CASSAZIONE

Irap: non dovuta per il commercialista amministratore, revisore e sindaco di società

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 30395 del 19.12.2017 torna ad occuparsi dell’esclusione da IRAP dei compensi percepiti da dottori commercialisti per le attività di amministratore, revisore e sindaco.

Innanzitutto i Giudici del Palazzaccio accogliendo il ricorso di un commercialista contro la Ctr che aveva negato il rimborso del tributo per l’attività di sindaco di diverse società, ricordano che tali emolumenti non scontano l’IRAP per il reddito netto di tali attività, in quanto è soggetta a imposizione fiscale unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata dell’opera individuale.

L’attività del commercialista non è soggetta a IRAP in assenza dell’autonoma organizzazione, che sussiste qualora il professionista adopera beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile ovvero ricorre in modo non occasionale al lavoro di terzi.

In tal caso, ossia in presenza del citato requisito di autonoma organizzazione, la capacità produttiva aggiuntiva rispetto a quella personale del professionista sconta l’imposizione per il surplus di quanto ottenuto per via di una struttura organizzativa che sia servente rispetto all’opera intellettuale svolta con le proprie conoscenze e gli strumenti minimi indispensabili.

Pertanto, il commercialista che sia anche amministratore, revisore e/o sindaco di società, non è soggetto a IRAP per il reddito netto di tali attività, in quanto è soggetta a imposizione fiscale unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata dell’opera individuale.

Non è soggetto a imposizione, quindi, quel segmento di ricavo netto consequenziale alle attività specifiche di amministratore, revisore e/o sindaco di società, purché risulti possibile, in concreto, scorporare le diverse categorie di compensi conseguiti e verificare l’esistenza dei presupposti impositivi per ciascuno dei settori interessati.

Conclude La S.C. ricordando che: “… Già da tempo (Cass., 9.5.2007, n.10594; Cass., 19.7.2011, n. 15803; Cass. 5.3.2012, n.3434) si è chiarito – riguardo a fattispecie nella quale si discuteva di redditi realizzati dal libero professionista nell’esercizio di attività sindaco, amministratore di società, consulente tecnico – che non sia soggetto a imposizione quel segmento di ricavo netto consequenziale a quell’attività specifica purché risulti possibile, in concreto, lo scorporo delle diverse categorie di compensi conseguiti e verificare l’esistenza dei presupposti impositivi per ciascuno dei settori interessati (Cass., 23.1.2017, n. 1712; Cass., 10.5.2017, n. 11474; conf: Cass., 22.3.2017, n. 7378; Cass., 28.6.2017, n. 16206).

Tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, solo se adeguatamente motivato secondo i parametri del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il che non risulta nella specie, laddove il giudice d’appello trascura d’indagare il senso di fatti storici decisivi, quali quelli emergenti dalla produzione del contribuente, laddove documenta che la parte ricorrente ha prodotto le fatture emesse dal contribuente, mirando a provare che l’attività svolta era quella di sindaco (o revisore) senza domiciliazione societaria.

Di contro, con ragionamento del tutto anapodittico, il giudice d’appello valorizza una circostanza del tutto neutra, quale l’ubicazione nello stesso stabile sia dello studio di commercialista del dott. A., sia delle sedi legali di alcune società delle quali il professionista è sindaco, ricavandone l’inferenza tutt’altro che logica che nel primo sia stata svolta l’attività di sindaco, laddove questa è caratterizzata da requisiti civilistici di personalità, indipendenza e collegialità. Così come pare trascurato il duplice rilievo che solo alcune società hanno sede nello stesso stabile ma in diverso piani rispetto allo studio professionale, altre hanno sede altrove in Bologna e altre ancora (segnatamente quelle del Gruppo Industriale M.) sono diversamente dislocate sul territorio nazionale e anche all’estero. Trattasi di rilievi fattuali operati nel giudizio di merito e riproposti in ricorso (pag. 12-14; v. nota 1, a pag. 13) e che non trovano riscontro nella sentenza d’appello”.

