CASSAZIONE

Impugnabilità degli atti impositivi da parte del contribuente fallito

Tributi –  IRPEF – Accertamento –  Maggior reddito – Cartella di pagamento – Fallimento –  Omissione della notifica – Inerzia degli organi fallimentari – Capacità processuale del fallito – Mancata comunicazione all’ufficio della dichiarazione di fallimento ex art. 35, DPR 633/1972 – Nullità dell’atto consequenziale notificato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.11351 del 29 aprile 2024 si è interessata, fra l’altro, dei principi dell’impugnabilità degli atti impositivi da parte del contribuente fallito, con una incisiva osservazione anche sull’inerzia del curatore fallimentare affermando, con il seguente  principio di diritto, che: “… in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull’assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio, sussiste la legittimazione di quest’ultimo in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo”.

La Suprema Corte aveva già chiarito che l’effetto dello spossessamento del fallito non è totale in quanto non opera, non solo con riguardo alle posizioni di natura strettamente personale del debitore, ma nemmeno per quelle non apprese al concorso, quindi anche l’incapacità processuale del fallito, come prevista dall’art. 43 della legge fallimentare (R.D. 267/1942), che non è priva di eccezioni (v. Cass. Sent. n. 15218/2010; n. 17405/2009). E’ ammesso, pertanto, che il fallito possa agire in giudizio anche riguardo a rapporti patrimoniali se non compresi, in linea di diritto o di fatto, nel fallimento. Il soggetto fallito è, in linea generale, privo della capacità di stare in giudizio e in tal senso l’art. 43 della legge fallimentare, rubricato “Rapporti processuali”, stabilisce che “… nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore” e che, di conseguenza, “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”.

Le eccezioni codificate nello stesso articolo prevedono che “… il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico, o se l’intervento è previsto dalla legge”. E nello stesso senso dispone l’art. 143, ugualmente rubricato “Rapporti processuali”, del D.lgs. 14/2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Tali regole non sono altro che l’applicazione in ambito concorsuale della regola generale di cui all’art. 75 c.p.c., in forza del quale sono capaci di stare in giudizio solo “… le persone che hanno il libero esercizio dei diritti” che si fanno valere, mentre le persone che tale libero esercizio non hanno non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate “secondo le norme che regolano la loro capacità”.

È pertanto pacifico che il fallito mantiene la capacità processuale con riguardo alle posizioni estranee agli interessi e alle funzioni del concorso, come quelle di natura strettamente personale o comunque non incidenti sulla sorte dei creditori. Ma anche per le questioni che incidono o che possono incidere sulla sorte dei creditori, da tempo la giurisprudenza di legittimità afferma che “… il fallito mantiene legittimazione ad agire, e a impugnare provvedimenti incidenti sui rapporti patrimoniali appresi al fallimento, nel caso di «inerzia» degli organi della procedura fallimentare, e ciò anche con specifico riguardo all’impugnazione di atti impositivi basati su presupposti antecedenti all’apertura della procedura concorsuale” (v., Cass. n. 2626/2018 e Cass. n. 26506/2021).

Il fondamento del riconoscimento di questa legittimazione straordinaria è stato individuato essenzialmente nell’esistenza di un interesse personale alla contestazione della pretesa tributaria per la rilevanza che quest’ultima potrebbe avere in sede penale e comunque, ex art. 33 L. fall., nella divergenza di questi obiettivi rispetto all’inerzia o al disinteresse del curatore nei confronti di crediti concorsuali destinati a non trovare capienza nell’attivo fallimentare.

Il concetto di inerzia, per quanto possa risultare chiaro e univoco nell’indicare una condizione di assenza di azione, cioè di staticità, di immobilità e di quiete obiettivamente rilevabile, si presta in realtà a importanti distinguo, se trasposto nel mondo giuridico e processuale. Nella recente giurisprudenza è possibile infatti trovare pronunce che hanno riconosciuto la legittimazione del fallito per il solo fatto, obiettivamente rilevato, che il curatore si era astenuto dall’agire e si tratta di decisioni che hanno dato per scontato che la capacità processuale del fallito discenda da una condizione di inerzia pura e semplice del curatore, senza necessità di indagarne le cause, le giustificazioni o gli scopi.

