La “detrazione congiunta” che accorpa eco e sisma bonus
L’art. 14, comma 2-quater.1, del DL 63/2013, convertito dalla legge 90/2013, stabilisce che per le spese relative agli interventi su parti comuni di edifici condominiali ricadenti nelle zone sismiche 1, 2 e 3 – finalizzati
contemporaneamente alla riduzione del rischio sismico e alla riqualificazione energetica – spetta, in alternativa alle detrazioni previste, una detrazione dell’80% se gli interventi determinano il passaggio a una classe di rischio inferiore, o dell’85% in caso di passaggio a due classi di rischio inferiori.
Questo sconto fiscale spetta anche ai non residenti in Italia proprietari (o detentori dell’immobile oggetto degli interventi in base a un titolo idoneo), è ripartita in 10 quote annuali di pari importo e si applica su un importo delle spese non superiore a 136.000 euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari di ciascun edificio: poiché la detrazione è alternativa a quelle previste per ciascun distinto tipo di intervento, competerà se saranno rispettati tutti i requisiti necessari ai fini della spettanza delle due detrazioni che sostituisce.
Rispetto agli interventi finalizzati alla riduzione del rischio sismico, la risoluzione 34/E del 2018 e la circolare 13/E del 2019 hanno precisato che nel caso di un intervento di demolizione e ricostruzione, ai fini dell’applicazione del sisma bonus, è necessario che dal titolo amministrativo che approva i lavori risulti che si tratti di un intervento di conservazione del patrimonio edilizio esistente e non di un intervento di nuova costruzione: questa qualificazione delle opere edilizie spetta al Comune o altro ente territoriale competente in tema di classificazioni urbanistiche, e deve risultare dal titolo amministrativo che autorizza i lavori.
Anche ai fini dell’ecobonus è necessario che gli edifici oggetto degli interventi siano “esistenti”, escludendo così dal beneficio i fabbricati di nuova costruzione, visto che per questi ultimi già in fase di costruzione devono comunque essere assicurati determinati standard energetici: in particolare, nella citata circolare 13/E è stato ribadito che l’esistenza dell’edificio è provata, tra l’altro, dalla iscrizione dello stesso in catasto o dalla richiesta di accatastamento. Nella medesima circolare è stato inoltre confermato che gli edifici interessati dall’agevolazione devono avere determinate caratteristiche tecniche e, nello specifico, devono essere dotati di impianti di riscaldamento presenti negli ambienti in cui si realizza l’intervento di risparmio energetico agevolabile: condizione, questa, che è richiesta per tutti i tipi di intervento, ad eccezione dell’installazione dei pannelli solari e, dal 1° gennaio 2015, dei generatori alimentati a biomassa e delle schermature solari.
La stessa circolare 13/ 2019 ha inoltre ribadito che l’esistenza dell’edificio è riconosciuta anche se è classificato nella categoria catastale F/2 (“unità collabenti”) in quanto, pur trattandosi di categoria riferita a fabbricati totalmente o parzialmente inagibili e non produttivi di reddito, può essere considerato come edificio esistente trattandosi di un manufatto già costruito e individuato catastalmente; anche per le unità collabenti deve essere dimostrabile che l’edificio è dotato di impianto di riscaldamento rispondente alle caratteristiche tecniche previste dal D.lgs. 311/2006 e che l’impianto è situato negli ambienti oggetto degli interventi di riqualificazione energetica.
Il caso
Una signora è proprietaria per la quota di 1/2 di un immobile che fa parte di un fabbricato composto da 3 unità immobiliari distintamente accatastate, in origine rurale ed edificato prima dell’entrata in vigore della legge 765/1967 e, poiché l’edificio non ha mai subito interventi di manutenzione straordinaria o ristrutturazione per i quali era necessario munirsi di titolo abilitativo all’attività edilizia, non si può risalire ad alcuna documentazione di tipo progettuale. Con una variazione d’ufficio, una Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate ha classificato l’immobile come “fabbricato diruto”, trasferendolo dal Catasto Edilizio Urbano al Catasto Terreni.
