FISCALITA

IVA e inversione contabile, la riforma delle sanzioni

Il sistema dell’inversione contabile (reverse charge) è diventato sempre più importante, anche come strumento di contrasto delle frodi IVA, il che ha condotto all’esigenza di avere un sistema sanzionatorio in grado di colpire in modo più grave le violazioni compiute proprio a scopo di evasione o frode o che, comunque, implichino l’occultamento dell’operazione o un debito d’imposta, e in modo più lieve le irregolarità per le quali l’imposta risulta comunque assolta (è il caso, ad esempio, delle ipotesi di irregolare assolvimento del tributo, prima sanzionate con il 3% dell’imposta irregolarmente assolta e ora con una sanzione fissa da 250 a 10.000 euro).

Con la circolare n. 16/2017 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulla riforma delle sanzioni commesse in materia inversione contabile, spiegandone alcuni aspetti fondamentali, tra i quali: l’errata applicazione dell’imposta in modo ordinario anziché con il sistema dell’inversione contabile e ad operazioni esenti, non imponibili, non soggette a imposta o inesistenti e l’omissione totale o parziale degli adempimenti connessi all’applicazione di tale sistema. Lo spirito della riforma va ricercato nell’art. 8 della legge 231/2014, che ha delegato il Governo – tra l’altro – a una revisione del sistema sanzionatorio amministrativo “al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti; la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità”. In particolare, l’art. 15, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 158/2015 ha modificato le sanzioni amministrative in materia di documentazione e registrazione delle operazioni IVA, intervenendo soprattutto in tema di inversione contabile. In tale contesto è stata estesa la sanzione ridotta già prevista per le violazioni degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione delle operazioni non imponibili, esenti o non soggette a IVA (dal 5 al 10% dei corrispettivi non documentati o non registrati, ovvero da 250 a 2.000 euro se la violazione non rileva ai fini della determinazione del reddito) anche alle stesse violazioni relative a operazioni soggette a reverse charge: la modifica prevede che sia punito con tali sanzioni il cedente o prestatore (e non più genericamente “chi viola”, come previsto in precedenza). Le nuove disposizioni sono entrate in vigore dal 1° gennaio 2016 e si applicano, per il principio del favor rei, anche per le violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015 per le quali non siano stati emessi atti resi “definitivi” prima dell’1/1/2016.

Nella circolare n. 16/2017 si legge che per superare alcune incertezze interpretative viene specificato il concetto di “irregolare assolvimento” del tributo, distinguendo l’ipotesi in cui l’operazione doveva essere assoggettata al meccanismo del reverse charge, ma l’imposta è stata assolta in via ordinaria, e l’ipotesi in cui l’operazione doveva essere assoggettata a IVA in via ordinaria ma l’imposta è stata assolta tramite il meccanismo citato, prevedendo in questi casi riduzioni di sanzioni. Il nuovo comma 9-bis disciplina, invece, i casi di errata applicazione del reverse charge a operazioni esenti, non imponibili o non soggette a imposta o inesistenti, stabilendo la neutralizzazione degli effetti fiscali ai fini IVA e prevedendo la sanzione compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile (con un minimo di 1.000 euro) solo nei casi di operazioni inesistenti. In merito all’ambito di applicazione di tali disposizioni si è stabilito che le stesse, oltre alle ipotesi di inversione contabile di cui si è detto, sono state esplicitamente estese anche alle altre ipotesi di inversione contabile contemplate dalla normativa IVA, come le operazioni nel settore agricolo e quelle intracomunitarie: l’Agenzia evidenzia inoltre che, “pur in assenza di un espresso richiamo”, sono applicabili anche agli acquisti dalla Repubblica di San Marino e dallo Stato della Città del Vaticano.

 