Si è anche formato un diverso indirizzo giurisprudenziale teso a escludere lo stato di inerzia ogniqualvolta era presente una espressa valutazione, da parte del curatore, di non intraprendere la tutela giurisdizionale avverso l’atto impositivo, ovvero di preventivamente rinunciarvi per la ritenuta non convenienza o inutilità, per la massa dei creditori, dell’iniziativa giudiziaria (v., Cass. nn. 36894/21; 34529/21; 28973/21; 13800/21; 5953/21; 4105/20).

All’opposto, altre pronunce hanno invece ritenuto di arricchire la fattispecie dell’inerzia di un elemento ulteriore, implicante sempre una più o meno approfondita indagine sulle ragioni che hanno indotto il curatore ad astenersi dal giudizio, dove per queste interpretazioni il fallito poteva agire personalmente solo se l’inerzia del curatore non era consapevole e voluta, cioè frutto di una mirata ponderazione e di una specifica valutazione di opportunità e convenienza per la massa.

Per dirimere tale contrasto di indirizzi è intervenuta la sentenza delle SS. UU. n. 11287/2023 , che aveva specificato che parte della giurisprudenza era pervenuta a “ … una progressiva definizione della fattispecie legittimante dell’inerzia mediante l’introduzione in essa di un quid pluris”, per cui si era passati “da una nozione di inerzia semplice o essenziale ad una nozione di inerzia consapevole o qualificata o vestita che dir si voglia. La prima libera la capacità sostitutiva del fallito, la seconda la preclude”, e concludeva con un decisivo  principio di diritto: “… in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l. fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; l’insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo”.

Ricordiamo che la questione affrontata era stata rinviata alle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n.  7561/2023, con cui la Sezione Tributaria rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ex art. 374 c.p.c., della questione riguardante quanto segue: “… Rilevato che la controversia intercetta, in relazione al primo, quarto e quinto motivo di ricorso, la problematica sulle condizioni per l’esercizio dell’azione da parte del fallito sull’accertamento riguardante la società, questione rimessa alle S.U. con ord. int. n. 25373/22 quale questione di massima di particolare importanza sui limiti della legittimazione straordinaria del fallito all’impugnazione dell’avviso di accertamento per debiti tributari ante dichiarazione di fallimento quando l’avviso di accertamento sia stato notificato dopo la dichiarazione di fallimento”.

Osservavano allora i giudici remittenti che, fatte salve alcune ipotesi specificamente previste dalla legge, il fallito è in linea generale privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, spettando tale capacità solo al curatore ex art. 43, l. fall.,  ma che la giurisprudenza della Corte aveva tuttavia costantemente affermato che il fallito mantiene legittimazione ad agire, e ad impugnare provvedimenti incidenti sui rapporti patrimoniali appresi al fallimento, nel caso di inerzia degli organi della procedura, e ciò anche con specifico riguardo all’impugnazione di atti impositivi basati su presupposti antecedenti all’apertura della procedura concorsuale (v. Cass. nn. 26506/21; 9434/14; 2910/09). Secondo gli Ermellini, il fondamento di questa legittimazione straordinaria viene individuato essenzialmente nella persistenza in capo al fallito della qualità di contribuente e nella rilevanza, anche costituzionale, del rapporto tributario (Cost., artt. 23 e 53).

Sempre in base alla giurisprudenza di legittimità declinano, poi, vari corollari quali la rilevabilità del difetto di questa legittimazione da parte del solo curatore che non sia rimasto inerte e abbia adito l’autorità giudiziaria nell’interesse preminente della massa (v. Cass. nn. 17240/22, 21896/21, 13991/17, 614/16).

Va segnalata come effetto derivabile anche la non integrazione dello stato di inerzia, quando il curatore che abbia originariamente introdotto il giudizio si astenga poi dall’ulteriormente coltivarlo proponendo l’impugnazione nei gradi successivi, con la conseguenza che, in questo caso, il difetto di legittimazione del fallito diventa assoluto, così da poter-dover essere rilevato anche d’ufficio dal giudice (v. Cass. nn. 5571/11; 31313/18 e altre).

Altre conseguenze riguardano poi la derivante insussistenza di un onere in capo al contribuente fallito di dimostrare in giudizio il proprio interesse ad agire, essendo quest’ultimo insito nell’inerzia degli organi della procedura; in questa ottica vale quindi ricordare il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella già citata Sentenza n. 11287/2023, che recitava: “… in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l.fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; – l’insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo”.

Per le Sezioni Unite, quindi, la eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito sussiste nel caso di inerzia dell’amministrazione fallimentare, ma questa legittimazione è ammissibile solo quando l’inerzia sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua a una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia.

