La crisi di mercato giustifica l’interpello disapplicativo per le società di comodo
Tributi – Accertamento – Reddito minimo presunto – Disciplina società di comodo – Disapplicazione – Impossibilità di conseguire ricavi – Prova – Valutazione in termini economici – Effettive condizioni del mercato
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4019 del 12 febbraio 2019, ai fini della disapplicazione della disciplina delle società di comodo (art. 30 della legge 724/94), ha decretato che è illegittimo il diniego opposto dall’ufficio all’interpello disapplicativo in materia di società non operative o di comodo, e che deve essere accolta l’istanza di interpello se l’imprenditore spiega che la situazione che rende impossibile il conseguimento di ricavi si deve al mutamento dell’oggetto della produzione, in ragione della crisi del settore.
Per società di comodo o, secondo la terminologia utilizzata dal legislatore tributario, “non operative”, si intendono quelle società di persone o capitali, “teoricamente” commerciali (costituite, cioè, nelle forme tipiche delle società in nome collettivo, a responsabilità limitata, per azioni o in accomandita per azioni) che a prescindere dell’oggetto sociale dichiarato vengono utilizzate al fine esclusivo di realizzare una “mera gestione” del patrimonio dei soci, non esercitando in realtà alcuna effettiva attività imprenditoriale/commerciale: si tratta quindi di società che, in concreto, non svolgono attività di impresa, limitandosi a una pura e semplice gestione “statica” di immobili, di partecipazioni sociali o altri beni patrimoniali.
La disciplina sulle società di comodo o non operative è sorta nel 1994 (art. 30, legge 724/94) per “penalizzare”, sul piano tributario, le società “senza impresa”, quelle cioè che, al di là dell’oggetto sociale dichiarato, sono costituite al solo fine di amministrare i patrimoni personali dei soci, “anziché per esercitare un’effettiva attività commerciale”. La funzione principale della normativa in questione è quella di disincentivare l’adozione di una struttura societaria non adeguata rispetto all’attività effettivamente esercitata, attraverso la presunzione di un reddito minimo riconducibile agli assetti patrimoniali di tale struttura societaria e la previsione di agevolazioni per lo scioglimento o la trasformazione delle società commerciali non operative in società semplici (che rappresentano la forma giuridica naturale per l’esercizio collettivo di un’attività economica di tipo non commerciale). Nell’ottica legislativa, la qualifica di “non operatività” allude appunto al fenomeno costituito dall’utilizzo dello schermo societario per l’intestazione/separazione di cespiti patrimoniali e per l’ottenimento della responsabilità limitata: società non operativa significa dunque società “senza impresa” o di “mero godimento” e, dunque, sostanzialmente “di comodo”.
L’art. 30 della citata legge 724/1994 (a oggi inalterato nella sua struttura fondamentale) considera di comodo, salvo prova contraria, le società commerciali che conseguono un volume di ricavi, risultanti dal conto economico, inferiore alla somma degli importi risultanti dall’applicazione di una serie di percentuali al valore di determinati elementi iscritti nello stato patrimoniale del bilancio.
Alle società considerate di comodo viene attribuito presuntivamente un reddito non inferiore alla somma degli importi derivanti dall’applicazione, al valore dei beni posseduti nell’esercizio, di appositi coefficienti di redditività. Viene delineata, in sostanza, una disciplina antielusiva/antievasiva fondata sul presupposto che determinati beni del patrimonio societario (partecipazioni e altre attività finanziarie, beni immobili e mobili registrati, crediti, ecc.) sono oggettivamente in grado di produrre “frutti”, ossia reddito, e l’inserimento dei medesimi all’interno di un assetto societario rafforza la presunzione relativa di un loro impiego a scopi reddituali.
Importanti precisazioni in ordine al periodo di osservazione per l’applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica sono state fornite dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 31/E del 30 dicembre 2014. In particolare, al capitolo 3 (“Semplificazioni per le società”), punto 9 della stessa, viene chiarito che la nuova disciplina trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso all’entrata in vigore del decreto legislativo che la introduce, in deroga a quanto stabilito dall’art. 3, comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).
