CASSAZIONE

IRAP: le Entrate possono contestare l’inerenza dei costi

La Corte di Cassazione torna sul tema dell’IRAP con l’ordinanza n. 15115 dell’11 giugno 2018, esaminando come il Fisco possa contestare i costi sostenuti dall’impresa sul fronte dell’inerenza. I Supremi giudici hanno quindi sentenziato che i costi sostenuti dall’impresa sono sindacabili, sul fronte dell’inerenza, dall’Amministrazione finanziaria ai fini del calcolo della base imponibile IRAP, a prescindere dal rispetto dei principi contabili dell’azienda. Ricordiamo, inoltre, che la prova dell’inerenza dei          costi, per costante orientamento giurisprudenziale, ricade sul contribuente (ex multis, Cass., n. 10257/2008, Cass. n. 4554/2010 e Cass. n. 19600/2014), secondo cui “la prova dell’inerenza incombe sul  contribuente, anche in base al criterio          di vicinanza della prova”). L’inerenza dei costi all’attività di     impresa è spesso facilmente desumibile dalle caratteristiche della spesa,  cioè dalla tipologia di bene o servizio acquistato e dal suo rapporto con   l’attività esercitata. In altri casi, in cui questo legame tra il costo e l’impresa non è immediatamente evidente e desumibile dal rapporto tra il tipo di spesa e l’oggetto dell’attività di impresa, allora e solo allora acquista significato la regola che vuole l’onere della prova dell’inerenza gravare sul contribuente.           Come, ad esempio, viene specificato nella sentenza della    Cassazione n. 13478/2000, relativa al giudizio di inerenza di due fuoristrada, cioè “due mezzi di trasporto di cui dovrebbe essere dimostrata dal contribuente l’inerenza alle attività dell’azienda”.

Tornando ai casi nei quali sussista un’evidente correlazione tra il tipo di spesa e l’oggetto dell’attività, dovrebbe essere l’Amministrazione finanziaria a spiegare sotto quali profili viene contestata l’inerenza e quali siano i sintomi    di una deviazione dalle finalità imprenditoriali, sia sotto il profilo dell’entità       della spesa, sia alla sua riferibilità soggettiva.

Il giudizio di fatto è            , insomma, una sorta di rapporto dialettico dove la regola dell’onere della prova dell’inerenza non può essere  intesa  in modo sempre rigido, che obbligatoriamente carica sulle spalle del contribuente anche l’onere di provare circostanze già abbondantemente chiare e spiegabili, senza peraltro comprendere sotto quale profilo viene contestata l’inerenza.

Per determinare, quindi, la base imponibile dell’IRAP, il principio di derivazione dei costi sostenuti dal conto economico non esclude il controllo sull’inerenza dei costi medesimi, “attraverso la correttezza della loro appostazione nel conto economico alla stregua dei principi civilistici e contabili nazionali”.

Quanto detto deriva dalla formulazione dell’art. 5 del D.lgs. n. 446/1997, nel testo modificato dall’art. 1, comma 5, della legge n. 244/2007, che i Giudici di legittimità hanno oggi individuato come applicabile “ratione temporis” rispetto alla specifica controversia che si sono trovati a decidere. La vicenda in esame riguarda una Spa destinataria di un accertamento delle Entrate ai fini IRAP perché il Fisco non aveva riconosciuto i costi, che pur non essendo documentati, erano stati ugualmente inseriti in bilancio. La Commissione tributaria regionale, nella specie, aveva convalidato la decisione di accoglimento delle ragioni di una Spa contribuente oppostasi a un avviso di accertamento per IRAP relativa all’anno di imposta 2010, avviso con cui l’Ufficio finanziario aveva disconosciuto alcuni costi, perché non documentati, relativi a servizi “intercompany”.

Contro questa decisione l’Agenzia aveva promosso ricorso in sede di legittimità, lamentando come unico motivo che la CTR non avesse fatto corretta applicazione del principio di derivazione, ai sensi del quale i componenti positivi e negativi ai fini IRAP sono agganciati alle voci rilevanti del conto economico.

In quest’ultimo conto – secondo il Fisco – i giudici regionali avevano omesso di rilevare che figuravano costi non adeguatamente documentati e per questo motivo il conto economico stesso non poteva dirsi redatto in conformità al principio di veridicità di cui all’art. 2423 del Codice civile. Doglianze, queste, che il Supremo collegio ha ritenuto manifestamente fondate in ragione del potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare al contribuente l’assenza di inerenza dei costi sostenuti ai fini della determinazione del valore della produzione rilevante ai fini IRAP.

