Il rischio della doppia imposizione
Rinvio pregiudiziale – Articoli 63 TFUE e 65 TFUE – Libera circolazione dei capitali – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Fiscalità diretta – Tassazione dei dividendi – Convenzione bilaterale volta a prevenire la doppia imposizione – Doppia imposizione giuridica
I giudici europei, nella causa n.c-194/15, in una questione sollevata i sull’interpretazione degli articoli 49 TFUE, 63 TFUE e 65 TFUE e, in definitiva, in merito alla tassazione in Italia di dividendi percepiti da una società stabilita in Francia e che sono già stati oggetto di una ritenuta alla fonte in quest’ultimo Stato membro. Nello specifico il Fisco Italiano ha emesso, per gli anni 2007 e 2008, una serie di avvisi di accertamento relativi ai redditi da dividendi provenienti da partecipazioni azionarie qualificate in una società stabilita in Francia, detenute dai ricorrenti nel procedimento principale, la cui residenza fiscale è situata a Torino.
C’è inoltre da premettere che è sempre presente il rischio della doppia imposizione per cui lo stesso presupposto sia soggetto due volte a tassazione in due diversi stati.
Per evitare il fenomeno della doppia imposizione, gli stati hanno stipulato convenzioni internazionali che regolano i rapporti tributari tra i soggetti che operano negli stati firmatari della convenzione e che sono collegati quindi agli stessi.
Con questo strumento si cerca di evitare la tassazione reddito sia nel Paese in cui questo è stato prodotto sia nel paese di residenza del soggetto che lo ha prodotto. Come sancito dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea e confermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi garantiscono la mobilità delle imprese e dei professionisti nell’UE.
Il diritto di stabilimento comprende il diritto di svolgere attività indipendenti e di creare e gestire imprese al fine di esercitare un’attività permanente su base stabile e continuativa, alle stesse condizioni che la legislazione dello Stato membro di stabilimento definisce per i propri cittadini. La libertà di prestare servizi si applica a tutti i servizi che vengono generalmente forniti contro remunerazione, nella misura in cui essi non sono regolamentati dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. La persona che presta un «servizio» può, a tal fine, esercitare temporaneamente la propria attività nello Stato membro in cui il servizio viene prestato, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini. Fra tutte le libertà sancite dai trattati, la libera circolazione dei capitali, oltre a essere quella di più recente introduzione, è anche la più ampia in virtù della sua peculiare dimensione extra UE.
Inizialmente i trattati non prevedevano la piena liberalizzazione dei movimenti di capitali; gli Stati membri dovevano eliminare le restrizioni limitandosi a quanto necessario ai fini del funzionamento del mercato comune. Tuttavia, in un mutato contesto economico e politico a livello europeo e mondiale, nel 1998 il Consiglio europeo ha confermato la progressiva realizzazione dell’Unione economica e monetaria (UEM). Un simile obiettivo presupponeva un maggior coordinamento delle politiche economiche e monetarie nazionali.
Con la prima fase dell’UEM si è quindi raggiunta la piena liberalizzazione delle operazioni su capitali, inizialmente istituita mediante una direttiva del Consiglio e in seguito sancita dal trattato di Maastricht, il quale ha vietato tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e sui pagamenti, sia tra gli Stati membri che tra questi ultimi e i paesi terzi. Il principio aveva efficacia diretta e quindi non ha richiesto ulteriori interventi normativi né su scala UE né a livello di Stati membri.
La relativa base giuridica si fonda Articoli 26 (mercato interno), da 49 a 55 (stabilimento) e da 56 a 62 (servizi) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Le relative sanzioni sono disciplinate dagli articoli che vanno dal 63 al 66 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), integrati dagli articoli 75 e 215 del TFUE.
Le sole restrizioni ai movimenti di capitali in generale — anche all’interno dell’Unione — che gli Stati membri possono legittimamente decidere di applicare sono stabilite dall’articolo 65 del TFUE e comprendono: i) le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione nazionale (in particolare nel settore fiscale e in materia di vigilanza prudenziale sui servizi finanziari); ii) le procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a fini amministrativi o statistici; e iii) le misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. L’articolo 75 del TFUE integra quello appena citato aggiungendo la possibilità di applicare sanzioni finanziarie nei confronti di singoli, gruppi o entità non statali a fini di prevenzione e contrasto del terrorismo.
A norma dell’articolo 215 del TFUE le sanzioni finanziarie possono essere inflitte a paesi terzi, singoli, gruppi o entità non statali sulla base di decisioni adottate nel quadro della politica estera e di sicurezza comune. Per l’ulteriore messa in atto di queste due libertà, le aspettative riguardanti la direttiva sui servizi adottata nel 2006 sono elevate, dal momento che la questione è di importanza fondamentale per il completamento del mercato interno.
La Corte adita ha inizialmente ricordato che la Convenzione tra il governo della Repubblica italiana ed il governo della Repubblica francese per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire l’evasione e la frode fiscali, firmata a Venezia il 5 ottobre 1989 (la “Convenzione italo-francese”), prevede, al suo articolo 10, che i dividendi pagati da una società residente di uno Stato ad un residente dell’altro Stato sono imponibili in detto altro Stato.
Di conseguenza, continuano i giudici, per rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale, hanno dichiarato che gli articoli 49 TFUE, 63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, allorché un residente di tale Stato membro, azionista di una società stabilita in un altro Stato membro, percepisce da tale società dividendi tassati in entrambi gli Stati membri, non si ponga rimedio alla doppia imposizione, nello Stato membro di residenza dell’azionista, mediante l’imputazione di un credito d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali dividendi.
Per questi motivi la Corte ha infine ritenuto che: “ … Gli articoli 49 TFUE, 63 TFUE e 65 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, allorché un residente di tale Stato membro, azionista di una società stabilita in un altro Stato membro, percepisce da tale società dividendi tassati in entrambi gli Stati membri, non si ponga rimedio alla doppia imposizione, nello Stato membro di residenza dell’azionista, mediante l’imputazione di un credito d’imposta almeno pari all’importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali dividendi”.
CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 04 febbraio 2016, n. C-194/15