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IMU: esenzione esclusa per immobili merce locati o ristrutturati

Tributi locali – IMU – Esenzione – Ambito applicativo – Accertamento immobili – Beni merce – Interpretazione – Esclusione per immobili acquistati dall’impresa e ristrutturati –  Principio di diritto

La Corte di Cassazione, con le ordinanze n. 10392 e 10394, entrambe del 21 aprile 2025, ha fornito importanti interpretazioni sull’ambito applicativo dell’esenzione IMU, distinguendo che l’ordinanza n. 10392, oggi in commento, si riferisce essenzialmente ai fabbricati costruiti e destinati alla vendita dall’impresa costruttrice, ai sensi dell’art. 13, comma 9-bis, Dl 201/2011, come modificato dall’art. 2, comma 2, lett. a), Dl 102/2013.

Altro tema affrontato dalla Suprema Corte, che riguarda però la decadenza dall’agevolazione per sopravvenuta locazione anche temporanea, è invece trattato dall’ordinanza n.10394/2025, il cui testo integrale è riportato nella rubrica “News” della nostra rivista.

Brevemente, è possibile rammentare che in passato erano sorti dubbi sul trattamento da riservare nell’ipotesi di intervenuta locazione o utilizzo diretto da parte dell’impresa costruttrice anche solo per una parte dell’anno, ma con l’ordinanza  n. 10394 i giudici di legittimità hanno offerto il seguente principio di diritto: “… In tema di IMU, l’esenzione prevista dall’articolo 13, comma 9 bis, del decreto legge n. 201/2011…, nel testo novellato dall’articolo 2, comma 2, lettera a) del decreto legge n. 102 del 2013…, per i “fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita” c.d. immobili – merce), non può essere riconosciuta in caso di locazione (ancorché transitoria) dei medesimi nel corso dell’anno di riferimento, non essendone consentita la fruizione proporzionalmente commisurata al periodo infrannuale di godimento da parte del contribuente secondo la previsione dell’articolo 9 comma 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011, in quanto il legislatore ha espressamente tipizzato le fattispecie di riduzione o esenzione usufruibili anche per un periodo di durata inferiore all’anno di riferimento, in relazione alla sussistenza per un tempo corrispondente di un predeterminata condizione di fatto o di diritto” (Cass. n. 10394/2025).

Tornando all’ordinanza n. 10392, gli Ermellini hanno interpretato in un senso più restrittivo la norma sugli immobili costituenti beni merce di cui all’art. 13, c. 9-bis, Dl 201/2011, vigente ratione temporis, invocando il principio di specialità delle disposizioni agevolative tributarie, e decidendo che l’esenzione non può essere riconosciuta per gli immobili acquistati dall’impresa e successivamente ristrutturati, anche mediante interventi di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia.

Secondo la Corte, il beneficio fiscale è da destinare soltanto ai fabbricati costruiti ex novo dall’impresa, in considerazione del fatto che la norma ha carattere eccezionale e non concede interpretazioni estensive.

In assenza del requisito della costruzione originaria, l’esenzione non è applicabile, anche se l’immobile è poi destinato alla vendita e fornendo al riguardo questo importane principio di diritto: “…  In tema di IMU, l’esenzione prevista dall’articolo 13, comma 9 bis, del decreto legge n. 201/2011…, nel testo novellato dall’articolo 2, comma 2, lettera a) del decreto legge n. 102 del 2013…, deve essere riconosciuta solamente ai “fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita” e non può essere estesa … anche ai fabbricati acquistati e ristrutturati (mediante interventi di restauro e di risanamento conservativo di ristrutturazione edilizia o di ristrutturazione urbanistica…) per essere destinati dall’impresa acquirente alla vendita, ostandovi la natura eccezionale delle disposizioni legislative in materia di agevolazioni tributarie” (Cass n. 10392/2025).

I chiarimenti  forniti oggi sull’ambito applicativo dell’esenzione IMU per i fabbricati costruiti e destinati alla vendita dall’impresa costruttrice riguardano in particolare l’articolo 13, comma 9-bis, del Dl 201/2011, come modificato dall’articolo 2, comma 2, lettera a), del Dl 102/2013, che interessa quegli immobili di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia, per i quali è possibile applicare una riduzione dell’imposta di registro per i contratti di locazione o comodato aventi a oggetto immobili a uso abitativo, riduzione applicabile anche a determinati contratti stipulati tra familiari e che porta l’imposta da una percentuale fissa a una ridotta.

In sintesi, questa norma prevede un’esenzione temporanea dall’IMU per i fabbricati costruiti direttamente dall’impresa costruttrice oppure oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia realizzati dalla stessa impresa: non rientrano nell’agevolazione gli immobili acquistati da terzi e poi rivenduti.

L’immobile, però, deve essere destinato alla vendita e questa destinazione deve essere chiaramente manifestata dall’impresa costruttrice.

