CASSAZIONE

Indeducibili le quote di ammortamento se non sono annotate nel registro dei cespiti

Tributi – Imposte sui redditi – Determinazione reddito d’impresa – Tardiva annotazione Ammortamenti – Indeducibilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24385 del 30 novembre 2016, ha stabilito che se le quote di ammortamento dei cespiti non sono state annotate nell’apposito registro non sono deducibili ai fini del calcolo delle imposte sul reddito, in quanto si è in presenza di una violazione sostanziale e non formale, la quale porterebbe solamente l’irrogazione di una sanzione per la tardiva registrazione delle informazioni e non al disconoscimento della deducibilità.

Sentenza che contribuisce a chiarire come il reddito d’impresa sia una delle sei tipologie di reddito prese in considerazione dal TUIR (DPR 917/1986) e distinta, da parte del legislatore, dai redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e diversi, al fine di determinare la base imponibile per la tassazione delle imprese, intendendo come “impresa” una nozione allargata rispetto a quella prevista dal codice civile (ricavata in via interpretativa dall’art. 2195 c.c.): in parole povere, sono soggette al reddito d’impresa (artt. 32, 55 TUIR, e 2195 c.c.). Le imprese che invece gestiscono la contabilità nei modi ordinari devono redigere annualmente il bilancio di esercizio, così come previsto dalle disposizioni del codice civile, che rappresenta la situazione economica e patrimoniale dell’impresa alla data di redazione del bilancio stesso. In particolare, è dalla redazione del conto economico, composto dalla differenza tra ricavi e costi, che si determina il risultato di esercizio rappresentato dall’utile o dalla perdita. Partendo dal risultato di bilancio si procede alla redazione della dichiarazione dei redditi, nonché alla determinazione dell’importo da assoggettare a tassazione.

Si deve pertanto procedere a un riesame “in ottica fiscale” di tutte le valutazioni effettuate secondo le norme civilistiche nel conto economico, operando così rettifiche di valore nei soli casi di divergenza tra le regole dettate dal codice civile e quelle dettate dalla normativa fiscale. La corretta determinazione dell’imponibile da assoggettare a tassazione avviene dunque apportando, al risultato del bilancio di esercizio (civilistico), le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione delle norme fiscali contenute nel TUIR.

Peraltro la Cassazione, con il recente provvedimento n. 14281 del 13 luglio 2016, ha ripreso l’affermato orientamento giurisprudenziale che afferma che il ricorso all’accertamento induttivo del maggior reddito d’impresa non è precluso dal riscontro di una contabilità (ordinaria o semplificata), formalmente regolare, allorché gravi, precisi e concordanti indizi militino nel senso dell’esistenza di maggiori ricavi, non desumibili dalla contabilità stessa (Cfr. sentenze numeri 26130/2007, 8643/2007, 5977/2007, 26919/2006 e 9549/2011), che è legittimo l’accertamento induttivo del maggior reddito d’impresa basato sul “comportamento antieconomico e ingiustificabile del contribuente, per avere rappresentato notevoli e non verosimili perdite di esercizio derivanti dall’attività professionale”.

La vicenda in oggetto ha origine quando l’ufficio delle Entrate di Palermo accertava, nei confronti della F.lli F. & C. S.n.c. e dei soci, un maggior reddito imponibile per l’anno 1998 e ricavi non contabilizzati per lire 36.458.000, desunti dal fatto che i debiti, di importo pari a lire 1.152.343.535, per quanto iscritti a bilancio al 31/12/1998, erano stati in realtà soddisfatti immediatamente senza che i relativi pagamenti fossero riportati in contabilità; sicché, secondo l’ufficio era da presumersi che le risorse economiche utilizzate per i pagamenti implicassero a loro volta ricavi da vendite in nero con la conseguenza che si era provveduto indebitamente a dedurre costi per ammortamenti per circa lire 40.363.906. L’Amministrazione finanziaria denunziava inoltre la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del DPR n. 600/1973 per avere la Commissione Tributaria asserito che le iscrizioni degli ammortamenti nel libro degli inventari, seppur effettuate tardivamente, fossero sufficienti a consentire la deducibilità delle relative quote e potessero determinare al massimo una sanzione amministrativa.

