CASSAZIONE

La confisca non è applicabile nei confronti dell’evasore fiscale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 51059 dell’8 novembre 2017, intervenendo in tema di sequestro e della confisca c.d. di prevenzione, ha affermato che essere “soltanto” un evasore fiscale non comporta automaticamente la sua pericolosità sociale o che viva abitualmente di proventi illeciti, così come definiti dalle categorie di cui all’art. 4, D.lgs. n. 159/2011 e dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 2/56, 11/56, 177/80, 309/93. L’evoluzione della normativa in materia di misure patrimoniali nasce dalle esigenze di politica anticrimine che hanno condotto all’approvazione della legge n. 646/1982 (c.d. legge Rognoni-La Torre), che prevedeva il sequestro e la confisca dei beni di provenienza illecita nella disponibilità, diretta o indiretta, degli indiziati di appartenenza alla mafia. Sequestro e confisca sono stati progressivamente estesi a soggetti diversi dagli indiziati di mafia; dapprima, con la legge n. 152/1975, alle persone pericolose con riferimento alla prevenzione di fenomeni sovversivi; poi, con l’art. 14, legge n. 55/199 e dal d.l. n. 92/2008, convertito dalla legge n. 125/2008, agli indiziati di appartenenza ad associazioni dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti e alle persone dedite a traffici delittuosi o che vivano col provento di gravi delitti specificamente indicati. Il successivo D.lgs. n. 159/2011 si è peraltro limitato a rappresentare le disposizioni previgenti, con un’ulteriore estensione delle misure patrimoniali a tutte le persone che rientrano nella c.d. pericolosità comune, ivi compresi, dunque, i soggetti dediti alla commissione di reati contro i minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Infine, il D.lgs. n. 158/2015, nel revisionare il sistema sanzionatorio tributario, ha apportato numerose modifiche anche al D.lgs. n.74/2000 in materia di reati tributari introducendo, tra l’altro, l’art.12-bis che disciplina la confisca. Come noto, la confisca di prevenzione può essere disposta dall’autorità giudiziaria sui beni di cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento di prevenzione, “risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica svolta, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” e di cui lo stesso non possa giustificare la legittima provenienza.

La questione controversa sulla quale è stato sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione verteva, ai fini della confisca in questione, sul fatto che se per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e il reddito dichiarato o le attività economiche svolte dal soggetto, titolare diretto o indiretto dei beni, si debba tener conto anche dei proventi dell’evasione fiscale. Come osservano le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 33451 del 29 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha espresso una solida unità di indirizzo, in senso però decisamente negativo ritenendo che sul tema “…deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione fiscale”. Con ordinanza 46837/14 le Sezioni Unite hanno poi corretto l’errore materiale che inficiava il principio originariamente formulato, disponendo che là dove è scritto “ … deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione fiscale”, deve leggersi “… non deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione fiscale”.

Inoltre, con la successiva sentenza n. 4880/2015, le Sezioni Unite hanno affermato la natura preventiva dell’ipotesi di confisca introdotta nell’ordinamento con la legge n. 646/1982 ed attualmente disciplinata dagli artt. 16 e ss. del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. “codice antimafia”). Sulla scorta di tale qualificazione il Massimo Collegio ha così ammesso l’efficacia retroattiva della misura, accentuando il presupposto della pericolosità come elemento giustificatore della misura espropriativa nel vecchio e nel nuovo quadro normativo, indipendentemente dall’epoca del suo manifestarsi, cioè anche ai fatti antecedenti alle riforme del 2008 e 2009.

In questo contesto, per quanto riguarda il dibattito giurisprudenziale sulla natura giuridica della confisca di prevenzione, deve osservarsi che a differenza di altre tipologie di provvedimenti ablatori, dopo alcune incertezze interpretative, su questo istituto si è consolidato un orientamento ermeneutico tendente a riconoscergli natura preventiva.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, è sufficiente, continuano i Giudici di legittimità, ai fini del giudizio di pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca, considerare che i requisiti di stretta interpretazione necessari per l’assoggettabilità a tale misura sono indicati dagli artt. 1 e 4, D.lgs. n. 159/2011 e concernono i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

Requisiti che non sono automaticamente e necessariamente sovrapponibili all’evasore fiscale.

Pertanto, se i delitti tributari possono consentire l’applicazione di misure di prevenzione, il decreto di confisca dei beni del proposto deve precisare, tra l’altro, il superamento delle soglie di punibilità nel corso del tempo ed in relazione alle norme allora vigenti per i diversi delitti. Questo, in sintesi, è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nel caso trattato, accogliendo il ricorso di tre soggetti posti sotto processo per evasione fiscale, avverso il decreto della Corte d’Appello che confermava la confisca dei loro beni.

Gli Ermellini hanno ritenuto quindi : “ … Orbene, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, il mero “status” di evasore fiscale non è sufficiente ai fini del giudizio di pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca, considerato che i requisiti di stretta interpretazione necessari per l’assoggettabilità a tale misura sono indicati dagli artt. 1 e 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011, e concernono i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, requisiti non automaticamente e necessariamente sovrapponibili all’evasore fiscale, in sé e per sé considerato, sicché, se i delitti tributari possono consentire l’applicazione delle misure di prevenzione, il decreto di confisca dei beni del proposto deve precisare, tra l’altro, il superamento delle soglie di punibilità nel corso del tempo e in relazione alle norme in allora vigenti contemplate per diversi delitti (Sez. 5, n. 6067 del 06/12/2016, Malara, Rv. 269026). Pertanto, pur essendo legittima, in virtù del principio di autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale, l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti dei soggetti che vivono abitualmente di proventi illeciti (art. 1, lett. b, D. L.vo n. 159/2011) nonostante l’intervenuta assoluzione in sede penale, il decreto impugnato evidenzia una motivazione meramente apparente laddove, a fronte di motivi di appello in punto di mancanza di idonei indizi di reato, non procede a specifica confutazione di tali motivi con riferimento alla evasione fiscale continuata prefigurata dal primo giudice e alla necessaria dimostrazione dei suddetti requisiti, necessari per l’assoggettabilità alla misura della confisca ai sensi degli artt. 1 e 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011”.

