CASSAZIONE

Impugnabilità dell’invito al pagamento del Contributo unificato

Contenzioso tributario – Giurisdizione tributaria – Atti impugnabili -Avviso “bonario” – Impugnabilità – Criteri di qualificazione- Competenza del giudice tributario sugli atti amministrativi generali.

Con l’Ordinanza n. 22971del 17 agosto 2021, la Corte di Cassazione si è nuovamente interessata della questione relativa alla legittimità dell’autonoma impugnazione dell’invito bonario di pagamento del Contributo unificato o dell’integrazione dell’importo versato, riaffermando il principio che l’invito al pagamento spontaneo è atto autonomamente impugnabile e che rientra nella competenza del giudice tributario, secondo quanto dettato dall’art. 7 del D.lgs. n. 546/1992 valutare la illegittimità degli atti amministrativi generali al limitato fine di decidere la controversia relativa a uno specifico rapporto tributario, e senza poter procedere all’annullamento dell’atto generale.

Ricordiamo che a partire dal 7 luglio 2011, a seguito della modifica dell’art. 9 del DPR n. 115/2002, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, la tassazione per le spese degli atti giudiziari del processo tributario è regolata mediante il versamento del Contributo unificato di iscrizione a ruolo, che ha sostituito tutte le altre imposte.
Pertanto, in caso di proposizione di ricorso dinanzi le Commissioni tributarie deve essere versato il contributo unificato, secondo le modalità e i criteri di seguito indicati previsti dalle disposizioni vigenti in materia.

Come precedente sulla materia possiamo rammentare, fra le tante pronunzie, l’ordinanza n. 3315 del 19 febbraio 2016 a conferma di tale orientamento, secondo il quale risulta legittimo proporre opposizione avverso un avviso bonario emesso dall’Agenzia delle entrate che chiede il pagamento di un tributo. Tuttavia, la Corte si soffermava a precisare che la mancata opposizione di tale atto non comporta la “cristallizzazione del credito erariale”, con la conseguenza che il contribuente potrà proporre opposizione avverso l’eventuale successiva cartella esattoriale relativa alla medesima pretesa tributaria. Ciò nonostante, per definire ulteriormente l’aspetto c’è da notare che in generale, nell’ambito dei tributi erariali e dell’avviso bonario, la questione affrontata non è certamente nuova e si caratterizza nella impugnabilità o meno dell’atto che spesso precede la notifica della cartella.

Sull’argomento è forse opportuno premettere che la medesima Corte di Cassazione ha più volte affermato (sentenze n. 16293/2007 e n. 3773/2014) che ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria devono essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione del tributo tutti quegli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto.

Secondo la Corte di Cassazione ciò che appare essenziale, per parlare di avviso di accertamento o di liquidazione, è che il contenuto dell’atto manifesti una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, anche se accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori o anche per essere ammesso a qualche beneficio. 

Forse alcuni rammentano che con la sentenza n. 7344 dell’11 maggio 2012 la Corte di Cassazione, ribaltando un precedente orientamento ormai consolidato, inaugurò il nuovo indirizzo interpretativo. Per gli Ermellini, seguendo una lettura costituzionalmente orientata, diventò ammissibile il ricorso avverso la comunicazione di irregolarità (avviso bonario), notificata dall’Agenzia delle entrate in conseguenza ad attività di liquidazione o di controllo formale (la fattispecie è contemplata agli artt. 36-bis e 36-ter, DPR n. 600/1973).

L’avviso bonario, si legge infatti nella sentenza, costituisce una pretesa impositiva perfetta e pertanto, alla luce del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), l’art. 19, D.lgs. n. 546/1992 (rubricato “Atti impugnabili e oggetto del ricorso”) deve assicurare anche la possibilità di ricorrere avverso questo tipo di atti, allo stato dunque non annoverati fra gli atti impugnabili.

La stessa Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze 24 luglio 2007, n. 16293, e 26 luglio 2007, n. 16428, aveva peraltro affermato che le predette comunicazioni di irregolarità non sono immediatamente impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, in quanto “costituiscono … un ‘invito’ a fornire ‘eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi’. Quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l’intervento del giudice)”.

Ricordiamo che i richiamati orientamenti della Suprema Corte, che confermano che le comunicazioni al contribuente (c.d. avvisi bonari) recapitate ai sensi degli articoli 36-bis, c. 3, del DPR n. 600/1973 e 54-bis, c. 3, del DPR n. 633/1972, non contenendo una pretesa tributaria definita, non costituiscono atti impugnabili, avevano portato l’Agenzia delle entrate a formalizzare in tal senso la propria posizione (atto non impugnabile) nella risoluzione n. 110 del 22 ottobre 2010.

Tali comunicazioni si sostanziano, infatti, in un mero invito al contribuente a fornire in via preventiva elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatizzata della dichiarazione e non contengono una pretesa impositiva definitiva che si genera solo con la cartella di pagamento.

Rileviamo, comunque, che con l’Ordinanza n. 25297 del 28 novembre 2014, la Corte Cassazione ha avuto modo di riaffermare “che anche la comunicazione di irregolarità D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, comma 3, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario – cfr. Cass. n. 7344/12; Cass. n. 17010 del 05/10/2012”.

