CASSAZIONE

Il Tribunale Fallimentare ha la giurisdizione competente sulla transazione fiscale

Accordi di ristrutturazione dei debiti– Transazione fiscale – Agenzia delle Entrate – Società contribuente –  Crisi d’impresa – Proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti tributari – Mancato assenso dell’Agenzia – Impugnazione – Nuovo Codice della Crisi – Entrata in vigore – Procedure

aperte anteriormente – Inapplicabilità – Possibile utilizzo a fini interpretativi della legge fallimentare – Continuità tra regime vigente e futuro – Presupposto necessario – Giurisdizione ordinaria del tribunale fallimentare – Cram down fiscale

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 22130 del 3 agosto 2021, intervenendo sul tema del riparto di giurisdizione in materia di transazione fiscale, ha affermato che il cosiddetto codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al D.lgs. n. 14/2019, è in generale non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore. La Suprema Corte ha anche ricordato che se da un lato i profili eminentemente concorsuali del trattamento dei debiti tributari (nel concordato preventivo e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti) hanno come proprio giudice quello ordinario (fallimentare), i profili tributari lo trovano nella giurisdizione speciale configurata dal D.lgs. 546/1992, in particolare artt. 2, 19.

Il punto di congiunzione regolativa della giurisdizione ordinaria e quella tributaria deve rinvenirsi, secondo tale interpretazione, nella previsione normativa dell’art. 90 del DPR 602/1973, che annuncia la competenza del giudice ordinario/fallimentare sul profilo eminentemente concorsuale del trattamento dei debiti tributari nel concordato preventivo e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, e che indica quale rimedio pratico, volto a evitare conflitti di pronunce e vuoti di tutela, l’accantonamento obbligatorio dei crediti in controversia insorgenda.

In altre parole, la transazione fiscale “obbligatoria” rappresenta l’esigenza di bilanciare appunto i due interessi, sicché l’ampia discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali è in questo senso palesemente finalizzata, sia pure in considerazione del miglior soddisfacimento possibile del suo interesse proprio, ed è appunto ponderata dal sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva, che dalla normativa attualmente vigente è chiaramente assegnato al giudice ordinario fallimentare. 

Qualora l’Amministrazione finanziaria contesti anche l’indebita deduzione di costi per assenza delle specifiche indicazioni in fattura che consentano di accertare l’entità e la natura delle prestazioni ricevute, grava sul contribuente che rivendichi la legittimità della deduzione l’onere di fornire idonea prova della effettiva esistenza delle operazioni.

Al riguardo è utile far riferimento alla recente pronunzia degli Ermellini, la n. 8504/2021, che a  Sezioni Unite hanno individuato nel giudice ordinario la giurisdizione competente a decidere in ordine all’impugnazione del diniego dell’Agenzia delle entrate alla proposta di transazione fiscale, anche se presentata prima del 4 dicembre 2020, data di entrata in vigore della L. n. 159/2020 che ha introdotto nella legge fallimentare la cosiddetta regola del “cram down fiscale”; ciò in virtù della finalità prettamente concorsuale di detto istituto, che assume – nella valutazione della questione – una rilevanza preponderante rispetto all’oggetto cui si riferisce.

Con l’espressione anglosassone cram down ci si riferisce alla circostanza secondo cui il Tribunale decide di omologare il concordato nonostante un creditore appartenente a una classe dissenziente contesti la convenienza della proposta, se ritiene che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente percorribili.

E’ stato altresì spiegato che, in presenza di crediti tributari contestati, la relativa giurisdizione resta comunque attribuita al giudice tributario, dovendo il giudice ordinario limitarsi a disporre, ex art. 90, DPR n. 602/1973, l’accantonamento dei crediti in controversia insorgenda, ovvero insorta.

La questione, come è noto, riguarda il corretto assolvimento delle disposizioni contenute nell’art. 21, co. 2, lett. g) del DPR n. 633/1972, che prevede che la fattura debba contenere, fra l’altro, l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione. Tali specifiche indicazioni rispondono all’oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità e sono funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria e a rendere possibile l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione.

Sul punto i giudici di legittimità hanno precisato che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti l’indebita deduzione di costi per assenza delle specifiche indicazioni in fattura che consentano di accertare l’entità e la natura delle prestazioni ricevute, grava sul contribuente che rivendichi la legittimità della deduzione degli esborsi fatturati l’onere di fornire prova della effettiva esistenza delle operazioni.