Omissione degli adempimenti

Nel comma 9-bis sono descritte le ipotesi in cui l’operazione deve essere assoggettata al sistema dell’inversione contabile, ma il soggetto passivo d’imposta (cessionario o committente) non effettua totalmente o parzialmente gli adempimenti connessi. L’ipotesi in esame riguarda le violazioni commesse dal committente o cessionario sia nel caso in cui debba essere emessa autofattura (“ad esempio, per l’acquisto di beni territorialmente rilevante nello Stato da fornitori extraUe”), sia quando è prevista l’integrazione della fattura ricevuta dal cedente o prestatore (“ad esempio, per acquisto di rottami da un fornitore nazionale o fornitore Ue”). Nel sistema previgente la violazione era punita con la sanzione amministrativa compresa tra il 100 e il 200% dell’imposta non correttamente assolta, con un minimo di 258 euro. La nuova norma prevede, invece, una sanzione in misura fissa da un minimo di 500 a un massimo di 20.000 euro, “purché l’omissione degli adempimenti connessi all’inversione contabile non ‘occulti’ l’operazione, che risulta comunque dalla contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi (per es. dal libro giornale o, per coloro che tengono la contabilità semplificata, dal registro degli acquisti)”. Se, invece, l’operazione non risulta dalla contabilità, scatta la più grave sanzione proporzionale compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile non documentato, con un minimo di 1.000 euro, rapportata all’importo complessivo dell’imponibile relativo alle operazioni soggette a inversione contabile per ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e per ciascun fornitore; nei casi in cui l’irregolarità si realizzi in più liquidazioni, ci saranno tante violazioni autonome da sanzionare per quante sono le liquidazioni interessate. Se poi, dall’omissione degli adempimenti connessi all’applicazione del meccanismo deriva anche un’infedele dichiarazione o un’indebita detrazione IVA, si applicano pure le ordinarie sanzioni per dichiarazione infedele e per illegittima detrazione dell’IVA.

 

IVA applicata nel modo ordinario anziché mediante reverse charge

La specifica ipotesi di “irregolare assolvimento del tributo” si verifica quando l’operazione doveva essere assoggettata al meccanismo dell’inversione contabile ma, per errore, è stata oggetto di applicazione dell’imposta in via ordinaria: è il caso in cui il cedente o prestatore, pur in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione del meccanismo, ha erroneamente emesso fattura con IVA registrandola ai sensi dell’art. 23, DPR 633/1972. Prima della riforma la sanzione era pari al 3% dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro: se, invece, l’imposta non era stata “seppur irregolarmente” assolta, la sanzione era dal 100 al 200% dell’imposta, con un minimo di 258 euro. Restava fermo il diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente. Era inoltre prevista in entrambi i casi una responsabilità solidale tra i due soggetti, sia per l’imposta che per la sanzione. Il nuovo comma 9-bis.1 prevede, per ragioni di semplificazione, che se in presenza dei requisiti prescritti per il reverse charge l’imposta, seppure in modo irregolare, è stata comunque assolta per effetto dell’avvenuta registrazione, ed è quindi confluita nella liquidazione di competenza, “non occorre che il cessionario o committente regolarizzi l’operazione ed è fatto salvo il diritto alla detrazione”: per questa irregolarità si applica una sanzione fissa da 250 a 10.000 euro. Del pagamento è responsabile in via solidale il cedente o prestatore. Anche in questo caso, la sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta per ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e per ciascun fornitore. Il cessionario o committente è punito con la più grave sanzione proporzionale nella misura compresa tra il 90 e il 180% dell’imposta se l’applicazione dell’IVA in modo ordinario anziché con l’inversione contabile deriva “da una finalità di evasione o frode di cui è provata la consapevolezza del cessionario o committente”.

 

IVA applicata mediante reverse charge anziché nel modo ordinario

Il comma 9-bis.2 disciplina l’ipotesi inversa di irregolare assolvimento del tributo nel caso in cui l’IVA doveva essere assolta in via ordinaria ma è stata assolta, in modo irregolare, con il meccanismo dell’inversione contabile dal cessionario o committente. Il cessionario o committente ha diritto a detrarre l’imposta assolta irregolarmente con l’inversione contabile, mentre il cedente o prestatore – seppur debitore dell’imposta – non è obbligato all’assolvimento della stessa, ma è punito con la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro. Del pagamento di tale sanzione è responsabile, in via solidale, il cessionario o committente. Anche in questo caso la sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta in base a ciascuna liquidazione mensile o trimestrale e per ciascun committente. Se il cedente/prestatore non emette fattura o la emette senza IVA, o il cessionario/committente non assolve irregolarmente l’imposta tramite l’inversione contabile, non si applica la sanzione fissa ma quella ordinaria prevista per violazione degli obblighi di documentazione e registrazione di operazioni imponibili (tra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio); il cessionario o committente è punibile con la sanzione prevista per la mancata regolarizzazione dell’operazione (100% dell’imposta con un minimo di 250 euro). Il comma 9-bis.2, inoltre, prevede espressamente l’inapplicabilità della sanzione in misura fissa quando “la condotta sia determinata da un intento di evasione o di frode per il quale vi sia prova di consapevolezza da parte del cedente o prestatore”. Riguardo l’ambito applicativo del citato comma 9-bis.2, nella circolare 16/2017 si evidenzia che la norma è applicabile solo al caso di irregolare assolvimento dell’imposta relativa a cessioni di beni o a prestazioni di servizi in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile: secondo la Relazione di accompagnamento al decreto si tratta di tutte “le ipotesi in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile… per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione”. L’esempio riportato nel documento di prassi è quello della cosiddetta “stabile organizzazione occulta”, realizzata da un soggetto residente che ha assolto l’imposta con il sistema dell’inversione contabile (art. 17, comma 2, DPR 633/1972) per acquistare beni e servizi presso un soggetto dichiaratosi non residente e di cui, successivamente, viene accertata la stabile organizzazione in Italia.

