri, Rv. 255950); si che la res, seppur formalmente intestata a terzi estranei al reato, deve comunque ritenersi nella disponibilità dell’indagato anche quando, sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali, rientri nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essa venga esercitato per il tramite di terzi (Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012, Costagliola ed altri, Rv. 252378).

Da ciò, dunque, (anche) il principio di diritto secondo il quale, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni formalmente intestati a persona estranea al reato, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo a quest’ultima, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della disponibilità degli stessi da parte dell’indagato (Sez. 3, n. 38512 del 22/6/2016, Friso, Rv. 268086; Sez. 3, n. 36530 del 12/05/2015, Oksanych, Rv. 264763).

A siffatte condizioni, dunque, il sequestro di beni formalmente intestati a terzi – ma nella disponibilità della persona indagata – ben può essere disposto per equivalente; esattamente come nel caso di specie, alla luce delle adeguate e non censurabili considerazioni spese dal Tribunale del riesame.

  1. In particolare, quanto alla vettura intestata alla C., l’ordinanza impugnata, per un verso, ha rilevato che la stessa interessata non risultava aver mai posseduto provviste sufficienti per l’acquisto del mezzo (quel che, peraltro, come appena richiamato, non sarebbe di per sé sufficiente) e, per altro verso, ha sottolineato circostanze in fatto tali da far ritenere – in questa fase cautelare e con argomento non apparente – che la stessa compera fosse avvenuta con disponibilità finanziarie interamente proprie dell’indagato; in dettaglio, il Tribunale ha analiticamente richiamato gli accertamenti tributari compiuti, così evidenziando che una somma di 11.800,00 euro era pervenuta alla ricorrente tramite fattura della “Quantum Crest” – società riferibile proprio al convivente P. per il 50% – in relazione ad una generica “consulenza per servizio”, della quale, però, non era stata indicata o dedotta alcuna tipologia. Accredito, peraltro, avvenuto il 1°/6/2016, ossia in epoca non lontana dall’acquisto del bene in esame; ancora, accredito di importo molto prossimo a quello versato per la medesima compera (pari a 11.000,00 euro), sì da ribadirsi ulteriormente il fumus di una intestazione fittizia, con disponibilità esclusiva del bene in capo all’indagato, convivente.

Sul punto, pertanto, l’ordinanza merita conferma, con condanna della C. al pagamento delle spese processuali.

  1. A conclusioni difformi, invece, perviene la Corte con riguardo al ricorso presentato dalla M.;

a giudizio del Collegio, infatti, la motivazione concernente il sequestro dell’immobile sito in Bologna, via di C. 76, risulta di mera apparenza, imponendo, pertanto, l’annullamento con rinvio della decisione.

In particolare, il Tribunale si è limitato a richiamare una clausola contenuta negli accordi di separazione tra coniugi (tali essendo il P. e la ricorrente) sin dall’udienza presidenziale del 16/1/2006, e poi presenti nella sentenza di scioglimento del matrimonio pronunciata dal Tribunale di Bologna il 27/6/2013;

clausola in forza della quale l’immobile in oggetto – già abitazione coniugale – sarebbe rimasto nella disponibilità esclusiva della donna e dei figli nati dall’unione.

Ancora, l’ordinanza ha sottolineato che il bene è di proprietà de La C. s.r.l., amministrata proprio dalla ricorrente a far data dal 15/3/2001; società che – a muover dal 24/10/2006 – vede le quote distribuite tra la stessa donna (nella misura del 20%) e la madre del P., tale Nerina Diolaiti (all’80%).

Orbene, rileva la Corte che tutto quanto appena richiamato risulta insufficiente – anche in questa fase cautelare – a giustificare il permanere del vincolo sul bene, non emergendo alcun elemento adeguato dal quale trarre che l’indagato ne manterrebbe una disponibilità uti dominus nei termini anzidetti; ed invero, premesso che l’ordinanza non cita alcun dato che attesti un uso materiale dell’immobile da parte del P., si osserva che l’eventuale controllo economico/giuridico dello stesso potrebbe esser esercitato dall’indagato al più attraverso la madre, titolare della maggioranza delle quote della società proprietaria, ma di ciò non emerge neppure un accenno.

In altri termini, mentre con riguardo ad un diverso appartamento intestato alla medesima s.r.l., sito in Riccione, il Tribunale ha fornito congrui argomenti nel senso della disponibilità esclusiva in capo all’indagato (giusta il ritrovamento di oggetti certamente allo stesso riferibili), sì da giustificare il fumus di un’effettiva gestione de La C. da parte di questi, così non risulta quanto all’immobile posto in via di C. n. 76; quel che non consente alla motivazione – neppure in questa sede – di superare la presunzione relativa di disponibilità esclusiva del bene in capo alla ricorrente, alla luce della documentazione versata in atti.

Sul punto, pertanto, l’ordinanza deve esser annullata con rinvio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro dell’immobile sito in Bologna, via di C. n. 76 e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Forlì.

Rigetta il ricorso di C. I. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

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