In breve, e sintetizzando, l’esenzione prevista per i fabbricati destinati alla vendita si dovrà applicare solamente agli immobili costruiti direttamente dall’impresa costruttrice e di destinazione esclusiva e continuativa alla vendita, senza alcuna forma di locazione, anche temporanea. 

L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte in merito alle agevolazioni IMU per le imprese costruttrici, consolida quindi una lettura più restrittiva e severa della disciplina in materia, richiamando l’esigenza di rispettare scrupolosamente i requisiti di legge. L’aspetto evidenziato oggi dagli Ermellini riguarda, infatti, l’esclusione dai benefici degli immobili acquistati e poi ristrutturati, anche se successivamente destinati alla vendita. Le agevolazioni tributarie, infatti, avendo carattere eccezionale, non possono essere estese oltre quanto espressamente previsto dalla legge.

L’esenzione, in ogni caso, non potrà essere considerata permanente, visto che scaduto il termine massimo di tre anni o avvenuta la vendita, l’immobile tornerà a essere soggetto all’IMU.

Nel corso degli anni ci sono state diverse interpretazioni giurisprudenziali in merito all’applicazione di questa norma, soprattutto riguardo alla chiara manifestazione della “destinazione alla vendita”.

L’esenzione IMU per i fabbricati costruiti e destinati alla vendita da parte delle imprese costruttrici è – ricordiamo – disciplinata dall’articolo 2, comma 1, lettera f) del D.lgs. 504/1992 e dal Dl 201/2011,  convertito con modificazioni dalla 214/2011, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a), del Dl 102/2013, convertito con modificazioni dalla legge 124/2013.

L’aspetto cruciale riguarda comunque, per quanto attiene al caso, la “chiara manifestazione della destinazione alla vendita”, come emerge dalle interpretazioni giurisprudenziali fornite da alcune sentenze della Corte di Cassazione, seguite poi anche dalle decisioni di Commissioni Tributarie, che manifestano alcuni criteri fondamentali per valutare se tale destinazione sia effettivamente chiara.

Principi chiave affermati sino ad oggi dagli Ermellini riguardavano principalmente, come spicca dalla lettura della Cass. n. 21731/2015, l’onere  della prova che si sostanzia essenzialmente nel porre a carico della parte, che allega un fatto a sé favorevole, il dovere di darne prova dell’esistenza. Spetta quindi all’impresa costruttrice dimostrare in modo inequivocabile la sussistenza della destinazione alla vendita, ma con la pronuncia n. 27402/2018, la Suprema Corte rammentava che la semplice dichiarazione di intenti non è da considerarsi sufficiente, per cui la destinazione alla vendita deve essere manifestata attraverso comportamenti concludenti e oggettivamente riscontrabili, non limitandosi alla volontà interna dell’imprenditore. L’esenzione è generalmente riconosciuta per un periodo di tempo ragionevolmente breve, intercorrente tra l’ultimazione dei lavori e l’effettiva vendita, poiché il protrarsi eccessivo del periodo senza vendita può far presumere una diversa destinazione (Cass. n. 16353/2020).

La presenza di documenti come perizie di stima finalizzate alla vendita, delibere degli organi societari che decidono la vendita, mandati di vendita a intermediari, può rafforzare la prova della destinazione alla vendita.

Tuttavia, è importante sottolineare che la valutazione della “chiara manifestazione della destinazione alla vendita” è un’analisi di fatto che spetta al giudice tributario, il quale dovrà esaminare il caso concreto nella sua complessità e tenendo conto di tutti gli elementi probatori forniti dall’impresa.

Questo significa che spetta al giudice di primo e/o secondo grado valutare le prove prodotte dalle parti e, sulla base di un apprezzamento complessivo degli elementi acquisiti, stabilire se sussista o meno tale chiara manifestazione. La Cassazione, in sede di legittimità, può sindacare tale valutazione solo per vizi di motivazione o violazione di legge, come riportato anche dalla pronunzia. n. 10763/2013, che così sentenziava: “… La destinazione alla vendita di un bene non può essere presunta, ma deve risultare da una chiara ed inequivocabile manifestazione di volontà del contribuente, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito” (v. Cass. n. 17762/2016; Cass. n. 25778/2014; Cass. n. 15031/2002).

Tanto premesso e tornando al caso in dibattimento, una società contribuente riceveva un avviso di accertamento emesso dalle autorità Comunali relativo all’IMU con riguardo a immobili costituenti “beni merce”, a seguito del disconoscimento dell’esenzione prevista dal citato art. 13, comma 9-bís, Dl 201/2011. La parte contribuente si rivolgeva allora alla giustizia tributaria, ma il giudice di appello riformava la decisione di prime cure, che aveva accolto il ricorso originario, sul rilievo che la contribuente non aveva documentato l’esecuzione di lavori di ristrutturazione ex art. 3, comma 1, lett. c), d) ed f), DPR 380/2001, sui predetti immobili che non erano di recente costruzione. Da qui il ricorso in Cassazione, che la società proponeva con  un unico motivo in cui, essenzialmente, rilevava che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto l’immobile di non recente costruzione, ignorandola norma in vigore dal 31 agosto 2013 che  non prevedeva  alcun riferimento temporale, né alcuna scadenza riferita al termine dei lavori.