La Cassazione ha ricordato, nella pronuncia in esame, che le violazioni degli obblighi contabili che impediscono l’attività di accertamento sono infrazioni di carattere sostanziale, statuendo che “In base all’art. 16 del d.P.R. n. 600 del 1973, testo vigente pro tempore (prima cioè delle modifiche apportate dalla legge n. 266 del 2005, che peraltro ha inciso in minima e ininfluente parte sul solo terzo comma), le società, gli enti e gli imprenditori commerciali devono compilare il registro dei beni ammortizzabili entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione.

Nel registro devono essere indicati, per ciascun immobile e per ciascuno dei beni iscritti in pubblici registri, l’anno di acquisizione, il costo originario, le rivalutazioni, le svalutazioni, il fondo di ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo d’imposta precedente, il coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel periodo d’imposta, la quota annuale di ammortamento e le eliminazioni dal processo produttivo. Per i beni diversi le indicazioni possono essere effettuate con riferimento a categorie di beni omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento. Per i beni gratuitamente devolvibili deve essere distintamente indicata la quota annua che affluisce al fondo di ammortamento finanziario. Se le quote annuali di ammortamento sono inferiori alla metà di quelle risultanti dall’applicazione dei coefficienti stabiliti ai sensi del secondo comma dell’art. 68 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, il minor ammontare deve essere distintamente indicato nel registro dei beni ammortizzabili. I costi di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione di cui all’ultimo comma del detto art. 68, che non siano immediatamente deducibili, non si sommano al valore dei beni cui si riferiscono ma sono iscritti in voci separate del registro dei beni ammortizzabili a seconda dell’anno di formazione.

  1. – Secondo la giurisprudenza di questa corte occorre in generale distinguere, in tema di determinazione del reddito d’impresa, tra le violazioni degli obblighi relativi alla contabilità costituenti infrazioni di carattere sostanziale, che impediscono cioè l’attività di accertamento e precludono la deducibilità di costi che non siano regolarmente registrati, e violazioni di carattere meramente formale. Tali sono in generale considerate quelle che non ostacolano l’accertamento e, quindi, non precludono la deducibilità di costi anche se non sono stati registrati regolarmente (cfr., per il principio, Sez. n. 2315-01; n. 22554-08).Le violazioni che qui rilevano ai fini delle quote di ammortamento non sono violazioni formali. In particolare va confermato il principio secondo cui ai fini della deducibilità dal reddito di impresa, ai sensi dell’art. 74 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, le quote di ammortamento dei beni strumentali debbono comunque essere registrate nel registro dei cespiti ammortizzabili, a norma del citato art. 16 (v. Sez. 5 – n. 9876-11). Per i contribuenti tenuti ad allegare alla dichiarazione il conto economico, la deduzione di costi e oneri è subordinata, oltre che all’imputazione degli stessi al conto economico, all’osservanza dell’obbligo di contabilizzazione nelle scritture nelle quali è prescritto debba avvenire la registrazione. Poiché infatti, per quanto concerne le quote di ammortamento dei beni strumentali, tali oneri debbono essere inscritte nel registro dei cespiti ammortizzabili, deriva che il relativo adempimento rappresenta un presupposto della deducibilità condizionando l’accertamento della condizione posta al fondo del criterio di inerenza. In mancanza l’ufficio ha in sede di accertamento in rettifica il potere di ritenere indeducibili costi e oneri che il contribuente ha incluso tra le componenti negative del reddito, e che dovrebbero essere considerate tali anche in sede fiscale ove l’inerenza alla produzione del reddito risultasse nel modo prescritto dalla legge (v. Sez. n. 16702-05)” .

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CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 24385 del 30 novembre 2016

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate, ufficio di Palermo, accertava, nei confronti della F.lli F. & C. s.n.c. e dei soci un maggior reddito imponibile per l’anno 1998.

Al netto di altre contestazioni, e per quanto in effetti ancora rileva, l’agenzia riteneva:

(a) esistenti ricavi non contabilizzati per lire 36.458.000 desunti dal fatto che i debiti, di importo pari a lire 1.152.343.535, per quanto iscritti a bilancio al 31-12-1998, erano stati in realtà soddisfatti immediatamente senza che i relativi pagamenti fossero riportati in contabilità; sicché era secondo l’ufficio da presumersi che le risorse economiche utilizzate per i pagamenti implicassero a loro volta ricavi da vendite in nero;

(b) indebitamente dedotti costi per ammortamenti per circa lire 40.363.906.

