CASSAZIONE

La dichiarazione IVA con errori meramente formali è sempre emendabile

Tributi – IVA – Contenzioso tributario – – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Errore materiale – Dichiarazione integrativa – Nuovi elementi di valutazione – Emendabilità

La Corte di cassazione con l’Ordinanza n. 35577 del 2 dicembre 2022, in tema di emendabilità della dichiarazione dei redditi, ha nuovamente condiviso la vigente interpretazione giurisprudenziale per la quale va riconosciuta l’emendabilità in giudizio anche oltre i termini decadenziali di cui all’art.  2, DPR 322/1998, della dichiarazione originariamente affetta da errori materiali commessi dal contribuente.

In un primo momento, la giurisprudenza più tradizionale aveva sancito che il termine di cui al comma 8-bis, ossia entro la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, rilevava solo per la compensazione del credito risultante dalla rettifica, mentre rimaneva senza limiti temporali la possibilità di rettifica di errori che assoggettavano il contribuente a una imposizione più gravosa rispetto alla sua capacità contributiva. Successivamente, invece, è stato sancito che la dichiarazione integrativa a favore del contribuente poteva essere presentata esclusivamente entro il termine di presentazione di quella dell’esercizio successivo.

Al riguardo va innanzitutto citata la Sentenza n. 13378 del 30 giugno 2016, ove le Sezioni unite seppero risolvere quel contrasto interpretativo che da molto tempo vedeva coinvolte le singole sezioni della Corte proprio in materia della correzione di errori contenuti nella dichiarazione presentata dal contribuente. Le Sezioni unite spiegavano, al riguardo, che la dichiarazione che rettifica i valori in favore del contribuente, rispetto a quella precedente, può essere presentata entro il termine di scadenza della dichiarazione dell’anno successivo, con possibilità di compensare il credito eventualmente risultante. È salva, poi, la possibilità di richiedere il rimborso delle somme versate entro il termine di 48 mesi dalla data del pagamento, indipendentemente dalla disciplina sulla dichiarazione integrativa. Il contribuente, inoltre, a prescindere dall’integrativa o dall’istanza di rimborso può sempre dimostrare, in sede contenziosa, l’infondatezza della pretesa impositiva documentando eventuali errori commessi.

Resta fermo che la dichiarazione che presenta un risultato inferiore rispetto a quello effettivo (dunque a sfavore e pro-Amministrazione) si può rettificare entro gli ordinari termini di decadenza del potere di accertamento da parte del Fisco, ai sensi dell’articolo 43, DPR 600/1973.  Secondo l’articolo 2, comma 8-bis del DPR 322/1998, il contribuente può rettificare a proprio favore la dichiarazione presentata per correggere errori o omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante una dichiarazione integrativa da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo: qualora dovesse emergere un eventuale credito dalla suddetta rettifica, questo può essere utilizzato in compensazione.

E’ infatti da condividere, a seguito della pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 13378/2016, il principio per cui la dichiarazione fiscale originariamente inficiata da errori materiali può essere sempre corretta, anche dopo i termini di decadenza fissati (DPR 322/1998). Viene difatti ricordato che è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza della S.C. come la dichiarazione fiscale sia da ascriversi tra le dichiarazioni di scienza, non consistendo in una manifestazione di volontà, con la conseguenza che il contribuente può fare valere eventuali vizi commessi nella redazione della stessa. In più, anche le Sezioni unite affermarono il diritto del contribuente di opporsi in giudizio alla maggiore pretesa erariale avanzata dall’Amministrazione, anche correggendo eventuali errori commessi in sede dichiarativa e a prescindere dall’osservanza dei termini prescritti dall’ordinamento ai fini della presentazione di una dichiarazione integrativa.

La Corte ha così statuito il diritto, per il contribuente, di opporsi in giudizio alla maggiore pretesa erariale avanzata dall’Amministrazione, anche correggendo eventuali errori commessi in sede dichiarativa, e tale correzione è stata ammessa a prescindere dall’osservanza dei termini prescritti dall’ordinamento ai fini della presentazione di una dichiarazione integrativa e anche nel caso in cui quest’ultimo atto non sia stato redatto anteriormente alla proposizione della domanda giudiziale. In tal senso depongono in primo luogo la natura giuridica della dichiarazione fiscale – ravvisabile in linea generale in una mera dichiarazione di scienza e non in una manifestazione di volontà salvo casi particolari o parti specifiche di essa – e quindi sempre emendabile, con la conseguenza che il contribuente può far valere eventuali vizi commessi nella redazione della stessa, che attengano al merito della pretesa tributaria, anche in sede contenziosa. In secondo luogo, in materia di IVA e di imposte dirette sono applicabili i medesimi principi, compreso quello secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è in linea di principio emendabile. Da ciò discende il riconoscimento dell’emendabilità in giudizio anche oltre i termini decadenziali di cui all’art. 2, DPR 322/1998 della dichiarazione originariamente affetta da errori materiali commessi dal contribuente.

