CASSAZIONE SENTENZE

La cartella esattoriale non si trasmette agli eredi

Tributi- IRPEF – Avviso – Ritardato pagamento – Accertamento – Sanzioni tributarie – Eredi – Intrasmissibilità – Art. 8 del D.Lgs. 472/1997

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25315 del 24 agosto 2022, intervenendo su un importante e decisivo aspetto della trasmissibilità delle sanzioni tributarie maturate dal de cuius agli eredi, ha ribadito il principio secondo cui le sanzioni tributarie non si trasmettono agli eredi,

distinguendo il diverso regime successorio delle sanzioni civili, definite come “sanzioni aggiuntive” destinate a risarcire il danno e rafforzare l’obbligazione, rispetto a quelle amministrative e tributarie che hanno un carattere afflittivo. In altre parole, le sanzioni pecuniarie amministrative che derivano dalle violazioni delle norme tributarie hanno carattere afflittivo: ne deriva che tali sanzioni devono essere inquadrate nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva e che, come tali, non possono essere trasmesse agli eredi.

Secondo il massimo consesso la questione rilevante nasce proprio dal presupposto sanzionatorio tributario/amministrativo, che per propria natura si discosta dalle sanzioni aventi origine dai rapporti civilistici.

Dalla sentenza in commento si scorge infatti l’accenno all’excursus giurisprudenziale che spiega come quest’ultime abbiano una species aggiuntiva rispetto al rapporto obbligatorio, che spiega le sue ragioni in base agli impegni assunti dalle parti “destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento”. E questo lo si trova soprattutto nella responsabilità di tipo contrattuale al fine di evitare che una parte, una volta trovato l’accordo, possa poi infrangerlo utilizzando delle condotte arbitrarie.

E’ solo il caso di rammentare che la sanzione amministrativa tributaria (come quella amministrativa generale) si qualifica come di tipo personalistico afflittivo in quanto, conformemente al modello della sanzione penale, mira a punire la persona che ha commesso il fatto e a rieducarla: ne deriva che tali sanzioni devono essere inquadrate nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva e che, come tali, non possono essere trasmesse agli eredi. Seguendo le norme, il primo riferimento da considerare quando si parla di sanzioni tributarie agli eredi è l’art. 8 del D.Lgs. 472/1997, rubricato proprio “Intrasmissibilità della sanzione agli eredi” e che cita “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”.

Analizzando più nello specifico la disciplina delle sanzioni tributarie agli eredi, cosa sanciscono e cosa comportano per coloro che sopravvivono al de cuius, è possibile cominciare partendo dalla consolidata giurisprudenza della Corte, come risolta dall’ordinanza n. 6500/2019, nella quale  gli Ermellini rafforzano il  principio già affermato nella sentenza n. 15067/2008 secondo il quale gli eredi non sono tenuti a pagare le sanzioni per l’inesatto o mancato versamento di un tributo da parte del de cuius e spiegano che: “… E’ già stato affermato da questa Corte che le sanzioni pecuniarie amministrative previste per la violazione delle norme tributarie hanno carattere afflittivo, onde devono inquadrarsi nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva, disciplinato dalla I. 24 novembre 1981 n. 689, essendo commisurate alla gravità  della violazione ed alla personalità del trasgressore, con la conseguenza che ad esse si applica il principio generale sancito dall’art. 7 della legge n. 689 cit., secondo cui l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi (Cass. civ. sez. V., 28/05/2008, n.13894; Cass. civ. sez V 15.10.2018, n. 25644)”.

Nel campo specifico della normativa delle sanzioni tributarie è noto che la loro natura è quella di sanzioni di carattere personale, in similitudine di quanto avviene anche per le sanzioni penali, dove non è possibile pretendere che un soggetto esterno si assuma la responsabilità che era in capo ad un altro. Il principio della personalità dell’obbligazione è stato stabilito dall’art. 7 della legge n 689/1981, la quale stabilisce che “L’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”. 

