CASSAZIONE

Illegittima la confisca senza raffronto tra entrate lecite e illecite

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 54882 del 6 dicembre 2017, ha valutato il caso di un uomo indagato per usura che secondo gli inquirenti era soggetto “pericoloso” per alcuni illeciti che si erano protratti nell’arco di più di vent’anni, affermando che la confisca di prevenzione è illegittima se non c’è raffronto tra entrate lecite e illecite.

Al riguardo le Sezioni Unite (sentenza n. 33451/14, c.d. sentenza Repaci) avevano peraltro già affermato il principio di diritto secondo cui “… ai fini della confisca di cui all’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 (attualmente, art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011, n, 159), per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, non deve tenersi conto anche dei proventi dell’evasione fiscale”. Inoltre, il tema se si debba tenere conto anche dei proventi dell’evasione fiscale ai fini della valutazione del valore sproporzionato dei beni posseduti, sproporzione che dopo la disponibilità o titolarità dei beni rappresenta il presupposto oggettivo delle forme di confisca allargata previste nel nostro ordinamento, è stato fortemente dibattuto con diverse interpretazioni della giurisprudenza.

Ricordiamo anche che con ordinanza n. 7289 del 2014, la I sezione della Suprema Corte ha rimesso alle Sezioni Unite la questione, dove il presupposto unico in relazione alla confisca penale ex art. 12 sexies. DL n. 306/1992 (convertito in L. 356/1992) nei confronti di un soggetto condannato per i reati presupposti; insieme all’origine illecita (frutto o reimpiego), in relazione alla confisca misura di prevenzione ex art. 2-ter, L. 575/65 (oggi art. 24, D.lgs. n. 59/2011, Codice antimafia e delle misure di prevenzione) nei confronti di un soggetto socialmente pericoloso.

La questione di diritto in discussione e all’attenzione delle S.U. riguarda la legittimità di una siffatta decisione, ovverosia se sia giuridicamente corretto ai fini di valutare la sproporzione e la legittima provenienza dei beni sottoposti a sequestro e successivamente a confisca, considerare o meno le risorse eventualmente lucrate dal sottoposto attraverso la infedele dichiarazione dei redditi.

Il contrasto giurisprudenziale riguardava, in realtà, da una parte la più recente giurisprudenza in relazione alla confisca ex art. 12 sexies DL 306/1992, recante “ipotesi particolari di confisca”, che prevede in seguito a condanna per i reati ivi contemplati la confisca dei beni “di valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica …”, che ha recentemente riconosciuto la rilevanza dei redditi leciti ma non dichiarati fiscalmente per accertare la sproporzione (Cass. sez. VI, 31 maggio 2011, n. 29926).

Dall’altra parte, la giurisprudenza della Suprema Corte in relazione alla pressoché corrispondente ipotesi di confisca misura di prevenzione prevista dall’art. 2-ter, L. 575/65, fondata sul valore sproporzionato dei beni “in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”, nonché sull’accertamento dell’origine illecita dei beni, secondo cui il proposto non può giustificare la legittima provenienza del bene sequestrato allegando redditi da evasione fiscale.

Dall’orientamento più garantista deriva, però, che nell’adempiere al suo onere di allegazione la difesa potrà addurre redditi di origine lecita, ma non dichiarati al Fisco, per dimostrare la proporzione tra il valore dei beni e la sua attività economica, e comunque l’origine lecita dei suoi beni. La norma si fonda su una presunzione iuris tantum ed è applicabile quando sia dimostrata la sproporzione tra il valore dei beni da un lato e i redditi e le attività economiche dall’altro, al momento di ogni acquisto dei beni stessi.

Solo dopo una tale dimostrazione il soggetto inciso dovrà, con riferimento temporale precisamente determinato, indicare le proprie giustificazioni, le quali potranno anche loro essere specifiche e puntuali. Tale prova difensiva potrà essere confutata solo fornendo rigorosamente le prove d’accusa dell’illecita provenienza.