Al riguardo, anche la recente giurisprudenza ha più volte riconosciuto (v.ex multis Sent. n. 25554/2022) la facoltà per il contribuente di rettificare anche oltre i termini decadenziali di cui all’art. 2, DPR 322/1998, la dichiarazione fiscale originariamente inficiata da errori materiali.

In caso di errori o omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43, DPR 600/1973, se diretta a evitare un danno per la P.A., mentre, se intesa a emendare errori o omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro 48 mesi dal versamento e, in ogni caso, opporsi in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria. “Va riconosciuto il diritto del contribuente di ripristinare la verità fiscale derivante da una erronea dichiarazione di scienza, in relazione alla quale il contribuente ben può attendere l’azione accertativa dell’Ufficio e, ove sussistano errori materiali, emendare e ritrattare la propria erronea originaria dichiarazione in sede processuale”.

Se da un lato veniva confermata la facoltà per il contribuente di emendare anche dopo la proposizione della domanda giudiziale la propria dichiarazione fiscale, se affetta da errori di fatto e di diritto, resta però la validità dell’applicabilità delle sanzioni. Ciò è comprovato dal tenore letterale della norma (“Salva l’applicazione delle sanzioni”) e da ciò consegue la validità del seguente principio di diritto: “In tema di dichiarazione integrativa a seguito di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, l’emendabilità della dichiarazione, come regolata dal comma 8 dell’art. 2 del d.p.r. 22 luglio 1998 n. 322 nel testo ratione temporis vigente, non esclude l’applicazione delle sanzioni, ferma restando l’operatività del ravvedimento di cui all’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472”.

Tanto premesso e tornando al caso di specie, un contribuente impugnava una cartella di pagamento relativa a maggiore IVA emessa a seguito di controllo automatizzato, lamentando in sede di giudizio come la dichiarazione IVA inviata per il relativo anno d’imposta fosse affetta da errore materiale; il contribuente deduceva, inoltre, di aver presentato dichiarazione integrativa nel corso del giudizio di primo grado. La CTP respingeva il ricorso, così come la CTR, ritenendo che la dichiarazione IVA è emendabile oltre il termine di cui all’art. 8-bis, DPR 322/1998, solo nel caso in cui si tratti di errori o omissioni di carattere meramente formale. La parte contribuente si rivolgeva alla Cassazione affidando il ricorso a tre motivi, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8-bis, DPR 322/1998, degli artt. 24, 53 e 97 Cost. e dell’art. 10, L. 27 luglio 2000, n. 212.

I motivi di ricorso sono stati ritenuti validi e i Supremi giudici hanno affermato al riguardo che: “…I tre motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.  L’art. 8 d.P.R. n. 322/1998 opera in materia di dichiarazione IVA un rinvio recettizio all’art. 2, commi 8 e 8-bis del medesimo d.P.R., in tema di dichiarazione integrativa delle imposte dirette e dell’IRAP. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche in materia di IVA opera il principio per il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è -in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante a oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Tale conclusione riposa sul principio secondo cui la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti (Cass., Sez. V, 30 luglio 2018, n. 20119). 3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 30 giugno 2016, n. 13378, ma già Cass, Sez. U., 25 ottobre 2002, n. 15063), deve essere riconosciuta la «possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione tributaria, ma di carattere meramente formale, sarebbe esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa dell’Amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione, poiché questa scadenza opera, atteso il tenore letterale della disposizione, solo per il caso in cui si voglia mutare la base imponibile, ma non anche quando venga in rilievo un errore meramente formale». 4. Ne consegue che, ben prima dell’entrata in vigore della novella invocata dal ricorrente in memoria, la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza del dichiarante e il rispetto del disposto dell’art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212 -secondo cui i rapporti fra erario e contribuente sono improntati al principio di leale collaborazione e buona fede – « comportano l’inapplicabilità in sede giudiziaria delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa, con la conseguenza che il contribuente può opporsi, in detta sede, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria» (Cass., Sez. V, 5 settembre 2019, n. 22197). In tal caso «oggetto del contenzioso tributario è infatti l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente[…] onde non può escludersi il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, allegando le circostanze, quali anche errori od omissioni presenti nella dichiarazione, che provano l’insussistenza del credito preteso; pertanto, ove sia l’Erario ad agire, è nella sede processuale, di impugnazione della cartella di pagamento che liquidi quanto indicato erroneamente in dichiarazione, che il contribuente potrà sempre dar prova dell’errore e ottenere l’annullamento dell’atto impugnato» (Cass., n. 22197/2019, cit.). 5. Tali principi sono stati riaffermati dalla novella di cui al d. l. 193/2016 (rectius, dalla legge di conversione n. 225/2016), ove dispone che «resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito» (artt. 2, comma 8-bis e 6, comma 6-quinquies d.P.R. n. 322/1998). Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale di cui si è fatta menzione, deve ritenersi che la suddetta disposizione si è limitata a codificare un principio giurisprudenziale preesistente. 6. In relazione alla emendabilità in sede giurisdizionale delle dichiarazioni (dei redditi e IVA) dovute a errori materiali non viene, pertanto, in gioco la disposizione di cui all’art. 5 d.l. n. 193/2016 , applicabile con decorrenza dai periodi di imposta successivi (Cass., Sez. V, 28 giugno 2019, n. 17506; Cass., Sez. V, 18 gennaio 2019, n. 1291; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21120), bensì il principio già affermato da questa Corte secondo il quale, come osservato in dottrina, va riconosciuto il diritto del contribuente di « ripristinare la verità fiscale» derivante da una erronea dichiarazione di scienza, in relazione alla quale il contribuente ben può attendere l’azione accertativa dell’Ufficio e, ove sussistano errori materiali, emendare e ritrattare la propria erronea originaria dichiarazione in sede processuale. 7. Nella specie, il giudice di appello non ha esaminato la dichiarazione e non ha verificato se la suddetta dichiarazione, emendata durante il procedimento giurisdizionale, fosse affetta da N errori meramente formali e, quindi, fosse ritrattabile oltre il termine di cui agli artt. 2, 8 d.P.R. n. 322/1998, nella formulazione pro tempore, per cui non si è attenuta ai principi enunciati. Il ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia per l’esame della dichiarazione integrativa, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 2 dicembre 2022, n. 35577