Anche la giurisprudenza tributaria territoriale (ex multis cfr. C.T.R. di Aosta, sentenza n.1/2 del 2 gennaio 2017) ha ricordato che in materia di società di comodo o non operative spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di oggettive situazioni, indipendenti dalla propria volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto. La CTR di Aosta, ispirandosi alla pronuncia n. 21358/2015 della Suprema Corte, in questo caso ha ritenuto fondato l’appello dell’Ufficio in un contenzioso proposto avverso il diniego di disapplicazione di norme tributarie antielusive ex art. 37-bis, comma 8, DPR 600/1973, non reputando valide le argomentazioni addotte dal contribuente per la disapplicazione della normativa antielusiva, non avendo fornito prove puntuali e documentate comprovanti l’impossibilità di conseguire dei ricavi.
Tanto premesso, e tornando al caso di specie, una S.r.l. campana chiedeva la disapplicazione della normativa antielusiva in materia di società di comodo, ma si vedeva opporre un diniego dall’Agenzia delle Entrate, con l’argomento che la situazione d’inoperatività era dovuta a una libera scelta imprenditoriale a fronte della quale non era configurabile l’impedimento oggettivo legittimante la disapplicazione dell’articolo 30 della legge 724/1994.
Al riguardo la società era passata dalla produzione di lamiere per automobili a quella di pannelli solari, giustificando che il settore auto era evidentemente in crisi. Dopo due giudizi tributari sfavorevoli alla società contribuente, la controversia è arrivata in Cassazione.
I giudici di legittimità, ispirandosi ai principi di una recente giurisprudenza (Cass. Sez. 5 n. 5080/2017, Cass. Sez. 5 n. 16204/2018), hanno chiarito che la nozione di impossibilità (di cui al comma 4-bis del citato art. 30) del conseguimento di ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi nonché del reddito minimo determinati ai sensi dello stesso articolo deve essere intesa “non in termini assoluti quanto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni sul mercato”.
Per gli Ermellini, nelle sentenze dei giudici tributari è mancata qualsiasi considerazione relativamente alle condizioni di mercato (crisi del settore automobilistico) che avevano determinato la scelta della riconversione nel settore della produzione di pannelli solari termici rispetto all’ambito originariamente individuato della lavorazione di lamiere metalliche.
Alla luce di quanto esposto i Supremi Giudici, accogliendo il ricorso della contribuente hanno commentato che: “ .. Invero – premesso che in sede d’interpello, secondo la disciplina dell’art. 37, comma 8 del d.P.R. n. 600/1973, applicabile ratione temporis, il contribuente può richiedere la disapplicazione della normativa di cui all’art. 30 della 1. n. 724/1994, come modificato dall’art. 35 del d. 1. n. 223/2006, convertito con modificazioni nella 1. n. 248/2006, in ordine ai parametri ivi stabiliti in virtù della cui applicazione si determina un reddito minimo presunto, spettando quindi alla società di provare l’esistenza di situazioni oggettive che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto questa Corte ha chiarito che la nozione d’impossibilità di cui al comma del succitato art. 30 del conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi della stesso articolo debba essere intesa «non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato» (cfr. Cass. sez. 5, 28 febbraio 2017, n. 5080; in senso conforme Cass. sez. 5 20 giugno 2018, n. 16204). 5.1. Le sentenze impugnate, laddove hanno evidenziato che il ritardo nella realizzazione dell’investimento era stato causato anche dal mutamento dell’originario progetto volto alla realizzazione di stabilimenti industriali per la lavorazione di lamiere metalliche, virato verso la produzione di pannelli solari termici “a causa delle peggiorate prospettive di collocazione dei prodotti destinati al settore automobilistico”, negando che dette circostanze potessero assumere rilevanza in sede d’interpello, in quanto determinate da carenze pianificatorie aziendali e da scelte ed iniziative imprenditoriali libere, ha escluso la ricorrenza dell’anzidetta “impossibilità” in forza di una concezione di tipo assoluto della stessa, che si pone in contrasto con il recente indirizzo di cui alle succitate pronunce di questa Corte.