I Supremi Giudici non hanno ritenuto valide tali argomentazioni, ritenendo invece che: “…1.2 Il testo originario dell’art. 13, comma 9-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedeva che: «I Comuni possono ridurre l’aliquota di base fino allo 0,38 per cento per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori». Il testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a), del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, dispone ora che: «A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati». 1.3 Secondo il tenore della censura formulata dalla ricorrente, il riferimento limitativo al «periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori» sarebbe stato eliminato dalla versione aggiornata della suddetta norma, per cui il giudice di appello avrebbe fatto impropriamente applicazione del testo abrogato nella decisione della controversia. Di contro, a dire della controricorrente: «Orbene, nel caso in esame, i 15 fabbricati cui secondo la Commissione spetterebbe l’esenzione, non risultano né recentemente costruiti, né oggetto di interventi di recupero e risanamento previsti dall’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Si evidenzia poi che come dichiarato nel ricorso introduttivo dalla stessa Eusebio Spa (All.3 – pag.3) e documentalmente provato dalle visure storico-catastali depositate in CTP unitamente alle controdeduzioni di primo grado e che qui si riallegano (All.8), l’accatastamento dei cespiti in contestazione è stato effettuato dalla ricorrente negli anni ‘90. La lettura offerta dalla ricorrente è pertanto erronea in quanto non in linea con l’interpretazione della norma che richiede un intervento recente sul bene ai fini dell’applicazione del beneficio. La lettura di controparte contrasta anche sotto altro profilo con la ratio dell’agevolazione in commento. Ed invero, alla luce della crisi recente del settore immobiliare, la ratio della norma è da rinvenirsi anche e soprattutto nella necessità di non incidere ulteriormente sulla situazione economica degli imprenditori che hanno sostenuto costi per costruire, ovvero risanare completamente unità immobiliari che non trovano poi una collocazione sul mercato». In sintonia con la prospettazione della ricorrente, anche il P.M. ha evidenziato che: «Nel caso di specie, la stessa resistente riconosce come “non sia contestabile la sussistenza in capo alla controparte del requisito soggettivo e dell’espletamento dei vari adempimenti formali». 1.4 A sostegno del proprio ragionamento, il giudice di appello ha richiamato la risoluzione emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze l’11 dicembre 2013, n. 11/DF (che è stata prodotta dall’ente impositore), la quale ha ritenuto che «nel concetto “fabbricati costruiti” delle norme in esame possa farsi rientrare anche il fabbricato acquistato dall’impresa costruttrice sul quale la stessa procede a interventi di incisivo recupero, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380», ciò «in virtù della considerazione che, ai fini IMU, l’art. 5, comma 6, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, stabilisce che, in caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione del fabbricato, di interventi di recupero a norma dell’art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del D.P.R. n. 380 del 2001, la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell’art. 2 del D. Lgs. n. 504 del 1992, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato». Da qui la conclusione che: «Pertanto, dal contenuto della norma in commento, si evince che il Legislatore ha operato un’equiparazione tra i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero di cui al citato art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del D.P.R. n. 380 del 2001 e i fabbricati in corso di costruzione. I primi, infatti, sono, alla stessa stregua dei secondi, considerati, ai fini della determinazione della base imponibile IMU, area fabbricabile fino all’ultimazione dei lavori. Dalle considerazioni appena formulate si evince che i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero nei termini sin qui esplicitati rientrano nel campo di applicazione dell’esenzione introdotta dal citato art. 2 del D. L. n. 102 del 2013, solo a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione». Tale estensione, quindi, prescinde dalla risalenza infratriennale degli «interventi di incisivo recupero», essendo sufficiente per beneficiare dell’esenzione che la ristrutturazione dei fabbricati destinati alla rivendita e non concessi in locazione sia stata completata nell’anno di riferimento. Conformandosi a tale esegesi, la sentenza impugnata ha ritenuto che «agli immobili di recente costruzione sono equiparabili solo quelli oggetto di incisivo recupero ai sensi del DPR 380/2001».1.5 Tuttavia, secondo alcuni arresti di questa Corte (Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2022, n. 9897; Cass., Sez. 5^, 2 febbraio 2024, n. 3094), a cui il collegio ritiene di dare continuità in questa sede, il regime di esenzione risulta connaturato ai «fabbricati costruiti» dall’impresa (altrimenti) soggetto passivo IMU, «destinati (…) alla vendita» e «fintanto che permanga tale destinazione», così che deve senz’altro escludersi dal suo ambito applicativo il fabbricato che sia stato immesso nel mercato immobiliare (per acquisto operatone dall’impresa), seppure la circolazione commerciale del bene sia preordinata ad una successiva attività di costruzione, non potendosi concepire (al momento del detto acquisto) né l’esistenza di un fabbricato «costruito» dal soggetto passivo dell’IMU, e destinato alla vendita (piuttosto che alla sua ristrutturazione edilizia), né la permanente (e documentata) destinazione (alla vendita) del bene stesso (così) costruito. È, poi, ben vero che deve ritenersi consentita un’interpretazione della disposizione di favore che – perimetrata all’interno del dato normativo, avuto riguardo ai suoi segni letterali ed allo scopo perseguito dal legislatore – sia volta alla massima espansione del contenuto normativo (così) ricostruito, essendosi rilevato che «anche in presenza di disposizioni eccezionali o di carattere tassativo l’interprete è tenuto a ricercare, pur senza superarlo arbitrariamente, l’esatto valore semantico della formula legislativa al fine di stabilire se la regula juris debba essere “estesa” (o, più esattamente, dichiarata applicabile), secondo l’intenzione del legislatore, a casi che pur non risultando espressamente considerati nel testo della norma, debbono ritenersi in esso implicitamente compresi e disciplinati» (Cass. Sez. Un., 17 maggio 2010, n. 11930; Cass. Sez. Un., 20 ottobre 2010, n. 21493; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2011, n. 30722; Cass., Sez. 5^, 26 giugno 2020, n. 12777); ma, nella fattispecie, la sopra rilevata distanza delle fattispecie preclude (anche) un’interpretazione estensiva del regime