CASSAZIONE

La Cassazione precisa i rapporti tra infedeltà dichiarativa e omesso versamento

Tributi– IRAP – D.lgs. 471/97 – Aliquota agevolata –  Consorzio ittico – Reati Tributari – Infedele dichiarazione – Accertamento – Termini della dichiarazione annuale – Omesso versamento dell’imposta –Interpretazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 483 dell’11 gennaio 2022, ha affermato che quando in una dichiarazione IRAP si sia applicata indebitamente l’aliquota agevolata in luogo di quella ordinaria, è dovuta solo la sanzione relativa all’infedele dichiarazione e non quella per omesso o ritardato versamento. In buona sostanza, e in relazione alla maggiore imposta accertata, la sanzione più grave prevista per la dichiarazione infedele assorbe anche quella per l’omesso/ritardato versamento dell’imposta medesima.

Quindi, anche in caso di avviso di accertamento a rettifica per infedele dichiarazione IRAP, la sanzione di riferimento prevista dall’art. 5 del D.lgs. 471/1997 assorbe completamente anche quella relativa all’omesso versamento del tributo in questione, precludendo con ciò l’irrogazione di un’ulteriore sanzione prevista dall’art. 13 dello stesso D.lgs. 471/1997.

La questione esaminata dalla Cassazione riguarda alcuni aspetti precipui del regime sanzionatorio applicabile in caso di indebita applicazione dell’aliquota agevolata IRAP e, al riguardo, appare opportuno ricordare la recente pronuncia della Corte, la n. 27963/2020, che resta di peculiare importanza poiché ha contribuito a definire proprio questo fondamentale aspetto del sistema sanzionatorio tributario, sul quale il dibattito contenzioso non si è mai del tutto sopito nonostante i chiarimenti contenuti nella Circolare dell’Agenzia delle entrate, la n. 42/E del 12 ottobre 2016, che testualmente affermava: “… Il problema derivante da una possibile differenza di visione tra contribuente e prassi amministrativa o giurisprudenziale in ordine al trattamento sanzionatorio da accordare all’errore verificatosi, che secondo la Suprema Corte non può trovare soluzione tramite iniziale ravvedimento in base alla prassi e successiva richiesta di rimborso (Cass., sez. trib., 6108/2016), può invece trovare uno spunto di soluzione considerando le modalità di versamento delle somme dovute per il ravvedimento”.

La prassi dell’Amministrazione finanziaria, peraltro, è sempre stata quella di considerare le due sanzioni cumulabili in quanto riferite a due violazioni differenti e autonome sotto il profilo sostanziale.

Sul punto giova peraltro ricordare, ad esempio, che i giudici della Corte di Cassazione si erano pronunciati (Cass. n. 29299/2018) in un caso simile, avente a oggetto la cumulabilità delle sanzioni previste dagli articoli 6 (per omessa/infedele fatturazione) e 13 (per ritardato o omesso versamento) del D.lgs. 471/1997, in senso diametralmente opposto alla soluzione odierna, stabilendo che quando una società contribuente che non abbia fatturato e contabilizzato l’operazione in seno alle liquidazioni periodiche risponde non solo per l’omessa tenuta delle scritture contabili ex art. 6, comma 1, del D.lgs. 471/97, ma anche per il ritardato versamento del tributo ex art. 13, comma 1, del D.lgs. 471/97, affermando di fatto che le due violazioni fossero da ritenere autonome (v. anche Sez. 5, Sent. n. 13759/2016) e che: “… Il fatto di non aver fatturato e contabilizzato regolarmente alle scadenze periodiche non esclude […] l’applicabilità della sanzione per il ritardato pagamento, una volta che il contribuente abbia effettuato la dichiarazione di quanto dovuto e non versato per il passato”.

La richiamata sentenza n. 27963/2020 ha nei fatti rovesciato quell’arresto giurisprudenziale, statuendo invece che nel caso di dichiarazione di imponibili inferiori a quelli reali, “… la sanzione meno favorevole prevista dall’art. 5 D.lgs. n. 471/97 (dichiarazione infedele) assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta ed osta all’applicazione di quella prevista dall’art. 13 del D.lgs. n. 471/97 (omesso versamento)”. In particolare, la Suprema Corte ha voluto evidenziare che “… Da quanto detto discende che, laddove il mancato versamento dell’I.V.A. sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997 assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta ed osta all’applicazione di quella prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997”.

