ECONOMIA

Istat, crescita lenta: scendono deficit e pressione fiscale, migliora il potere d’acquisto

Il rapporto Istat sui conti del secondo trimestre 2016, divulgato lo scorso 3 ottobre, presenta una serie di dati positivi, a cominciare dal potere d’acquisto delle famiglie (in pratica, il reddito reale), che è aumentato dell’1,1% sul trimestre precedente e del 2,9% su base annua: il dato risulta il migliore dal secondo trimestre del 2007. Le associazioni dei consumatori parlano però di dati decisamente ottimistici e sovrastimati”. La crescita è sostenuta dall’andamento dei prezzi, ma aumenta anche il reddito disponibile, che rappresenta il valore nominale (+1,3% sul trimestre e +2,8% su base annua).

Nello stesso periodo la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici (il rapporto tra risparmio lordo e reddito lordo disponibile), pari al 9,6%, registra un +0,9% rispetto al trimestre precedente e +1,4% rispetto allo stesso periodo del 2015. Si tratta del valore più alto dal primo trimestre del 2010.

L’aumento della propensione al risparmio deriva dalla crescita del reddito disponibile delle famiglie consumatrici più importante rispetto a quella dei consumi finali (1,3% contro 0,2%): secondo Massimiliano Dona, segretario dell’Unione Nazionale Consumatori, è “Un fatto grave, se si considera che la spesa delle famiglie rappresenta il 60% del Pil. Se si vuole la crescita, insomma, è sui consumi che bisogna puntare per avere un’inversione di tendenza. Inoltre si tratta di un peggioramento rispetto al 2015”. Per Federconsumatori e Adusbef si tratta di una realtà “parallela che non trova alcun riscontro nella vita che i cittadini conducono”, mentre secondo il Condacons, “gli italiani sono sempre più formiche e meno cicale e mettono da parte i soldi rimandando gli acquisti al futuro”.

Il tasso di investimento delle famiglie consumatrici – il rapporto tra i loro investimenti fissi lordi, che comprendono esclusivamente gli acquisti di abitazioni, e il reddito disponibile lordo – nel secondo trimestre 2016 è stato del 5,9%, inalterato rispetto al trimestre precedente e in aumento dello 0,1% rispetto al corrispondente trimestre del 2015.

La quota di profitto delle società non finanziarie, pari al 41,9%, è aumentata dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, mentre il tasso di investimento è rimasto invariato al 19,2%.

 

Il rapporto deficit/Pil

Un altro dato positivo viene dall’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in rapporto al Pil. Il rapporto deficit/Pil del secondo trimestre 2016, che è stato dello 0,2%, è in miglioramento dello 0,7% su base annua (era 0,9% nel corrispondente trimestre del 2015): è il livello di indebitamento più basso dal secondo trimestre 2007, un ritorno a livelli toccati prima della crisi.

Considerando il dato cumulato, relativo al primo semestre, l’indebitamento netto è al 2,3% del Pil, anche in questo caso in ribasso rispetto allo stesso periodo del 2015, quando era al 3%.

Il saldo primario, ovvero il saldo di bilancio al netto degli interessi passivi è stato positivo per 18.614 milioni di euro, contro i 16.707 milioni nel corrispondente trimestre del 2015. La relativa incidenza sul Pil è stata pari a 4,4%, a fronte di 4,1% nel secondo trimestre del 2015. Risulta positivo anche il saldo corrente.Nei primi sei mesi del 2016, in termini di incidenza sul Pil il saldo primario è stato positivo e pari all’1,7% del Pil (1,4% nello stesso periodo del 2015). Il saldo corrente (risparmio) nel secondo trimestre del 2016 è risultato positivo per 13.140 milioni di euro, con un miglioramento di 742 milioni rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. L’incidenza sul Pil è stata del 3,1%, rispetto al 3% del secondo trimestre 2015. Complessivamente, nei primi due trimestri di quest’anno il saldo corrente in rapporto al Pil è stato positivo e pari allo 0,6% (0,4% nel corrispondente periodo del 2015).

La variazione acquisita della crescita per il 2016 risulta pari al +0,6%, un dato al ribasso rispetto alla stima di settembre, quando la variazione acquisita per il 2016 era pari allo 0,7%. Nel frattempo l’Istat ha rivisto al rialzo il Pil in valore assoluto del 2014 e del 2015, rendendo in tal modo meno favorevole il raffronto di quest’anno con il 2015. Sulla base degli ultimi dati, nel secondo trimestre del 2016 il Pil, “espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010 corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato”, è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente ed è salito dello 0,7% rispetto al secondo trimestre del 2015.

 

Scende la pressione fiscale

Per quanto riguarda la pressione fiscale, l’Istituto di statistica rende noto che nel secondo trimestre dell’anno in corso è stata pari al 42,3%, con un calo dello 0,4% in un anno, rispetto allo stesso periodo del 2015: resta il fatto che l’incidenza continua comunque a essere “pesante”, visto che la pressione fiscale italiana è stabilmente ai vertici europei. In ogni caso il dato fa ben sperare, se collocato in un quadro generalizzato che segnala la fine della deflazione e un minimo accenno di inflazione, con un conseguente aumento dei prezzi.