La Suprema Corte non solo nega che si configuri un’inversione dell’onere della prova e continua a parlare di onere di allegazione, ma con l’inciso “con riferimento temporale precisamente determinato”, sottolinea l’impegno dell’accusa di provare la sproporzione in relazione alla situazione economica e patrimoniale al momento dell’acquisto del bene, con relativa delimitazione temporale anche per l’onere di allegazione della difesa che, come affermato in dottrina, potrà limitare le sue allegazioni al periodo preso in considerazione dal pubblico ministero, senza dover dimostrare la legittimità dell’intero suo patrimonio attraverso una corretta distribuzione dell’onere probatorio è possibile, indirettamente, ristabilire quel minimo di legame tra il reato e il bene, cui si riferisce anche la giurisprudenza costituzionale.

Tanto premesso e tornando al caso odierno, i giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso del contribuente annullando il provvedimento della Corte di appello impugnato, ritenendo innanzitutto che il dato temporale, da solo, non è ragione sufficiente per determinare la condanna.

Nel concreto, infatti, risulta mancante anche un raffronto preciso dei proventi illegali, come evidenziato dal ricorrente, secondo il quale la sentenza di appello si basava su “… asserzioni apodittiche prive di efficacia esplicativa, non sostenute sul piano giustificativo dall’esposizione di alcun conteggio”.

La S.C. ha pertanto affermato che: “Nel nuovo giudizio di rinvio la Corte di appello dovrà emendare la violazione di legge per omessa motivazione nei medesimi termini già indicati nella prima sentenza rescindente, che, per comodità, si trascrivono di seguito, per stralcio, tra virgolette.

9.1 In particolare occorrerà procedere a un «rigoroso accertamento nella stima dei valori in raffronto, considerando il reddito dichiarato o le attività economiche, non al momento dell’adozione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio, ma in riferimento ai rispettivi periodi dei singoli acquisti e mediante comparazione del loro valore e dei mezzi leciti a disposizione del proposto». Nel fare ciò si dovrà: – affrontare anche «le specifiche censure mosse in chiave difensiva e fornirne esauriente ed apprezzabile disamina, eventualmente anche in chiave confutativa», escludendo comunque che possano comportare una diversa considerazione della tematica «le deduzioni sulla disponibilità da parte del proposto di somme di denaro provenienti da elargizioni da parte di familiari abbienti, da lavoro svolto col padre o quale dipendente di altri datori di lavoro, da eredità, da attività d’impresa svolta personalmente, da lucrosi investimenti mobiliari», trattandosi di assunti che già la sentenza rescindente reputava inidonei a fornire prova di lecita provenienza perché sono stati «in parte già considerate dal perito e quindi anche dalla Corte di appello, che ne ha recepito le indicazioni rettificate e nel resto motivatamente disattese, in quanto non documentate e comunque sfornite di qualsiasi indicazione sulla tracciabilità di quanto conseguito e dei relativi importi, oltre che sulla loro adeguatezza a consentire gli acquisti immobiliari effettuati».

9.2 il giudice del rinvio dovrà inoltre:

– chiarire se si fosse inteso imporre confisca per equivalente della somma di euro 457.402, pari al ricavato della vendita di beni immobili entrati nel patrimonio del ricorrente in modo illecito ed in seguito ceduti, quindi non confiscabili in via diretta.

In caso di risposta positiva, verificare la sussistenza dei presupposti applicativi, tenendo conto della natura sanzionatoria della confisca per equivalente e del conseguente divieto di applicazione retroattiva. – esporre gli argomenti a sostegno della determinazione assunta in merito ai frutti civili, precisando se la confisca sul punto avesse «investito l’accumulo dei canoni locativi, rinvenuti in quanto tali nel patrimonio del soggetto inciso perché esistenti in un deposito bancario o di altra natura, oppure se abbia riguardato il relativo controvalore, il che rileva, potendo integrare un’ipotesi di confisca per equivalente, non ablabile nel caso di specie nei termini già esposti in precedenza”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 54882 del 6 dicembre 2017