di favore evocato, in quanto, nell’un caso, la finalità perseguita dal legislatore è chiaramente volta a non gravare del tributo quelle imprese rispetto alle quali il presupposto impositivo (art. 13, comma 2, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, in relazione all’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) si identifica col possesso di «fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita» («fintanto che permanga tale destinazione») – ove, dunque, l’avvenuta realizzazione del fabbricato, e la sua permanente destinazione alla vendita, connotano il contenuto della disposizione, e lo stesso scopo di favore perseguito, – nel mentre, nella fattispecie in esame, la destinazione alla vendita costituisce un mero intento perseguito dall’impresa che ancora non abbia realizzato il bene a detto fine destinato, così ponendosi al di fuori del perimetro di applicazione della norma, per di più in assenza di ogni obiettiva condizione di verificabilità dello stesso intento perseguito che finirebbe per connotare qualsiasi operazione commerciale volta all’acquisizione di fabbricati destinati alla (successiva) rivendita (che faccia seguito, o meno, all’attività di costruzione). Aggiungasi che la disposizione dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (a cui rinvia l’art. 13, comma 2, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, quanto all’IMU), delinea un meccanismo di regolazione alla cui stregua non rileva, a fini impositivi (recte: della determinazione della base imponibile), il fabbricato in corso di ristrutturazione, perché viene presa in considerazione (soltanto) l’area sulla quale il fabbricato insiste, area che è considerata fabbricabile «anche in deroga a quanto stabilito nell’articolo 2» dello stesso d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (disposizione, quest’ultima, recante la definizione di fabbricati e aree fabbricabili). Così che l’area «ridiventa fabbricabile ab origine, fino a che la ristrutturazione dell’immobile non viene completata (…) perché, venuta meno la tassabilità del fabbricato, viene tassata l’area come se il fabbricato non esistesse», e soggetta ad imposizione rimane «tutta l’area, anche se inedificabile secondo gli strumenti urbanistici ordinari» (Cass., Sez. 6^-5, 9 maggio 2014, n. 10082; Cass., Sez. 5^, 8 dicembre 2016, n. 27096). Si è, quindi, rimarcato – in coerenza, del resto, con lo stesso dato letterale della disposizione – che l’applicazione di detta disposizione necessariamente presuppone la realizzazione dell’intervento edilizio cui si correla il relativo criterio di determinazione della base imponibile – e, dunque, l’utilizzazione edificatoria, la demolizione del fabbricato e la esecuzione degli «interventi di recupero a norma dell’articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457» (ora a norma dell’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) – così che la rideterminazione della base imponibile del tributo (secondo il valore dell’area) è destinata ad operare «fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato» (Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2017, n. 14111). Per di più, la Corte ha statuito – con riferimento all’ICI, i cui dati di regolazione sono però riferibili anche all’IMU – che gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla  legge secondo criteri di certezza e tassatività, e con riferimento unicamente al possesso di tre ben definite tipologie di beni immobili costituiti da fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, così che «nel caso di area edificata la base imponibile Ici è determinata dal valore del fabbricato (…); (…) la base imponibile è invece costituita dal valore dell’area, considerata fabbricabile, allorquando nell’anno di imposizione vi sia utilizzazione edificatoria in corso dell’area stessa, demolizione di fabbricato ovvero realizzazione di interventi di recupero ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e) (comma 6)», con la conseguenza che l’area di insistenza del fabbricato non è autonomamente tassabile quale area edificabile in quanto la fattispecie impositiva, così ricavata, «non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all’evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile. (…) diversamente ragionando, si verrebbe ad inammissibilmente introdurre nell’ordinamento – in via interpretativa – un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, costituito appunto dall’area edificata» (Cass., Sez. 6^-5, 19 luglio 2017, n. 17815 – vedansi anche: Cass., Sez. 5^, 11 ottobre 2017, n. 23801; Cass., Sez. 5^, 5 febbraio 2019, n. 3282; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2019, n. 8620; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19809).1.6 Non è, dunque, invocabile un’assimilazione quoad effectum tra i “fabbricati costruiti” ed i “fabbricati ristrutturati”, essendo preclusa, inevitabilmente, dalla corretta applicazione del principio generale e inderogabile in materia fiscale, il quale prevede che, in materia fiscale le norme contemplanti esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 disp. prel. cod. civ., sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati (Cass., Sez. 5^, 7 maggio 2008, n. 11106; Cass., Sez. 5^, 7 marzo 2013, n. 2925; Cass., Sez. 5^, 4 marzo 2016, n. 4333; Cass., Sez. 6^-5, 21 giugno 2017, n. 15407; Cass., Sez. 5^, 16 maggio 2019, n. 13145; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2020, n. 23877; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 15301; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2022, n. 34690; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2024, nn. 30455 e 30484). 1.7 Pertanto, al solo fine di consolidare e rinsaldare l’indirizzo chiaramente delineatosi nella giurisprudenza di legittimità, si può enunciare il seguente principio di diritto: «In tema di IMU, l’esenzione prevista dall’art. 13, comma 9-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, deve essere riconosciuta solamente ai «fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita» (secondo il tenore letterale del testo legislativo) e non può essere estesa – alla luce di un coordinamento sistematico con l’art. 5, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, quale richiamato dall’art. 13, comma 3, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che esclude la rilevanza del fabbricato in corso di ristrutturazione ai fini della determinazione del presupposto impositivo – anche ai fabbricati acquistati e ristrutturati (mediante interventi di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia o di ristrutturazione urbanistica, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) per essere destinati dall’impresa acquirente alla vendita, ostandovi la natura eccezionale delle disposizioni legislative in materia di agevolazioni tributarie».  2. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere respinto