L’incertezza degli elementi indicativi di natura e qualità e delle prestazioni svolte potrebbero creare dubbi sulla sussistenza effettiva di una prestazione commerciale e far venir meno l’idoneità della fattura per rappresentare operazioni rilevanti ai fini fiscali, ai sensi del citato art. 21 del decreto IVA, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza di dette operazioni.

D’altronde, la Corte di Cassazione (ex multis. n. 1898/2016) aveva più volte precisato che: “… A norma dell’art. 109, comma 4, lett. b), ultimo periodo, del TUIR i costi e le spese afferenti ricavi che non sono stati imputati al conto economico possono essere comunque dedotti soltanto se risultano da elementi certi e precisi’ con onere della prova a carico del contribuente, sicché è necessario che il contribuente fornisca concreti elementi di prova, non mediante affermazioni, di carattere generale o il richiamo a semplici presunzioni”: pertanto si rende necessario che il contribuente fornisca concreti elementi di prova, non mediante affermazioni, di carattere generale o il richiamo a semplici presunzioni.(v. Ord. n. 22130 del 03 agosto 2021; Ord. n. 12847 del 12 maggio 2021).

Inoltre, se da una parte l’Agenzia delle entrate sempre più frequentemente contesta ai contribuenti la deducibilità fiscale dei costi documentati da fatture contenenti descrizioni generiche delle prestazioni indicate, giungendo in particolare a definire sia l’indeducibilità del costo ai fini delle imposte dirette, per violazione del principio di inerenza di cui all’art. 109 TUIR, che l’indetraibilità dell’IVA, sul piano delle controversie scaturenti dalla transazione fiscale, rammentiamo che la Cassazione a Sezioni Unite è recentemente intervenuta, con la sentenza n. 8504 del 25 marzo 2021, su un giudizio concernente l’impugnazione del rigetto della proposta di trattamento dei crediti tributari avanzata nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 182-bis e ter L. fall., affermando innanzitutto la sussistenza di tale continuità fra gli artt. 180, 182-bis e 182-ter L. fall., nel testo anteriore all’entrata in vigore del menzionato D.lgs. n. 14/2019, applicabile nel caso in esame, e gli stessi artt. 180, 182-bis e 182-ter della citata legge fallimentare, come successivamente modificati dall’art. 63 del citato D.lgs. 14/2019 e dall’art. 3, comma 1 bis, D.l. 125/2020.

In buona sostanza, gli Ermellini hanno ritenuto che nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti avanzato da una società in crisi, che non riceveva l’adesione dell’Amministrazione Finanziaria, le competenze sono del Tribunale fallimentare  e non delle Commissioni tributarie, affermando nello specifico che “La fonte normativa novellante non contiene disposizioni di diritto transitorio e quindi, trattandosi di norme processuali, deve senz’altro applicarsi il principio tempus regit actum. Ciò tuttavia non può valere che per i procedimenti iniziati dopo il 4 dicembre 2020 (entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 125/2020), mentre quello che ha generato il regolamento preventivo di giurisdizione in esame è iniziato ben prima; pertanto bisogna fare riferimento all’ulteriore principio generale della perpetuatio jurisdictionis di cui all’art. 5, cod. proc. civ., appunto con specifico riguardo alla «legge vigente .. al momento della proposizione della domanda», non avendo rilievo «i successivi mutamenti della legge» stessa. Tornando alle novità introdotte dal d.l. 14/2019, questa Corte ha già affermato che:” Il C.C.I.I. è testo in generale non applicabile – per scelta de/legislatore- alle procedure … aperte anteriormente alla sua entrata in vigore (art. 390, primo comma, C.C.I.I.), e la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare potrebbe essere ammessa se (e solo se) si potesse configurare -nello specifico segmento- un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro.” (Cass., Sez. U, n. 12476 del 24/06/2020).

Intendendo la citazione senz’altro ribadire tale principio di diritto, anche per accedere alla tesi agenziale circa la possibilità di impiego ermeneutica della nuova normativa del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, quale come detto già anticipata), è dunque necessario stabilire in via di comparazione se vi è o meno continuità tra le disposizioni legislative direttamente applicabili e quelle che lo saranno ai giudizi instaurati successivamente al 4 dicembre 2020(v.Sent. n. 8504 del 25.03.21 cit.).