La Sez. 5 ha emesso la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da:

COSTA ALDO nato il 19/02/1941 a CARRARA avverso l’ordinanza del 03/01/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Elisabetta Maria Morosini;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1.Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Genova, in funzione di giudice di rinvio, ha disposto, nei confronti di Costa Aldo, la misura di prevenzione patrimoniale della confisca in relazione ai beni immobili indicati nel dispositivo e ai beni mobili costituiti dalle «disponibilità bancarie, postali, titoli di credito nonché qualsiasi altra forma di investimento mobiliare, quote di partecipazione societaria, valori mobiliari»;

mentre ha respinto la richiesta di confisca dei residui immobili ancora in sequestro e dell’autovettura Saab YS3G 2000, targata EC456TB, disponendone la restituzione.

  1. Avverso il decreto, ricorre il proposto, per il tramite dei suoi difensori, articolando cinque motivi.

2.1 Con il primo e il secondo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla confisca dei beni immobili. Secondo il ricorrente il giudice di rinvio avrebbe disatteso il compito demandatogli dalla sentenza rescindente circa la necessità di porre a raffronto, anno per anno, le acquisizioni patrimoniali, da un lato, con il reddito dichiarato e l’attività economica svolta, dall’altro, tenendo conto, eventualmente anche in chiave confutativa, delle specifiche censure mosse in chiave difensiva.

2.2 Con il terzo e il quarto motivo il ricorrente lamenta i medesimi vizi riferendoli alla inosservanza del dictum della sentenza rescindente in merito alla confisca “per equivalente” dei frutti civili e, in generale, delle somme di denaro rinvenute sui conti correnti, misura avente natura sanzionatoria, come tale non applicabile retroattivamente.

2.3 Con il quinto motivo denuncia violazione di legge, sul presupposto della mancata osservanza del principio di correlazione temporale tra acquisto del bene e manifestazione di pericolosità sociale. Assume il ricorrente che non sarebbe provata una manifestazione di pericolosità sociale già a partire dagli anni ‘80 e che, in ogni caso, il provvedimento impugnato avrebbe tenuto conto, illegittimamente, di un acquisto di immobile risalente all’anno 1978.

  1. In data 21 novembre 2017 è stata depositata memoria difensiva.

Con essa il ricorrente dichiara di concordare con la richiesta di annullamento, rassegnata dal Procuratore generale.

Chiede, però, che l’eventuale rinvio ad altra Corte territoriale si confronti con le implicazioni derivanti dalla sentenza della Corte EDU de Tommaso, tenendo conto che la Corte di appello di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine alla disciplina dettata per le misure di prevenzione personale e patrimoniale fondate su fattispecie di pericolosità “generica”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato.
  2. Con sentenza n. 27147 del 11 marzo 2016 la prima sezione della Corte di cassazione, in accoglimento dei ricorsi del proposto e del Procuratore Generale, aveva annullato con rinvio il precedente decreto di confisca emesso dalla Corte di appello di Genova.

2.1 La sentenza rescindente rilevava il vizio di violazione di legge sub specie di omessa e/o apparente motivazione in ordine agli specifici presupposti, richiesti dall’art. 24 D. Igs. n. 159/2011, nella individuazione dei beni oggetto del provvedimento ablatorio.

2.2 Non erano, invece, colpiti da annullamento i punti, della decisione di merito afferenti alla pericolosità sociale del ricorrente, alla collocazione temporale della stessa, al riscontro positivo dei presupposti per l’applicabilità della misura di prevenzione patrimoniale della confisca ai sensi del D. Igs. n. 159 del 2011. Pertanto non sono più controvertibili in questo giudizio, i punti già decisi dalla Corte di cassazione: Costa Aldo rientra nella categoria dei soggetti “pericolosi” in quanto dedito a praticare usura, la sua pericolosità cd. generica si è manifestata nel periodo dal 1980 al 2005, ricorrono i presupposti per l’adozione, nei suoi confronti, della confisca di prevenzione.