Corte di Cassazione – Ordinanza 21 aprile 2025, n. 10392

sul ricorso iscritto al n. 8732/2023 R.G., proposto da:

“(Omissis)S.p.A.”, con sede in Roma, in persona degli amministratori delegati pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (Omissis) , con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento

– ricorrente –

CONTRO  Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. (Omissis) con studio in Roma (presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina), ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 4 ottobre 2022, n. 4306/12/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27 novembre 2024 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

RILEVATO CHЕ

1. La”(Omissis) S.p.A.” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 4 ottobre 2022, n. 4306/12/2022, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento n. 1931/2018 per l’IMU relativa all’anno 2014, per l’importo complessivo di € 496.745,59, con riguardo ad immobili costituenti “beni merce”, dei quali essa era proprietaria in Roma, a seguito del disconoscimento dell’esenzione prevista dall’art. 13, comma 9-bís, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, aveva accolto l’appello proposto da Roma Capitale nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma il 21 novembre 2019, n. 15589/19/2019, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.

2. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario sul rilievo che la contribuente non aveva documentato l’esecuzione di lavori di ristrutturazione ex art. 3, comma 1, lett. c), d) ed f), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sui predetti immobili, che non erano di recente costruzione.

3. Roma Capitale ha resistito con controricorso.

4. Con conclusioni scritte, il P.M. si è espresso per l’accoglimento del ricorso.

5. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO CHE

1. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 15 disp. prel. cod. civ., 2 del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, e 13, comma 9-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proс. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che: «La círcostanza che l’immobile debba essere di recente costruzione trova ríscontro nella legge, che fa riferimento ai “fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendíta … e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori” (art. 13, со. 9 bis, D.L. n. 201/2011)».