5.2. In relazione ad un primo aspetto, è mancata in primo luogo da parte delle sentenze impugnate qualsiasi considerazione relativamente alle condizioni di mercato (crisi del settore automobilistico) che avevano determinato la scelta della riconversione nel settore della produzione di pannelli solari termici rispetto all’ambito originariamente individuato della lavorazione di Lamiere metalliche. 5.3.In secondo luogo, invero, diversamente da quanto evidenziato dall’Amministrazione finanziaria con la memoria depositata in relazione alla prima impugnazione proposta, la rimessione in termini adottata dal Ministero dello Sviluppo Economico a seguito della disposta istruttoria deve intendersi nel senso che la società si dovesse attivare in congruo arco temporale onde rendere effettiva la possibilità di realizzazione dell’investimento, dovendo all’uopo ritenersi sufficiente che sia intervenuta la succitata delibera aziendale a compimento del secondo biennio del quadriennio (48 mesi) di tempo all’uopo concesso; la qual cosa consente di superare il rilievo della mancata attivazione operativa per l’anno d’imposta 2012. 6. Del pari risulta manifestamente fondato il secondo motivo di ciascun ricorso, correlato al primo, avendo omesso del tutto il giudice di merito, nel ritenere sussistenti i presupposti perché la società fosse ritenuta non operativa, di considerare il fatto storico della rimessione in termini per la realizzazione del progetto imprenditoriale, alla stregua dell’esito favorevole alla contribuente del procedimento amministrativo per la revoca del contributo, di cui alla succitata nota del 2 marzo 2011 del Ministero per lo Sviluppo Economico, per effetto della quale, alla data (primo luglio 2013) di proposizione dell’interpello disapplicativo era ancora nei termini per la realizzazione dell’investimento, per la cui prosecuzione la società ha quindi successivamente deliberato come da verbale del 20 marzo 2013; dovendosi rilevare come detto fatto, qualora opportunamente esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso del giudizio quanto all’esclusione della normativa antielusiva in oggetto sollecitata dalla contribuente all’Amministrazione finanziaria. 6.1. Né può dirsi, come invece dedotto dall’Agenzia delle Entrate, che il motivo sia carente di autosufficienza, sia per essere stato riprodotto in ricorso il contenuto testuale dell’anzidetta nota ministeriale, sia essendo stato chiarito che il tema era oggetto del dibattito processuale come devoluto al giudice dell’appello come da ricorso avverso ciascuna sentenza di primo grado. Le sentenze impugnate vanno dunque cassate in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso”.
CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 12 febbraio 2019, n. 4019
Sul ricorso 18904-2017 proposto da: I.M.I SRL, incorporante della Società T.C.D.S.SRL in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO N. 10, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO PREZIOSI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 635/52/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 25/01/2017;
sul ricorso 23282-2017 proposto da: I.M.I SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO 10, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO PREZIOSI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2009/31/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 03/03/2017;
udita la relazione delle cause riunite svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.
Ragioni della decisione
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 197/2016, osserva quanto segue:
La CTR della Campania, con sentenza n. 635/52/2017, depositata il 25 gennaio 2017, non notificata, rigettò nel merito l’appello proposto dalla T. C. di S. S.r.l. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTP di Napoli, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società medesima avverso il diniego reso dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza d’interpello disapplicativo della normativa dettata per le società di comodo relativamente all’anno d’imposta 2012
. Avverso la sentenza della CTR la Industria Metallurgica Irpina S.r.l., incorporante la T. C. di S. S.r.l. in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria.