Le entrate complessive sono cresciute in termini tendenziali dello 0,8% e la loro incidenza sul Pil è stata del 47,2%, lo 0,7% in meno rispetto al corrispondente trimestre del 2015: ampliando l’analisi ai primi due trimestri del 2016, l’incidenza delle entrate totali sul Pil è stata del 45%.

 

L’occupazione

Secondo l’Istat in agosto per la stima degli occupati c’è un lieve incremento rispetto a luglio, dopo il -0,3% registrato il mese precedente: +0,1%, ovvero 13.000 persone. Segnali positivi, si legge nel rapporto, per le donne, gli over 50 e i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, con il tasso di occupazione che resta stabile al 57,3%.

Per quanto riguarda i disoccupati, ad agosto la stima mensile è ancora in leggera diminuzione, dopo il calo dell’1,3% di luglio: -0,1%, 3.000 persone. Una riduzione che interessa esclusivamente gli uomini, estesa a tutte le classi di età fatta eccezione gli ultra cinquantenni: i tasso di disoccupazione, pari all’11,4%, è invariato rispetto al mese precedente.

Scende dello 0,4% rispetto al mese precedente il tasso di disoccupazione dei ragazzi di età compresa fra i 15 e i 24 anni: la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati), è del 38,8%. Al riguardo l’Istituto sottolinea che dal calcolo del tasso di disoccupazione vengono esclusi i giovani “inattivi”, quelli che non hanno e non cercano un lavoro, di solito perché studiano.

 

L’Italia esce dalla deflazione

Le stime preliminari dicono che l’Italia sta uscendo dalla deflazione: dopo sette mesi consecutivi di diminuzioni su base annua, i prezzi al consumo tornano a crescere, anche se di poco. A settembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, segna un -0,2% su base mensile e un +0,1% rispetto a un anno fa. L’Istat spiega che questa inversione di tendenza deriva soprattutto dal forte ridimensionamento della flessione dei prezzi dei beni energetici e, in parte minore, alla ripresa della crescita tendenziale dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,1%). Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, la cosiddetta “inflazione di fondo” sale a +0,5% dal +0,4% di agosto, mentre l’inflazione acquisita per il 2016 risulta è pari a -0,1% (pari a zero il mese precedente).

Rispetto a settembre 2015 i prezzi dei beni sono in flessione (-0,2%, in agosto era -0,5% ), mentre il tasso di crescita dei prezzi dei servizi scende a +0,4% da +0,5% del mese precedente.

 

Crescita lenta, ma investimenti in calo

Al di là delle diatribe in corso mentre scriviamo rispetto alle previsioni di crescita in ottica Legge di stabilità, i numeri dell’Istituto di statistica rivedono al ribasso le stime del Pil, che nel 2015 è cresciuto dello 0,7% e non dello 0,8%, come previsto a marzo. In sede di consuntivo, però, l’Istat ha alzato la stima di crescita per il 2014, con una revisione al rialzo di +0,4% rispetto al calo dello 0,3% stimato a marzo. Il Governo giudica positivamente questi dati e fonti del Ministero dell’Economia sostengono che “La revisione del Pil per il 2014 effettuata dall’Istat dimostra che il Paese sta crescendo da tre anni ininterrottamente. Evidentemente le politiche economiche avviate dal Governo vanno nella giusta direzione e devono essere proseguite. Il risultato del 2014 induce a ritenere che le misure di sostegno alla domanda hanno avuto effetti già dal primo anno. Il ritmo della ripresa non è ancora soddisfacente e bisogna proseguire lungo questa strada per intensificarlo”.

Il dato negativo è rappresentato dagli investimenti che il nostro Paese non è in grado di attrarre. In un recente studio dell’Unctad, la Conferenza dell’ONU sul Commercio e lo Sviluppo, relativo all’andamento dell’economia mondiale, si afferma che gli investimenti in Italia dal 2007 al 2016 sono crollati di oltre cinque punti: dagli investimenti del primo trimestre 2007, pari al 22% del Pil, si è passati a quelli del primo trimestre 2016, stati pari al 16,5% del Pil. La discesa si accentua a partire dal 2011, quando nel primo trimestre gli investimenti furono pari al 19,5%, per passare poi al 18,5% del primo trimestre 2012, al 17% del primo trimestre 2013. Dal primo trimestre 2014 al primo trimestre di quest’anno la quota di investimenti si è stabilizzata intorno al 16,5% del Pil.

Nello studio si osserva che la crescita economica globale resta debole, in crescita a un tasso inferiore al 2,5%, con il commercio globale che ha drasticamente rallentato a circa l’1,5% nel biennio 2015-2016, rispetto al 7% di prima della crisi. La perdita di dinamismo nelle economie avanzate – prosegue il rapporto – “in combinazione con i prezzi bassi delle materie prime e l’instabilità finanziaria globale, sta avendo effetti a catena sulla maggior parte dei Paesi in via di sviluppo. Le economie in via di sviluppo cresceranno in media meno del 4% quest’anno, ma con notevoli variazioni tra i vari Paesi e Regioni: mentre l’America Latina è in recessione e la crescita in Africa e Asia occidentale sta rallentando a circa il 2%, nei Paesi dell’Est, Sud-Est e Asia del Sud è ancora in crescita a un tasso vicino al 5%”.

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