A dire della ricorrente: «La norma in vigore dal 31.08.2013 non prevede alcun riferimento temporale né alcuna scadenza riferita al termine dei lavori. Come sopra illustrato, il termine di tre anni previsto nel vecchio testo del comma 9 bis dell’art. 13 del D.L. 201 del 2011 è stato eliminato a seguito delle modifiche determinate dall’art. 2 del Decreto-legge 31 agosto 2013 n. 102. (…) Evidenziando che in nessuna norma è previsto il requisito della mancata vendita “per circa 30 anni”, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, nella sentenza oggi impugnata, afferma quindi che gli immobili, per beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IMU devono essere di “recente costruzione” e fonda la propria affermazione e la propria decisione su un dato normativo ben preciso: il riferimento ai “tre anni dalla ultimazione dei lavori” che sarebbe previsto dall’art. 13, comma 9 bis del D.L. 201/2011, peraltro espressamente citato nella decisione oggi impugnata. L’affermazione e la conseguente ratio decidendi seguita dal giudice del merito di secondo grado sono gravemente errati perché la Corte di Giustizia Tributaria, sviluppando il proprio iter logico, richiama e di conseguenza applica, una norma (o forse, per meglio dire, una previsione normativa) inesistente perché non più in vigore, essendo stata sostituita da altra e quindi abrogata, come già ricordato più volte, tra l’altro proprio con la eliminazione del riferimento ai tre anni dalla esecuzione dei lavori, dall’art. 2 del Decreto-legge 31 agosto 2013 n. 102. È evidente che il riferimento al “periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori” ha costituito un presupposto fondamentale sul piano logico per la decisione cui è pervenuto il giudice del merito ed è stato pertanto una componente essenziale della ratio decidendi del giudice di secondo grado. Si tratta peraltro di abrogazione espressa, come si evince dalla semplice lettura dell’art. 2 del Decreto-legge 31 agosto 2013 n. 102 che prevede, per l’appunto, espressamente, che “il comma 9-bis (del D.L. 201/2011) è sostituito dal seguente (…)”. Il nuovo testo della norma è entrato in vigore il 31/08/2013 ed è quindi senza dubbio applicabile al caso in esame, che, come già ricordato, ha ad oggetto l’IMU relativa all’anno di imposta 2014. La Corte di Giustizia di secondo grado per il Lazio ha quindi violato o comunque falsamente applicato l’art. 2 del Decreto-legge 31 agosto 2013 n. 102, l’art. 15 delle Preleggi e l’art. 13, comma 9-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 perché ha ignorato la abrogazione del vecchio testo del medesimo l’art. 13, comma 9-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 espressamente sostituito dall’attuale testo ai sensi dell’art. 2 del Decreto-legge 31 agosto 2013 n. 102, decidendo il procedimento di secondo grado applicando una norma non più in vigore perché espressamente abrogata».

1.1 Il predetto motivo è infondato, per quanto la correttezza del dispositivo in punto di diritto non esima il collegio dall’emendarne la motivazione nel senso specificato in appresso, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.

1.2 Il testo originario dell’art. 13, comma 9-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedeva che: «I Comuni possono ridurre l’aliquota di base fino allo 0,38 per cento per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori». Il testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a), del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, dispone ora che: «A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati».

1.3 Secondo il tenore della censura formulata dalla ricorrente, il riferimento limitativo al «periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori» sarebbe stato eliminato dalla versione aggiornata della suddetta norma, per cui il giudice di appello avrebbe fatto impropriamente applicazione del testo abrogato nella decisione della controversia. Di contro, a dire della controricorrente: «Orbene, nel caso in esame, i 15 fabbricati cui secondo la Commissione spetterebbe l’esenzione, non risultano né recentemente costruiti, né oggetto di interventi di recupero e risanamento previsti dall’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Si evidenzia poi che come dichiarato nel ricorso introduttivo dalla stessa Eusebio Spa (All. 3 – pag. 3) e documentalmente provato dalle visure storico-catastali depositate in CTP unitamente alle controdeduzioni di primo grado e che qui si riallegano (All. 8), l’accatastamento dei cespiti in contestazione è stato effettuato dalla ricorrente negli anni ‘90. La lettura offerta dalla ricorrente è pertanto erronea in quanto non in linea con l’interpretazione della norma che richiede un intervento recente sul bene ai fini dell’applicazione del beneficio. La lettura di controparte contrasta anche sotto altro profilo con la ratio dell’agevolazione in commento. Ed invero, alla luce della crisi recente del settore immobiliare, la ratio della norma è da rinvenirsi anche e soprattutto nella necessità di non incidere ulteriormente sulla situazione economica degli imprenditori che hanno sostenuto costi per costruire, ovvero risanare completamente unità immobiliari che non trovano poi una collocazione sul mercato». In sintonia con la prospettazione della ricorrente, anche il P.M. ha evidenziato che: «Nel caso di specie, la stessa resistente riconosce come “non sia contestabile la sussistenza in capo alla controparte del requisito soggettivo e dell’espletamento dei vari adempimenti formali».

