FISCALITA FOCUS

La condotta “antieconomica” del contribuente

Aggiornamento 7 gennaio 2016

L’attuazione della potestà impositiva costituisce per ogni Stato moderno una prerogativa irrinunciabile per introitare il gettito fiscale necessario al soddisfacimento dei sempre più diversificati bisogni pubblici.

employee

Da qualche tempo è crescente la prassi tra gli operatori dell’Amministrazione Finanziaria di svolgere in sede di controllo ispettivo un vero e proprio sindacato di merito in ordine alle scelte discrezionali poste in essere dall’impresa, con la conseguente sempre più frequente configurazione di una presunta ariti economicità di taluni fatti di gestione.

Le contestazioni conclusive di una verifica fiscale sarebbero sostenute dell’assunto che l’attività economica, in quanto tale, attiene alla creazione di nuova ricchezza e che “l’attività produttiva è condotta con metodo economico quando è diretta al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi utilizzati mediante lo svolgimento con modalità tali da consentire nel lungo periodo la copertura dei costi con i ricavi, assicurando così l’autosufficienza economica”. Conseguentemente, condotte imprenditoriali in contrasto con i criteri di economicità della gestione costituirebbero sempre presupposto per l’applicazione di rettifiche del reddito.

In prima approssimazione il concetto di antieconomicità sembra di facile interpretazione presentando apparenti elementi di connessione con’ i temi come quelli dell’elusione fiscale, dell’abuso del diritto, nonché del transfer pricing interno, degli studi di settore, del valore normale.

In realtà, tali fattispecie non costituiscono sfaccettature di un fenomeno unitario ma si contraddistinguono per discipline proprie e, quindi, è il caso di perimetrare correttamente il campo d’indagine, premettendo alcuni principi fondamentali sul tema fissati nell’ordinamento giuridico nazionale:

  • 41 Cost.: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. “
  • 23 Cost.: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”
  • 53 Cost.: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”
  • 1322 C.C.: “Autonomia contrattuale. Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [e dalle norme corporative]. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
  • 2697 C.C.: “Onere della prova. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”
  • 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente). “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente. 1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. ( ).”

E’ bene ora ricordare che, ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A., le metodologie previste per l’accertamento nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili seguono tre direttrici.

In primo luogo l’accertamento analitico, consistente nella rettifica del reddito dichiarato sulla base di rilievi riguardanti le singole componenti che concorrono alla formazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Tale procedura amministrativa riguarda esclusivamente gli elementi desumibili dall’impianto contabile e dalla documentazione disponibile, senza ricorso all’utilizzo di alcun approccio presuntivo.

L’art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 legittima il ricorso a tale metodologia di accertamento nei soli casi tassativamente indicati che si riferiscono alle ipotesi in cui emergano divergenze dal confronto tra dichiarazione, bilancio e scritture contabili; dall’esame della documentazione posta a base della contabilità; da altri elementi acquisiti al di fuori dell’impresa.

E’ possibile perciò affermare che l’Amministrazione finanziaria può dedurre l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione in modo certo e diretto dalle risultanze probatorie acquisite e, quindi, sulla scorta dei verbali già redatti, delle risposte ai questionari, dal contenuto degli atti o documenti del contribuente o di altri soggetti e, infine, dall’esame della documentazione bancaria e finanziaria. Deve essere ribadito che in sede di applicazione del metodo analitico è precluso l’utilizzo di parametri di riferimento induttivi come le percentuali di redditività ovvero il reddito medio del comparto economico nel quale opera l’impresa.

Il secondo caso, opposto all’approccio analitico è quello dell’accertamento induttivo “puro” o “extracontabile” che trova applicazione solo nei casi (art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, in cui la contabilità è giudicata nel complesso inattendibile. In questa ipotesi l’Amministrazione finanziaria ha facoltà di ricorrere a strumenti presuntivi, con possibilità di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili.

Employee-AttributesIl terzo caso, “intermedio” tra le due precedenti metodologie accertative citate, è costituito dall’accertamento “analitico-induttivo”, una sorta di mix tra l’accertamento analitico e quello cosiddetto “induttivo puro” o “extracontabile”. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria può rettificare il reddito dichiarato dal contribuente partendo dall’esame delle scritture contabili ma avvalendosi di presunzioni che devono, tuttavia, essere qualificate da specifici requisiti. Infatti, l’art. 39, comma 1, lett. d), secondo periodo del D.P.R. n. 600/1973 sancisce che l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.