sul ricorso iscritto al n. 29590/2015R.G. proposto da:

C. C. (C.F. CVCCRL 43M08C743B ), rappresentato e difeso dall’Avv. CLAUDIA MELILLO (C.F. MLLCLD70L54F205 W ) in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE

–ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. 06363301001), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

–controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2013/30/15 depositata in data 13 maggio 2015 Udita la relazione svolta dal Consigliere Filippo D’Aquino nella camera di consiglio del 14 ottobre 2022.

RILEVATO CHE

1. Il contribuente C. C. ha impugnato una cartella di pagamento relativa a maggiore IVA del periodo di imposta 2007, emessa a seguito di controllo automatizzato, dal quale emergeva l’omesso versamento dell’imposta, oltre sanzioni e interessi. Il contribuente ha dedotto che la dichiarazione IVA inviata per l’anno di imposta 2007 era affetta da errore materiale, in quanto contenente gli importi relativi alle risultanze contabili dell’anno di imposta precedente, laddove nel periodo di imposta in oggetto il contribuente non avrebbe effettuato operazioni attive, per cui sarebbe risultato a credito. Il contribuente ha, successivamente, dedotto di avere presentato dichiarazione integrativa per il periodo di imposta 2007 nel corso del giudizio di primo grado.

2. La CTP di Milano ha rigettato il ricorso.

3. La CTR della Lombardia, con sentenza in data 13 maggio 2015, ha rigettato l’appello del contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello che la dichiarazione IVA è emendabile oltre il termine di cui all’art. 8- bis d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 solo nel caso in cui si tratti di errori od omissioni di carattere meramente formale, laddove nel caso di specie la dichiarazione integrativa si sarebbe dovuta presentare entro il termine della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

4. Propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a tre motivi e ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

CONSIDERATO CHE

1.1.C on il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8-bis d.P.R. n. 322/1998, nonché violazione dell’art. 53 Cost. in relazione al principio di capacità contributiva del contribuente, violazione dell’art. 97 Cost. in relazione al principio della «correttezza» e imparzialità della Pubblica amministrazione e violazione dell’art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212in relazione al principio di collaborazione e buona fede, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non emendabile la dichiarazione nel caso di specie. Osserva parte ricorrente che il giudice di appello ha ritenuto non emendabile la dichiarazione oltre il termine per la presentazione della dichiarazione, nonostante nel caso di specie ricorra il caso dell’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito di imposta e che lo stesso è derivato da un errore meramente formale, consistente nell’inserimento nella dichiarazione di dati inesistenti, in quanto per errore trascinati dal precedente periodo di imposta, circostanze per le quali sarebbe consentita l’emenda della dichiarazione nel caso di specie. Osserva, inoltre, il ricorrente che tutti gli errori materiali siano emendabili con la dichiarazione integrativa.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del medesimo parametro normativo, avendo il giudice di appello erroneamente ascritto l’errore del contribuente ad errori diversi da quelli meramente formali.

1.3. Con il terzo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del medesimo parametro normativo, oltre che dell’art. 24 Cost., nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto tardiva la rettifica operata in sede contenziosa.

