CASSAZIONE

Il presidente dell’associazione sportiva risponde in solido per i debiti tributari

Tributi – Associazioni sportive non riconosciute – Debiti tributari – Rappresentanza – Responsabilità personale e solidale -Attività negoziale concretamente svolta – Gestione complessiva dell’associazione – Art.38 del c.c

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1793 del 20 gennaio 2023, occupandosi di alcuni aspetti fiscali a carico delle associazioni sportive non riconosciute ha chiarito la portata del principio espresso dall’art. 38 del codice civile, sancendo che per i debiti d’imposta il presidente dell’associazione è responsabile in solido con l’ente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, proprio in forza del ruolo rivestito e di chi ha diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato.

La Suprema Corte si è anche soffermata sulla responsabilità personale e solidale, prevista proprio dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione, che non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto, che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l’ente e i terzi. Quindi, per i debiti d’imposta che sorgono non su base negoziale ma derivano ex lege dal verificarsi del suddetto presupposto, è chiamato a rispondere solidalmente il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura, che pertanto risponde sia per il tributo non corrisposto dall’associazione che per le sanzioni pecuniarie amministrative.

Ricordiamo che le associazioni non riconosciute non hanno la personalità giuridica, quindi godono di un’autonomia patrimoniale imperfetta; benché privo di personalità giuridica, l’ente ha una propria soggettività. L’associazione non riconosciuta è titolare di un fondo comune (art. 37, c.c.) e, per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti su tale fondo. I rappresentanti legali dell’associazione rispondono solidalmente delle obbligazioni sociali e la menzionata responsabilità ha carattere accessorio rispetto all’obbligazione principale, come accade nella fideiussione (Cass. 29733/2011; Cass. 12508/2015). La ratio della responsabilità personale e solidale è da ricercare nell’esigenza di affidamento dei terzi, che possono così confidare sulla solvibilità di chi abbia agito, senza dover verificare la consistenza patrimoniale del fondo (Cass. 3093/2021). In altre parole, la responsabilità prevista dall’art. 38 c.c., in aggiunta a quella del fondo comune, è diretta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente con le esigenze di tutela dei creditori.

In sostanza, gli Ermellini hanno ritenuto che il rappresentante di un’associazione non riconosciuta risponde in solido dei debiti tributari legati all’attività negoziale svolta per suo conto.

La Corte di Cassazione, anche sulla scia dell’attuale giurisprudenza (Cass. 29733/2011; Cass. 12508/2015), ha ancora ribadito che in tema di associazioni non riconosciute la responsabilità personale e solidale dei soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’associazione serve, primariamente come anticipato, a tutela dei creditori per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto.

Conseguentemente il responsabile è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, in forza proprio del ruolo rivestito e per aver diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. L’effettiva ingerenza vale quindi a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura. Ciò per quanto si deve presumere che il legale rappresentante abbia concorso nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione, operando nei fatti una distinzione tra i rapporti dell’associazione di carattere privatistico e contrattuale e le obbligazioni tributarie.

Per comprendere il decisum occorre quindi distinguere tra i rapporti dell’associazione di carattere privatistico e le obbligazioni tributarie. Nei rapporti dell’associazione di carattere privatistico, la responsabilità personale e solidale di cui al citato art. 38 non è legata al mero ruolo di rappresentanza dell’associazione, ma all’attività negoziale concretamente svolta per conto dell’associazione, dalla quale siano sorte obbligazioni tra l’ente e i terzi. Spetta a chi invoca la responsabilità del legale rappresentante fornire la suddetta prova.

Nell’ambito tributario, invece, il suddetto principio va così precisato. Nel caso di debiti d’imposta – che derivino ex lege – risponde solidalmente “il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura”. Difatti, secondo la giurisprudenza, in virtù del principio di autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile nonché della fonte legale dell’obbligazione tributaria, il rappresentante legale non va esente da responsabilità solidale con l’associazione, in caso di avvicendamento delle cariche, soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente. Egli, infatti, è obbligato a redigere e a presentare la dichiarazione dei redditi e a operare, ove necessario, le rettifiche della stessa. Diversamente opinando, si verificherebbero strumentalizzazioni elusive (Cass. 3093/2021). Per l’accertamento della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta, pertanto, bisogna considerare non solo la sua partecipazione all’attività dell’ente, ma anche il corretto adempimento degli obblighi tributari gravanti sul medesimo (Cass. 4478/2018; Cass. 22861/2018). Ciò vale sia per le sanzioni pecuniarie che per il tributo non corrisposto (Cass. 25650/2018; Cass. Ord. 4747/2020).

In tale contesto, il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura (Cass. 5746/2007; Cass. Ord. 12473/2015; Cass. 19486/2009 ). Pertanto, è stato nel tempo chiarito che “… per i debiti d’imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano ex lege dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che in forza del ruolo rivestito abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura” (v. Cass. 2169/2018).

La ratio del succitato principio risiede nella presunzione che il legale rappresentante abbia partecipato alle decisioni che hanno condotto alla creazione dei rapporti obbligatori tributari per conto dell’associazione (Cass. Ord. 1602/2019; Cass. Ord. 1328/2020).

Nella vicenda odierna viene prepotentemente in rilievo il disposto dell’art. 38 c.c. dettato in materia di obbligazioni assunte dalle associazioni non riconosciute, ricordando che la norma prevede che “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

In buona sostanza, secondo gli Ermellini, per le obbligazioni tributarie sussiste un principio di presunzione idoneo a far supporre che i predetti soggetti – ossia chi svolge compiti di amministrazione e di gestione nell’ambito dell’associazione – concorrano nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione (Cass. 1602/2019): di conseguenza, non spetta all’Agenzia delle entrate provare che il presidente dell’associazione non riconosciuta abbia partecipato all’attività gestoria al fine di fondare la responsabilità personale e solidale dello stesso, ma grava su quest’ultimo l’onere di dimostrare il contrario per risultare esente da responsabilità. Per le obbligazioni tributarie, infatti, sussiste un principio di presunzione idoneo a far supporre che il rappresentante abbia concorso nelle decisioni che hanno portato alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione.