Accogliendo il gravame dell’Agenzia delle Entrate, dunque, e cassando la sentenza di merito, la Cassazione ha specificato che: “…Oggetto, infatti, della censura dedotta dalla ricorrente Amministrazione avverso la sentenza di primo grado, è la contestazione dell’interpretazione del principio di derivazione — quale derivante dall’art. 5, comma 5, del d. 1gs. 15 dicembre 1997, n. 446 nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio in conseguenza della modifica apportata dall’art. 1, comma 50 lett. a), della 1. n. 244/2007, alla suddetta norma, con decorrenza dal periodo d’imposta 2008 — come operata dalla CTR con la decisione impugnata, che ha inteso privilegiare il mero dato cartolare dell’appostazione dei costi di cui sopra nel conto economico, giusta l’art. 2425 c.c. lettera B), n. 7, costi che viceversa l’Amministrazione aveva ritenuto non documentati alla stregua degli accordi contrattuali intercorsi tra le parti. Conviene muovere dalla lettura nella norma che, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, stabiliva che «Indipendentemente dalla effettiva collocazione nel conto economico, i componenti positivi e negativi del valore della produzione sono accertati secondo i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili adottati dall’impresa» (venendo, in particolare, in rilievo il principio contabile OIC n. 12 nella versione anch’essa applicabile ratione temporis), dopo aver previsto, al comma 1, che la base imponibile ai fini IRAP per i soggetti indicati dal succitato art. 5 è data dalla differenza tra il valore della produzione di cui alla lettera A) del conto economico ed i costi della produzione di cui alla lettera B), con esclusione di talune voci, il cui esame puntuale in questa sede non rileva. Diversamente, infatti, da quanto mostra di ritenere la decisione impugnata, la contestazione dei costi da parte dell’Amministrazione non risulta effettuata in ragione della ritenuta applicabilità alla fattispecie in esame della «normativa fiscale», da intendersi, verosimilmente, nell’argomentazione del giudice tributario d’appello, riferita alle norme del d.P.R. n. 917/1986 (cd. TUIR) in tema di componenti positivi e negativi di reddito, ai fini della determinazione del reddito delle società, ma al principio d’inerenza in relazione all’attività d’impresa con riferimento alla sua connotazione civilistica, nel caso di specie conseguente alla violazione del principio di veridicità nella redazione del bilancio di cui all’art. 2423 c.c., al quale la società contribuente è tenuta a conformarsi. In tali limiti deve ritenersi, con riferimento alla fattispecie in esame, che l’Amministrazione finanziaria abbia il potere di contestare al contribuente l’assenza di inerenza del costo in questione ai fini della determinazione del valore della produzione rilevante ai fini IRAP. Ciò appare del resto in linea di continuità con la giurisprudenza di questa Corte che — pur non essendosi occupata ex professo della questione oggetto di disamina in questa sede — risulta aver privilegiato un’interpretazione sostanzialistica delle disposizioni in oggetto quanto al sindacato sulla correttezza, sul piano civilistico ed alla stregua dei principi contabili, dell’appostazione nel conto economico di voci non ritenute ad essi conformi (cfr., in particolare, Cass. sez. 5, 10 gennaio 2013, n. 400; si vedano anche Cass. sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19148; Cass. sez. 5, 15 dicembre 2017, n. 30149)”.

 

 

Corte di Cassazione Ordinanza 11 giugno 2018, n. 15115

Sul ricorso 4769-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (CE 06363391001), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro LA P. SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4098/1/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 12/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/02/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che la ricorrente Amministrazione ha depositato memoria, osserva quanto segue:

La CTR della Lombardia, con sentenza n. 4098/1/2016, depositata il 12 luglio 2016, rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della società La P. S.p.A. (di seguito società) avverso la decisione della CTP di Milano, che aveva accolto il ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento per IRAP relativa all’anno d’imposta 2010, con il quale l’Ufficio aveva, per quanto qui rileva, disconosciuto costi, perché non documentati, relativi a servizi intercompany resi dalla consolidante U. S.p.A. alla consolidata La P. SPA.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, ulteriormente illustrato da memoria critica alla proposta del relatore depositata in atti ex art. 380 bis c.p.c.

La società è rimasta intimata.

Con l’unico motivo l’Amministrazione finanziaria denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 del d. lgs. n. 446/1997 e dell’art.2425 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata non avrebbe fatto corretta applicazione del principio di derivazione in forza del quale i componenti positivi e negativi ai fini IRAP sono agganciati alle voci rilevanti del conto economico, omettendo di rilevare che in esso figuravano costi non adeguatamente documentati, sicché il conto economico non poteva dirsi redatto in conformità al principio di veridicità di cui all’art. 2423 c.c.