Il quadro delineato consente di affermare che la differenza tra un l’applicazione legittima di un metodo rispetto all’altro risiede nella diversa forza legale delle presunzioni richieste per il loro utilizzo:

  • l’accertamento analitico-induttivo può essere attuato soltanto attraverso l’impiego di presunzioni c.d. “qualificate”, ossia dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;
  • l’accertamento induttivo tout court può essere sostenuto anche da presunzioni sprovviste dei predetti requisiti, in quanto il legislatore ne consente l’utilizzo soltanto ai casi di omessa contabilità o di scritture contabili inattendibili, ovvero di altre gravissime inadempienze da parte del contribuente.

Tanto premesso rimane da chiedersi se in presenza di supposte condotte antieconomiche del contribuente possa essere superato il valore probatorio dell’impianto contabile del contribuente; quindi, se esiste la possibilità di riconoscere alla contestata gestione antieconomica natura di “presunzione qualificata” senza il conforto di altri ed ulteriori elementi; infine, il riparto dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente.

La più attenta dottrina ha espresso un orientamento costantemente critico in ordine alla possibilità di ritenere la sola antieconomicità della gestione sufficiente per supportare rettifiche fiscali.

Invero, scelte imprenditoriali contrarie alle regole economiche assumono valore indiziante, certamente sintomatico e significativo di intenti evasivi ma solo se supportate da ulteriori evidenze acquisite dai verificatori fiscali potranno costituire elementi a conforto delle pretese dell’Amministrazione finanziaria.

E’ stato in più sedi puntualizzato che “l’antieconomicità non è mai un argomento autosufficiente, dovendosi invece inserire in un più ampio quadro accusatorio, corroborato da fatti che documentino l’inequivocabile volontà del contribuente di sottrarre materia imponibile alla tassazione; in altri termini, l’antieconomicità ha bisogno di essere associata ad ulteriori contestazioni perché se usata da sola può essere una scorciatoia per avallare rilievi fiscali grossolani, fondati su schemi che non consentano di intercettare l’effettivo illecito arricchimento del soggetto passivo.

La possibilità di sindacare le scelte imprenditoriali è stata anche giudicata “un’estensione esasperata del criterio delle valide ragioni economiche, posto a fondamento della speciale disciplina antielusiva prevista dall’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973, talché si è cercato di trasfondere nel principio di inerenza la stessa ratio che ispira le norme antielusive, creando in via interpretativa quel principio antielusivo di portata generale.

Oggetto di critiche è stato anche l’attuale assetto di riparto dell’onere probatorio, come definitosi in giurisprudenza; infatti non sembra condivisibile la prospettata ipotesi del capovolgimento dell’onere della prova”, che pone a carico del contribuente, una volta individuati atti gestori antieconomici, la dimostrazione che essi siano giustificati. In tale prospettiva, “ipotizzare un legame di rigida conseguenzialità tra antieconomicità e rettifica accertativa comporta il rischio di emanare accertamenti molto superficiali, con un indebito rovesciamento dell’onere probatorio e con palese dei fondamentali princìpi giuridici” previsti dallo Statuto dei diritti del contribuente (cit. I. 212/2000).

E’ bene perciò annotare che eventuali scelte operate dal contribuente, apparentemente contrarie a regole di profitto, potranno costituire significativi elementi a conferma delle pretese del Fisco qualora risultino in linea con altri fattori probatori – presuntivi rinvenuti dagli organi di verificatori, così da trasformare la ricostruzione logico-induttiva del Fisco in presunzioni gravi, precise e concordanti”.

A questo punto è utile una ricognizione delle più significative pronunce giurisprudenziali che hanno riguardato i profili del tema delineato, segnalando che le sentenze testimoniano la diffusa tendenza di valorizzazione dell’anti-economicità del comportamento del contribuente come grave indizio di infedeltà dei dati dichiarati e legittimante la rettifica induttiva dei relativi redditi. A fattor comune possiamo sottolineare che è stata sancita la necessità di ancorare la pretesa impositiva ad elementi probatori dotati di solida ed oggettiva attendibilità in relazione ai quali Tanti economicità del fatto di gestione contestato si colloca quale naturale sintomo di una potenziale evasione; lo spunto per un maggiore e più incisivo approfondimento investigativo e non, di contro, come in taluni contesti è avvenuto, il presupposto in relazione al quale ancorare fragili e velleitari automatismi accertativi.

