CASSAZIONE

Immobili di enti ecclesiastici: esenti da ICI solo se l’attività svolta non ha fini di lucro

ICI – Istituti religiosi – Esenzione – Attività commerciali- Aiuti di stato – Ente senza fine di lucro La Corte di Cassazione, in due distinte pronunzie del 12 aprile 2019, la n. 10286

e la n. 10288, entrambe aventi a oggetto le modalità per l’esenzioni ICI da parte degli istituti religiosi, ha statuito che non trova applicazione l’esenzione dal versamento dell’imposta per gli immobili di proprietà di un ente religioso, se non è possibile dimostrare che l’attività non è svolta in maniera “esclusivamente” commerciale.

E’ necessario premettere che nella fattispecie i distinguo e le diversità fra le due pronunzie sono sostanzialmente marginali. La n. 10288 riguarda l’attività di gestione di una scuola materna paritaria, mentre la n. 10286 è relativa alle attività di accoglienza riservate ai pellegrini, dato che in entrambi i casi i Supremi Giudici hanno ritenuto che l’accertamento della natura delle attività in discorso deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale (V. Cass. 8/7/2015, n. 14226).

Soffermandoci brevemente sulla ordinanza n. 10288 evidenziamo che gli Ermellini hanno analizzato la natura del bene e in funzione di ciò hanno decretato o meno la debenza dell’ICI. Secondo la sentenza il versamento dell’imposta era dovuto a meno di non dimostrare che la struttura fosse una Onlus senza alcun fine di lucro. Ma solo il pagamento delle tasse annuali da parte degli alunni faceva rientrare la scuola nella sfera ICI, in quanto senza il pagamento ci sarebbe stato un “buco” nelle entrate con evidente concessione di aiuti di Stato.

Sommariamente ricordiamo che rileva l’art. 7, comma 1, lett. i), del D.lgs. 504/1992 nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005, che dispone l’esenzione ICI “per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del DPR 917/1986 (TUIR) e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.

Successivamente, il citato art 7 è stato integrato e modificato, dapprima dall’art. 7, comma 2-bis del DL 203/2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248/2005, che aveva esteso l’esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, lett. i), D.lgs. 504/1992 alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse, e, poi, dall’art. 39 del DL. 223/2006, convertito con modificazioni nella legge 248/2006 che, sostituendo il comma 2-bis del citato art. 7, ha stabilito che l’esenzione disposta dal citato decreto 504 si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera “che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.

In tutte le successive formulazioni l’esenzione dall’imposta è comunque subordinata alla produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. n. 24500 del  20/11/2009).

Quanto alle annualità successive (2007-2009), vengono in rilievo le modifiche, riconosciute dalla giurisprudenza della Cassazione come aventi carattere innovativo (cfr., tra le altre, Cass. n. 14530 del 2010 cit. e Cass. n. 14795 del 2015 cit.), introdotte dall’art. 7, comma 2-bisdel DL 203/2005 e poi dall’art. 39 del DL 223/2006, convertito con modificazioni nella legge n. 248/2006, le quali, escludendo (la prima) il rilievo della natura commerciale dell’attività ovvero (la seconda) richiedendo il requisito della natura non esclusivamente commerciale, devono essere interpretate anche alla luce della loro compatibilità con i principi del diritto dell’Unione europea.

Gli Ermellini hanno peraltro più volte chiarito che deve tenersi conto della decisione  2013/284/UE della Commissione dell’Unione europea del 19 dicembre 2012, (cfr. Cass, 12/2/2019, n. 4066), che in proposito ha affermato che l’esenzione ICI prevista in favore degli enti non commerciali dall’art. 7, comma 1, lett. i), D.lgs. 504/1992, è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa unionale ove abbia a oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica, dovendo intendersi tale, secondo il diritto dell’Unione, l’attività svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.

La citata decisione della Commissione, nel valutare se in tema di esenzione ICI il D.lgs. 504/1992, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato, ed ha altresì osservato che anche laddove un’attività abbia una finalità sociale, questa non basta da sola ad escluderne la classificazione di attività economica.

