CASSAZIONE

Illegittima trascrizione di pignoramento immobiliare: il Fisco deve risarcire il danno

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3428 del 13 febbraio 2018 , condanna l’Agenzia delle Entrate a dover risarcire il cittadino che aveva subito un danno in funzione di una trascrizione di pignoramento a suo carico.

La questione e il ragionamento della Suprema Corte pongono in luce comportamenti negativi dell’Amministrazione finanziaria che danneggiano il contribuente, a volte in maniera irrimediabile, affermando in buona sostanza che chi sbaglia deve pagare, e rilevando inoltre il fatto che il cittadino fosse risultato in prima battuta come un debitore insolvente in specifiche relazioni aveva registrato una battuta d’arresto generando un “discredito creditizio”.

Il caso da cui trae origine la decisone ha avuto come protagonista un correntista che, proprio in ragione della trascrizione nulla in quanto fondata su un provvedimento ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo, ha ricevuto il diniego dalla banca a ottenere credito. In funzione di questo inadempimento il cittadino ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, tenuto conto della sua attività di imprenditore commerciale, visto che era consigliere della provincia di Cagliari ed esercitava le funzioni di Sindaco del comune di Quartu Sant’Elena.

Il contribuente aveva quindi proposto ricorso contro l’Agenzia delle Entrate per ottenere un giusto ristoro del danno subito. Dopo la decisione sfavorevole in primo grado, e l’appello proposto dallo stesso in Corte d’Appello, i giudici della Corte d’Appello hanno accolto la domanda risarcitoria del ricorrente.

L’Agenzia delle Entrate confutava tale decisione, evidenziando come all’ex Sindaco non dovesse essere riconosciuto alcun danno perché l’apertura del credito non si era perfezionata per rinuncia del richiedente, e si rivolgeva alla Corte di Cassazione che rigettava la sua istanza, riconoscendo la sussistenza di un danno all’immagine e affermandone la responsabilità solidale e il conseguente risarcimento del danno.

I Supremi giudici di legittimità hanno evidenziato che la condotta colposa del Fisco ha provocato un grave danno sia patrimoniale sia non patrimoniale, essendo consistito sia in fastidi, disagi e ansie, sia in un pregiudizio alla vita di relazione e una lesione alla reputazione, affermando che: “ … In secondo luogo, deve parimenti ribadirsi il principio secondo cui, quando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune (come nella specie) da vizi logici o giuridici (Cass., 16/05/2017, n. 12002). Vero che la giurisprudenza appena citata ricorda che l’apprezzamento del giudice deve ispirarsi al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi. Ma è anche vero che nel caso tale valutazione complessiva è stata correttamente compiuta, e non potrebbe escludersi l’integrazione dei canoni di gravità, precisione e concordanza se non attingendo a quel giudizio sul fatto qui precluso, al netto dell’eventuale ma differente vizio di motivazione. Il danno all’immagine, sebbene non in re ipsa, può essere provato allegando fatti da cui potersi evincere, anche mediante presunzioni semplici, la sua concreta sussistenza e non futilità (cfr. Cass., 11/10/2013, n. 23194, secondo cui, in un’ipotesi tipica, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente al risarcimento, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, oltre alla mancanza di un’efficace rettifica, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il profilo dell’onore e della reputazione, o la lesione della vita di relazione o della salute). E si è visto come la corte di appello abbia evinto la gravità dell’apprezzabile lesione alla reputazione, e il significativo pregiudizio alla vita di relazione, valorizzando non solamente una generica diffusione della notizia in forza della natura pubblica dei registri, bensì specifici contatti con operatori commerciali dell’ambiente territoriale del danneggiato. Con ciò rispettando i principi nomofilattici sopra esposti”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 13 febbraio 2018, n. 3428

Sul ricorso 1878-2015 proposto da: F.E. SRL IN LIQUIDAZIONE , in persona del legale rappresentante e liquidatore, rag. D.D.D., elettivamente domiciliata in ROMA, V. TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO PLATEROTI, rappresentata e difesa dall’avvocato VALERIO PICCOLO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro 2586 FIAME SRL , in persona del legale rappresentante pro tempore Ing. U. L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 86, presso lo studio dell’avvocato ANDREA VARANO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA CRISTINA MARGUTTI giusta procura a margine del controricorso;

  1. A. SPA, in persona del procuratore speciale dott. FERDINANDO SCOA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI 16 presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO RUDILOSSO CONSOLO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza. 3382/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA

Fatti di causa

D.G. conveniva in giudizio il Conservatore dei Registri Immobiliari di Cagliari, l’Agenzia del Territorio, il Ministero dell’economia e delle finanze, e l’avvocato G.S., esponendo che, nel chiedere al Banco di Sardegna, sede comunale di Quartu Sant’Elena, presso cui era correntista, la stipula di un contratto di apertura di credito, su segnalazione dell’istituto bancario aveva verificato l’esistenza di una trascrizione di pignoramento immobiliare a suo carico nel medesimo comune.

Poiché successivamente la stessa Conservatoria aveva precisato che si trattava di trascrizione nulla in quanto basata su decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo ottenuto dal S., chiedeva la completa eliminazione ovvero idonea annotazione, incisive con efficacia retroattiva sulla formalità, che superassero la cancellazione provvisoriamente ottenuta con provvedimento giurisdizionale d’urgenza. Faceva altresì domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, tenuto conto della sua attività di imprenditore commerciale, consigliere della provincia di Cagliari e sindaco del comune di Quartu Sant’Elena.

Si costituivano il Conservatore e l’Agenzia rilevando che, registrato l’errore cui aveva concorso il richiedente la formalità utilizzando al riguardo un codice generico, era stata adottata ogni iniziativa utile alla cancellazione, mentre non vi era prova che si fosse concretato alcun danno, atteso, in particolare, che nel tempo interessato il G. non aveva esercitato attività d’impresa avendo precedentemente ceduto una sua partecipazione a s.n.c. omonima. Domandavano, comunque, la manleva a carico del S., il quale ultimo resisteva adducendo di aver immediatamente prestato il consenso alla cancellazione.

Il tribunale di Cagliari, per quanto qui ancora rileva, rigettava la domanda di danni. La Corte di appello della stessa città, pronunciando sull’appello di G., riformava la decisione accogliendo la domanda risarcitoria inerente al danno all’immagine e alla reputazione, e affermandone la responsabilità solidale a carico dell’Agenzia del Territorio e del S.. La Corte osservava che il danno doveva ritenersi provato in via presuntiva, atteso che lo stato di incertezza e dubbio derivante dall’erronea trascrizione non poteva che aver determinato un pregiudizio all’immagine a carico di un soggetto apparso insolvente, con ovvi riflessi in ordine all’accesso al credito. Se ne doveva avere conferma dalla prodotta lettera del 29 maggio 2002 con cui il Banco di Sardegna, in risposta alla richiesta di stipula dell’apertura di credito, aveva subordinato un nuovo esame della stessa all’esito della cancellazione della nota di trascrizione, così come dalla missiva del 25 luglio 2002 della B.D. con cui, sempre in risposta a una richiesta di finanziamento, si chiedevano chiarimenti sull’esistenza della formalità. La Corte escludeva che potesse considerarsi ostativa alla delibazione positiva della domanda risarcitoria la successiva lettera del 10 giugno, con cui il Banco di Sardegna precisava di non aver voluto subordinare l’apertura di credito a una garanzia ipotecaria, e di non ritenere inciso il rapporto fiduciario esistente con l’odierno resistente dalla ricognizione della trascrizione. Ciò in quanto non poteva negarsi che le richieste del G. avessero registrato in prima battuta un rigetto.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Agenzia del Territorio affidando le sue ragioni a un unico motivo.

Resiste con controricorso D.G..

Non hanno svolto difese il Ministero dell’economia e delle finanze, e G.S..

Parte resistente ha depositato memoria, e il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte.

Ragioni della decisione

  1. Con l’unico motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729, 10, 2059, 1362 e seguenti, cod. civ., poiché la corte avrebbe in specie fatto malgoverno dei canoni ermeneutici legali nell’individuare il significato delle missive di cui in parte narrativa, senza tener conto del fatto che gli enti interpellati avevano letteralmente manifestato l’intenzione di accordare i finanziamenti sia pure a seguito di chiarimenti, escludendo espressamente, nel caso del Banco di Sardegna, ogni incisione del rapporto fiduciario con il G. a seguito del rilievo della trascrizione. Valutando, quindi, anche la condotta successiva dell’ente in parola, il collegio di merito avrebbe dovuto escludere il danno all’immagine invece liquidato. Ciò era confermato dal fatto che l’apertura di credito non si era perfezionata per rinuncia del richiedente. Analogamente, i chiarimenti richiesti dalla B. non potevano in alcun modo essere considerati ciò che non erano stati, ossia un diniego della richiesta. Gli elementi presuntivi individuati erano dunque ambivalenti, e pertanto né gravi né concordanti, rivelando una motivazione in realtà apodittica.
  2. Il motivo di ricorso è in parte infondato in parte inammissibile.

La Corte di appello non ha evinto dal materiale presuntivo, considerato e sintetizzato, un danno consistente nel mancato accesso ai finanziamenti richiesti, bensì la prova che il G. era «apparso come un debitore insolvente» in specifiche relazioni commerciali, e che le richieste di finanziamento avevano registrato «in prima battuta» un arresto, e dunque un discredito creditizio.

La Corte territoriale, dunque, ha da ciò desunto il pregiudizio all’immagine senza né travisare il contenuto letterale delle missive, né omettere di considerare la complessiva condotta iniziale e successiva degli enti coinvolti. Sicché deve escludersi vi siano state violazioni del regime legale dell’onere probatorio o dei canoni ermeneutici negoziali, o della disciplina legale delle presunzioni in relazione al danno non patrimoniale.

Parte ricorrente, quindi, chiede a questa Corte una rilettura del materiale probatorio, mirando a dare a quest’ultimo un’interpretazione differente da quella, peraltro del tutto plausibile, offerta dal giudicante di merito.

Questo Collegio non condivide sul punto le conclusioni del pubblico ministero, intendendo in primo luogo dare seguito alla nomofilachia in materia di violazioni dei canoni ermeneutici negoziali secondi cui le censure di legittimità non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass., 28/11/2017, n. 28319, che afferma tale principio in materia d’interpretazione delle clausole contrattuali; Cass., 06/05/2015, n. 9127, sull’applicabilità, nei limiti della compatibilità, anche ai negozi unilaterali, delle norme in tema d’interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 e seguenti, cod. civ., in ragione del rinvio ad esse operato dall’art. 1324 cod. civ.).

In secondo luogo, deve parimenti ribadirsi il principio secondo cui, quando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune (come nella specie) da vizi logici o giuridici (Cass., 16/05/2017, n. 12002).

Vero che la giurisprudenza appena citata ricorda che l’apprezzamento del giudice deve ispirarsi al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi. Ma è anche vero che nel caso tale valutazione complessiva è stata correttamente compiuta, e non potrebbe escludersi l’integrazione dei canoni di gravità, precisione e concordanza se non attingendo a quel giudizio sul fatto qui precluso, al netto dell’eventuale ma differente vizio di motivazione.

Il danno all’immagine, sebbene non in re ipsa, può essere provato allegando fatti da cui potersi evincere, anche mediante presunzioni semplici, la sua concreta sussistenza e non futilità (cfr. Cass., 11/10/2013, n. 23194, secondo cui, in un’ipotesi tipica, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente al risarcimento, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, oltre alla mancanza di un’efficace rettifica, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il profilo dell’onore e della reputazione, o la lesione della vita di relazione o della salute). E si è visto come la corte di appello abbia evinto la gravità dell’apprezzabile lesione alla reputazione, e il significativo pregiudizio alla vita di relazione, valorizzando non solamente una generica diffusione della notizia in forza della natura pubblica dei registri, bensì specifici contatti con operatori commerciali dell’ambiente territoriale del danneggiato. Con ciò rispettando i principi nomofilattici sopra esposti.

Nell’ultimo segmento del motivo la parte sovrappone inammissibilmente la deduzione di un vizio di motivazione, per un verso, tale in quanto non partitamente articolato; per altro verso, comunque estraneo al nuovo perimetro dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

Nella fattispecie, infatti, si applica la riformulazione della norma da ultimo citata, disposta dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che dev’essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché in cassazione è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”; nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonché nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940).

È evidente che, nel caso, la motivazione è stata articolata e non si allega un fatto decisivo di cui l’esame sarebbe stato omesso, invece che esperito con apprezzamento non condiviso.

  1. Spese secondo soccombenza.

Non si dispone quanto necessario all’insorgenza dell’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, poiché la previsione non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, qual è l’Agenzia del Territorio, che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del resistente costituito liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre a euro 200,000 per esborsi, oltre al 15% di spese forfettarie, oltre accessori legali.

 

 

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