In particolare:

  • in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973; al riguardo il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’ariti economicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie…. Il giudice di merito è chiamato a giustificare il proprio agire rispetto ad un modus comportamentale oggettivamente irrazionale se si parte dall’assunto che colui il guale svolge l’attività d’impresa persegue nel medio lungo periodo una logica di profitto (Cass., Sez. V, sent n. 1821 del 9 febbraio 2001; Cass., Sez. V, provv. n. 10802 del 24 luglio 2002; Cass., Sez. V, n. 16642 del 29 luglio 2011.
  • non appare sufficiente il mero richiamo all’anti economicità delle attività svolte, essendo necessaria la presenza di ulteriori elementi indiziari che, nell’ambito di accertamenti analitico-induttivi, qualifichino le presunzioni di maggiori redditi con i requisiti di gravità, precisione e concordanza (Corte Cass, sentenza nr 21317 del 5 ottobre 2010);
  • la circostanza che un’impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’Erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 39 a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate”. (Corte Cass, sentenza 24436 del 2 ottobre 2008);
  • In tema di imposte sui redditi… in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che Tanti economicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie” (Cass. Civ. n. 14428/2005)””.
  • richiamata l’obbligatorietà del contraddittorio, caso di scostamento dallo studio di settore, è sufficiente una grave incongruenza a giustificare l’accertamento, ove i dati contabili attestino una situazione di anti economicità che porta a desumere l’esistenza di maggiori ricavi e a dubitare di quanto dichiarato dal contribuente (Sentenza n. 125 del 19 ottobre 2012 (ud 19 ottobre 2012) la Commiss. Trib. Regionale di Potenza, Sez. );
  • le motivazioni sottese al rigetto delle contestazioni avanzate dalla contribuente in sede di contraddittorio innanzi all’Ufficio, appaiono del tutto generiche e inadeguate a supportare le ragioni dell’accertamento impugnato l’analisi dei dati forniti dalla contribuente infatti, atteso che l’attività di impresa è caratterizzata da lavori pluriennali, non può essere circoscritta ad un solo esercizio finanziario, ma deve riguardare un periodo più lungo da cui si evince che i lavori, man mano che vengono ultimati e consegnati, danno risultati sempre più positivi e, di conseguenza, non si rinviene la anti economicità rilevata dall’Ufficio”(Sentenza n. 79 del 19 ottobre 2012 (ud 29 giugno 2012) la Commiss. Trib. Regionale di Bari, Sez. Vili)
  • il solo esame del saldo finale del bilancio non appare esaustivo in quanto un bilancio in pareggio o in lieve perdita non può determinare un automatico giudizio di anti economicità. …l’Ufficio era tenuto a esaminare dettagliatamente sia il bilancio che il conto economico per verificare all’interno anomalie contabili (evidentemente significative)”(Commiss. Trib. Regionale di Firenze Sez. I, provvedimento nr 144 del 22 maggio 2012 (ud 23 aprile 2012); l’accertamento impugnato non si fonda né su presunzioni gravi, precise e concordanti, richieste dall’art. 39 del D.P.R. n. 600/73, né su gravi incongruenze di cui all’art. 62 sexies del D.L. n. 331/93, ma poggia su meri sospetti ed illazioni non supportate da alcuna prova tangibile e sulla non corretta comprensione della “politica” commerciale della società ricorrente e sulla palese non condivisione della medesima, con conseguente attribuzione alla stessa del carattere di antieconomicità nel suo comportamento commerciale” (Commissione Tributaria provinciale di Trieste, sentenza n. 166 5 agosto 2010);
  • a fronte di una situazione chiara sul piano documentale, l’Ufficio avrebbe dovuto portare alla Commissione tributaria elementi di prova sulla cui scorta ritenere fittizie le operazioni interessate (Commissione tributaria Regionale Friuli Venezia Giulia, 24 gennaio 2011 n. 18);
  • in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della anti economicità del comportamento del contribuente. (Cass., Sez. V, n. 6337 del 3 maggio 2002)

In conclusione, è possibile affermare che il comportamento antieconomico del contribuente assume rilievo ai fini di rettifiche dei redditi dichiarati se inserito in un contesto conoscitivo più complesso in cui, insieme ad una pluralità di elementi anomali, sostiene l’eccezione della falsità dei dati dichiarati.

Inoltre, la condotta diseconomica è stata assunta di per sé a fondamento delle rettifiche induttive nei casi di comportamenti palesemente assurdi, contrari a principi elementari dell’economicità.

E’ bene ribadire che è sempre l’Amministrazione a dover fornire la prova dell’esistenza di una condotta antieconomica e che deve trattarsi di una prova effettiva ovvero di presunzioni che devono essere qualificate gravi, precise e concordanti.

Il dato da non sottovalutare è costituito dall’obbligo del confronto dialettico tra le parti Amministrazione Finanziaria /contribuente che deve essere effettivo-sostanziale e non meramente formale. Su questo versante da un lato non è stata condivisa la presa di posizione Fisco che, pur partecipando al contraddittorio e dissentendo nel merito rispetto alle argomentazioni di parte, non ha motivato il proprio orientamento attraverso argomentazioni convincenti. Ma dall’altro, è utile ribadirlo, è stata valorizzata a sfavore del contribuente la sua inerzia difensiva.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay