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Imposta di registro: si tassa solo l’atto presentato per la registrazione

Tributi – Imposta di registro – Accertamento – Cessione ramo di azienda – Riqualificazione – Trasferimento – Partecipazioni societarie – Art. 20 del TUR – Supposta elusione – Indebito vantaggio fiscale – Esclusione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27407 del  22 ottobre 2024, interpellata sulle questioni legate  alla riqualificazione in cessione di azienda del trasferimento delle partecipazioni societarie, ai fini

dell’imposta di registro, ha presentato alcuni interessanti chiarimenti sull’argomento, affermando che “ … Questa Corte di Cassazione ha escluso la riqualificazione in cessione di azienda del trasferimento delle partecipazioni societarie:In tema di imposta di registro, le operazioni strutturate mediante conferimento d’azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione d’azienda e non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (fatta salva l’ ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi idonei a palesare la volontà di acquisire direttamente l’azienda)”.

In sostanza, gli Ermellini hanno confermato che la riqualificazione in cessione di azienda del trasferimento delle partecipazioni societarie, per quanto sia un tema complesso che coinvolge aspetti fiscali significativi, ha introdotto alcuni nuovi elementi sull’analisi giuridica e fiscale della distinzione tra la cessione di un’azienda e il trasferimento di partecipazioni in una società, in particolare per quanto riguarda l’imposta di registro, specificando che quando si parla di trasferimento di partecipazioni societarie si fa riferimento alla cessione delle quote o delle azioni di una società a un soggetto terzo.

In generale la cessione di azienda implica il trasferimento dell’intero complesso aziendale, compresi beni, diritti e obblighi: d’altra parte, il trasferimento di partecipazioni riguarda il passaggio di quote o azioni di una società, senza che necessariamente l’azienda in sé venga trasferita.

Tuttavia, in alcune situazioni, l’amministrazione fiscale può ritenere che, in effetti, ci sia una cessione di azienda piuttosto che di semplici partecipazioni: questo potrebbe verificarsi quando il trasferimento delle partecipazioni è accompagnato da un trasferimento significativo di beni, contratti, o da una vera e propria operazione di fusione o scissione.

Solitamente il trasferimento di partecipazioni societarie si riferisce specificamente al cambio di proprietà delle azioni o delle quote di una società, il che significa che un soggetto trasferisce la sua “posizione” all’interno della società stessa; tuttavia, ciò non implica la cessione di un ramo d’azienda, che è un concetto differente. Il ramo d’azienda è un insieme di risorse e attività organizzate per svolgere un’unità produttiva o un compito specifico all’interno di un’impresa; quando si cede un ramo d’azienda, si trasferiscono non solo beni, ma anche diritti, obbligazioni e talvolta anche il personale associato a quella specifica attività.

In sintesi, il trasferimento di partecipazioni è una parte autonoma e distinta dell’attività di un’azienda, comprensiva di beni, diritti e obblighi specifici, che può essere trasferita in modo autonomo, e comporta il cambio di proprietà dei diritti sul capitale di una società, mentre la cessione di un ramo d’azienda implica una trasferimento di assets e di attività operative. Questi due processi possono avvenire in maniera indipendente l’uno dall’altro e seguono normative e procedure diverse. Invece la cessione di un ramo d’azienda comporta la vendita o il trasferimento di un gruppo di beni e attività che costituiscono una parte significativa dell’azienda operativa.

In definitiva, il trasferimento di partecipazioni si riferisce alla modifica della proprietà di interesse nell’intera azienda, senza necessariamente alterarne le operazioni o la struttura interna, mentre il trasferimento di partecipazioni può comportare un cambiamento degli azionisti o dei soci e non implica, automaticamente, la vendita o il trasferimento di specifici assets o settori operativi dell’azienda.

Ora e di conseguenza, gli Ermellini hanno ribadito sinteticamente il concetto ampiamente condiviso dalla recente giurisprudenza, che il trasferimento di partecipazioni societarie non pone automaticamente in essere la cessione del ramo d’azienda.

Dal punto di vista fiscale l’imposta di registro rientra nell’ambito delle imposte indirette, ovvero quelle imposte che colpiscono la ricchezza in occasione di un consumo, di un trasferimento patrimoniale o di un investimento. Come imposta indiretta è calcolata applicando un’aliquota fissa o percentuale agli importi indicati nell’atto stesso, secondo la Tariffa vigente allegata al DPR 1311986 (TUR); tale distinzione non è d’immediata risoluzione, considerato l’ingente contenzioso che ha alimentato negli anni.