Tanto premesso e tornando alla vicenda de quo, un contribuente già dichiarato fallito riceveva un avviso di accertamento relativo alla presenza di un maggior reddito a fronte di operazioni bancarie ritenute non giustificate, operate sul suo conto corrente personale successivamente alla data del fallimento. Il curatore fallimentare, al quale non era stato notificato l’avviso di accertamento emesso in costanza di procedura e per redditi successivi alla dichiarazione di fallimento, impugnava autonomamente la cartella esattoriale emessa a titolo di iscrizione provvisoria ex art. 15, DPR 602/1972, che invece era stata notificata alla curatela. La CTP dichiarava la nullità dell’avviso di accertamento perché non notificato al curatore, stante la mancanza di capacità processuale del fallito e dichiarando la nullità derivata della cartella esattoriale.

L’ufficio presentava appello, rilevando che al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento non gli era noto lo status di fallito del P., essendone venuto a conoscenza solo a seguito del ricorso frapposto dal curatore avverso la successiva cartella di pagamento e sostenendo che si verteva in un’ipotesi di inerzia degli organi fallimentari, sicché vi era la capacità processuale del fallito in proprio, tanto più che l’attività accertata consisteva in una nuova impresa commerciale autonoma rispetto a quella esercitata dalla società fallita. La CTR rigettava l’appello essenzialmente indicando che l’avviso di accertamento non era stato notificato al curatore, unico titolare della rappresentanza processuale.

Da qui l’Agenzia proponeva ricorso in Cassazione con sei motivi, con i quali essenzialmente  sottolineava la censura della sentenza impugnata nella parte in cui riteneva inefficace la notificazione dell’avviso di accertamento al  contribuente, affermando la perdita della sua capacità processuale ed escludendo in radice la possibilità, da parte di quest’ultimo, di svolgere attività personale.

La Suprema Corte ha riconosciute valide le tesi prospettate dalla parte erariale e, nonostante sia affermata l’impugnabilità degli atti impositivi da parte del contribuente fallito, ha in definitiva affermato che: “… Il quarto ed il quinto motivo, del ricorso principale da esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi sono fondati. 13.1. L’Ufficio censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inefficace la notificazione dell’avviso di accertamento al P. affermando la perdita della sua capacità processuale ed ha escluso in radice la possibilità da parte di quest’ultimo di svolgere attività personale. 13.2. Si è già detto che l’avviso di accertamento è stato emesso nei confronti del P. sul presupposto che quest’ultimo, se pure dichiarato fallito, avesse successivamente esercitato attività in proprio. L’atto impositivo riguarda, infatti, redditi relativi all’anno di imposta 2006, a fronte di un fallimento dichiarato nel 1994.  13.3. L’esercizio di un’attività in proprio da parte de fallito, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non è astrattamente precluso, come desumibile dall’art. 46 l. fall. che, nell’elencare i beni esclusi dal fallimento, fa espressamente riferimento a quanto il fallito guadagna con la sua attività, se pure nei limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della famiglia. Si è chiarito in proposito, che il regime di inefficacia previsto dall’art. 44, comma 2, l. fall. trova integrale applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito per titoli anteriori al fallimento e si ricollega tanto alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di fallimento e cioè al fatto che quest’ultima priva il fallito, dalla data di deposito della sentenza, dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio, trasferendoli agli organi della procedura fallimentare, nell’interesse della massa dei creditori (Cass. 29/01/2015, n. 1724). Altra questione, invece, è la legittima apprensione alla massa di beni sopravvenuti, ivi inclusi quelli derivanti da attività in proprio, se pure sul punto va rammentato che le attività non possono acquisirsi separatamente dalle passività che ad esse ineriscono (Cass. Sez. U. 10 dicembre 1993, n. 12159, Cass. 20/03/2018, n. 6978, Cass. n. 1724 del 2015 cit.).  Questa Corte, per altro, a Sezioni unite, ha chiarito che l’effetto dello spossessamento del fallito non è totale in quanto non opera, non solo con riguardo alle posizioni di natura strettamente personale del debitore, ma nemmeno per quelle non apprese al concorso, sicché anche l’incapacità processuale del fallito, come prevista dall’art. 43 l. fall. non è priva di eccezioni. E’, ammesso, pertanto, che il fallito possa agire in giudizio anche riguardo a rapporti patrimoniali se non compresi, in linea di diritto o di fatto, nel fallimento. Si osserva, infatti, che la mancata attivazione del curatore nella tutela giudiziaria di quei rapporti ben può fondare la loro ritenuta indifferenza rispetto agli scopi della procedura concorsuale e, in definitiva, la loro sostanziale non- apprensione alle ragioni della massa. (Cass. sez. U. 28/04/2023, n. 11287 in motivazione ).  Nello stesso senso, già in passato, si era affermato che il fallito conserva la capacità processuale in ordine alle situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare, (Cass.17/03/1995 n. 3094). Su questa scia si sono mosse di recente le Sezioni Unite che hanno affermato il seguente principio di diritto «in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l. fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato;  – l’insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo» (Cass. Ses. U. n. 11287 del 2023 cit.).  Ne consegue che, nell’ipotesi in cui l’accertamento colpisca redditi generati dall’attività svolta dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, sussiste la legittimazione di quest’ultimo ad impugnare l’atto impositivo.  13.3. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto: «in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull’assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio,sussiste la legittimazione d i quest’ultimo in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo».  13.4. La C.T.R. non si è attenuta a questi principi in quanto ha escluso la capacità processuale del fallito, sebbene l’avviso di accertamento, al medesimo notificato, si riferisse ad un rapporto impositivo successivo alla dichiarazione di fallimento e relativo ad attività svolta in proprio dal fallito.  14. Il sesto motivo è fondato. 14.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall’art. 32d.P.R. n. 600 del 1973, – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici –sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se questi non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (Tra le più recenti, Cass. 28/04/2022, n. 13236, Cass. 23/09/221, n. 25812, Cass. 03/03/2021, n. 5788). A propria volta, il contribuente che voglia superare la presunzione ha l’onere di fornire, non una prova generica, bensì una prova analitica, idonea a dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione. Tale prova può essere data in due modi: o dimostrando che ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni; oppure dimostrando che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili (Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 18/09/2013, n. 21303). Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che è onere del contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti. (Cass. 30/12/2015, n. 26111). 14.2. La C.T.R. non si è attenuta a questi principi in quanto ha affermato che l’accertamento in esame, eseguito ai sensi dell’art 32 d.P.R. n. 600 del 1973, aveva rilevato consistenti operazioni bancarie sul conto personale del P. di cui non era stata chiarita la natura e di cui poteva solo presumersi un legame con l’attività di una terza società (la Trasporti T. S. s.r.l.) della quale, per altro, il contribuente affermava di non essere socio. Così motivando, ha disatteso i principi fissati da questa Corte sull’ onere della prova in materia di accertamenti bancari ex art. 32”.