  1. La sentenza del giudice di rinvio è stata nuovamente impugnata dal solo proposto, con il ricorso qui in esame. Va premesso che, come già aveva chiarito la sentenza rescindente, nella presente materia il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge. Tale nozione ricomprende anche il caso di motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento. È dunque improprio il richiamo all’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen, contenuto nei motivi da uno a quattro del ricorso, con i quali in realtà si intende denunciare la violazione di legge sotto il profilo di motivazione inesistente o apparente.
  2. Il primo motivo è fondato.

4.1 Con la sentenza rescindente si rilevava una eccessiva sintesi del decreto impugnato in quella sede, che si traduceva «in asserzioni apodittiche e prive di efficacia esplicativa, non sostenute sul piano giustificativo dall’esposizione di alcun conteggio, o comunque da una disamina analitica ed intelligibile degli elementi a raffronto e nemmeno dal rinvio alla relazione integrativa del perito, dai cui esiti i giudici di appello si sono in parte discostati senza indicare le ragioni dell’opinione in parte dissenziente». Si demandava pertanto al giudice di rinvio il compito di procedere a un rigoroso accertamento nella stima dei valori in raffronto, considerando il reddito dichiarato o le attività economiche, non al momento dell’adozione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio, ma in riferimento ai rispettivi periodi dei singoli acquisti e mediante comparazione del loro valore e dei mezzi leciti a disposizione del proposto, fornendo esauriente ed apprezzabile disamina, eventualmente anche in chiave confutativa, delle specifiche censure mosse in chiave difensive.

4.2 Il giudice del rinvio non ha assolto a tale compito.

La motivazione, posta a base del nuovo decreto di confisca qui impugnato, non compie il rigoroso raffronto tra acquisizioni patrimoniali da un lato, redditi dichiarati e attività economiche svolte, dall’altro. Il provvedimento si limita a ripercorre gli acquisti immobiliari, ma non li confronta con i redditi dichiarati e le attività economiche svolte nei relativi anni di riferimento.

Si cita, prima, la gestione di un negozio di riparazioni di radio e televisori nel 1977, poi l’attività di commercio all’ingrosso di strumenti musicali dal 1981 al 1985, cui segue l’affermazione che i redditi sarebbero esigui per i primi due anni (da intendersi verosimilmente 1981 e 1982) e inesistenti per gli altri (1983 – 1985). Non si rinviene nessuna indicazione analitica dell’ammontare dei redditi e delle attività economiche svolte con riferimento agli anni successivi, nei quali si collocano invece i numerosi acquisti di beni immobili sottoposti a confisca. Né tantomeno vi è traccia della comparazione tra valore dei beni e mezzi leciti a disposizione del proposto. Del tutto omessa è anche la disamina delle specifiche censure mosse in chiave difensiva. La violazione di legge, nei termini in premessa prospettati, permane ed è palese.

  1. Nell’accoglimento del primo motivo è assorbito il secondo, che, in sostanza, invita a valutare una tabella approntata dalla difesa nel giudizio di merito.

5.1 Al riguardo va precisato, innanzitutto, che i criteri cui dovrà attenersi il giudice del “nuovo” rinvio sono quelli indicati nella sentenza rescindente e più volte citati: «rigoroso accertamento nella stima dei valori in raffronto, considerando il reddito dichiarato o le attività economiche, non al momento dell’adozione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio, ma in riferimento ai rispettivi periodi dei singoli acquisti e mediante comparazione del loro valore e dei mezzi leciti a disposizione del proposto». Nella determinazione della disponibilità finanziaria netta di cui il Costa avrebbe disposto anno per anno, quale esito differenziale tra redditi lordi e corrispettivi da cessione di beni, da un lato, spese sostenute per mantenimento o altri oneri documentati, dall’altro, occorrerà tenere conto, ovviamente nei limiti del devoluto, anche del presupposto, stabilito dall’art. 24 D.lgs. n. 159 del 2011 per la confiscabilità dei beni del soggetto pericoloso, costituito dal reinvestimento di quanto ricavato dalla dismissione di un cespite o di un valore acquisito illegalmente. Con la conseguenza che: – dalle entrate lecite va escluso quanto ricavato dalla cessione di beni di provenienza ritenuta illecita e poi impiegato per l’acquisizione di ulteriori beni; – va esclusa la liceità degli introiti, anche se inseriti in dichiarazioni dei redditi, oppure esposti in atti pubblici o scritture private, laddove provenienti da beni acquistati in periodi di accertata sproporzione patrimoniale.