Tale imposta è una “imposta d’atto”, che si applica agli atti giuridici che devono essere registrati o che sono volontariamente registrati o che hanno a oggetto operazioni economiche. L’obiettivo della registrazione è che la data dell’atto venga annotata ufficialmente e il suo contenuto, essendo stato depositato, non possa più essere modificato. In sintesi, la registrazione dell’atto comporta e garantisce nel tempo l’immodificabilità del suo contenuto e della sua sottoscrizione.

Quindi, oggetto di tassazione è il solo atto presentato per la registrazione, attesa la irrilevanza, alla luce delle sentenze n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021 della Corte Costituzionale, degli elementi extratestuali e degli atti collegati, in coerenza con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro. Questa è, ricorda la Consulta, un’imposta d’atto e solo da questo deve ricostruirsi la sua tassazione (vedi Corte costituzionale n. 39 del 16 marzo 2021: “Sono dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 , come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), della legge n. 205 del 2017 che, nel fissare i criteri di applicazione dell’ imposta di registro, prevede l’esame dell’ intrinseca natura e degli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, con conseguente divieto, salvo eccezioni, di ricorso ad elementi extratestuali o desumibili da atti collegati. La sopravvenuta sentenza n. 158 del 2020 ha dichiarato non fondate identiche questioni e l’odierna ordinanza di rimessione non aggiunge argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelli già esaminati”).

In particolare, il Giudice delle Leggi, con la citata sentenza n. 158/2020  ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione sulle modifiche apportate all’art. 20 del TUR in quanto, in estrema sintesi, rientra nella discrezionalità del legislatore riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, rimarcando che non hanno alcuna rilevanza gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, così da rispettare “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”. 

E infatti, nella citata sentenza si legge che “… i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione” non sono “i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri” poiché “tali parametri … non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) ad identificare i presupposti impositivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione”.

La conferma della legittimità della scelta così formulata dal legislatore comporta come corollario che la tesi della Cassazione, secondo cui il vecchio art. 20 del TUR imporrebbe di dar prevalenza alla sostanza economica degli atti rispetto alla loro forma giuridica, non è costituzionalmente imposta dall’art. 53 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha lasciato anche intendere che lo stesso art. 20 non consentone di dare prevalenza alla sostanza economica sulla forma giuridica, dove “…il censurato intervento normativo appare finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverosia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al Testo Unico)”. Inoltre, il Giudice delle Leggi nel par. 5.2.4. della sua pronuncia ha evidenziato che la tesi della Suprema Corte, sempre “sul piano costituzionale”, almeno a partire dall’introduzione della nuova norma antielusiva dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, “… provocherebbe incoerenze nell’ordinamento” per il fatto che “consentirebbe all’A.F., da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente” e, dall’altro lato, “di svincolarsi da ogni riscontro di ‘indebiti’ vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica”.

Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la tesi della Suprema Corte, oltre a non essere costituzionalmente necessitata e rispondente alla tipizzazione delle voci dell’imposta di registro, è anche incoerente sul piano costituzionale, in quanto consentirebbe all’Agenzia delle entrate di contestare l’abuso del diritto, svincolandosi tanto dalla garanzia del contraddittorio preventivo, quanto dall’accertamento dei relativi requisiti.

In seguito anche la sentenza n. 39/2021 della Consulta ebbe a stabilire che i dubbi sulla legittimità costituzionale del nuovo art. 20 TUR, riferiti alla sua applicazione retroattiva, sono infondati. Com’è noto, con l’articolo 1, comma 87, legge 205/2017, il legislatore ha introdotto alcune disposizioni al fine di chiarire i limiti e l’ambito di applicazione dell’articolo 20, TUR in materia di riqualificazione degli atti soggetti ad imposta di registro.

La norma ha consentito negli anni numerose rettifiche in sede di liquidazione dell’imposta di registro riferita alle operazioni di conferimento e successiva cessione (rispetto alle quali il TUIR prevede una clausola 16 antielusiva espressa).

Per effetto di quanto previsto dalla legge di Bilancio 2018, il citato articolo 20 viene integrato al fine di precluderne l’utilizzo ai fini della rettifica/liquidazione dell’imposta, stabilendo che gli atti devono essere interpretati sulla base dei soli elementi desumibili dal contenuto, con espressa esclusione di atti collegati o elementi extra-testuali. Contestualmente, anche l’articolo 53-bis del TUR, emanato essenzialmente per il contrasto all’abuso di diritto, è stato integrato anche all’imposta di registro da applicare, secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, agli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.