Osserva parte ricorrente come il contribuente possa allegare in sede contenziosa l’erroneità della pretesa tributaria ove la stessa derivi da errori di fatto o di diritto commessi nella dichiarazione incidenti sull’obbligazione stessa, indipendentemente dal termine annuale previsto per la dichiarazione integrativa.

1.4. In memoria parte ricorrente invoca l’applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8-bis d.P.R. n. 322/1998 (cui opera rinvio recettizio l’art. 8 d.P.R. n. 322 cit. quanto alla dichiarazione IVA) nella formulazione adottata dall’art. 5, d. l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito dalla l. 1° dicembre 2016, n. 225, secondo cui possono essere integrate, entro i termini per l’accertamento, anche le dichiarazioni che abbiano determinato per errore un maggior debito di imposta (art. 2, comma 8, cit.: «possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore reddito o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito»), ritenendo che tale disposizione abbia efficacia retroattiva, sulla base di una interpretazione adottata in alcuni precedenti di merito.

2. I tre motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

L’art. 8 d.P.R. n. 322/1998 opera in materia di dichiarazione IVA un rinvio recettizio all’art. 2, commi 8 e 8-bis del medesimo d.P.R., in tema di dichiarazione integrativa delle imposte dirette e dell’IRAP. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche in materia di IVA opera il principio per il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è -in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante a oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Tale conclusione riposa sul principio secondo cui la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti (Cass., Sez. V, 30 luglio 2018, n. 20119).

3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 30 giugno 2016, n. 13378, ma già Cass, Sez. U., 25 ottobre 2002, n. 15063), deve essere riconosciuta la «possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione tributaria, ma di carattere meramente formale, sarebbe esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa dell’Amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione, poiché questa scadenza opera, atteso il tenore letterale della disposizione, solo per il caso in cui si voglia mutare la base imponibile, ma non anche quando venga in rilievo un errore meramente formale».

4. Ne consegue che, ben prima dell’entrata in vigore della novella invocata dal ricorrente in memoria, la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza del dichiarante e il rispetto del disposto dell’art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212 -secondo cui i rapporti fra erario e contribuente sono improntati al principio di leale collaborazione e buona fede – « comportano l’inapplicabilità in sede giudiziaria delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa, con la conseguenza che il contribuente può opporsi, in detta sede, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria» (Cass., Sez. V, 5 settembre 2019, n. 22197). In tal caso «oggetto del contenzioso tributario è infatti l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente[…] onde non può escludersi il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, allegando le circostanze, quali anche errori od omissioni presenti nella dichiarazione, che provano l’insussistenza del credito preteso; pertanto, ove sia l’Erario ad agire, è nella sede processuale, di impugnazione della cartella di pagamento che liquidi quanto indicato erroneamente in dichiarazione, che il contribuente potrà sempre dar prova dell’errore e ottenere l’annullamento dell’atto impugnato» (Cass., n. 22197/2019, cit.).

5. Tali principi sono stati riaffermati dalla novella di cui al d. l. 193/2016 (rectius, dalla legge di conversione n. 225/2016), ove dispone che «resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito» (artt. 2, comma 8-bis e 6, comma 6-quinquies d.P.R. n. 322/1998). Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale di cui si è fatta menzione, deve ritenersi che la suddetta disposizione si è limitata a codificare un principio giurisprudenziale preesistente.

6. In relazione alla emendabilità in sede giurisdizionale delle dichiarazioni (dei redditi e IVA) dovute a errori materiali non viene, pertanto, in gioco la disposizione di cui all’art. 5 d.l. n. 193/2016 , applicabile con decorrenza dai periodi di imposta successivi (Cass., Sez. V, 28 giugno 2019, n. 17506; Cass., Sez. V, 18 gennaio 2019, n. 1291; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21120), bensì il principio già affermato da questa Corte secondo il quale, come osservato in dottrina, va riconosciuto il diritto del contribuente di « ripristinare la verità fiscale» derivante da una erronea dichiarazione di scienza, in relazione alla quale il contribuente ben può attendere l’azione accertativa dell’Ufficio e, ove sussistano errori materiali, emendare e ritrattare la propria erronea originaria dichiarazione in sede processuale.

7. Nella specie, il giudice di appello non ha esaminato la dichiarazione e non ha verificato se la suddetta dichiarazione, emendata durante il procedimento giurisdizionale, fosse affetta da N errori meramente formali e, quindi, fosse ritrattabile oltre il termine di cui agli artt. 2, 8 d.P.R. n. 322/1998, nella formulazione pro tempore, per cui non si è attenuta ai principi enunciati.

Il ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia per l’esame della dichiarazione integrativa, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, in data 14 ottobre 2022

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