Corte di Cassazione – Sentenza 29 aprile 2024, n. 11351

sul ricorso iscritto al n. 28364/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata ex lege in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l ‘ Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende,

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

contro F. A., nella qualità di curatore del Fallimento della P. Trasporti di S. P. C., S.n.c., e di P. S. entrambi elettivamente domiciliati in Roma Via Panama 74, presso lo studio dell’avvocato Carlo Colapinto che li rappresenta e difende,

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e nei confronti di P. S., in proprio,

– intimato–

EQUITALIASUD S.p.A.

– intimata–

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della Campania n. 3976/2015 depositata il 04/05/2015;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 aprile 2024 dal Consigliere Rosanna Angarano;

dato atto che il Sostituto Procuratore generale, Fulvio Troncone, ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e l’inammissibilità del ricorso incidentale;

sentito l’Avv. dello Stato Davide G. Pintus per l’Agenzia delle entrate.

FATTI DI CAUSA

1. S. P., socio della P. Trasporti di S. P. Co. s.n.c.– già dichiarato fallito unitamente a quest’ultima, con sentenza del Tribunale di Benevento n. 59 del 1994 – impugnava, in proprio, innanzi alla C.T.P. di Benevento, l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2006, era stato recuperato a tassazione, ai fini Irpef, un maggior reddito in ragione di operazioni bancarie ritenute non giustificate, operate sul suo conto corrente personale successivamente alla data del fallimento.

Il curatore di entrambi i fallimenti –al quale non era stato notificato l’avviso di accertamento emesso in costanza di procedura e per redditi successivi alla dichiarazione di fallimento – impugnava autonomamente la cartella esattoriale emessa a titolo di iscrizione provvisoria ex art. 15 d .P.R. 29 settembre 1972, n. 602 che, invece, era stata notificata alla curatela.