Il citato art. 8 del D.Lgs. 472/1997 –Intrasmissibilità della sanzione agli eredi” – sembra molto specifico, tuttavia l’apparente chiarezza non ha annullato l’annosa discussione dottrinale circa la sua applicabilità: a conferma di ciò basterebbe segnalare alcune pronunzie della Suprema Corte, ad iniziare la n. 15067 del 6/6/2008,dove si stabilisce che la trasmissibilità agli eredi è prevista solo per sanzioni civili e non per le altre sulle quali opera il principio di intrasmissibilità.

Tuttavia, la fattispecie non è così lineare come potrebbe sembrare.

Osserviamo di contro quanto stabilito dall’Agenzia delle entrate, la cui posizione è stata chiara da subito con la pubblicazione della circolare 29/E del 7 agosto 2015, che pone come regola generale che i debiti tributari non si estinguono con la morte del soggetto che li ha contratti, salvo la rinuncia all’eredità (che deve avvenire nei 10 anni successivi all’apertura della successione). Gli eredi rispondono infatti in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del de cuius.

Sempre proseguendo nel tema delle responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino si applica la disciplina comune di cui agli artt. 752 e 1295 c.c., in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie (Cass. n. 22426/2014; Cass. n. 18451/2016). In altri termini, il debitore diventa quindi l’erede, che è costretto a rispondere in prima persona con il proprio patrimonio dei debiti contratti dal defunto con l’Agenzia delle entrate-Riscossione relativamente a cartelle esattoriali non estinte: quest’ultima potrà infatti chiedere l’integrale pagamento di una cartella anche a uno solo degli eredi, il quale potrà poi rivalersi nei confronti degli altri coeredi.

E’ tuttavia necessario concludere l’argomento precisando, però, che agli eredi non può essere richiesta alcuna somma a titolo di sanzioni.

Tanto premesso e ritornando al caso di specie, a una contribuente veniva notificata una cartella di pagamento avverso la quale proponeva ricorso per vizi afferenti la notifica e la legittimità della pretesa, contestandola in sede di merito in quanto riteneva di aver già pagato il quantum richiesto. La C.t.p. accoglieva il ricorso per illegittimità della pretesa e nullità della cartella per intervenuto pagamento, per essere stata fornita la prova della corresponsione di quanto preteso, mentre in sede di appello i giudici riformavano la sentenza di primo grado favorevole alle ragioni di accoglimento, riducendo di un terzo le sanzioni comminate.

Nel frattempo la ricorrente veniva meno, e gli eredi riassumevano la causa.

Così che si giungeva all’ultimo grado di giudizio e presso la suprema Corte si sollevavano più punti di contestazione, tra i quali anche la doglianza fondata sulla legittimità dell’applicazione delle sanzioni sulla scorta di sei motivazioni, I Giudici di piazza Cavour, analizzando i motivi, accoglievano il ricorso della parte contribuente affermando che: “… E’, invece, fondato il quinto motivo. Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non vi è motivazione sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni. Costituisce dato pacifico in causa il fatto che la controversia è stata proseguita dai predetti A. P., B. P., quali eredi della sig.ra L. C. in P. Come noto, l’art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997 (rubricato «Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi») prevede testualmente che «L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi».  Questa Corte ha chiarito, con riferimento al diverso regime successorio delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative, che, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689) e quelle tributarie (di cui alla legge n. 472 del 1997) hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro. A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche con riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità (Cass.6/06/2008, n. 15067).

Corte di Cassazione – Sentenza 24 agosto 2022, n. 25315

sul ricorso iscritto al n.12189/14 R.G. proposto da:

P. A. e P. B., nella qualità di eredi della sig.ra L. C. in P.i, elettivamente domiciliati in Roma Via Nizza n. 59, presso lo studio dell’avvocato Giorgio P. che li rappresenta e difende.

– ricorrenti –

contro AGENZIADELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore.