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza n. 30395 del 19 dicembre 2017

Rilevato che

È regolarmente costituito il contraddittorio ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197). Il dott. E.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 986 della CTR dell’Emilia Romagna che il 15 aprile 2016 ha riformato la decisione della CTP-Bologna che aveva accolto la domanda del contribuente diretta a ottenere il rimborso dell’IRAP pagata (2007) per l’attività di sindaco (e in misura minore di revisore) di varie società.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. Il contribuente replica con memoria.

Considerato che

Con quattro motivi, logicamente collegati e da trattarsi unitariamente, il ricorrente censura – per violazione di norme di diritto sostanziali (d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3; t.u.i.r, artt. 50 e 53; cod. civ., artt. 2400, 2402, 2403, 2403-bis, 2404, 2405, 2407, 2697) e vizio di omesso esame di fatti decisivi (cod. proc. civ., art, 360 n. 5) – la sentenza d’appello laddove stima l’attività del contribuente fornita del requisito dell’autonoma organizzazione.

La decisione del giudice regionale non fa buon governo dei principi regolativi compendiati da Cass., 3.3.2016, n. 4246 e Cass., 2.11.2016, n. 22138, nel senso che il commercialista, che sia anche amministratore, revisore e sindaco di società, non è soggetto a IRAP per il reddito netto di tali attività perché è soggetto a imposizione fiscale unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata; il che, in tesi generale non si verifica nelle fattispecie come quella in esame, in quanto per la soggezione a IRAP non è sufficiente che il commercialista normalmente operi presso uno studio professionale, atteso che tale presupposto non integra di per sé il requisito dell’autonoma organizzazione rispetto ad un’attività rilevante quale organo di una compagine terza (Cass, 3.3.2017, n. 16372).

Già da tempo (Cass., 9.5.2007, n.10594; Cass., 19.7.2011, n. 15803; Cass. 5.3.2012, n.3434) si è chiarito – riguardo a fattispecie nella quale si discuteva di redditi realizzati dal libero professionista nell’esercizio di attività sindaco, amministratore di società, consulente tecnico – che non sia soggetto a imposizione quel segmento di ricavo netto consequenziale a quell’attività specifica purché risulti possibile, in concreto, lo scorporo delle diverse categorie di compensi conseguiti e verificare l’esistenza dei presupposti impositivi per ciascuno dei settori interessati (Cass., 23.1.2017, n. 1712; Cass., 10.5.2017, n. 11474; conf: Cass., 22.3.2017, n. 7378; Cass., 28.6.2017, n. 16206).

Tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, solo se adeguatamente motivato secondo i parametri del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il che non risulta nella specie, laddove il giudice d’appello trascura d’indagare il senso di fatti storici decisivi, quali quelli emergenti dalla produzione del contribuente, laddove documenta che la parte ricorrente ha prodotto le fatture emesse dal contribuente, mirando a provare che l’attività svolta era quella di sindaco (o revisore) senza domiciliazione societaria. Di contro, con ragionamento del tutto anapodittico, il giudice d’appello valorizza una circostanza del tutto neutra, quale l’ubicazione nello stesso stabile sia dello studio di commercialista del dott. A., sia delle sedi legali di alcune società delle quali il professionista è sindaco, ricavandone l’inferenza tutt’altro che logica che nel primo sia stata svolta l’attività di sindaco, laddove questa è caratterizzata da requisiti civilistici di personalità, indipendenza e collegialità. Così come pare trascurato il duplice rilievo che solo alcune società hanno sede nello stesso stabile ma in diverso piani rispetto allo studio professionale, altre hanno sede altrove in Bologna e altre ancora (segnatamente quelle del Gruppo Industriale M.) sono diversamente dislocate sul territorio nazionale e anche all’estero. Trattasi di rilievi fattuali operati nel giudizio di merito e riproposti in ricorso (pag. 12-14; v. nota 1, a pag. 13) e che non trovano riscontro nella sentenza d’appello.

Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, con ordinanza che accogliendo, con motivazione semplificata, i motivi ricorso unitariamente considerati, cassi in relazione la sentenza d’appello e rinvii la causa al giudice competente per nuovo esame sulla scorta degli elementi acquisititi e dei principi regolativi sopra enunciati.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

 

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