In definitiva, confermano i Giudici nel caso di specie, la premessa logica vuole che la prima forma di transazione, introdotta con il D.l. 138/2002, abbia una natura differente rispetto a quella recentemente novellata dal D.l. 125/2020.  

D’altro canto è cosa nota che negli anni sono state apportate modifiche dal Legislatore  e ricordiamo che in proposito il Codice della crisi di impresa ha introdotto  tre importanti novità: l’omologazione degli accordi di ristrutturazione anche senza l’assenso del Fisco nel caso di proposta vantaggiosa per l’Ente, la possibilità di proporre la transazione anche nelle trattative che precedono gli accordi di ristrutturazione e il trattamento riservato ai crediti tributari e contributivi nel contesto del piano di concordato.

Queste previsioni costituiscono una rivisitazione degli assetti sottesi alla vecchia transazione fiscale e giustificano un pensiero logico-giuridico che confuta quanto affermato dalla giurisprudenza di merito, per altro esigua, susseguita nel corso degli anni (v. Cass., SS. UU., n. 12476/2020).

Abbiamo presente, infine, anche la pronunzia n.15414/2018, che in tema di omologazione della proposta di concordato preventivo ex art. 180 della legge fallimentare, ha sentenziato che il Tribunale esercita un sindacato incidentale circa la fondatezza dei crediti contestati, condizionali o irreperibili ai fini di disporre i relativi accantonamenti; diversamente, in presenza di crediti tributari oggetto di contestazione, per effetto della norma speciale di cui all’art 90, DPR n. 602/1973, il suindicato accantonamento è obbligatorio essendo rimesso al Tribunale esclusivamente il potere di determinarne le relative modalità.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, la vicenda processuale inizia con l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva contestato, ai fini IRPEF, IRAP e IVA, l’indeducibilità dei costi relativi a una serie di fatture emesse da una società terza per servizi di trasporto, scarico e facchinaggio di merci. La società contribuente si rivolgeva alla giustizia tributaria, ottenendo in entrambi i gradi soddisfazione. In particolare i giudici della CTR ammettevano la piena deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA delle fatture, in ragione della presenza di tutti i requisiti di certezza, oggettiva determinabilità e inerenza all’attività di impresa e della congruità dei costi rispetto ai ricavi.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che il giudice d’appello avrebbe dovuto verificare e accertare se fosse stato correttamente assolto l’onere di prova a carico della contribuente riguardo all’inerenza, alla congruità e alla effettività dei costi sostenuti, segnalando inoltre che, sul punto, la sentenza censurata non si sarebbe in alcun modo pronunciata sulla questione.

I Supremi Giudici di legittimità hanno riconosciuto valide le osservazioni presentate dall’Avvocatura erariale, affermando quindi che “… Come opportunamente sottolineato nella memoria depositata dall’Agenzia fiscale, questa Corte ha recentemente sancito che ‘Il cd. codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019, è in generale non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, potendosi, peraltro, rinvenire nello stesso delle norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro. (Nella specie, la S.C., in un giudizio concernente l’impugnazione del rigetto della proposta di trattamento dei crediti tributari avanzata nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 182 bis e ter  L. fall., ha affermato la sussistenza di tale continuità fra gli artt. 180, 182 bis e 182 ter L. fall., nel testo anteriore all’entrata in vigore del menzionato d.lgs. n. 14 del 2019, applicabile nel caso in esame, e gli stessi artt. 180, 182 bis e 182 ter L. fall., come successivamente modificati dall’art. 63 del citato d.lgs. n. 14 del 2019 e dall’art. 3, comma 1 bis, d.l. n. 125 del 2020)’ e quindi che ‘Le controversie relative al mancato assenso dell’agenzia fiscale alle proposte di trattamento dei crediti tributari regolate dall’art. 182 ter della L. fall. spettano, anche con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 14 del 2019, alla giurisdizione ordinaria del tribunale fallimentare, considerata l’obbligatorietà di tali proposte nell’ambito delle procedure nelle quali sono consentite ed in ragione, altresì, del disposto degli artt. 180, 182 bis e 182 ter L. fall., nel testo modificato dal citato d.lgs. n. 14 del 2019 e dal d.l. n. 125 del 2020, da cui si evince la prevalenza, con riferimento all’istituto in esame, dell’interesse concorsuale su quello tributario, senza che assuma rilievo, invece, la natura giuridica delle obbligazioni oggetto dei menzionati crediti. (Nella specie, si trattava di una procedura concorsuale regolata dalla L. n. 232 del 2016)’ (Cass., Sez. U – , Ordinanza n. 8504 del 25/03/2021, Rv. 660876 – 01/02). Il Collegio non intende discostarsi da questo recente e pienamente condivisibile orientamento giurisprudenziale. In conclusione, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, nella declinazione del giudice competente in ordine alle procedure concorsuali”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 3 agosto 2021, n. 22130