Al fine dell’esclusione del carattere economico dell’attività è necessario, dunque, che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito o dietro versamento di un importo simbolico.

Tanto premesso, e volgendo l’attenzione solo alla cennata Ordinanza n. 10286, brevemente riassumiamo che la S. C. è intervenuta nella materia dell’esenzione ICI che riguardava due immobili di proprietà di un istituto religioso destinato, il primo, a offrire ospitalità ai pellegrini e all’accoglienza degli anziani, il secondo.

I giudici di piazza Cavour  hanno ribadito il principio di diritto secondo cui l’esenzione non si applica ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici o religiosi non rilevando né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico, fondato, oltre che sull’art. 16, lett. a), della legge 222/1985, anche sulla legge 121/1985 (Cass. n. 24500/09 e Cass. n. 13971/2016).

Quindi, con riferimento al solo immobile destinato a offrire ospitalità ai pellegrini, la Corte, accogliendo in parte le ragioni del Comune, ha decretato che “ È incontestato che l’immobile sito in Piazzale Paoli sia utilizzato per l’ospitalità di pellegrini e l’altro, quello sito in via Sallustio, per il ricovero di anziani.  Questa Corte si è pronunciata più volte in relazione alla esenzione dell’ICI prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 affermando i principi di seguito riassunti: a) in tema di ICI, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, spetta a condizione che gli immobili – appartenenti ai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett.c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – siano destinati esclusivamente allo svolgimento di una delle attività contemplate dalla norma medesima, tra le quali, nel caso di enti ecclesiastici, anche quelle indicate nel richiamato art. 16, lett.a), della legge 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana); ne consegue che il beneficio dell’esenzione dall’imposta non spetta in relazione agli immobili appartenenti ad un ente ecclesiastico che siano destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali (Cass. n. 4645 del 2004). b) l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma primo, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, e di un requisito soggettivo costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87„ comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia): la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunto esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale (Cass. n. 5485 del 2008).

L’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 504, è limitata all’ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclusiva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nell’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, e pertanto non si applica ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga attività recettiva, non rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venire meno il carattere commerciale dell’attività, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico – fondato, oltre che sull’art. 16, lett. a) della legge n. 222 del 1985, anche sulla legge 25 marzo 1985, n. 121 in tema di revisione del concordato – la successiva evoluzione normativa, in quanto l’art. 7, comma 2 bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (aggiunto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, poi modificato dal comma 133 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ed infine sostituito dall’art. 39 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248), nell’estendere l’esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, lett. i), cit. alle attività ivi indicate “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse” (versione originaria) e poi a quelle “ che non abbiano esclusivamente natura commerciale” (versione vigente), ha carattere innovativo e non interpretativo (Cass. n. 24500 del 2009 e, sull’ultima parte, Cass. n. 14530 del 2010). Nella specie si discute dell’anno di imposta 2007, successivo alla riforma.

CORTE DI CASSAZIONE. Ordinanza 12 aprile 2019, n.10286

Sul ricorso 28951-2014 proposto da:

COMUNE DI L’AQUILA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TREMITI 10, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA PACE, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO DE NARDIS;

– ricorrente –

contro ISTITUTO DELLE SUORE ZELATRICI DEL SACRO CUORE MADRE M. FERRARI, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI PASANISI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 476/2014 della COMM.TRIB.REG. di L’AQUILA, depositata il 06/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

Ritenuto in fatto L’Istituto delle Suore Zelatrici del Sacro Cuore “ Ferrari “impugnava l’avviso di accertamento emesso dal Comune di L’Aquila per ICI afferente l’anno di imposta 2007 in relazione a due immobili da esso posseduti ed adibiti ad attività assistenziali.