La contribuente comunica l’intenzione di acquistare l’intero fabbricato, per il quale si procederà alla pratica catastale per censirlo al Catasto Edilizio Urbano come unità collabente (F/2), diviso in 3 unità immobiliari, quanti erano i subalterni originari; in seguito ci sarà la demolizione totale e successiva ricostruzione dell’intero edificio, con miglioramento di due classi di rischio sismico e contestuale efficientamento energetico, senza modificare la cubatura ma riducendo a 2 il numero delle unità immobiliari: la prima sarà destinata ad abitazione e la seconda a uso produttivo (A/10 o D/8, da verificare ad ultimazione dei lavori).
Dopo aver richiamato la risoluzione 34/E del 2019, nella quale è stato precisato, con riferimento al sisma bonus, che la detrazione compete anche per gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici adibiti ad abitazioni private o ad attività produttive, sempreché realizzino un intervento di ristrutturazione edilizia e non un intervento di nuova costruzione, chiede quanto segue:
1) se è possibile, seguendo l’iter previsto per la classificazione dell’edificio prima di iniziare i lavori in unità collabenti, accedere alla detrazione spettante per interventi effettuati sulle parti comuni di edificio finalizzati, congiuntamente, alla riduzione del rischio sismico e alla riqualificazione energetica;
2) se l’importo massimo di 136.000 euro delle spese detraibili per lavori per interventi abbinati di sisma bonus ed eco bonus vada calcolato tenendo conto delle 3 unità originarie o delle 2 che ci saranno alla fine dei lavori.
Rispetto al primo quesito, la signora ritiene di poter accedere, proprio in base alla citata risoluzione 34/E, ai due sconti fiscali (sisma ed eco bonus) per il prospettato intervento di demolizione e ricostruzione con stessa cubatura del fabbricato e, quindi, di poter fruire della detrazione prevista nel caso di interventi realizzati su parti comuni, perché anche riducendo il numero di unità immobiliari rispetto a quello iniziale, sia all’inizio che alla fine dei lavori restano soddisfatti i requisiti richiesti: la presenza di almeno due unità funzionalmente e redditualmente autonome, distinte e separate ma in comunione forzosa. Riguardo al secondo quesito, sostiene che il calcolo dell’importo massimo dei lavori debba essere effettuato moltiplicando l’importo massimo previsto per singola unità immobiliare per il numero di unità al momento dell’approvazione del progetto e quindi dell’inizio dei lavori.
L’edificio composto da più unità immobiliari
Nella Risposta n. 138 del 22/5/2020 si legge che, rispetto alla possibilità di fruire della detrazione per i lavori sulle parti comuni, in qualità di proprietario di un unico edificio composto da più unità immobiliari, la citata circolare 13/E del 2019 ha riaffermato che per parti comuni si intendono quelle riferibili a più unità immobiliari funzionalmente autonome, a prescindere dalla presenza di più proprietari e che l’espressione “parti comuni di edificio” deve essere considerata in senso oggettivo e non soggettivo e va riferita, dunque, alle parti comuni a più unità immobiliari e non alle parti comuni a più proprietari: quindi, pur non presupponendo l’esistenza di una pluralità di proprietari, è richiesta la presenza di più unità immobiliari funzionalmente autonome.
L’Agenzia prospetta l’esempio di un edificio costituito esclusivamente da un’unità abitativa e dalle relative pertinenze, per il quale, quindi, non ci sono elementi dell’edificio che possano essere qualificate come parti comuni. La medesima circolare 13/E ha infine ribadito che nel caso di interventi che comportino l’accorpamento di più unità abitative o la suddivisione in più immobili di un’unica unità abitativa, per quantificare il limite di spesa vanno considerate le unità immobiliari censite in Catasto all’inizio degli interventi edilizi e non quelle risultanti alla fine dei lavori.
Considerando che tali chiarimenti sono applicabili anche al caso presentato nell’istanza di interpello, le Entrate affermano che la contribuente potrà fruire della detrazione “cumulativa”, in presenza di tutti i requisiti previsti per le due detrazioni che sostituisce.
Sarà necessario che l’immobile oggetto degli interventi sia dotato, negli ambienti in cui si realizzano i lavori agevolabili, di impianto di riscaldamento e che risulti classificato “unità collabente” e, dunque, iscritto nel Catasto fabbricati alla data di richiesta del titolo abilitativo, dal quale deve inoltre risultare che l’intervento sia di recupero del patrimonio edilizio. Al verificarsi di queste condizioni, la detrazione in questione si applica su un ammontare delle spese non superiore a 136.000 euro per ognuna delle 3 unità immobiliari facenti parti inizialmente dell’edificio oggetto degli interventi.