Inoltre sempre la Corte, con la sentenza 11 febbraio 2015, n. 2616, ha ritenuto ancora impugnabile l’atto che precede la notifica della cartella. La Corte in questo frangente, ha voluto riconfermare il principio secondo cui “in tema di contenzioso tributario, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione ‘avviso di liquidazione’ o ‘avviso di pagamento’” (cfr. Cass. civ. sez. unite 24 luglio 2007, n. 16293, e Cass. civ. sez. V 15 maggio 2008, n. 12194; Cass. civ. sez. V 15 giugno 2010, n. 14373).

In definitiva, è possibile affermare che ai fini dell’accesso alla tutela giurisdizionale innanzi ai giudici tributari sino a oggi i giudici hanno sempre ritenuto essenziale che il tenore dell’atto manifesti – ciò che non si verifica invece con i c.d. avvisi bonari – una “pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori”.

Orientamento, questo, consolidato dalle Sezioni Unite nelle successive sentenze 9 dicembre 2009, n. 25699 e 15 giugno 2010, n. 14373, nelle quali si chiarisce in termini ancora più esplicativi che le comunicazioni al contribuente recapitate si sostanziano in un mero invito a fornire, in via preventiva, elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatizzata della dichiarazione e non sono, dunque, espressione di un potere pubblicistico autoritativo, non contenendo una pretesa impositiva definitiva e non producendo effetti negativi immediati per il destinatario.

In buona sostanza possiamo riassumere l’orientamento vigente, che ritiene qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del citato art. 19, tutti gli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, anche se ciò avviene tramite avviso bonario a versare il dovuto. In altre parole appare essenziale, perché si possa parlare di avviso di accertamento o di liquidazione, che il testo manifesti – ripetiamo – una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori.

A differenza di quanto può dirsi, invece, a proposito delle comunicazioni previste dal comma 3 dell’art. 36-bis del DPR n. 600/1973 e dal comma 3 dell’art. 54-bis del DPR n. 633/1972; queste comunicazioni costituiscono infatti anche un invito a fornire “eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi” che, quindi, manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l’intervento del giudice).

Nell’ambito di questa impostazione di diritto, che l’ente impositore non può modificare a suo piacimento dichiarando “non impugnabili” atti che impugnabili sono, spetta al giudice di merito sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi da quelli che impositivi non sono, esaminandone gli aspetti sostanziali, che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti formali.

Tanto premesso, e tornando al caso de quo, un professionista legale, dopo aver depositato un ricorso ex art. 700 c.p.c. riceveva dalla cancelleria l’invito al pagamento spontaneo della somma residua dovuta a titolo di Contributo unificato, in quanto il ricorso comprendeva una domanda di risarcimento danni di valore maggiore rispetto a quello dichiarato nell’atto.

Ritenendo l’invito illegittimo, l’avvocato proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che però lo respingeva affermando la legittimità della richiesta dell’Amministrazione. La sentenza era confermata dai Giudici tributari regionali che ritenevano l’avviso bonario atto non autonomamente impugnabile. L’avvocato sottoponeva la faccenda all’esame della Corte di Cassazione ricorrendo sulla base di tre motivi. Diversamente dai giudici tributari di merito, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso del contribuente osservando che “…  L’elencazione degli ‘atti impugnabili’ contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001. Ciò comporta, per quanto d’interesse, la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato l’invito bonario al pagamento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato (Cass. n. 23532/2020, n. 23469/2017, n. 3315/2016, n. 25297/2014 n. 7344/2012, n. 4513/2009). L’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (Cass. n. 26129/2017). In quest’ottica, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del più volte citato art. 19. d.lgs. n. 546 del 1992, tutti gli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono al più dar luogo ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a fardecorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile (Cass. S. U. n. 16293/2007, Cass. n. 14373/2010, n. 12194/2008). Non può, del resto, dubitarsi sul fatto che sorga in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass. n. 21045/2007). La sentenza della CTR non si è attenuta ai principi innanzi esposti e per questo va cassata con rinvio, per nuovo esame nel merito della controversia, alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese processuali. E’, d’altra parte, questa la ragione per la quale si ritiene che il ricorso avverso una cartella esattoriale con cui l’Amministrazione chieda il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari vada presentato al giudice tributario, avendo tale contributo natura di entrata tributaria (Sez. U, Sentenza n. 9840 del 05/05/2011). Invero, la mancata impugnazione dell’invito, se accompagnato dall’omesso pagamento di quanto intimato, comporterebbe l’automatica irrogazione, oltre che degli interessi, della sanzione aggiuntiva del 30%. Da ciò deriva sia la natura compiuta e definita della pretesa tributaria sia il concreto interesse, in capo al contribuente, ad impugnare il relativo atto”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 17 agosto 2021, n. 22971

sul ricorso 27354-2011 proposto da:

DE NOTARIIS GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI DE NOTARIIS;

– ricorrente –

contro MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in 2021 ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2011 della COMM.TRIB.REG.MOLISE, depositata il 20/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2021 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

RITENUTO CHE

Giovanni De Notaris, avvocato, impugnava, innanzi alla CPT di Campobasso, l’invito al pagamento spontaneo del residuo importo di € 305,00 dovuto a titolo di contributo unificato, relativamente a ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto innanzi al Tribunale di Campobasso, calcolato dall’Amministrazione della giustizia in ragione del valore della instauranda causa civile di merito, ricomprendente una domanda di risarcimento danni, di valore maggiore rispetto a quello di € 1.000.000,00 dichiarato nell’atto processuale.