Assumeva il ricorrente di essere esente dall’imposta ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera i, del decreto legislativo 504/1992 in quanto gli immobili erano utilizzati per attività non commerciale e in particolare uno, sito in Piazzale Paoli, per l’ospitalità di pellegrini e gruppi di preghiera e l’altro, sito in via Sallustio, per il ricovero di anziani.

La commissione tributaria di L’Aquila accoglieva il ricorso limitatamente all’immobile sito in via Sallustio, destinato a residenza assistita per anziani. Proposto appello principale da parte del Comune e appello incidentale da parte del contribuente, la commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, con sentenza n.474/14/2014 rigettava l’appello del Comune e accoglieva l’appello incidentale dell’Istituto sul presupposto che l’immobile rispondeva ai requisiti soggettivi ed oggettivi per l’agevolazione essendo adibito a ricettività sociale, tesa alla formazione e diffusione dei principi di solidarietà cattolica.

Avverso la sentenza della C.T.R. propone ricorso per cassazione il Comune di L’Aquila affidato a un motivo.

Resiste con controricorso il contribuente.

Ritenuto in diritto

1. Con il motivo il Comune dell’Aquila deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ. in relazione all’articolo 7, comma 1, lettera i, del decreto legislativo 504/1992 ed all’art. 2697 cod. civ.. Sostiene che la CTR è incorsa nella dedotta violazione perché non era stata fornita la prova dell’esenzione, non essendo a tal fine sufficiente l’autorizzazione amministrativa rilasciata dal Comune.

La censura è parzialmente fondata nei limiti che si vanno a precisare.

1.1.È incontestato che l’immobile sito in Piazzale Paoli sia utilizzato per l’ospitalità di pellegrini e l’altro, quello sito in via Sallustio, per il ricovero di anziani.

Questa Corte si è pronunciata più volte in relazione alla esenzione dell’ICI prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 affermando i principi di seguito riassunti: a) in tema di ICI, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, spetta a condizione che gli immobili – appartenenti ai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – siano destinati esclusivamente allo svolgimento di una delle attività contemplate dalla norma medesima, tra le quali, nel caso di enti ecclesiastici, anche quelle indicate nel richiamato art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana); ne consegue che il beneficio dell’esenzione dall’imposta non spetta in relazione agli immobili appartenenti ad un ente ecclesiastico che siano destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali (Cass. n. 4645 del 2004). b) l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma primo, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, e di un requisito soggettivo costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87„ comma primo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia): la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunto esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale (Cass. n. 5485 del 2008).

L’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 504, è limitata all’ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclusiva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nell’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, e pertanto non si applica ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga attività recettiva, non rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venire meno il carattere commerciale dell’attività, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico – fondato, oltre che sull’art. 16, lett. a) della legge n. 222 del 1985, anche sulla legge 25 marzo 1985, n. 121 in tema di revisione del concordato – la successiva evoluzione normativa, in quanto l’art. 7, comma 2 bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (aggiunto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, poi modificato dal comma 133 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ed infine sostituito dall’art. 39 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248), nell’estendere l’esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, lett. i), cit. alle attività ivi indicate “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse” (versione originaria) e poi a quelle “ che non abbiano esclusivamente natura commerciale” (versione vigente), ha carattere innovativo e non interpretativo (Cass. n. 24500 del 2009 e, sull’ultima parte, Cass. n. 14530 del 2010).

Nella specie si discute dell’anno di imposta 2007, successivo alla riforma.

1.2. Osserva la Corte che, anche con riferimento alle annualità successive al d.l. n. 203 del 2005, si impone di stabilire quando le attività indicate dalla norma di esenzione siano svolte, oggettivamente, in maniera non esclusivamente commerciale. Tali principi sono stati condivisi anche dalla Corte costituzionale, a proposito dell’essere l’esenzione dall’ICI prevista pur sempre per gli “immobili destinati ad attività peculiari che non siano produttive di lucro e di reddito” (Corte cost. n. 119/99).