2. La C.T.P., previa riunione dei due giudizi, dichiarava la nullità dell’avviso di accertamento perché non notificato al curatore,stante la mancanza di capacità processuale del fallito: rilevava, sul punto, che la procedura concorsuale era ancora pendente e che, di conseguenza, non vi era questione di redditi di esclusiva natura personale del fallito non essendo ipotizzabile un’attività parallela al di fuori della procedura. Dichiarava, altresì, la nullità derivata della cartella esattoriale.

3. L’Ufficio – secondo quanto esposto in sentenza – frapponeva appello rilevando che al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento non gli era noto lo status di fallito del P. essendone venuto a conoscenza solo a seguito del ricorso frapposto dal curatore avverso la successiva cartella di pagamento. Sosteneva, pertanto, che si verteva in un’ipotesi di inerzia degli organi fallimentari sicché vi era la capacità processuale del fallito in proprio, tanto più che l’attività accertata consisteva in una nuova impresa commerciale, autonoma rispetto a quella esercitata dalla società fallita.

4. La C.T.R. rigettava l’appello;

rilevava che, a prescindere da eventuali responsabilità, da accertarsi in altra sede, in ordine alla mancata conoscenza da parte dell’Ufficio dello status di fallito,

a) al momento della notifica dell’avviso di accertamento, S. P. era stato già dichiarato fallito;

b) l’avviso di accertamento non era stato notificato al curatore.

Evidenziava, per l’effetto che, a seguito del fallimento,tutti i beni pervenuti al P. in corso di procedura, erano ricompresi nell’attivo fallimentare sicché la rappresentanza processuale spettava al solo curatore;

che, per altro, non era ravvisabile alcuna inerzia del medesimo, atteso che questi non era stato messo a conoscenza dell’avviso di accertamento ed aveva impugnato la cartella notificatagli.

Precisava che l’attività indebitamente esercitata dal P. in pendenza di fallimento non poteva essere ritenuta autonoma, anche perché, ex art. 44 l. fall., gli atti compiuti dal fallito erano inefficaci rispetto ai creditori. Aggiungeva che l’accertamento in esame, eseguito ai sensi dell’art 32 d.P.R. n. 600 del 1973, aveva rilevato consistenti operazioni bancarie sul conto personale del P. di cui non era stata chiarita la natura e di cui poteva solo presumersi un legame con l’attività di una terza società (la Trasporti T. S. s.r.l.) della quale, per altro, il contribuente affermava di non essere socio.

La C.T.R., pertanto, concludeva affermando che la motivazione della sentenza della C.T.P. andava confermata laddove aveva affermato che l’omessa notifica dell’avviso di accertamento al curatore aveva leso il diritto di difesa della massa dei creditori e che, invece, l’intervenuta notifica al contribuente, persona fisica, doveva ritenersi inefficace , stante la mancanza di legittimazione processuale del fallito.

5. Avverso detta sentenza ricorre in via principale l ‘Agenzia delle entrate sia nei confronti del curatore di entrambi i fallimenti, che resiste con controricorso, che nei confronti di P. S. in proprio, il quale, invece, non ha svolto attività difensiva;

il ricorso è stato notificato anche all’Equitalia Sud che non ha svolto attività difensiva.

Il curatore ha proposto, altresì, nei confronti della sola Agenzia delle entrate,controricorso condizionato tardivo.

L’Agenzia delle entrate h depositato memoria.

6. Con Ordinanza interlocutoria n. 7561 del 2023 questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo in attesa della decisione della questione rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza n. 25373 del 2022 e con successiva ordinanza n. 31396 del 2023 ha rinviato per la trattazione in Pubblica Udienza in ragione delle specifiche questioni trattate, ulteriori rispetto a quelle decise dalle Sezioni Unite.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate, denuncia, in relazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 35 d.P.R. 26 ottobre1972, n. 633.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevante che l’Agenzia delle entrate non fosse a conoscenza della dichiarazione di fallimento. Assume che la curatela, ai sensi del terzo comma, art. 35 cit., ed a mezzo del modello AA7 era tenuta a comunicare «la variazione dei dati intervenuta sulla società fallita, precisando che il fallimento era esteso anche ai soci persone fisiche della s.n.c.»; che,in mancanza, lo status di fallito non era opponibile.

