CASSAZIONE

La cartella non è valida se non c’è il contraddittorio

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12954 del 23 maggio 2017, si è pronunciata in merito alla validità di una cartella esattoriale che poteva presentare incertezze su aspetti rilevanti, ritenendo legittimi i rilievi presentati dal contribuente che sulla base delle nuova normativa entrate in vigore, ha voluto modificare la propria posizione per opporsi a quanto richiesto dal Fisco. I Supremi Giudici hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione della CTR adita, ritenendo nulla la cartella di pagamento proprio perché non si è svolto il dovuto contraddittorio.

Al riguardo si segnala che in precedenza la Commissione Tributaria di Reggio Emilia si era pronunciata per fatti simili (sentenza 59 del 16 marzo 2016), affermando che il contribuente ha diritto di partecipare alla formazione dell’atto di accertamento, indipendentemente dalla metodologia di verifica adottata, dal luogo di effettuazione e dal fatto che il tributo sia o meno armonizzato. I giudici reggiani precisarono di ben conoscere gli orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte, ma affermarono il principio che le garanzie poste dall’art. 12, comma 7 dello Statuto, sono valide a prescindere dal luogo in cui è effettuata la verifica, in quanto la norma tutela la difesa e l’affidabilità dell’accertamento e non il luogo in cui la verifica viene messa in atto.

L’art. 12 dà concreta attuazione agli articoli 97, 53 e 3 della Costituzione, imponendo agli uffici di garantire al contribuente il diritto di partecipare all’accertamento tributario attraverso un vero e proprio contraddittorio pre-accertativo. Diversamente, continuavano i giudici emiliani, ragionando si realizzerebbe una disparità di trattamento con fattispecie analoghe, con violazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della PA, di capacità contributiva, della ragionevolezza e del diritto di difesa.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’argomento generale, aveva in un primo tempo affermato la non impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità, in questo caso per agli articoli 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973 (cosiddetti “avvisi bonari”), trattandosi di semplici inviti a fornire dati ed elementi che non manifestano una volontà impositiva che deve ancora perfezionarsi (sentenze a Sezioni Unite del 24 luglio 2007, n. 16293, e del 26 luglio 2007, n. 16428).

La S.C. ha, però, successivamente rivisto il quadro interpretativo, iniziando a dichiarare, in modo costante, l’impugnabilità degli avvisi bonari (si vedano le pronunce n. 10987 del 2011, n. 7344 e n. 17010 del 2012, n. 25297 del 2014, n. 15029 e n. 15957 del 2015 e n. 3315 del 2016).

La Cassazione ha poi stabilito, con giurisprudenza univoca, che l’elenco contenuto nell’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, non esaurisce il novero degli atti impugnabili. Ciò in quanto un’interpretazione costituzionalmente orientata dello stesso impone di consentire il ricorso alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti degli enti impositori che portano comunque a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, senza dover attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal medesimo art. 19.

La medesima Corte ha altresì affermato, a partire dalla sentenza n. 21045 del 2007, il principio secondo cui “… gli atti non espressamente indicati nell’elencazione di cui all’art. 19 del D.Lgs. n.546 del 1992 che esprimono una pretesa tributaria compiuta e non condizionata (atti atipici) possono ma non debbono essere necessariamente impugnati dal contribuente, con la conseguenza che la mancata impugnazione non comporta la ‘cristallizzazione’ della pretesa tributaria”.

Esistono pertanto, due categorie di atti impugnabili, quelli espressamente indicati nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, che debbono essere necessariamente impugnati nei termini di cui al successivo art. 21 per evitare la definitività della pretesa tributaria e quelli non espressamente indicati nell’art. 19, che comunicano una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, per i quali l’impugnazione sarebbe semplicemente ammessa.

Però è nella lettura dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212/2000 che si trova la radice della corrente linea interpretativa e che stabilisce che l’Amministrazione finanziaria non deve obbligatoriamente instaurare il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (vv. Cassazione, ordinanze n. 5394, n. 14261 e n. 14972 del 2016).

Tornando ora al caso in esame, secondo gli Ermellini va innanzitutto considerato che l’art. 6, comma 5, della legge n. 2000/212, non impone alcun obbligo di contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ma l’obbligo sussiste qualora vi siano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione: “situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo”.