In sostanza, quindi, l’abuso del diritto non potrà essere rilevato d’ufficio da parte del giudice tributario.

In caso di ricorso contro l’atto impositivo, i tributi o i maggiori tributi accertati in applicazione della disciplina dell’abuso del diritto, unitamente ai relativi interessi, potranno essere iscritti a ruolo solo dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e l’accertamento per abuso del diritto potrà scattare solo se l’ufficio non potrà invocare, ai fini dell’accertamento, la violazione di specifiche norme tributarie, ricordando che l’abuso del diritto non sarà penalmente punibile.

Nel caso oggi in trattazione, l’Agenzia aveva interpretato gli atti presentati alla registrazione come una cessione di un ramo immobiliare di azienda, con disegno elusivo finalizzato a far transitare un ramo di azienda da una società all’altra, con riferimenti extratestuali rispetto ai singoli atti sottoposti a registrazione, costituzione di nuova società, conferimento a quest’ultima di ramo aziendale immobiliare e cessione dell’intera partecipazione a favore dell’università che aveva già destinato l’immobile a propria sede.

Interpellata la giustizia tributaria, la parte contribuente vedeva anche la CTR rigettare gli appelli proposti. Da qui il ricorso in Cassazione, formulato con tre motivi nei quali, essenzialmente, si evidenzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 20, DPR 131/1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

La Suprema Corte ha accolto questa tesi presentata dalla parte contribuente, ritenendo che: “… Il ricorso deve accogliersi per il primo motivo (il motivo deve ritenersi proposto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. in quanto si prospetta la violazione di legge), assorbiti evidentemente gli altri due motivi, e non essendo necessari ulteriori accertamenti merito deve decidersi nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso dei contribuenti e l’annullamento dell’avviso di liquidazione impugnato. Sul punto deve darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che ha escluso la riqualificazione in cessione di azienda del trasferimento delle partecipazioni societarie:“In tema di imposta di registro, le operazioni strutturate mediante conferimento d’azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione d’azienda e non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (fatta salva l’ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi idonei a palesare la volontà di acquisire direttamente l’azienda). Oggetto di tassazione è infatti il solo atto presentato per la registrazione attesa l’irrilevanza, alla luce delle sentenze n.158 del 2020 e n. 39 del 2021 della Corte Costituzionale, degli elementi extratestuali e degli atti collegati in coerenza con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro” (tra le molte, Sez. 5 – , Ordinanza n. 25601 del 21/09/2021, Rv. 662282 – 01; vedi anche Sez. 5 – , Ordinanza n. 33368 del 30/11/2023, Rv. 669569 – 01 e Sez. 5 – , Ordinanza n. 4798 del 22/02/2024, Rv. 670404 – 01).  L’imposta di registro è, infatti, un’imposta d’atto e solo da questo deve ricostruirsi la sua tassazione (vedi Corte costituzionale n. 39 del 16 marzo 2021: “Sono dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. – dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 , come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), della legge n. 205 del 2017 che, nel fissare i criteri di applicazione dell’imposta di registro, prevede l’esame dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, con conseguente divieto, salvo eccezioni, di ricorso ad elementi extratestuali o desumibili da atti collegati. La sopravvenuta sentenza n. 158 del 2020 ha dichiarato non fondate identiche questioni e l’odierna ordinanza di rimessione non aggiunge argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelli già esaminati”; vedi anche Corte costituzionale n. 158 del 2020 cit.). Nel caso in giudizio l’Agenzia ha interpretato gli atti come una cessione di un ramo immobiliare di azienda, con disegno elusivo finalizzato a far transitare un ramo di azienda da una società – S. all’altra – Università degli studi N. C. Roma – con riferimenti extratestuali rispetto ai singoli atti sottoposti a registrazione (- costituzione di nuova società, -conferimento a quest’ultima di ramo aziendale immobiliare, – cessione dell’intera partecipazione a favore dell’università che aveva già destinato l’immobile a propria sede).  2. Le spese possono compensarsi interamente, in considerazione del consolidamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, e della stessa legislazione in materia (anche a seguito del duplice intervento del Giudice delle leggi), solo dopo la proposizione del ricorso”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 22 ottobre 2024, n. 27407

sul ricorso iscritto al n. 30269/2019 R.G. proposto da:

UNIVERSITÀ’ DEGLI STUDI N. C. TELEMATICA ROMA e SOCIETA’ COSTRUZIONE EDILE A. L.   s r l. Elettivamente domiciliati in R Via P (omissis), presso lo studio del Prof. Avv. Giovanni PUOTI che li rappresenta e difende (giovannipuoti@ordineavvocatiroma.org)

 – ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 1245/2019 depositata il 05/03/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’ 08/10/2024 dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI.