1.4 A sostegno del proprio ragionamento, il giudice di appello ha richiamato la risoluzione emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze l’11 dicembre 2013, n. 11/DF (che è stata prodotta dall’ente impositore), la quale ha ritenuto che «nel concetto “fabbricati costruiti” delle norme in esame possa farsi rientrare anche il fabbricato acquistato dall’impresa costruttrice sul quale la stessa procede a interventi di incisivo recupero, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380», ciò «in virtù della considerazione che, ai fini IMU, l’art. 5, comma 6, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, stabilisce che, in caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione del fabbricato, di interventi di recupero a norma dell’art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del D.P.R. n. 380 del 2001, la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell’art. 2 del D. Lgs. n. 504 del 1992, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato».

Da qui la conclusione che: «Pertanto, dal contenuto della norma in commento, si evince che il Legislatore ha operato un’equiparazione tra i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero di cui al citato art. 3, comma 1, lett. c), d) e f), del D.P.R. n. 380 del 2001 e i fabbricati in corso di costruzione. I primi, infatti, sono, alla stessa stregua dei secondi, considerati, ai fini della determinazione della base imponibile IMU, area fabbricabile fino all’ultimazione dei lavori. Dalle considerazioni appena formulate si evince che i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero nei termini sin qui esplicitati rientrano nel campo di applicazione dell’esenzione introdotta dal citato art. 2 del D. L. n. 102 del 2013, solo a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione». Tale estensione, quindi, prescinde dalla risalenza infratriennale degli «interventi di incisivo recupero», essendo sufficiente per beneficiare dell’esenzione che la ristrutturazione dei fabbricati destinati alla rivendita e non concessi in locazione sia stata completata nell’anno di riferimento. Conformandosi a tale esegesi, la sentenza impugnata ha ritenuto che «agli immobili di recente costruzione sono equiparabili solo quelli oggetto di incisivo recupero ai sensi del DPR 380/2001».

1.5 Tuttavia, secondo alcuni arresti di questa Corte (Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2022, n. 9897; Cass., Sez. 5^, 2 febbraio 2024, n. 3094), a cui il collegio ritiene di dare continuità in questa sede, il regime di esenzione risulta connaturato ai «fabbricati costruiti» dall’impresa (altrimenti) soggetto passivo IMU, «destinati (…) alla vendita» e «fintanto che permanga tale destinazione», così che deve senz’altro escludersi dal suo ambito applicativo il fabbricato che sia stato immesso nel mercato immobiliare (per acquisto operatone dall’impresa), seppure la circolazione commerciale del bene sia preordinata ad una successiva attività di costruzione, non potendosi concepire (al momento del detto acquisto) né l’esistenza di un fabbricato «costruito» dal soggetto passivo dell’IMU, e destinato alla vendita (piuttosto che alla sua ristrutturazione edilizia), né la permanente (e documentata) destinazione (alla vendita) del bene stesso (così) costruito. È, poi, ben vero che deve ritenersi consentita un’interpretazione della disposizione di favore che – perimetrata all’interno del dato normativo, avuto riguardo ai suoi segni letterali ed allo scopo perseguito dal legislatore – sia volta alla massima espansione del contenuto normativo (così) ricostruito, essendosi rilevato che «anche in presenza di disposizioni eccezionali o di carattere tassativo l’interprete è tenuto a ricercare, pur senza superarlo arbitrariamente, l’esatto valore semantico della formula legislativa al fine di stabilire se la regula juris debba essere “estesa” (o, più esattamente, dichiarata applicabile), secondo l’intenzione del legislatore, a casi che pur non risultando espressamente considerati nel testo della norma, debbono ritenersi in esso implicitamente compresi e disciplinati» (Cass. Sez. Un., 17 maggio 2010, n. 11930; Cass. Sez. Un., 20 ottobre 2010, n. 21493; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2011, n. 30722; Cass., Sez. 5^, 26 giugno 2020, n. 12777); ma, nella fattispecie, la sopra rilevata distanza delle fattispecie preclude (anche) un’interpretazione estensiva del regime di favore evocato, in quanto, nell’un caso, la finalità perseguita dal legislatore è chiaramente volta a non gravare del tributo quelle imprese rispetto alle quali il presupposto impositivo (art. 13, comma 2, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, in relazione all’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) si identifica col possesso di «fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita» («fintanto che permanga tale destinazione») – ove, dunque, l’avvenuta realizzazione del fabbricato, e la sua permanente destinazione alla vendita, connotano il contenuto della disposizione, e lo stesso scopo di favore perseguito, – nel mentre, nella fattispecie in esame, la destinazione alla vendita costituisce un mero intento perseguito dall’impresa che ancora non abbia realizzato il bene a detto fine destinato, così ponendosi al di fuori del perimetro di applicazione della norma, per di più in assenza di ogni obiettiva condizione di verificabilità dello stesso intento perseguito che finirebbe per connotare qualsiasi operazione commerciale volta all’acquisizione di fabbricati destinati alla (successiva) rivendita (che faccia seguito, o meno, all’attività di costruzione). Aggiungasi che la disposizione dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (a cui rinvia l’art. 13, comma 2, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, quanto all’IMU), delinea un meccanismo di regolazione alla cui stregua non rileva, a fini impositivi (recte: della determinazione della base imponibile), il fabbricato in corso di ristrutturazione, perché viene presa in considerazione (soltanto) l’area sulla quale il fabbricato insiste, area che è considerata fabbricabile «anche in deroga a quanto stabilito nell’articolo 2» dello stesso d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (disposizione, quest’ultima, recante la definizione di fabbricati e aree fabbricabili). Così che l’area «ridiventa fabbricabile ab origine, fino a che la ristrutturazione dell’immobile non viene completata (…) perché, venuta meno la tassabilità del fabbricato, viene tassata l’area come se il fabbricato non esistesse», e soggetta ad imposizione rimane «tutta l’area, anche se inedificabile secondo gli strumenti urbanistici ordinari» (Cass., Sez. 6^-5, 9 maggio 2014, n. 10082; Cass., Sez. 5^, 8 dicembre 2016, n. 27096). Si è, quindi, rimarcato – in coerenza, del resto, con lo stesso dato letterale della disposizione – che l’applicazione di detta disposizione necessariamente presuppone la realizzazione dell’intervento edilizio cui si correla il relativo criterio di determinazione della base imponibile – e, dunque, l’utilizzazione edificatoria, la demolizione del fabbricato e la esecuzione degli «interventi di recupero a norma dell’articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457» (ora a norma dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) – così che la rideterminazione della base imponibile del tributo (secondo il valore dell’area) è destinata ad operare «fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato» (Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2017, n. 14111). Per di più, la Corte ha statuito – con riferimento all’ICI, i cui dati di regolazione sono però riferibili anche all’IMU – che gli elementi della fattispecie impositiva sono prestabiliti dalla  legge secondo criteri di certezza e tassatività, e con riferimento unicamente al possesso di tre ben definite tipologie di beni immobili costituiti da fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, così che «nel caso di area edificata la base imponibile Ici è determinata dal valore del fabbricato (…); (…) la base imponibile è invece costituita dal valore dell’area, considerata fabbricabile, allorquando nell’anno di imposizione vi sia utilizzazione edificatoria in corso dell’area stessa, demolizione di fabbricato ovvero realizzazione di interventi di recupero ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e) (comma 6)», con la conseguenza che l’area di insistenza del fabbricato non è autonomamente tassabile quale area edificabile in quanto la fattispecie impositiva, così ricavata, «non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all’evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile. (…) diversamente ragionando, si verrebbe ad inammissibilmente introdurre nell’ordinamento – in via interpretativa – un nuovo ed ulteriore presupposto d’imposta, costituito appunto dall’area edificata» (Cass., Sez. 6^-5, 19 luglio 2017, n. 17815 – vedansi anche: Cass., Sez. 5^, 11 ottobre 2017, n. 23801; Cass., Sez. 5^, 5 febbraio 2019, n. 3282; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2019, n. 8620; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19809).