2. Col secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod. proc. civ. per pronuncia ultra petita. Rileva che il socio, in proprio, aveva impugnato solo l’avviso di accertamento e non la cartella al medesimo notificata deducendo solo vizi di merito; che, invece, la curatela aveva impugnato la sola cartella senza chiedere l’annullamento dell’avviso di accertamento. Deduce, per l’effetto,che la C.T.R., annullando l’avviso di accertamento, senza esaminare i vizi di merito dedotti ma affermando la perdita della capacità processuale del fallito, aveva travalicato i limiti della domanda.

3. Con il terzo motivo denuncia, in relazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per avere la curatela impugnato solo la cartella di pagamento e non l’avviso di accertamento prodromico, che, pertanto, era divenuto definitivo, non essendo stata, la cartella, impugnata per vizi propri.

4. Con il quarto motivo denuncia, in relazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione degli artt. 42,43,44, e 48 legge fall. Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto «inefficace» la notificazione dell’avviso di accertamento alla parte contribuente, ritenuta priva di capacità processuale.

Osserva che la mancata comunicazione all’Ufficio della dichiarazione di fallimento ex art. 35 d.P.R. n. 633 del 1972 comportava l’inopponibilità della stessa, restando irrilevante l’omessa notifica dell’atto impositivo alla curatela; che la pendenza della procedura fallimentare non determina la totale incapacità del fallito; che vi era stata inerzia del curatore che aveva omesso di comunicare il fallimento; che, a seguire il ragionamento della C.T.R., il ricorso della parte contribuente avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

5. Con il quinto motivo denuncia, in relazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 42 e 44 legge fall. per avere la C.T.R. escluso che in presenza di fallimento la parte possa svolgere attività personale.

6. Con il sesto motivo denuncia, in relazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’ art. 32 d.P.R.20 settembre 1973, n. 600. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento all’accertamento, eseguito ai sensi dell’art 32 d.P.R. n. 600 del 1973, ha affermato che erano emerse consistenti operazioni bancarie sul conto personale del P. di cui non era stata chiarita la natura e di cui poteva solo presumersi un legame con l’attività di una terza società (la Trasporti T. S. s.r.l.) della quale, per altro, il contribuente affermava di non essere socio.

Assume che la C.T.R. ha onerato l’Ufficio di una prova ulteriore rispetto a quella raggiunta per presunzioni.

7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato,proposto ex art. 371 e 334 cod. proc. civ.,la Curatela osserva che l’Agenzia delle entrate solo con l’atto di appello aveva eccepito di non essere a conoscenza della status di fallito di S. P. che, di conseguenza, la C.T.R. avrebbe dovuto accertare l’inammissibilità dell’appello,così come già eccepito in secondo grado.

7.1. Per l’effetto, sul presupposto che la C.T.R. abbia implicitamente rigettato detta eccezione di inammissibilità, censura la statuizione ribadendo che si trattava di questione mai posta dall’Ufficio in primo grado e dunque inammissibile.

Quanto al merito deduce che già con le controdeduzioni in appello aveva reso noto che l’Amministrazione finanziaria,nel 2009, aveva preso visione del fascicolo fallimentare.

8. Vanno preliminarmente respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate sollevate dalla curatela in controricorso per presunta violazione dell’onere di specificità dei motivi. Dal ricorso dell’Ufficio, infatti, sono chiaramente evincibili le questioni sottoposte all’esame di questa Corte e le statuizioni oggetto di censura, così come di seguito illustrate.

9. Va precisato in fatto che l’ atto impositivo emesso dall’Ufficio aveva ad oggetto redditi imputati all’attività svolta da P. S., in proprio, successivamente alla dichiarazione di fallimento che aveva attinto non solo la società partecipata ma anche quest’ultimo, nella sua qualità di socio illimitatamente responsabile .

L’atto impositivo,che pacificamente veniva notificato esclusivamente a S. P., muoveva, infatti, proprio dal presupposto che questi avesse sottratto a tassazione redditi derivanti da attività commerciali che aveva continuato ad esercitare, dopo il fallimento ed al di fuori del controllo della curatela (cfr. pag 3 del ricorso che riporta quanto precisato sul punto dalla stessa Agenzia delle entrate nella memoria del 20 dicembre 2013 depositata innanzi alla C.T.P.).

La cartella esattoriale emessa ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973 veniva notificata sia al P. in proprio che, in un momento successivo, anche al curatore dei due fallimenti. Di qui i due giudizi proposti innanzi alla C.T.P. e poi, riuniti, ovvero il primo, avverso l’avviso di accertamento e la successiva cartella, proposto da S. P. in proprio; il secondo avverso la sola cartella proposto dalla Curatela.