Anche le norme sopravvenute, per quanto non più considerando essenziale la finalizzazione dell’attività alla “produzione di lucro e di reddito”, come elemento di per sé idoneo a definire l’ambito di attività (complessiva) dell’ente ritenuta (anche da C. cost. n. 119/99) ostativa al riconoscimento dell’esclusione dall’imposta (in base alla sola previsione dell’art. 7, lett. i) del digs. n. 504 del 1992), impongono comunque di valutare quella “natura commerciale” sulla base delle modalità concrete di svolgimento delle attività suddette. Ne consegue che, in base ai principi generali, resta onere del contribuente dimostrare l’esistenza in concreto dei requisiti di esenzione a mezzo della prova che le attività cui l’immobile è destinato non sia svolta con le modalità di attività commerciale (Cass. n. 4502 del 2012).

Il requisito di una attività commerciale corrisponde ad un dato oggettivo, e va riferito a specifiche modalità di esercizio, tali, da un lato, da escludere gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza) e da affermare presenti, invece, dall’altro, le finalità solidaristiche insite nella “ratio” della fattispecie di esenzione.

In questo senso la combinazione del requisito oggettivo e soggettivo comporta che le attività svolte negli immobili siano di fatto sottratte, anche in base al reimpiego dei proventi, alla logica pura di realizzazione del profitto che è propria del mercato, e siano svolte, quindi, per rispondere ai bisogni socialmente rilevanti non sempre suscettibili di essere soddisfatti dalle strutture pubbliche.

1.3.In proposito, giova ricordare che la stessa decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, resa nell’ambito della valutazione del se l’art. 7, comma 1, letti) del d.lgs. n. 504 del 1992 in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, ha chiarito, in conformità anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato.

Questa Corte, con specifico riferimento alla attività alberghiera o ad assistenza di pellegrini, ha escluso l’esenzione, stabilendo che: «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è prevista a condizione che gli immobili, appartenenti ai soggetti di cui all’art. 87 (ora 73), comma 1, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano destinati esclusivamente allo svolgimento di una delle attività ivi contemplate, tra le quali quelle indicate nel richiamato art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana) e, pertanto, non spetta in relazione ad un immobile, appartenente ad un ente religioso, destinato ad attività alberghiera o ad assistenza di pellegrini. » (Cass. n. 5041 del 2015, conf. n. 16728 del 2010, n. 23584 del 2011).

A detto indirizzo, il Collegio intende dare ulteriore continuità.

1.4.La CTR, con riferimento all’immobile sito in via Sallustio, destinato a residenza assistita per anziani, ha affermato il diritto all’esenzione evidenziando che lo stesso era destinato esclusivamente allo svolgimento di attività socio – assistenziale espressamente prevista dalla legge e che tale attività non aveva natura “esclusivamente” commerciale.

Ha quindi svolto un accertamento di fatto, verificando la sussistenza di entrambi requisiti previsti dalla legge per godere dell’esenzione.

Parte ricorrente ha censurato tale statuizione solo sotto il profilo della violazione di legge, vizio nella specie insussistente.

Con riferimento all’immobile sito in Piazzale Paoli destinato ad attività di ricettività di pellegrini, invece, la CTR ha affermato il diritto all’esenzione per il solo fatto che tale attività era tesa alla formazione e diffusione dei principi di solidarietà cattolica senza accertare che le attività cui gli immobili sono destinati non sia svolta con le modalità di attività “esclusivamente” commerciale.

 Non è idonea a costituire prova del diritto all’esenzione l’affermazione che sulla base della autorizzazione amministrativa rilasciata al comune le attività avessero natura sociale e non lucrativa.

Il diritto all’esenzione non può basarsi, infatti, esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che le attività, pur rientranti tra quelle esenti, non siano svolti, in concreto, con le modalità di un’attività “esclusivamente” commerciale.