Il collegio ritiene che la proposta del relatore volta a sostenere la declaratoria d’inammissibilità del ricorso non possa essere condivisa.

Va premesso che non occorre, nel caso in cui il collegio ritenga che la proposta del relatore non possa essere recepita in sede di decisione, la fissazione di pubblica udienza (cfr. Cass. sez. unite 16 aprile 2009, n. 8999; Cass. sez. 6-2, ord. 23 marzo 2017, n. 7605), laddove ricorra comunque una diversa ipotesi pur sempre riconducibile al n. 1 e 5 dell’art. 380 — bis c.p.c..

Ciò è quanto deve ritenersi sussistente nel caso di specie, ritenendo la Corte che il ricorso debba essere accolto per manifesta fondatezza.

Oggetto, infatti, della censura dedotta dalla ricorrente Amministrazione avverso la sentenza di primo grado, è la contestazione dell’interpretazione del principio di derivazione — quale derivante dall’art. 5, comma 5, del d. 1gs. 15 dicembre 1997, n. 446 nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio in conseguenza della modifica apportata dall’art. 1, comma 50 lett. a), della 1. n. 244/2007, alla suddetta norma, con decorrenza dal periodo d’imposta 2008 — come operata dalla CTR con la decisione impugnata, che ha inteso privilegiare il mero dato cartolare dell’appostazione dei costi di cui sopra nel conto economico, giusta l’art. 2425 c.c. lettera B), n. 7, costi che viceversa l’Amministrazione aveva ritenuto non documentati alla stregua degli accordi contrattuali intercorsi tra le parti.

Conviene muovere dalla lettura nella norma che, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, stabiliva che «Indipendentemente dalla effettiva collocazione nel conto economico, i componenti positivi e negativi del valore della produzione sono accertati secondo i criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili adottati dall’impresa» (venendo, in particolare, in rilievo il principio contabile OIC n. 12 nella versione anch’essa applicabile ratione temporis), dopo aver previsto, al comma 1, che la base imponibile ai fini IRAP per i soggetti indicati dal succitato art. 5 è data dalla differenza tra il valore della produzione di cui alla lettera A) del conto economico ed i costi della produzione di cui alla lettera B), con esclusione di talune voci, il cui esame puntuale in questa sede non rileva.

Diversamente, infatti, da quanto mostra di ritenere la decisione impugnata, la contestazione dei costi da parte dell’Amministrazione non risulta effettuata in ragione della ritenuta applicabilità alla fattispecie in esame della «normativa fiscale», da intendersi, verosimilmente, nell’argomentazione del giudice tributario d’appello, riferita alle norme del d.P.R. n. 917/1986 (cd. TUIR) in tema di componenti positivi e negativi di reddito, ai fini della determinazione del reddito delle società, ma al principio d’inerenza in relazione all’attività d’impresa con riferimento alla sua connotazione civilistica, nel caso di specie conseguente alla violazione del principio di veridicità nella redazione del bilancio di cui all’art. 2423 c.c., al quale la società contribuente è tenuta a conformarsi. In tali limiti deve ritenersi, con riferimento alla fattispecie in esame, che l’Amministrazione finanziaria abbia il potere di contestare al contribuente l’assenza di inerenza del costo in questione ai fini della determinazione del valore della produzione rilevante ai fini IRAP.

Ciò appare del resto in linea di continuità con la giurisprudenza di questa Corte che — pur non essendosi occupata ex professo della questione oggetto di disamina in questa sede — risulta aver privilegiato un’interpretazione sostanzialistica delle disposizioni in oggetto quanto al sindacato sulla correttezza, sul piano civilistico ed alla stregua dei principi contabili, dell’appostazione nel conto economico di voci non ritenute ad essi conformi (cfr., in particolare, Cass. sez. 5, 10 gennaio 2013, n. 400; si vedano anche Cass. sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19148; Cass. sez. 5, 15 dicembre 2017, n. 30149).

La sentenza impugnata va dunque cassata in accoglimento del ricorso erariale, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che si uniformerà al seguente principio di diritto: «Ai fini della determinazione della base imponibile dell’IRAP, secondo la formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 446/1997 nel testo modificato dall’art. 1, comma 5, della 1. n. 244/2007, applicabile ratione temporis alla presente controversia, il principio di derivazione dei costi sostenuti dal conto economico non esclude il controllo sull’inerenza dei costi medesimi, attraverso la correttezza della loro appostazione nel conto economico alla stregua dei principi civilistici e contabili nazionali».

Il giudice di rinvio provvederà altresì in ordine alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2018

 

 

 

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