Sia la società che i soci impugnavano l’accertamento e l’adita commissione tributaria provinciale lo annullava in ordine al primo rilievo, ritenendo le presunzioni inidonee.

Rigettava invece il ricorso dei contribuenti sulle quote di ammortamento.

Appellavano sia l’ufficio, sia i contribuenti.

L’appello dell’ufficio, teso a sostenere che i ricavi erano stati accertati sulla base delle schede contabili e dei questionari richiesti a clienti e fornitori, e quindi in base a presunzioni semplici in quanto la contabilità della contribuente doveva ritenersi irregolare, è stato disatteso dalla commissione tributaria regionale della Sicilia.

A sostegno della decisione la commissione ha osservato che, di fronte all’esposizione indicata in bilancio, l’ammontare delle poste ritenute già pagate era quantificabile in percentuale minima (poco più del 3 %); che essa commissione non era stata posta in grado di conoscere natura e tenore delle domande formulate nei questionari e delle risposte dei fornitori, e dunque in definitiva di valutare i contenuti di quanto ivi specificato; che la verifica fiscale era stata inficiata dalla constatazione che i riscontri nelle scritture contabili erano stati effettuati sulla base di comunicazioni dei fornitori senza accertamento incrociato nella contabilità di questi e riguardanti anche altri anni d’imposta.

Viceversa l’appello incidentale della società, in ordine alla deducibilità delle quote di ammortamento non desumibili dal libro degli inventari debitamente annotato, è stato accolto sul rilievo che le quote, appunto, erano state disconosciute non perché inesistenti ma per tardività delle relative annotazioni, mentre l’art. 16 del d.P.R. n. 600 del 1973 non conteneva alcuna prescrizione in tal senso; difatti per il ritardo nell’annotazione si sarebbe potuta irrogare una sanzione amministrativa, senza effetti sul riconoscimento della deduzione.

Per la cassazione della sentenza, depositata il 21-6-2011 e non notificata, l’amministrazione ha proposto ricorso affidato a due motivi.

La società e i soci hanno resistito con comune controricorso.

Motivi della decisione

  1. – Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, lamentando che la commissione tributaria regionale non abbia ritenuto desumibile l’esistenza di attività non dichiarate in base a presunzioni semplici, nonostante l’inesattezza dei registri contabili. Al riguardo sostiene che il contenuto dei questionari inviati alle fornitrici era stato compiutamente riportato nel verbale di constatazione e i questionari avevano dimostrato l’irregolare tenuta della contabilità e la sussistenza dì una esposizione debitoria non veritiera. Donde le conclusioni dell’avviso di accertamento non potevano essere considerate alla stregua di presunzioni di secondo grado, ma andavano valutate nel loro significato probatorio.
  2. – Col secondo motivo l’amministrazione denunzia invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere la commissione tributaria asserito che le iscrizioni degli ammortamenti nel libro degli inventari, seppur effettuate tardivamente, fossero sufficienti a consentire la deducibilità delle relative quote e potessero determinare al massimo una sanzione amministrativa.

III. – Il primo motivo è inammissibile perché suppone un sindacato di fatto.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la commissione tributaria non ha ritenuto illegittimo l’accertamento perché basato su presunzioni di secondo grado. La commissione ha confermato l’annullamento dell’atto in parte qua perché tutto il ragionamento presuntivo si basava su elementi documentali insondabili, quali i questionari e, soprattutto, le risposte dei fornitori, che non erano state messe a disposizione del giudice.

Si tratta di rilievo di tutt’altra natura e consistenza rispetto a quanto presupposto nel motivo di ricorso.

La ricorrente obietta che il contenuto dei questionari era stato riportato nel verbale di constatazione.

Ma anche sorvolandosi sul fatto che nulla è detto in ordine alle risposte – che solo contano nel contesto della specifica pretesa fiscale, secondo cui i pagamenti erano stati eseguiti impiegando risorse da presumersi acquisite in nero – resta che il ricorso non soddisfa il fine di autosufficienza, non essendo stato specificato se e quando il verbale di constatazione sia stato prodotto in giudizio.

  1. – Il secondo motivo è invece fondato.

In base all’art. 16 del d.P.R. n. 600 del 1973, testo vigente pro tempore (prima cioè delle modifiche apportate dalla legge n. 266 del 2005, che peraltro ha inciso in minima e ininfluente parte sul solo terzo comma), le società, gli enti e gli imprenditori commerciali devono compilare il registro dei beni ammortizzabili entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione.