10. Il secondo motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, da esaminarsi preliminarmente in quanto avente ad oggetto un presunto error in procedendo, consistente in una pronuncia ultra petita,è infondato.

10.1. La C.T.R. ha ritenuto che l’attività esercitata dal P. dopo il fallimento non potesse essere qualificata come attività personale, autonoma rispetto alla procedura concorsuale, ed esercitata dal medesimo, per altro dichiarato fallito anche in proprio, quale persona fisica.

Ha aggiunto che gli atti compiuti dal fallito dopo il fallimento erano inefficaci rispetto ai creditori e che il beni pervenuti al P. nel corso della procedura erano attratti al fallimento stesso.

Ha ritenuto, di conseguenza, che la notifica dell’avviso di accertamento al P. fosse inefficace e che la stessa non potesse produrre effetti nei confronti della massa dei creditori. Di qui la conferma della sentenza di primo grado che aveva annullato sia l’avviso di accertamento che la cartella.

10.2. Non può ritenersi che la C.T.R. sia andata ultra petita annullando l’avviso di accertamento (impugnato dal solo P.) per perdita della sua capacità processuale in quanto – a prescindere dalla correttezza della motivazione, oggetto del quarto motivo di ricorso – trattavasi astrattamente di questione rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo (da ultimo Cass. Sez. U. 28/04/2023, n. 11287)

11. Il primo motivo è infondato.

11.1. Per orientamento consolidato di questa Corte l’accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, ovvero nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al fallito, e non anche al curatore del fallimento, è inefficace nell’ambito della procedura fallimentare (Cass, 14/09/2016, n. 18002). L’inefficacia va a maggior ragione affermata nella fattispecie in esame in cui si assume che il P., dopo la dichiarazione di fallimento, abbia continuato a svolgere, in proprio , un’ attività produttiva di reddito.

11.2. Il regime di opponibilità del fallimento ai terzi, ivi inclusa l’Agenzia delle entrate, è dettato dall’art. 17 legge fall. che prevedeva, nel testo applicabile ratione temporis, la comunicazione dell’estratto al regime delle imprese. L’omessa comunicazione del fallimento all’Agenzia delle entrate rileva al diverso fine del temine per l’eventuale insinuazione al passivo, mente appare non pertinente alla fattispecie in esame, che ha ad oggetto il recupero dell’Irpef, l’omessa comunicazione ai fini Iva di cui all’art. 35 d.P.R. n. 633 del 1972 che, per altro, è norma che non incide sull’opponibilità erga omnes del fallimento.

11.3. La C.T.R., nel ritenere che l’avviso di accertamento notificato al solo P. non potesse produrre effetti nei confronti della curatela, si è attenuta a questi principi.

12. Il terzo motivo è infondato.

12.1. L’Ufficio assume che la Curatela, avendo impugnato la cartella per omessa notifica dell’atto prodromico, aveva l’onere di impugnare contestualmente anche detto ultimo.

12.2. La correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario. Questa Corte, di conseguenza, ha precisato che l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento,avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine,cartella di pagamento,avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo.

13. Il quarto ed il quinto motivo, del ricorso principale da esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi sono fondati.

13.1. L’Ufficio censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inefficace la notificazione dell’avviso di accertamento al P. affermando la perdita della sua capacità processuale ed ha escluso in radice la possibilità da parte di quest’ultimo di svolgere attività personale.

13.2. Si è già detto che l’avviso di accertamento è stato emesso nei confronti del P. sul presupposto che quest’ultimo, se pure dichiarato fallito, avesse successivamente esercitato attività in proprio. L’atto impositivo riguarda, infatti, redditi relativi all’anno di imposta 2006, a fronte di un fallimento dichiarato nel 1994.

13.3. L’esercizio di un’attività in proprio da parte de fallito, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non è astrattamente precluso, come desumibile dall’art. 46 l. fall. che, nell’elencare i beni esclusi dal fallimento, fa espressamente riferimento a quanto il fallito guadagna con la sua attività, se pure nei limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della famiglia.

Si è chiarito in proposito, che il regime di inefficacia previsto dall’art. 44, comma 2, l. fall. trova integrale applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito per titoli anteriori al fallimento e si ricollega tanto alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di fallimento e cioè al fatto che quest’ultima priva il fallito, dalla data di deposito della sentenza, dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio, trasferendoli agli organi della procedura fallimentare, nell’interesse della massa dei creditori (Cass. 29/01/2015, n. 1724).