5.2 In secondo luogo, vanno disattesi i diversi criteri che il ricorrente tenta di introdurre, in maniera surrettizia, dandoli per pacifici. La sentenza rescindente ha evidenziato che: «le deduzioni sulla disponibilità da parte del proposto di somme di denaro provenienti da elargizioni da parte di familiari abbienti, da lavoro svolto col padre o quale dipendente di altri datori di lavoro, da eredità, da attività d’impresa svolta personalmente, da lucrosi investimenti mobiliari, tutte circostanze di fatto che dovrebbero integrare sufficiente allegazione della provenienza lecita del proprio patrimonio, sono state in parte già considerate dal perito e quindi anche dalla Corte di appello, che ne ha recepito le indicazioni rettificate e nel resto sono state motivatamente disattese, in quanto non documentate e comunque sfornite di qualsiasi indicazione sulla tracciabilità di quanto conseguito e dei relativi importi, oltre che sulla loro adeguatezza a consentire gli acquisti immobiliari effettuati.

Il mancato assolvimento dell’onere di allegazione di concreti elementi di valutazione -si pensi, ad esempio, a rapporti finanziari o bancari specifici, riportanti una provvista di importo apprezzabile, oppure ad altre emergenze documentali valorizzabili per rintracciare la sussistenza di disponibilità liquide-, che grava sul destinatario del provvedimento di confisca secondo quanto ribadito anche nella citata sentenza Spinelli delle Sezioni Unite, e che avrebbe consentito di condurre anche d’ufficio le necessarie verifiche, è indiscusso e non può comportare una diversa considerazione della tematica a fronte della generica deduzione delle difficoltà di fornire giustificazione dell’accumulo di ingente ricchezza».

  1. Il terzo e il quarto motivo sono fondati.

6.1 La sentenza rescindente aveva investito il giudice di rinvio del compito di specificare meglio se si fosse inteso disporre la confisca per equivalente della somma di euro 457.402, pari al ricavato della vendita di beni immobili entrati nel patrimonio del ricorrente in modo illecito ed in seguito ceduti, quindi non confiscabili in via diretta. In caso di risposta positiva, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei presupposti applicativi, tenendo conto della natura sanzionatoria della confisca per equivalente e del conseguente divieto di applicazione retroattiva.

6.2 La medesima sentenza aveva inoltre demandato al giudice di rinvio di esporre gli argomenti a sostegno della determinazione assunta in merito ai frutti civili, precisando se la confisca sul punto avesse «investito l’accumulo dei canoni locativi, rinvenuti in quanto tali nel patrimonio del soggetto inciso perché esistenti in un deposito bancario o di altra natura, oppure se abbia riguardato il relativo controvalore, il che rileva, potendo integrare un’ipotesi di confisca per equivalente, non ab/abile nel caso di specie nei termini già esposti in precedenza».

6.3 Nessuna risposta a tali questioni si rinviene nel provvedimento impugnato.

  1. Il quinto motivo è inammissibile.

7.1 Come si chiarito sopra sub 2.2, non sono più sindacabili in questo giudizio, perché già decisi dalla Corte con la sentenza rescindente, i punti della decisione afferenti alla pericolosità sociale del proposto e al periodo in cui la stessa si è manifestata (dal 1980 al 2005).