La Suprema Corte, anche nel caso odierno, ha viepiù illustrato efficacemente i confini esistenti tra la sanzione prevista per l’infedeltà dichiarativa e quella prevista per l’omissione dei versamenti, stabilendo che la prima (più grave) assorbe la seconda. Di conseguenza, se il contribuente dichiara un imponibile inferiore a quello effettivo, è quindi irrogabile la sola sanzione prevista per la dichiarazione infedele. Per gli Ermellini le due sanzioni, infatti, sono ontologicamente diverse, poiché la violazione di dichiarazione infedele si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, omettendo di conseguenza di dichiarare somme dovute e di versare le relative imposte: quella di omesso versamento, invece, ha il compito di sanzionare il mancato pagamento alle scadenze stabilite o delle somme indicate a titolo di imposta nella propria dichiarazione, presupponendo, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo “dovuto” e successivamente non versato.

Ad avviso della Suprema Corte, oggi è da ritenersi illegittima questa applicazione della doppia sanzione, in considerazione anche dal fatto che la sanzione per omesso versamento di cui all’articolo 13, comma 1, D.lgs. 471/1997, è in qualche modo “assorbibile” da quella prevista per la dichiarazione infedele e, quindi, ritiene che nessuna sanzione amministrativa possa essere irrogata se l’oggetto dell’omesso versamento è l’imposta indicata nella dichiarazione dei redditi IRAP.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, la contribuente (società del settore ittico) in sede di dichiarazione applicava l’aliquota agevolata prevista per i consorzi del settore della pesca in luogo di quella ordinaria. Successivamente, in esito al parere negativo dell’Agenzia delle entrate ad hoc interpellata sull’applicabilità del beneficio, la società versava la maggiore imposta IRAP dovuta (pari al saldo a debito risultante, espungendo l’agevolazione), nonché un importo a titolo di sanzione per infedele dichiarazione avvalendosi del ravvedimento operoso e presentando dichiarazione integrativa. Ma a seguito di un controllo automatizzato della dichiarazione, rilevato il tardivo pagamento dell’IRAP dovuta, l’Agenzia applicava la sanzione per ritardato versamento alla società contribuente. La società contribuente, allora, si rivolgeva alla giustizia tributaria che affermava l’illegittima applicazione delle sanzioni per ritardato versamento, e invece riteneva sussistente solo quella ipotesi di corretta indicazione dell’imposta in dichiarazione e mancato pagamento della stessa. Da qui il ricorso in Cassazione dell’Agenzia, che nei motivi indicava che la disciplina IRAP individua distinte violazioni, autonomamente sanzionate, per le differenti condotte di infedele dichiarazione e di omesso o ritardato versamento dell’imposta: sanzioni tra di loro concorrenti e non suscettibili di assorbimento l’una nell’altra.