 

Corte di Cassazione Sentenza n. 51059 dell’8 novembre 2017

sui ricorsi proposti da: SHAN FENG nato il 15/10/1974 a ZHEJIANG( CINA) ZHENG ZHANGXIU nato il 16/02/1977 a ZHEJIANG( CINA),

SHAN CHONGFA nato il 13/09/1950,

avverso il decreto del 22/12/2016 della CORTE APPELLO di ROMA sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO MOGINI;

lette le conclusioni del PG

RITENUTO IN FATTO

  1. Shan Feng, Zheng Zangxiu e Shan Chongfa ricorrono, il primo in qualità di proposto e gli altri quali terzi interessati, avverso il decreto della Corte di appello di Roma del 22/12/2016 che ha confermato la misura di prevenzione patrimoniale della confisca disposta nei loro confronti da precedente decreto del Tribunale di Roma del 14/12/2015.
  2. Col primo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge in relazione alle modalità di redazione della motivazione, manoscritta, del decreto impugnato, che avrebbe reso impossibile l’esatta comprensione di quanto argomentato dalla Corte distrettuale.
  3. Col secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge con riferimento agli artt. 1, 4 e 16 D. L.vo 159/2011, 41 e 42 Cost. e 1 Prot. 1 CEDU, in relazione alla indimostrata e invero insussistente pericolosità dei ricorrenti nel periodo a cui si riferiscono gli acquisti (2003- 2005, a fronte di condanne per fatti commessi tra il 21.2.2006 e 1’11.3.2008).

Con motivi nuovi depositati in data 28/6/2017 i ricorrenti hanno più diffusamente argomentato in punto di “perimetrazione cronologica” della pericolosità e della sua corrispondenza col periodo in cui si sono verificati gli acquisti confiscati, non rilevando al riguardo il mero status di evasore fiscale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato, per i motivi e nei limiti di seguito indicati.

1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Invero, l’illeggibilità, anche parziale, della sentenza redatta a mano deve essere valutata caso per caso, apprezzata dalle parti e verificata dal giudice (Sez. 4, n. 19825 del 09/03/2005, Ouni, Rv. 231358; Sez. 5, n. 46124 del 26/09/2014, Dominioni, Rv. 261685), e, nel caso di specie, va all’evidenza esclusa, ad un diretto e piano esame del documento, che, seppur manoscritto, risulta integralmente ed agevolmente leggibile, come risulta, tra l’altro, dalle conclusioni scritte del Procuratore Generale e dalla stessa circostanza che sul suo contenuto la difesa ha sviluppato compiutamente la sua analisi critica.

1.2. È invece fondato il secondo motivo di ricorso. La motivazione della sentenza impugnata, che sul punto richiama espressamente quella di primo grado, fa infatti riferimento alla insussistenza di redditi familiari pregressi tali da giustificare gli acquisti immobiliari confiscati, derivandone su base logica la sussistenza nel periodo di redditi illeciti.

Invero, è sul fondamento dell’esistenza di redditi non dichiarati, e quindi oggetto di evasione fiscale, che il giudice di primo grado aveva in realtà ancorato la ritenuta pericolosità sociale del proposto, in quanto inquadrabile nella categoria dei soggetti che vivono abitualmente di proventi illeciti (art. 1, lett. b, D. L.vo n. 159/2011), nonché la riconducibilità dei beni confiscati al medesimo proposto.

Orbene, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, il mero “status” di evasore fiscale non è sufficiente ai fini del giudizio di pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca, considerato che i requisiti di stretta interpretazione necessari per l’assoggettabilità a tale misura sono indicati dagli artt. 1 e 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011, e concernono i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, requisiti non automaticamente e necessariamente sovrapponibili all’evasore fiscale, in sé e per sé considerato, sicché, se i delitti tributari possono consentire l’applicazione delle misure di prevenzione, il decreto di confisca dei beni del proposto deve precisare, tra l’altro, il superamento delle soglie di punibilità nel corso del tempo e in relazione alle norme in allora vigenti contemplate per diversi delitti (Sez. 5, n. 6067 del 06/12/2016, Malara, Rv. 269026).

Pertanto, pur essendo legittima, in virtù del principio di autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale, l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti dei soggetti che vivono abitualmente di proventi illeciti (art. 1, lett. b, D. L.vo n. 159/2011) nonostante l’intervenuta assoluzione in sede penale, il decreto impugnato evidenzia una motivazione meramente apparente laddove, a fronte di motivi di appello in punto di mancanza di idonei indizi di reato, non procede a specifica confutazione di tali motivi con riferimento alla evasione fiscale continuata prefigurata dal primo giudice e alla necessaria dimostrazione dei suddetti requisiti, necessari per l’assoggettabilità alla misura della confisca ai sensi degli artt. 1 e 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011.

Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l’annullamento del decreto impugnato con rinvio degli atti ad altra Sezione della Corte di .appello di Roma perché’, in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimità, proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, anche con riferimento alle specifiche censure enunciate dai ricorrenti, colmando – nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito – le indicate lacune e discrasie della motivazione.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuova deliberazione ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso il 19/7/2017.

Il Consigliere estensore

 

 

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