 

Errata applicazione a operazioni esenti, non imponibili, non soggette o inesistenti

Operazioni esenti, non imponibili o non soggette. Il comma 9-bis.3 prevede una particolare disciplina, “più a carattere procedurale che sanzionatorio”, per i casi di errata applicazione del meccanismo dell’inversione contabile a operazioni esenti, non imponibili o non soggette a imposta. E’ il caso, ad esempio, di un cessionario o committente che riceve una prestazione di servizi o una cessione di beni da un soggetto non residente, ritiene erroneamente l’operazione rilevante ai fini IVA in Italia e assolve l’imposta mediante l’inversione contabile, mentre invece l’operazione era non soggetta a IVA. L’organo accertatore è tenuto a cancellare il debito erroneamente conteggiato nelle liquidazioni periodiche e la conseguente detrazione operata: il cessionario o committente può comunque recuperare l’imposta eventualmente non detratta (per indetraibilità soggettiva o oggettiva) tramite una nota di variazione in diminuzione (art. 26, comma 3) o mediante la procedura del cosiddetto “rimborso anomalo” (art. 21, comma 2, D.Lgs. 546/1192).

Operazioni inesistenti. Il comma 9-bis.3 si applica anche alle operazioni inesistenti assolte con il meccanismo dell’inversione contabile: sono infatti state introdotte regole specifiche – sia per la sanzione applicabile che per i criteri di recupero dell’imposta in sede di accertamento – applicabili quando la violazione riguarda l’applicazione del regime di inversione contabile, per operazioni di cui al primo periodo del comma 9-bis, ma che sono inesistenti. Al riguardo è stato modificato anche l’art. 21, comma 7, del DPR 633 del 1972, che prima prevedeva che in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, con indicazione in fattura di corrispettivi o di imposta superiore a quella reale, l’imposta fosse dovuta dal debitore per “l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”; la regola si applicava “a chiunque”, senza distinguere tra operazioni contabilizzate con le regole ordinarie e quelle per cui l’imposta era dovuta mediante il meccanismo dell’inversione contabile. Il D.Lgs. 158/2015 ha modificato l’intero impianto sanzionatorio amministrativo delle operazioni inesistenti nell’ambito dell’inversione contabile, lasciando sostanzialmente invariato l’impianto sanzionatorio penale. In particolare, da un lato, è stato modificato il citato art. 21, comma 7, circoscrivendone la portata al solo regime ordinario (sostituendo il riferimento soggettivo, che ora non è più a “chiunque” ma al “cedente o prestatore”); dall’altro, nel comma 9-bis.3 dell’art. 6 del D.Lgs. 471/1997 è stato introdotta una procedura dedicata a delineare il trattamento della violazione anche da un punto di vista sanzionatorio. La norma ora dispone che in sede di accertamento venga eliminato sia il debito che il credito conteggiato nelle liquidazioni dell’imposta – eliminando quindi gli effetti dell’operazione contabilizzata – come già previsto per le operazioni esenti, non imponibili e non soggette cui è stato erroneamente applicato il sistema dell’inversione contabile. La stessa norma, tuttavia, prevede una specifica sanzione nel caso di operazioni inesistenti, di misura compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Confermata, anche in questo caso, il diritto del cessionario o committente di recuperare l’imposta eventualmente non detratta (per indetraibilità soggettiva o oggettiva) mediante l’emissione di una nota di variazione o mediante la procedura del “rimborso anomalo”.

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