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici tributari, precisando che anche ai fini IRAP, “…Con affermazione espressa a definizione di una controversia in tema di IVA, ma formulata con generale riferimento ad ogni ipotesi di violazione di disposizioni tributarie, questa Corte (Cass. 07/12/2020, n. 27693) ha di recente enunciato il seguente principio di diritto: «la sanzione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997 punisce la “dichiarazione infedele”, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione un importo inferiore a quello dovuto, mentre quella di cui all’art. 13 del citato d.lgs. punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella dichiarazione, senza che rilevi al riguardo la loro indicazione nella contabilità. Ne deriva che, in caso di omessa indicazione, nella dichiarazione annuale IVA, dell’importo effettivamente dovuto, il mancato pagamento dell’imposta costituisce diretta conseguenza dell’omessa dichiarazione, integrandosi in tal modo la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui all’art. 13 del d.lgs. citato». r.g. n/174 015 4 Cons. es ossi Siffatta regula iuris (cui in questa sede si intende dare continuità) regola anche il concorso apparente in tema di IRAP tra la fattispecie della dichiarazione infedele ex art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (dal tenore letterale pressocché coincidente all’art. 5 del d.lgs. n. 417 del 1997) e dell’omesso o ritardato versamento di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 446 del 1997 (che ricalca, in parte con espressa relatio, il disposto dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997). Va dunque ribadito che mentre la dichiarazione infedele si concreta nella indicazione ad opera del contribuente di un’imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, per l’effetto mancando di dichiarare somme dovute e di versare i relativi importi, l’omesso versamento sanziona la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione nonché l’ipotesi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Anche in materia di IRAP, il mancato versamento dell’imposta che sia diretta conseguenza dell’omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo effettivamente dovuto, integra solo ed unicamente un contegno di dichiarazione infedele, la cui sanzione, comminata nei modi e nei termini di cui all’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, assorbe l’inevitabilmente conseguente mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta. Conforme a diritto è, pertanto, la statuizione resa sul punto dalla gravata sentenza. 7. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale, proposto in via condizionata. 8. La novità della questione esaminata giustifica l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio. In ordine al ricorso principale, non trova applicazione il disposto dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228): il provvedimento che dichiara la parte impugnante tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può infatti essere pronunciato nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le amministrazioni pubbliche difese dall’Avvocatura dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 20/02/2020, n. 4315; Cass.29/01/2016, n. 1778; Cass. 14/03/2014, n. 5955).”

Corte di Cassazione – Sentenza 11 gennaio 2022, n. 483

sul ricorso iscritto al n. 13749/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato

 – ricorrente –

contro CONSORZIO P. DI G. SOC. COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 11, presso lo studio degli Avv. ti Gabriele Escalar e Vittorio Giordano, dai quali è rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso

 – controricorrente e ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza n. 634/14 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 31 marzo 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi; udito il Pubblico Ministero, dott. Mauro Vitiello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. Vittorio Giordano, per il controricorrente e ricorrente in via incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. Nel presentare la dichiarazione UNICO 2006 per l’anno d’imposta 2005, la società cooperativa Consorzio P. di G. (in appresso, per brevità: «il Consorzio») esponeva un saldo d’imposta IRAP a credito, in conseguenza della pratica applicazione dell’aliquota agevolata dell’1,9% prevista dall’art. 45, primo comma, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.

 Successivamente, pervenuto parere negativo dell’Agenzia delle Entrate ad hoc interpellata sull’applicabilità del beneficio, il Consorzio, nel dicembre 2006, versava la maggiore imposta IRAP dovuta (pari al saldo a debito risultante, espungendo l’agevolazione) nonché un importo a titolo di sanzione per infedele dichiarazione, determinato nella misura di un quinto della maggiore imposta, avvalendosi del ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 13, primo comma, lett. b), del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ratíone temporis vigente.

A seguito di controllo automatizzato eseguito ex art. 36 -bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’Agenzia delle Entrate, rilevato il tardivo pagamento dell’IRAP dovuta, procedeva, previo invito al pagamento con inoltro di comunicazioni di irregolarità, alla iscrizione a ruolo della somma di euro 14.520,30, quale sanzione per ritardato versamento quantificata in misura pari al 30% della maggiore imposta, a mente dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

2. Nel marzo 2009 l’agente della riscossione, Equitalia Emilia Nord S.p.A., notificava al Consorzio la relativa cartella di pagamento.

Avverso detta cartella, spiegava impugnativa giurisdizionale il Consorzio, assumendo, in sintesi, la configurabilità nella vicenda della sola fattispecie di infedele dichiarazione (art. 32, secondo comma, del d.lgs. n. 446 del 1997) e non anche di quella di tardivo versamento (prevista dall’art. 34 del d.lgs. n. 446 del 1997), con derivante illegittimità della irrogata sanzione.

3. Il ricorso del contribuente, disatteso dal giudice di prime cure, è stato parzialmente accolto, a seguito di appello, con la sentenza in epigrafe indicata.