sul ricorso iscritto al n. 23949/2020 R.G. proposto da

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro B. H. spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Maurizio Rossi e dall’Avv. Lorena Di Fiore con domicilio eletto presso i rispettivi indirizzi di posta elettronica certificata;

 — controricorrente —

per regolamento preventivo di giurisdizione nel giudizio pendente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli al n. 7401/2020 R.G.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere Enrico Manzon;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteris, che ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice tributario.

Rilevato che

In data 9 gennaio 2017 la B.H. spa presentava all’Agenzia delle entrate, ufficio locale di Napoli, istanza ex art. 182 ter, L.F. nell’ambito di un accordo per la ristrutturazione dei suoi debiti.

La direzione provinciale investita dell’istanza esprimeva parere favorevole che tuttavia veniva disatteso dalla direzione regionale della medesima Agenzia fiscale, con comunicazione in data 25 febbraio 2020.

Tale diniego era impugnato dalla società contribuente con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Napoli.

A fronte di tale iniziativa giudiziale, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, negando quella del giudice tributario speciale adito ed affermando quella dell’AG ordinaria, in particolare del tribunale fallimentare.

Resiste con controricorso la società contribuente, insistendo per la sussistenza della competenza giurisdizionale della CTP adita e chiedendo pertanto il rigetto del ricorso dell’agenzia fiscale.

Successivamente la difesa erariale ha depositato una memoria.

Considerato che

Come opportunamente sottolineato nella memoria depositata dall’Agenzia fiscale, questa Corte ha recentemente sancito che «Il cd. codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019, è in generale non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, potendosi, peraltro, rinvenire nello stesso delle norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro. (Nella specie, la S.C., in un giudizio concernente l’impugnazione del rigetto della proposta di trattamento dei crediti tributari avanzata nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 182 bis e ter L. fall., ha affermato la sussistenza di tale continuità fra gli artt. 180, 182 bis e 182 ter L. fall., nel testo anteriore all’entrata in vigore del menzionato d.lgs. n. 14 del 2019, applicabile nel caso in esame, e gli stessi artt. 180, 182 bis e 182 ter L. fall., come successivamente modificati dall’art. 63 del citato d.lgs. n. 14 del 2019 e dall’art. 3, comma 1 bis, d.l. n. 125 del 2020)» e quindi che «Le controversie relative al mancato assenso dell’agenzia fiscale alle proposte di trattamento dei crediti tributari regolate dall’art. 182 ter della L. fall. spettano, anche con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 14 del 2019, alla giurisdizione ordinaria del tribunale fallimentare, considerata l’obbligatorietà di tali proposte nell’ambito delle procedure nelle quali sono consentite ed in ragione, altresì, del disposto degli artt. 180, 182 bis e 182 ter L. fall., nel testo modificato dal citato d.lgs. n. 14 del 2019 e dal d.l. n. 125 del 2020, da cui si evince la prevalenza, con riferimento all’istituto in esame, dell’interesse concorsuale su quello tributario, senza che assuma rilievo, invece, la natura giuridica delle obbligazioni oggetto dei menzionati crediti. (Nella specie, si trattava di una procedura concorsuale regolata dalla I. n. 232 del 2016)» (Cass., Sez. U – , Ordinanza n. 8504 del 25/03/2021, Rv. 660876 – 01/02).

Il Collegio non intende discostarsi da questo recente e pienamente condivisibile orientamento giurisprudenziale.

In conclusione, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, nella declinazione del giudice competente in ordine alle procedure concorsuali.

Tenuto conto della novità e della complessità della questione di giurisdizione in esame nonché del recentissimo consolidamento della giurisprudenza in ordine alla questione medesima, le spese del procedimento possono essere compensate.

P.Q.M.

Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; compensa le spese del procedimento.

Cosi deciso in Roma 25 maggio 2021.

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