Ma nel caso sottoposto ai Giudici del Palazzaccio, l’omesso versamento era causato dalla decisione di modificare la posizione fiscale del contribuente in conseguenza alle intervenute novità normative, che avevano disciplinato l’imposta sostitutiva alla quale era afferente il versamento.

Gli Ermellini, pertanto, hanno voluto riaffermare che “… In tema di riscossione delle imposte, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto invalida, per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, una cartella di pagamento relativa ad omesso o insufficiente versamento di imposte dirette e indirette dovute in base alla dichiarazione presentata)” (Sez. 5, Sentenza n. 8342 del 25/05/2012, Rv. 622681 – 01; successivamente Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15584 del 08/07/2014, Rv. 631667 – 01). Ciò posto, si deve osservare che nel caso di specie, diversamente da quanto sostiene l’Agenzia fiscale ricorrente, l’omesso versamento in oggetto era determinato dalla volontà del contribuente di rettificare la propria posizione fiscale in relazione alle modifiche normative intervenute medio tempore a disciplinare l’imposta sostitutiva alla quale il versamento stesso era afferente (rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni). E’ quindi chiaro che nel caso di specie si è verificata quella condizione di “incertezza” alla quale si riferisce la norma statutaria evocata e che implicava la fissazione al contribuente di un termine “congruo”, comunque non inferiore a trenta giorni dalla richiesta di chiarimenti, con sanzione di nullità dell’atto esattivo in caso di inosservanza”.

 

Corte di Cassazione Sentenza n. 12954 del 23 maggio 2017

Fatto

RILEVATO che:

Con sentenza in data 9 febbraio 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto da M.M. avverso la sentenza n. 116/5/14 della Commissione tributaria provinciale di Avellino che ne aveva respinto il ricorso contro la cartella di pagamento per tributi erariali 2008. La CTR osservava in particolare che, già proposta con il ricorso introduttivo della lite, era fondata l’eccezione dell’appellante contribuente di mancato rispetto del contraddittorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, quale causa di invalidità della cartella esattoriale impugnata.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

Resiste con controricorso il contribuente, che ha successivamente presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – l’Agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, poichè la CTR ha ritenuto allo stesso tempo tempestiva e fondata l’eccezione di invalidità dell’atto esattivo impugnato per mancato rispetto della regola di contraddittorio preventivo di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5.

La censura è infondata.

Risulta infatti chiaro sia dal ricorso che soprattutto dal controricorso, ma anche dalla medesima sentenza impugnata, che tale eccezione era stata proposta con l’atto di proposizione del rimedio giurisdizionale contro la cartella di pagamento de qua; che quindi in appello tale eccezione è stata meramente e peraltro doverosamente riproposta. Alcuna violazione delle norme processuali evocate con il mezzo può dunque ravvisarsi nel caso di specie.

Con il secondo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, poiché la CTR ha affermato la nullità dell’atto esattivo impugnato per violazione della regola del preventivo contraddittorio prevista dalla norma statutaria.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “In tema di riscossione delle imposte, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto invalida, per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, una cartella di pagamento relativa ad omesso o insufficiente versamento di imposte dirette e indirette dovute in base alla dichiarazione presentata)” (Sez. 5, Sentenza n. 8342 del 25/05/2012, Rv. 622681 – 01; successivamente Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15584 del 08/07/2014, Rv. 631667 – 01).

Ciò posto, si deve osservare che nel caso di specie, diversamente da quanto sostiene l’Agenzia fiscale ricorrente, l’omesso versamento in oggetto era determinato dalla volontà del contribuente di rettificare la propria posizione fiscale in relazione alle modifiche normative intervenute medio tempore a disciplinare l’imposta sostitutiva alla quale il versamento stesso era afferente (rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni). E’ quindi chiaro che nel caso di specie si è verificata quella condizione di “incertezza” alla quale si riferisce la norma statutaria evocata e che implicava la fissazione al contribuente di un termine “congruo”, comunque non inferiore a trenta giorni dalla richiesta di chiarimenti, con sanzione di nullità dell’atto esattivo in caso di inosservanza. Sul punto la decisione della CTR risulta aver correttamente applicato detto principio di diritto, avendo rilevato che nel caso di specie l’iscrizione a ruolo è avvenuta addirittura prima di aver inviato al contribuente la richiesta di chiarimenti, peraltro riscontrata dal contribuente stesso prima di trenta giorni, essendo poi la cartella esattoriale stata notificata solo tre giorni dopo i chiarimenti del contribuente e quindi senza tenerne alcun conto.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000 oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2017

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