Per quanto qui ancora d’interesse, la C.T.R. ha:

(a) ritenuto che l’indicazione in dichiarazione di un’imposta inferiore a quella dovuta (in conseguenza dell’applicazione di un’aliquota agevolata in luogo di quella ordinaria corretta) integri fattispecie di dichiarazione infedele, emendabile mediante ravvedimento operoso, come accaduto nel caso con la tempestiva dichiarazione integrativa e il versamento delle sanzioni in misura ridotta;

(b) escluso la ravvisabilità della violazione di ritardato versamento dell’imposta ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 446 del 1997, sussistente invece nelle ipotesi di corretta indicazione dell’imposta in dichiarazione e mancato pagamento della stessa.

Annullata la cartella per dette ragioni, il giudice di prossimità ha però disatteso la richiesta del Consorzio di ripetizione della sanzione pagata per definizione agevolata, non reputando sussistenti le obiettive condizioni di incertezza delle norme previste a tal fine dall’art. 10-ter, comma7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.

4. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo; l’intimato Consorzio resiste e spiega altresì ricorso incidentale condizionato articolato su un motivo, cui a sua volta resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate. Parte controricorrente e ricorrente incidentale ha depositato altresì memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico mezzo di gravame principale, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19,30,32 e 34 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.

Ad avviso della difesa erariale che la legge fondamentale in tema di IRAP (il già menzionato d.lgs. n. 446 del 1997) disciplini, rispettivamente agli artt. 32 e 34, distinte violazioni, autonomamente sanzionate, per le differenti condotte di infedele dichiarazione e di omesso o ritardato versamento dell’imposta: sanzioni tra di loro concorrenti e non suscettibili di assorbimento l’una nell’altra, in forza dei principi informanti il sistema sanzionatorio come riformato dai decreti legislativi nn. 471 e 472 del 1997.

6. L’argomentazione non è condivisibile.

Con affermazione espressa a definizione di una controversia in tema di IVA, ma formulata con generale riferimento ad ogni ipotesi di violazione di disposizioni tributarie, questa Corte (Cass. 07/12/2020, n. 27693) ha di recente enunciato il seguente principio di diritto: “la sanzione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997 punisce la “dichiarazione infedele”, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione un importo inferiore a quello dovuto, mentre quella di cui all’art. 13 del citato d.lgs. punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella dichiarazione, senza che rilevi al riguardo la loro indicazione nella contabilità. Ne deriva che, in caso di omessa indicazione, nella dichiarazione annuale IVA, dell’importo effettivamente dovuto, il mancato pagamento dell’imposta costituisce diretta conseguenza dell’omessa dichiarazione, integrandosi in tal modo la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui all’art. 13 del d.lgs. citato”.

Siffatta regula iuris (cui in questa sede si intende dare continuità) regola anche il concorso apparente in tema di IRAP tra la fattispecie della dichiarazione infedele ex art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (dal tenore letterale pressoché coincidente all’art. 5 del d.lgs. n. 417 del 1997) e dell’omesso o ritardato versamento di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 446 del 1997 (che ricalca, in parte con espressa relatio, il disposto dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997).

Va dunque ribadito che mentre la dichiarazione infedele si concreta nella indicazione ad opera del contribuente di un’imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, per l’effetto mancando di dichiarare somme dovute e di versare i relativi importi, l’omesso versamento sanziona la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione nonché l’ipotesi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile.

Anche in materia di IRAP, il mancato versamento dell’imposta che sia diretta conseguenza dell’omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo effettivamente dovuto, integra solo ed unicamente un contegno di dichiarazione infedele, la cui sanzione, comminata nei modi e nei termini di cui all’art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, assorbe l’inevitabilmente conseguente mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta.

Conforme a diritto è, pertanto, la statuizione resa sul punto dalla gravata sentenza.

7. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale, proposto in via condizionata.

8. La novità della questione esaminata giustifica l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio. In ordine al ricorso principale, non trova applicazione il disposto dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228): il provvedimento che dichiara la parte impugnante tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può infatti essere pronunciato nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le amministrazioni pubbliche difese dall’Avvocatura dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 20/02/2020, n. 4315; Cass.29/01/2016, n. 1778; Cass. 14/03/2014, n. 5955).

L’esito della lite rende altresì non applicabile il menzionato art. 13, comma 1-quater, in ordine al ricorso incidentale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa integralmente le spese del grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il giorno 12 ottobre 2021.

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