1.6 Non è, dunque, invocabile un’assimilazione quoad effectum tra i “fabbricati costruiti” ed i “fabbricati ristrutturati”, essendo preclusa, inevitabilmente, dalla corretta applicazione del principio generale e inderogabile in materia fiscale, il quale prevede che, in materia fiscale le norme contemplanti esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 disp. prel. cod. civ., sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati (Cass., Sez. 5^, 7 maggio 2008, n. 11106; Cass., Sez. 5^, 7 marzo 2013, n. 2925; Cass., Sez. 5^, 4 marzo 2016, n. 4333; Cass., Sez. 6^-5, 21 giugno 2017, n. 15407; Cass., Sez. 5^, 16 maggio 2019, n. 13145; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2020, n. 23877; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 15301; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2022, n. 34690; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2024, nn. 30455 e 30484). 1.7 Pertanto, al solo fine di consolidare e rinsaldare l’indirizzo chiaramente delineatosi nella giurisprudenza di legittimità, si può enunciare il seguente principio di diritto: «In tema di IMU, l’esenzione prevista dall’art. 13, comma 9-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 2, comma 2, lett. a, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, deve essere riconosciuta solamente ai «fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita» (secondo il tenore letterale del testo legislativo) e non può essere estesa – alla luce di un coordinamento sistematico con l’art. 5, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, quale richiamato dall’art. 13, comma 3, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che esclude la rilevanza del fabbricato in corso di ristrutturazione ai fini della determinazione del presupposto impositivo – anche ai fabbricati acquistati e ristrutturati (mediante interventi di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia o di ristrutturazione urbanistica, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettere c), d) e f), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) per essere destinati dall’impresa acquirente alla vendita, ostandovi la natura eccezionale delle disposizioni legislative in materia di agevolazioni tributarie».

2. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere respinto.

3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

4. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 6.000,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 27 novembre 2024

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