La CTR della Campania, con sentenza n. 2009/31/2017, depositata il 3 marzo 2017, non notificata, rigettò ugualmente nel merito l’appello proposto dalla T. C. di S. S.r.l. in liquidazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTP di Napoli, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società medesima avverso il diniego reso dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza d’interpello disapplicativo della normativa dettata per le società di comodo relativamente all’anno d’imposta 2013. Anche avverso detta ultima sentenza della CTR la I.M.I. Industria Metallurgica Irpina S.r.l., incorporante la T. C. di S. S.r.l., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, del tutto analoghi a quelli del ricorso precedente.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
- Preliminarmente ritiene la Corte che le cause debbano essere riunite (la n. R.G. 23282/2017 a quella più antica n. R.G. 18904/2017) per evidenti motivi di connessione oggettiva e soggettiva.
- Sempre in via preliminare, con riferimento al ricorso avverso la sentenza della CTR della Campania n. 2009/31/2017, va rigettata, quanto infondata, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso della società per tardività, formulata dalla difesa erariale.
Il ricorso per cassazione, notificato dal difensore della ricorrente munito dell’autorizzazione di cui all’art. 7 della 1. n. 53/1994 dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino, è stato, infatti, spedito per mezzo del S.o postale il 4 ottobre 2017, che è l’ultimo giorno utile per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la succitata sentenza della CTR della Campania, depositata il 3 marzo 2017, per cui, oltre al termine lungo da detta data ai sensi dell’art. 327, comma 1, c.p.c., occorre tener conto del periodo di sospensione feriale di cui all’art. 1 della 1. n. 742/1969 nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio (dal 1° agosto al 31 agosto).
Resta dunque applicabile, pur in relazione al ridotto periodo di sospensione feriale rispetto alla disciplina previgente, il principio già affermato da questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 4 ottobre 2013, n. 22699; Cass. sez. 6-1, 9 luglio 2012, n. 11491) secondo cui al calcolo ex nominatione dierum del c.d. termine lungo per la proposizione del ricorso, trattandosi di termine computato a mesi, va aggiunto il computo ex numeratione dierum del periodo di sospensione feriale ai sensi del combinato disposto dell’art. 155, comma 1, c.p.c. e 1, comma 1, della 1. n. 742/1969, nel caso di specie di giorni trentuno (stante la sospensione dei termini processuali dal l’agosto al 31 agosto); donde la tempestività della spedizione del ricorso in data 4 ottobre 2017, ultimo giorno utile per la proposizione dell’impugnazione.
- Con il primo motivo di ciascun ricorso la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 30 della I. n. 724/1994, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui le sentenze impugnate hanno escluso che la T. potesse beneficiare della disapplicazione della normativa dettata per le società di comodo quanto alla valutazione dei titoli, avendo ritenuto che, nella fattispecie in esame, la situazione di inoperatività dovesse intendersi come frutto di libera scelta imprenditoriale, a fronte della quale non era configurabile l’impedimento oggettivo legittimante la disapplicazione del citato art. 30 della 1. n. 724/1994.
- Con il secondo motivo di ciascun ricorso la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., segnatamente riguardo alla nota del 2 marzo 2011 del Ministero per lo Sviluppo Economico che – chiuso in modo favorevole alla società il procedimento amministrativo finalizzato alla revoca del contributo del quale la società avrebbe dovuto beneficiare per gli investimenti da realizzare – nel rimettere in termini la società per la realizzazione del suo progetto industriale, aveva disposto a tal fine la concessione di ulteriore termine di mesi 48 con decorrenza dalla stessa data del 2 marzo 2011; nota alla quale aveva quindi fatto seguito la deliberazione della società, di cui a verbale datato 20 marzo 2013, di prosecuzione del piano di investimento previsto.
- Il primo motivo quale addotto in ogni ricorso è manifestamente fondato.
