FISCALITA LAVORO

Il rimborso spese per i dipendenti in smart working

L’interpello oggetto della risposta n. 314 del 30 aprile 2021 è presentato da una società che intende firmare un accordo sindacale di secondo livello – ossia, adottare un regolamento aziendale senza il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali – riguardante il trattamento economico e

normativo dei propri lavoratori e dei dipendenti di società appartenenti allo stesso gruppo che svolgono la loro attività con le modalità del lavoro agile, nell’ottica di consolidare il ricorso a tale strumento.

In base alla norma che si occupa degli aspetti giuslavoristi dello smart working, la legge 81/2017, l’azienda ritiene di non dover far gravare sui dipendenti le spese che si troveranno a sostenere per motivi di lavoro quando opereranno presso la propria abitazione e, a tal fine, pensa di riconoscere a ciascun dipendente un importo a titolo di rimborso.

I parametri e le condizioni dell’analisi

La società ha quindi condotto uno studio che ha prodotto una tabella nella quale, per ogni tipologia di spesa è indicata una stima del risparmio giornaliero per l’azienda e il costo giornaliero per dipendente in lavoro agile, che ha portato a considerare adeguato un rimborso di 0,50 euro per ogni giorno di lavoro a casa.

In particolare, sono stati presi in considerazione il consumo di elettricità per l’utilizzo di un computer e di una lampada, i costi per l’utilizzo dei servizi igienici, quali acqua e materiale di consumo e l’utilizzo nel periodo invernale del riscaldamento per un’ora al giorno (forse sperando in un inverno mite…).

Inoltre, la società ha fatto presente di aver posto le seguenti condizioni:

– il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa è la casa del dipendente (o un altro luogo), i cui costi diretti sono a suo carico;

– non si considerano le spese di vitto;

– non si considerano i costi di climatizzazione estiva e quelli per la rete internet;

– non si considerano altri costi fissi come i consumi elettrici e idrici, ritenuti indipendenti dall’utilizzo dell’abitazione per fini lavorativi anziché esclusivamente privati.

Viene infine evidenziato che il rimborso giornaliero fissato è risultato inferiore rispetto al risultato del costo giornaliero stimato (0,5135 euro) e a quello risparmiato dalla società (0,5105 euro).

Il chiarimento richiesto riguarda il trattamento fiscale degli importi erogati come rimborso ai propri dipendenti in smart working, in particolare se possano essere esclusi dal reddito di lavoro dipendente, prospettando come soluzione interpretativa che debbano essere esclusi da imposizione poiché non costituiscono reddito di lavoro dipendente.

Il principio di onnicomprensività

L’art. 51, comma 1, del DPR 917/1986 (TUIR) stabilisce che costituiscono reddito di lavoro dipendente “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”.

La disposizione, sostiene l’Agenzia delle entrate, sancisce il cosiddetto principio di onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente fiscalmente rilevante, in base al quale sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti a beni, servizi e opere offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili, che in quanto tali concorrono a determinare il reddito di lavoro dipendente. Dunque, tutte le somme erogate al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscono reddito di lavoro dipendente.

Il concetto di onnicomprensività di reddito di lavoro dipendente è stato poi approfondito nella risoluzione 178/E del 2003, nella quale è stato affermato che non concorrono alla formazione della base imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore, come ad esempio gli indennizzi ricevuti a titolo di reintegrazione patrimoniale e che non sono fiscalmente rilevanti, per il dipendente, le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro.

L’imposizione fiscale dei rimborsi spese

L’argomento è stato oggetto di chiarimenti già nel 1997, anno di pubblicazione della circolare n. 326, nella quale è stato affermato che, in generale, possono essere esclusi da imposizione i rimborsi riguardanti spese diverse da quelle sostenute per la produzione del reddito, di competenza del datore di lavoro e anticipate dal dipendente, come per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, ad esempio la carta della fotocopiatrice o della stampante, le pile della calcolatrice, ecc. Nella risoluzione 357/E del 2007 è stato precisato che gli importi erogati per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non sono da tassare, essendo sostenuti dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche aziendali e quindi poter lavorare, ricollegando il caso a uno di quelli considerati dalla circolare 326/1997 di rimborso di spese di interesse esclusivo del datore di lavoro anticipate dal dipendente.

Un altro esempio riguarda l’utilizzo promiscuo di autovetture (art. 51, comma 4, lett. a, del TUIR): la norma stabilisce che le spese sostenute dal lavoratore e rimborsate in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui sia stato previsto un criterio per determinarne la quota riferibile all’uso nell’interesse del datore di lavoro, che può essere esclusa da imposizione.

Riguardo la modalità di definizione della spesa rimborsata, nella risoluzione 74/E del 2017 si legge che in assenza di un criterio che individui la quota esclusa da imposizione, “i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere determinati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente”.

Le spese rimborsate non sono imponibili

Nel caso prospettato, conclude l’Agenzia, la società utilizza un sistema per quantificare la quota dei costi da rimborsare ai dipendenti in lavoro da casa basato su parametri che specificano i costi risparmiati dalla società e che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente.

Risulta dunque corretto considerare le spese rimborsate ai dipendenti riferibili a consumi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro, ragion per cui tali spese non sono imponibili ai fini IRPEF.

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