7.2 Manifestamente infondata la doglianza in ordine all’acquisto di un immobile effettuato nell’anno 1978, considerato che anche tale circostanza era stata devoluta al giudice di rinvio, in conseguenza dell’accoglimento del ricorso del Procuratore Generale. La Corte di cassazione aveva osservato che la prima decisione era, sul punto, frutto di acritica adesione alle conclusioni peritali e priva di qualsiasi indicazione esplicativa di tale giudizio e di un raffronto con le risultanze delle investigazioni condotte dalla D.I.A. come esposte nella memoria depositata dalla parte pubblica nel corso del procedimento di primo grado.

  1. Del pari inammissibile è il motivo aggiunto coltivato con la memoria depositata il 21 novembre 2017.In estrema sintesi, la Corte EDU, con la sentenza emessa dalla Grande Camera in data 23 febbraio 2017, nel caso de Tommaso c. Italia, ha affermato la violazione dell’art. 2 del IV Protocollo, sulla libertà di circolazione, da parte della normativa italiana, che prevede l’applicabilità delle misure di prevenzione a soggetti a pericolosità generica, in quanto la disciplina censurata non garantirebbe la prevedibilità della misura, per difetto di tassatività. Come in precedenza ripetutamente osservato (punti 2.2 e 7.1), l’accertamento in ordine alla pericolosità sociale del proposto era già estranea al thema decidendum demandato al giudice di rinvio. Non rileva pertanto la questione della incidenza della pronuncia resa dalla Corte EDU su un punto già deciso.
  2. Gli argomenti svolti conducono all’annullamento del decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Genova. Nel nuovo giudizio di rinvio la Corte di appello dovrà emendare la violazione di legge per omessa motivazione nei medesimi termini già indicati nella prima sentenza rescindente, che, per comodità, si trascrivono di seguito, per stralcio, tra virgolette.

9.1 In particolare occorrerà procedere a un «rigoroso accertamento nella stima dei valori in raffronto, considerando il reddito dichiarato o le attività economiche, non al momento dell’adozione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio, ma in riferimento ai rispettivi periodi dei singoli acquisti e mediante comparazione del loro valore e dei mezzi leciti a disposizione del proposto». Nel fare ciò si dovrà: – affrontare anche «le specifiche censure mosse in chiave difensiva e fornirne esauriente ed apprezzabile disamina, eventualmente anche in chiave confutativa», escludendo comunque che possano comportare una diversa considerazione della tematica «le deduzioni sulla disponibilità da parte del proposto di somme di denaro provenienti da elargizioni da parte di familiari abbienti, da lavoro svolto col padre o quale dipendente di altri datori di lavoro, da eredità, da attività d’impresa svolta personalmente, da lucrosi investimenti mobiliari», trattandosi di assunti che già la sentenza rescindente reputava inidonei a fornire prova di lecita provenienza perché sono stati «in parte già considerate dal perito e quindi anche dalla Corte di appello, che ne ha recepito le indicazioni rettificate e nel resto motivatamente disattese, in quanto non documentate e comunque sfornite di qualsiasi indicazione sulla tracciabilità di quanto conseguito e dei relativi importi, oltre che sulla loro adeguatezza a consentire gli acquisti immobiliari effettuati».

9.2 il giudice del rinvio dovrà inoltre:

– chiarire se si fosse inteso imporre confisca per equivalente della somma di euro 457.402, pari al ricavato della vendita di beni immobili entrati nel patrimonio del ricorrente in modo illecito ed in seguito ceduti, quindi non confiscabili in via diretta.

In caso di risposta positiva, verificare la sussistenza dei presupposti applicativi, tenendo conto della natura sanzionatoria della confisca per equivalente e del conseguente divieto di applicazione retroattiva. – esporre gli argomenti a sostegno della determinazione assunta in merito ai frutti civili, precisando se la confisca sul punto avesse «investito l’accumulo dei canoni locativi, rinvenuti in quanto tali nel patrimonio del soggetto inciso perché esistenti in un deposito bancario o di altra natura, oppure se abbia riguardato il relativo controvalore, il che rileva, potendo integrare un’ipotesi di confisca per equivalente, non ablabile nel caso di specie nei termini già esposti in precedenza».

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Genova.

Così deciso il 28/11/2017

 

 

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