– intimata –

nonché contro EQUITALIA SUD S.P.A, elettivamente domiciliata in Roma Via Fulcieri Paulucci De’ Calboli n. 60 presso lo studio dell’avvocato Sebastiano Di Betta che la rappresenta e difende.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 396/29/13 depositata in data 10 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 giugno 2022 ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, dal consigliere Maria Luisa De Rosa. Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’accoglimento del quinto motivo di ricorso ed il rigetto, nel resto. Dato atto che non sono state presentate memorie.

FATTI DI CAUSA

1. In data 28/04/2010 veniva notificata a L. C. la cartella di pagamento n. 09720100091535425 emessa da Equitalia Gerit s.p.a. per un importo di € 8.142,57 per presunti plurimi omessi o ritardati versamenti IRPEF, per il periodo d’imposta 2006.

2. Avverso tale cartella la contribuente proponeva ricorso per vizi afferenti alla notifica e la legittimità della pretesa; nel giudizio così instaurato, si costituiva l’Agenzia delle Entrate che instava per il rigetto del ricorso.

3. La C.t.p. di Roma accoglieva il ricorso per illegittimità della pretesa e nullità della cartella per intervenuto pagamento per essere stata fornita la prova della corresponsione di quanto preteso. Va rilevato che, in data antecedente al deposito della sentenza di primo grado, ossia il 10/02/2012 decedeva L. C. e assumevano qualità di eredi i figli A. P. e B. P.; tale evento veniva dichiarato da A. P. in data 10 maggio 2012 all’Agenzia delle Entrate mediante la presentazione della dichiarazione di successione.

4. Avverso la sentenza della C.t.p. di Roma, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello e gli eredi A. P. B. P. si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello.

5. Con sentenza n. 396/29/13, depositata il 10/12/2013, la C.t.r. del Lazio, in parziale accoglimento dell’appello, decideva la riduzione delle violazioni accertate di 1/3, comprese le sanzioni.

La sentenza della C.t.r. della Lombardia è stata impugnata da A. e B. P. sulla scorta di sei motivi.

Si è costituito in giudizio con controricorso Equitalia Sud s.p.a. (già Equitalia Gerit s.p.a.), chiedendo il rigetto del ricorso.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata non avendo notificato alcun controricorso, ma depositato solo una «nota di costituzione».

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: «Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.».

1.2 Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 111, secondo e sesto comma, Cost., 101 291, 327 e 330 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.».

1.3 Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 legge 24 novembre 1981, n. 689 e art. 149 cod. proc. civ. e art. 12 legge 20 novembre 1982, n. 890, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.».

1.4 Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 – bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 6, comma 5, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.».

1.5 Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 2, cod. proc. civ.».

1.6 Con il sesto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1996, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.».

2. Il primo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si dia contezza degli importi non corrisposti dalla originaria contribuente L. C. sì da pervenire al convincimento che l’originaria pretesa erariale non era stata soddisfatta.

Come da ultimo ribadito da Cass. 3 marzo 2022, n. 7090, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno, n. 83, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Nel caso di specie dalla motivazione, sia pure obiettivamente scarna, si ricava l’iter decisorio seguito dalla C.t.r. nel ritenere non soddisfatta la pretesa tributaria azionata atteso che il giudice perviene a tale convincimento dopo aver constatato che i pagamenti erano stati effettuati in maniera frazionata e non nel rispetto dei termini e dei modi normativamente prescritti.

3. Anche il secondo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si è riscontrata l’inammissibilità dell’appello siccome non effettuata impersonalmente e collettivamente nel luogo di ultimo domicilio del defunto ma presso gli avvocati di L. C. nonostante, in data 10/05/2012, l’Agenzia delle Entrate avesse ricevuto formalmente la conoscenza del decesso della contribuente. In realtà, con la doglianza ivi esposta, si oblitera la fondamentale considerazione in ordine alla sanatoria conseguita dalla costituzione degli eredi della stessa (in tal senso, da ultimo Cass. 08/10/2020, n. 21742) e della regola dell’ultrattività del mandato come declinata da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295 secondo cui «l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. (morte o perdita della capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 cod. proc. civ., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione»

4. Il terzo motivo è infondato. Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa l’inesistenza della notifica della cartella siccome effettuata da una società privata Romana Recapiti e non da Poste Italiane s.p.a.