Altra questione, invece, è la legittima apprensione alla massa di beni sopravvenuti, ivi inclusi quelli derivanti da attività in proprio, se pure sul punto va rammentato che le attività non possono acquisirsi separatamente dalle passività che ad esse ineriscono (Cass. Sez. U. 10 dicembre 1993, n. 12159, Cass. 20/03/2018, n. 6978, Cass. n. 1724 del 2015 cit.).

Questa Corte, per altro, a Sezioni unite, ha chiarito che l’effetto dello spossessamento del fallito non è totale in quanto non opera, non solo con riguardo alle posizioni di natura strettamente personale del debitore, ma nemmeno per quelle non apprese al concorso, sicché anche l’incapacità processuale del fallito, come prevista dall’art. 43 l. fall. non è priva di eccezioni. E’, ammesso, pertanto, che il fallito possa agire in giudizio anche riguardo a rapporti patrimoniali se non compresi, in linea di diritto o di fatto, nel fallimento.

Si osserva, infatti, che la mancata attivazione del curatore nella tutela giudiziaria di quei rapporti ben può fondare la loro ritenuta indifferenza rispetto agli scopi della procedura concorsuale e, in definitiva, la loro sostanziale non- apprensione alle ragioni della massa. (Cass. sez. U. 28/04/2023, n. 11287 in motivazione ).

Nello stesso senso, già in passato, si era affermato che il fallito conserva la capacità processuale in ordine alle situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare, (Cass.17/03/1995 n. 3094). Su questa scia si sono mosse di recente le Sezioni Unite che hanno affermato il seguente principio di diritto «in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l. fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; l’insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo» (Cass. Ses. U. n. 11287 del 2023 cit.).

Ne consegue che, nell’ipotesi in cui l’accertamento colpisca redditi generati dall’attività svolta dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, sussiste la legittimazione di quest’ultimo ad impugnare l’atto impositivo.

13.3. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto: «in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull’assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio,sussiste la legittimazione d i quest’ultimo in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo».

13.4. La C.T.R. non si è attenuta a questi principi in quanto ha escluso la capacità processuale del fallito, sebbene l’avviso di accertamento, al medesimo notificato, si riferisse ad un rapporto impositivo successivo alla dichiarazione di fallimento e relativo ad attività svolta in proprio dal fallito.

14. Il sesto motivo è fondato.

14.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall’art. 32d.P.R. n. 600 del 1973, – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici –sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se questi non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (Tra le più recenti, Cass. 28/04/2022, n. 13236, Cass. 23/09/221, n. 25812, Cass. 03/03/2021, n. 5788). A propria volta, il contribuente che voglia superare la presunzione ha l’onere di fornire, non una prova generica, bensì una prova analitica, idonea a dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione. Tale prova può essere data in due modi: o dimostrando che ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni; oppure dimostrando che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili (Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 18/09/2013, n. 21303). Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che è onere del contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti. (Cass. 30/12/2015, n. 26111).

14.2. La C.T.R. non si è attenuta a questi principi in quanto ha affermato che l’accertamento in esame, eseguito ai sensi dell’art 32 d.P.R. n. 600 del 1973, aveva rilevato consistenti operazioni bancarie sul conto personale del P. di cui non era stata chiarita la natura e di cui poteva solo presumersi un legame con l’attività di una terza società (la Trasporti T. S. s.r.l.) della quale, per altro, il contribuente affermava di non essere socio. Così motivando, ha disatteso i principi fissati da questa Corte sull’ onere della prova in materia di accertamenti bancari ex art. 32

15.Il ricorso incidentale spiegato dalla Curatela è inammissibile.

15.1. La Curatela è risultata totalmente vittoriosa in secondo grado essendo stato rigettato l’appello dell’Ufficio nei suoi confronti sul rilievo, assorbente, della mancata notifica dell’avviso di accertamento.

15.2. Questa Corte ha chiarito che, nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, ancorché in virtù del principio cd. della ragione più liquida, non essendo ravvisabile alcun rigetto implicito, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. 25/10/2023, n. 29662, Cass. 06/06/2023, n. 15893).

16. I n conclusione, vanno accolti il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri motivi, e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania che si pronuncerà, in diversa composizione, nel merito dell’avviso di accertamento nei confronti del solo P. S., fornendo congrua motivazione, e d anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate , rigettati gli altri;

dichiara inammissibile il ricorso incidentale della curatela; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di Corte di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2024

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