Rilevato che

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR rigettava gli appelli dei contribuenti;

2. Ricorrono in cassazione i contribuenti con tre motivi di ricorso, come integrati da successiva memoria (1- violazione o falsa applicazione dell’art. 20, D.P.R. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, N. 5, cod. proc. civ.; 2- violazione e falsa applicazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360, primo comma, pag. 1 n. 4, cod. proc. civ. per omessa pronuncia;

3. violazione e falsa applicazione degli art. 132, n. 4, cod. proc. civ. e 36, D.Lgs. n. 546 del 1992, per vizio della motivazione della sentenza, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.);

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, con richiesta di rigetto del ricorso;

5. La Procura generale della Cassazione, sostituto procuratore generale Stanislao De Matteis, ha concluso con memoria scritta chiedendo l’accoglimento del ricorso, per il primo motivo, assorbiti gli altri due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve accogliersi per il primo motivo (il motivo deve ritenersi proposto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. in quanto si prospetta la violazione di legge), assorbiti evidentemente gli altri due motivi, e non essendo necessari ulteriori accertamenti merito deve decidersi nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso dei contribuenti e l’annullamento dell’avviso di liquidazione impugnato.

Sul punto deve darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che ha escluso la riqualificazione in cessione di azienda del trasferimento delle partecipazioni societarie: “In tema di imposta di registro, le operazioni strutturate mediante conferimento d’azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione d’azienda e non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (fatta salva l’ipotesi in cui tali operazioni siano seguite da ulteriori passaggi idonei a palesare la volontà di acquisire direttamente l’azienda). Oggetto di tassazione è infatti il solo atto presentato per la registrazione attesa l’irrilevanza, alla luce delle sentenze n.158 del 2020 e n. 39 del 2021 della Corte Costituzionale, degli elementi extratestuali e degli atti collegati in coerenza con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro” (tra le molte, Sez. 5 – , Ordinanza n. 25601 del 21/09/2021, Rv. 662282 – 01; vedi anche Sez. 5 – , Ordinanza n. 33368 del 30/11/2023, Rv. 669569 – 01 e Sez. 5 – , Ordinanza n. 4798 del 22/02/2024, Rv. 670404 – 01).

L’imposta di registro è, infatti, un’imposta d’atto e solo da questo deve ricostruirsi la sua tassazione (vedi Corte costituzionale n. 39 del 16 marzo 2021: “Sono dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. – dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 , come modificato dall’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), della legge n. 205 del 2017 che, nel fissare i criteri di applicazione dell’imposta di registro, prevede l’esame dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, con conseguente divieto, salvo eccezioni, di ricorso ad elementi extratestuali o desumibili da atti collegati. La sopravvenuta sentenza n. 158 del 2020 ha dichiarato non fondate identiche questioni e l’odierna ordinanza di rimessione non aggiunge argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelli già esaminati”; vedi anche Corte costituzionale n. 158 del 2020 cit.).

Nel caso in giudizio l’Agenzia ha interpretato gli atti come una cessione di un ramo immobiliare di azienda, con disegno elusivo finalizzato a far transitare un ramo di azienda da una società – S. all’altra – Università degli studi N. C. Roma – con riferimenti extratestuali rispetto ai singoli atti sottoposti a registrazione (- costituzione di nuova società, -conferimento a quest’ultima di ramo aziendale immobiliare, – cessione dell’intera partecipazione a favore dell’università che aveva già destinato l’immobile a propria sede).

2. Le spese possono compensarsi interamente, in considerazione del consolidamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, e della stessa legislazione in materia (anche a seguito del duplice intervento del Giudice delle leggi), solo dopo la proposizione del ricorso.

Non si applica l’art. 13, primo comma, 1-quater, D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 in quanto risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri due motivi, e decidendo nel merito accoglie i ricorsi originari dei contribuenti annullando l’avviso di liquidazione; spese dell’intero giudizio compensate interamente. Così deciso in Roma, 8 ottobre 2024

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