In proposito soccorre il principio, declinato dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 10/01/2020 n. 299) secondo cui, in tema di notificazioni di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva ed il regime introdotto dalla legge 4 agosto 2017, n. 124.

A seguito della direttiva n. 2008/6/CE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 27 febbraio 2008, il diritto unionale è di ostacolo al riconoscimento di diritti speciali o esclusivi a un operatore postale (in termini, Corte giust. in causa C-545/17, cit., punti 67-68); sicché non può essere riconosciuta a un operatore una tutela particolare idonea a incidere sulla capacità delle altre imprese di esercitare l’attività economica consistente nell’instaurazione e nella fornitura di servizi postali nello stesso territorio, in circostanze sostanzialmente equivalenti.

Il principio ha portata generale: «il fatto che uno Stato membro riservi un servizio postale, che questo rientri o no nel servizio universale, a uno o a più fornitori incaricati del servizio universale costituisce un modo vietato per garantire il finanziamento del servizio universale» (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 53). Ne consegue che l’art. 8 della direttiva, che non è stato novellato, va interpretato restrittivamente (con riferimento, peraltro, ai soli invii raccomandati e non già a quelli ordinari), perché introduce una deroga al principio.  In questa logica non incide la circostanza che il diritto esclusivo o speciale per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali sia concesso a un fornitore del servizio universale nel rispetto dei canoni di obiettività, di proporzionalità, di non discriminazione e di trasparenza, altrimenti pervenendosi a circoscrivere la portata del divieto posto dall’art. 7, paragrafo 1, prima frase, della direttiva modificata e, pertanto, a compromettere la realizzazione dell’obiettivo, ivi perseguito, di completare il mercato interno dei servizi postali.

5. Anche il quarto motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa la nullità della cartella per mancata preventiva notifica alla contribuente di alcun invito bonario di pagamento.

Invero, costituisce principio pacifico quello secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione dell’avviso bonario ex art. 36 bis, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; nè il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, legge 27 luglio 2000 n. 212, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36-bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo. « In materia di riscossione, ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 462 del 1997.» (Cass.06/07/2016, n. 13759, conforme, Cass. 28/06/2019, n. 17479; nello stesso senso, altresì, Cass. 10/06/2015, n. 12023, con riferimento alle sanzioni).

Quindi, in tema di riscossione delle imposte, l’art. 6, comma 5, legge n. 212 del 2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 36-bis citato, poiché in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante aspetti rilevanti della dichiarazione. (Cass. 27/04/2022, n. 13219).

6. E’, invece, fondato il quinto motivo.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non vi è motivazione sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni.

Costituisce dato pacifico in causa il fatto che la controversia è stata proseguita dai predetti A. P., B. P., quali eredi della sig.ra L. C. in P.

Come noto, l’art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997 (rubricato «Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi») prevede testualmente che «L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi».

Questa Corte ha chiarito, con riferimento al diverso regime successorio delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative, che, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689) e quelle tributarie (di cui alla legge n. 472 del 1997) hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro. A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche con riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità (Cass.6/06/2008, n. 15067).

7. Il sesto motivo è inammissibile.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si valuta l’eccezione sollevata di inammissibilità dell’appello per incertezza assoluta dell’oggetto dell’appello. Invero, nel processo tributario, gli elementi di specificità dei motivi possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni. L’inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi, dell’atto di appello è, nel contenzioso tributario, limitata al solo caso in cui nell’appello si ometta il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, ovvero a quello in cui il gravame non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante la censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata e ciò perché, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, tutte le volte in cui, nell’atto, sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass.15/01/2019, n. 707.

8. In conclusione la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

La peculiarità delle questioni trattate impone la compensazione delle spese di lite, anche nei gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

Compensa le spese, anche nei gradi di merito. Così decisa in Roma, il 24 giugno 2022

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