Invero – premesso che in sede d’interpello, secondo la disciplina dell’art. 37, comma 8 del d.P.R. n. 600/1973, applicabile ratione temporis, il contribuente può richiedere la disapplicazione della normativa di cui all’art. 30 della 1. n. 724/1994, come modificato dall’art. 35 del d. 1. n. 223/2006, convertito con modificazioni nella 1. n. 248/2006, in ordine ai parametri ivi stabiliti in virtù della cui applicazione si determina un reddito minimo presunto, spettando quindi alla società di provare l’esistenza di situazioni oggettive che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto questa Corte ha chiarito che la nozione d’impossibilità di cui al comma del succitato art. 30 del conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi della stesso articolo debba essere intesa «non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato» (cfr. Cass. sez. 5, 28 febbraio 2017, n. 5080; in senso conforme Cass. sez. 5 20 giugno 2018, n. 16204).
5.1. Le sentenze impugnate, laddove hanno evidenziato che il ritardo nella realizzazione dell’investimento era stato causato anche dal mutamento dell’originario progetto volto alla realizzazione di stabilimenti industriali per la lavorazione di lamiere metalliche, virato verso la produzione di pannelli solari termici “a causa delle peggiorate prospettive di collocazione dei prodotti destinati al settore automobilistico”, negando che dette circostanze potessero assumere rilevanza in sede d’interpello, in quanto determinate da carenze pianificatorie aziendali e da scelte ed iniziative imprenditoriali libere, ha escluso la ricorrenza dell’anzidetta “impossibilità” in forza di una concezione di tipo assoluto della stessa, che si pone in contrasto con il recente indirizzo di cui alle succitate pronunce di questa Corte.
5.2. In relazione ad un primo aspetto, è mancata in primo luogo da parte delle sentenze impugnate qualsiasi considerazione relativamente alle condizioni di mercato (crisi del settore automobilistico) che avevano determinato la scelta della riconversione nel settore della produzione di pannelli solari termici rispetto all’ambito originariamente individuato della lavorazione di Lamiere metalliche.
5.3. In secondo luogo, invero, diversamente da quanto evidenziato dall’Amministrazione finanziaria con la memoria depositata in relazione alla prima impugnazione proposta, la rimessione in termini adottata dal Ministero dello Sviluppo Economico a seguito della disposta istruttoria deve intendersi nel senso che la società si dovesse attivare in congruo arco temporale onde rendere effettiva la possibilità di realizzazione dell’investimento, dovendo all’uopo ritenersi sufficiente che sia intervenuta la succitata delibera aziendale a compimento del secondo biennio del quadriennio (48 mesi) di tempo all’uopo concesso; la qual cosa consente di superare il rilievo della mancata attivazione operativa per l’anno d’imposta 2012.
- Del pari risulta manifestamente fondato il secondo motivo di ciascun ricorso, correlato al primo, avendo omesso del tutto il giudice di merito, nel ritenere sussistenti i presupposti perché la società fosse ritenuta non operativa, di considerare il fatto storico della rimessione in termini per la realizzazione del progetto imprenditoriale, alla stregua dell’esito favorevole alla contribuente del procedimento amministrativo per la revoca del contributo, di cui alla succitata nota del 2 marzo 2011 del Ministero per lo Sviluppo Economico, per effetto della quale, alla data (primo luglio 2013) di proposizione dell’interpello disapplicativo era ancora nei termini per la realizzazione dell’investimento, per la cui prosecuzione la società ha quindi successivamente deliberato come da verbale del 20 marzo 2013; dovendosi rilevare come detto fatto, qualora opportunamente esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso del giudizio quanto all’esclusione della normativa antielusiva in oggetto sollecitata dalla contribuente all’Amministrazione finanziaria.
6.1. Né può dirsi, come invece dedotto dall’Agenzia delle Entrate, che il motivo sia carente di autosufficienza, sia per essere stato riprodotto in ricorso il contenuto testuale dell’anzidetta nota ministeriale, sia essendo stato chiarito che il tema era oggetto del dibattito processuale come devoluto al giudice dell’appello come da ricorso avverso ciascuna sentenza di primo grado.
Le sentenze impugnate vanno dunque cassate in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui va demandata anche la pronuncia sulle spese dei giudizi riuniti di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i ricorsi delle controversie riunite, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda anche di pronunciare in ordine alle spese dei giudizi riuniti di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 novembre 2018