Nel registro devono essere indicati, per ciascun immobile e per ciascuno dei beni iscritti in pubblici registri, l’anno di acquisizione, il costo originario, le rivalutazioni, le svalutazioni, il fondo di ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo d’imposta precedente, il coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel periodo d’imposta, la quota annuale di ammortamento e le eliminazioni dal processo produttivo.

Per i beni diversi le indicazioni possono essere effettuate con riferimento a categorie di beni omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento. Per i beni gratuitamente devolvibili deve essere distintamente indicata la quota annua che affluisce al fondo di ammortamento finanziario.

Se le quote annuali di ammortamento sono inferiori alla metà di quelle risultanti dall’applicazione dei coefficienti stabiliti ai sensi del secondo comma dell’art. 68 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, il minor ammontare deve essere distintamente indicato nel registro dei beni ammortizzabili.

I costi di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione di cui all’ultimo comma del detto art. 68, che non siano immediatamente deducibili, non si sommano al valore dei beni cui si riferiscono ma sono iscritti in voci separate del registro dei beni ammortizzabili a seconda dell’anno di formazione.

  1. – Secondo la giurisprudenza di questa corte occorre in generale distinguere, in tema di determinazione del reddito d’impresa, tra le violazioni degli obblighi relativi alla contabilità costituenti infrazioni di carattere sostanziale, che impediscono cioè l’attività di accertamento e precludono la deducibilità di costi che non siano regolarmente registrati, e violazioni di carattere meramente formale. Tali sono in generale considerate quelle che non ostacolano l’accertamento e, quindi, non precludono la deducibilità di costi anche se non sono stati registrati regolarmente (cfr., per il principio, Sez. n. 2315-01; n. 22554-08).

Le violazioni che qui rilevano ai fini delle quote di ammortamento non sono violazioni formali.

In particolare va confermato il principio secondo cui ai fini della deducibilità dal reddito di impresa, ai sensi dell’art. 74 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, le quote di ammortamento dei beni strumentali debbono comunque essere registrate nel registro dei cespiti ammortizzabili, a norma del citato art. 16 (v. Sez. 5 – n. 9876-11).

Per i contribuenti tenuti ad allegare alla dichiarazione il conto economico, la deduzione di costi e oneri è subordinata, oltre che all’imputazione degli stessi al conto economico, all’osservanza dell’obbligo di contabilizzazione nelle scritture nelle quali è prescritto debba avvenire la registrazione.

Poiché infatti, per quanto concerne le quote di ammortamento dei beni strumentali, tali oneri debbono essere inscritte nel registro dei cespiti ammortizzabili, deriva che il relativo adempimento rappresenta un presupposto della deducibilità condizionando l’accertamento della condizione posta al fondo del criterio di inerenza.

In mancanza l’ufficio ha in sede di accertamento in rettifica il potere di ritenere indeducibili costi e oneri che il contribuente ha incluso tra le componenti negative del reddito, e che dovrebbero essere considerate tali anche in sede fiscale ove l’inerenza alla produzione del reddito risultasse nel modo prescritto dalla legge (v. Sez. n. 16702-05) .

  1. – E’ pertanto errata l’impugnata sentenza nella parte in cui ha considerato come un inadempimento non rilevante, ai fini dell’esclusione della deducibilità del costo per quote di ammortamento, la tardiva (id est, quanto alle quote in argomento, omessa) istituzione del registro di cui all’art. 16.

Non giova difatti evocare il principio secondo cui sarebbe sempre data la possibilità di provare l’esistenza di costi altrimenti deducibili, anche non regolarmente registrati. Ad avviso del collegio tale principio non si attaglia alla fattispecie perché qui si tratta di costi per ammortamenti, soggetti a un regime rafforzato nel senso precedentemente esposto. L’omessa istituzione del registro preclude la deducibilità del costo per ragioni di certezza attinenti alla funzione, giacché la previa annotazione serve a evitare prassi elusive e distorte, associate alla verifica della condizione di ammortamento.

VII. – L’accoglimento del secondo motivo comporta la necessità di cassare l’impugnata sentenza.

Segue il rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, la quale provvederà a valutare la pretesa fiscale uniformandosi al principio di diritto sopra esposto.

La commissione provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Sicilia.

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