A sostegno del ricorso deduceva, in particolare, che il contributo unificato è dovuto in ragione del valore della domanda cautelare;

la controparte deduceva, invece, la non opponibilità dell’atto impugnato, in ragione della tassatività dell’elencazione contenuta nell’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992. L’adita CTP respingeva il ricorso del De Notaris rilevando, tra l’altro, che il valore della causa, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., è “indeterminabile”.

La CTR del Molise, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’appello principale del contribuente ed accoglieva parzialmente l’appello incidentale del Ministero della Giustizia, affermando che l’atto impugnato, in quanto “rinvia a separato e successivo provvedimento la determinazione di sanzione relativa al ritardato pagamento”, non è autonomamente impugnabile, questione riproposta con il gravame incidentale, e che, in quanto infondata, non meritava accoglimento la doglianza circa il regolamento delle spese processuali adottata dal primo giudice.

Per la cassazione della sentenza il contribuente ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, mentre il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato, in prossimità dell’adunanza, istanza di differimento della decisione.

CONSIDERATO CHE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 276 c.p.c., violazione dell’ordine logico delle questioni da esaminare, illogicità, contraddittorietà, mancanza di motivazione circa il rigetto dell’appello incidentale, violazione del principio dell’assorbimento, per avere la CTR accolto l’appello incidentale, in relazione alla eccepita inammissibilità dell’impugnazione dell’avviso di pagamento bonario, in quanto atto non opponibile, e ciò non di meno ha respinto l’appello principale del contribuente, afferente a domanda evidentemente inammissibile, peraltro, senza alcuna motivazione.

Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 lett. a) e lett. b), per avere la CTR ritenuto l’avviso di pagamento bonario di cui all’art. 248, d.p.r. n. 115 del 2002, atto non autonomamente impugnabile pur essendo incontestabile che esso consiste nell’accertamento e contestazione dell’insufficiente pagamento del contributo unificato.

Con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 24 e 113 Cost., 248, d.p.r. n. 115 del 2002, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR escluso l’autonoma impugnabilità dell’avviso di pagamento bonario, nonostante l’indubbia incidenza di tale atto sui diritti soggettivi del contribuente.

Aggiunge che il valore della proposta domanda di sgombero di un fabbricato in via d’urgenza, contenuto entro l’importo di € 1.000.000,00 stimato dalla Regione Molise per trasferimento e smaltimento dei rifiuti radioattivi presenti nel deposito di Castelmauro, non poteva che essere ritenuto, ai fini qui considerati, “indeterminabile”, stante anche l’autonomia del successivo ed eventuale giudizio di merito. Le censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono fondate e meritano accoglimento nei termini di seguito precisati.

Preliminarmente, non può essere accolta l’istanza di rinvio formulata dalla parte ricorrente al fine di provvedere al deposito della documentazione concernente un procedimento di “definizione bonaria” della controversia genericamente indicato, atteso che il richiesto differimento dell’udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).

L’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001. Ciò comporta, per quanto d’interesse, la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato l’invito bonario al pagamento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato (Cass. n. 23532/2020, n. 23469/2017, n. 3315/2016, n. 25297/2014 n. 7344/2012, n. 4513/2009).

L’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (Cass. n. 26129/2017). In quest’ottica, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del più volte citato art. 19. d.lgs. n. 546 del 1992, tutti gli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono al più dar luogo ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile (Cass. S. U. n. 16293/2007, Cass. n. 14373/2010, n. 12194/2008).

Non può, del resto, dubitarsi sul fatto che sorga in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass. n. 21045/2007). La sentenza della CTR non si è attenuta ai principi innanzi esposti e per questo va cassata con rinvio, per nuovo esame nel merito della controversia, alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese processuali. E’, d’altra parte, questa la ragione per la quale si ritiene che il ricorso avverso una cartella esattoriale con cui l’Amministrazione chieda il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari vada presentato al giudice tributario, avendo tale contributo natura di entrata tributaria (Sez. U, Sentenza n. 9840 del 05/05/2011). Invero, la mancata impugnazione dell’invito, se accompagnato dall’omesso pagamento di quanto intimato, comporterebbe l’automatica irrogazione, oltre che degli interessi, della sanzione aggiuntiva del 30%. Da ciò deriva sia la natura compiuta e definita della pretesa tributaria sia il concreto interesse, in capo al contribuente, ad impugnare il relativo atto.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione della Cassazione, il 6 maggio 2021.

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