Il ricorso deve essere, pertanto, accolto limitatamente all’immobile sito in Piazzale Paoli e la sentenza cassata con rinvio alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione la quale accerterà che l’attività non fosse svolta, in concreto, con le modalità di un’attività “esclusivamente” commerciale e liquiderà le spese anche di questo giudizio di legittimità

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza con rinvio alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione anche per le spese di questo giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5.12.2018

Osserva la Corte che, anche con riferimento alle annualità successive al d.l. n. 203 del 2005, si impone di stabilire quando le attività indicate dalla norma di esenzione siano svolte, oggettivamente, in maniera non esclusivamente commerciale. Tali principi sono stati condivisi anche dalla Corte costituzionale, a proposito dell’essere l’esenzione dall’ICI prevista pur sempre per gli “immobili destinati ad attività peculiari che non siano produttive di lucro e di reddito” (Corte cost. n. 119/99). Anche le norme sopravvenute, per quanto non più considerando essenziale la finalizzazione dell’attività alla “produzione di lucro e di reddito”, come elemento di per sé idoneo a definire l’ambito di attività (complessiva) dell’ente ritenuta (anche da C. cost. n. 119/99) ostativa al riconoscimento dell’esclusione dall’imposta (in base alla sola previsione dell’art. 7, lett. i) del digs. n. 504 del 1992), impongono comunque di valutare quella “natura commerciale” sulla base delle modalità concrete di svolgimento delle attività suddette. Ne consegue che, in base ai principi generali, resta onere del contribuente dimostrare l’esistenza in concreto dei requisiti di esenzione a mezzo della prova che le attività cui l’immobile è destinato non sia svolta con le modalità di attività commerciale (Cass. n. 4502 del 2012).  Il requisito di una attività commerciale corrisponde ad un dato oggettivo, e va riferito a specifiche modalità di esercizio, tali, da un lato, da escludere gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza) e da affermare presenti, invece, dall’altro, le finalità solidaristiche insite nella “ratio” della fattispecie di esenzione. In questo senso la combinazione del requisito oggettivo e soggettivo comporta che le attività svolte negli immobili siano di fatto sottratte, anche in base al reimpiego dei proventi, alla logica pura di realizzazione del profitto che è propria del mercato, e siano svolte, quindi, per rispondere ai bisogni socialmente rilevanti non sempre suscettibili di essere soddisfatti dalle strutture pubbliche”. […] La CTR, con riferimento all’immobile sito in via Sallustio, destinato a residenza assistita per anziani, ha affermato il diritto all’esenzione evidenziando che lo stesso era destinato esclusivamente allo svolgimento di attività socio – assistenziale espressamente prevista dalla legge e che tale attività non aveva natura “esclusivamente” commerciale.  Ha quindi svolto un accertamento di fatto, verificando la sussistenza di entrambi requisiti previsti dalla legge per godere dell’esenzione.  Parte ricorrente ha censurato tale statuizione solo sotto il profilo della violazione di legge, vizio nella specie insussistente. Con riferimento all’immobile sito in Piazzale Paoli destinato ad attività di ricettività di pellegrini, invece, la CTR ha affermato il diritto all’esenzione per il solo fatto che tale attività era tesa alla formazione e diffusione dei principi di solidarietà cattolica senza accertare che le attività cui gli immobili sono destinati non sia svolta con le modalità di attività “esclusivamente” commerciale. Non è idonea a costituire prova del diritto all’esenzione l’affermazione che sulla base della autorizzazione amministrativa rilasciata al comune le attività avessero natura sociale e non lucrativa. Il diritto all’esenzione non può basarsi, infatti, esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che le attività, pur rientranti tra quelle esenti, non siano svolti, in concreto, con le modalità di un’attività “esclusivamente” commerciale. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto limitatamente all’immobile sito in Piazzale Paoli e la sentenza cassata con rinvio alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione la quale accerterà che l’attività non fosse svolta, in concreto, con le modalità di un’attività “esclusivamente” commerciale e liquiderà le spese anche di questo giudizio di legittimità”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza con rinvio alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione anche per le spese di questo giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5.12.2018

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