Tanto premesso e tornando al caso de qua, la vicenda processuale riguarda il ricorso proposto da un contribuente avverso le cartelle di pagamento emesse a carico di un’associazione non riconosciuta, notificate al ricorrente sull’assunto che questi fosse coobbligato al pagamento dei tributi accertati avendo rivestito per quegli anni il ruolo di presidente dell’associazione. La giustizia tributaria adita ha accolto in entrambi i gradi il ricorso della parte contribuente, mentre l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art.38 c.c. per avere la CTR affermato che, ai fini della responsabilità dell’intimato, non fosse sufficiente il fatto che egli fosse stato, nel periodo di riferimento, il presidente e legale rappresentante dell’associazione e fosse invece necessario la di lui ingerenza nella gestione della associazione medesima.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la tesi dell’Amministrazione, sottolineando che la Commissione tributaria regionale ha richiamato erroneamente un precedente di legittimità (Cass. 19486/2009) che, in realtà, fa riferimento a una fattispecie diversa rispetto all’imposizione tributaria e che, pertanto, “ … Questa Corte è da tempo univocamente orientata ad affermare che “in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art.38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Peraltro, l’operatività di tale principio in materia tributaria non esclude che per i debiti d’imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano “ex lege” dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura.” (Cass. Sez. 5-, Sentenza n. 25650 del 15/10/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4747 del 24/02/2020). E ciò perché deve presumersi che il legale rappresentante, in quanto tale, “abbia concorso nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione.» (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1602 del 22/01/2019; conforme, ex plurimis, Cass. Sez. 5, ordinanza n. 1328 del 22/01/2020, in motivazione). Per completezza è da ricordare altresì la statuizione secondo cui, «In tema di associazione non riconosciuta, nell’ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di rappresentante legale, colui che invoca in giudizio la responsabilità personale e solidale ex art. 38 c.c. del rappresentante subentrante – il quale non può andarne esente, ai fini fiscali, soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente, in quanto è obbligato a redigere ed a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa – ha l’onere di provare gli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione, mentre grava sul chiamato a rispondere dei debiti d’imposta – derivanti “ex lege” dal verificarsi del relativo presupposto – dimostrare la sua estraneità alla partecipazione e gestione dell’ente nel periodo di relativa investitura.» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 3093 del 09/02/2021). 4.2. La CTR ha disatteso i sopra esposti principi. Ha fatto malamente richiamo alla pronuncia di questa Corte n.19486/2009 senza considerare che tale pronuncia si riferisce all’applicazione dell’art.38 cod. civ a fattispecie diverse dall’imposizione tributaria. Vi si legge infatti: “È principio più volte affermato da questa Corte di legittimità e, nella specie, il Collegio non ritiene che sussistano ragioni per discostarsene, quello secondo cui: “La responsabilità personale e solidale, prevista dall’art.38 c.c. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, ne consegue, altresì, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, (Cass, civ. sent. nn.5089 del 1998, n. 8919 del 2004), non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente” (cfr., ex multis, Cass. civ. sentt. nn. 2471 del 2000, 26290 del 2007 e, recentemente, n. 25748 del 2008). Nella specie la C.T.R., così come la C.T.P., invece, con ragionamento diametralmente opposto a quello sotteso al principio di diritto sopra espresso, ha affermato la responsabilità del rappresentante legale dell’associazione all’epoca dell’accertamento de qua, deducendo che a questi, in virtù della carica rivestita nell’associazione “non può che far capo l’attività negoziale della stessa e non vale affermare un inesistente obbligo di prova sull’esercizio in concreto di detta attività, dovendosi piuttosto, nella negativa, dimostrare con concreti elementi il fatto che il contribuente non abbia svolto, per l’associazione in argomento, l’attività negoziale posta a base dell’accertamento”. 5. in conclusione il primo motivo di ricorso va accolto e, restando il secondo assorbito, la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla corte territoriale per esame delle eventuali questioni assorbite”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 20 gennaio 2023, n. 1793

sul ricorso 7453-2020 proposto da:

 AGENZIA DELLE ENTRATE – C.F. 06363391001, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO – C.F. 80224030587, che la rappresenta e difende ex lege;

– ricorrente –

contro R. D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 25/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ANCONA;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2022 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDIN1;

Premesso che:

1. l’Agenzia delle Entrate ricorreva, con due motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la CTR delle Marche aveva rigettato l’appello di essa ricorrente contro la sentenza di accoglimento dell’originario ricorso proposto da D. R. avverso cartelle di pagamento a cui erano sottesi atti di accertamento per tributi diretti e indiretti, emessi a carico della Associazione Sportiva Camerano Pallavolo per gli anni 1991, 1992 e 1993, notificate al contribuente sull’assunto -ritenuto errato dalla CTR- che questi, ex art. 38 c.p.c., fosse coobbligato al pagamento dei suddetti tributi avendo rivestito in quegli anni il ruolo di presidente dell’associazione.

2. la causa veniva rinviata con ordinanza 21.3.2022 al fine di acquisire il fascicolo del merito e poter così verificare se la notifica del ricorso per cassazione fosse stata (o non) eseguita al contribuente risultato, dalla sentenza impugnata, contumace in appello;

3. la parte privata è rimasta intimata;

considerato che:

1. con il primo motivo di ricorso viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art.38 c.c. per avere la CTR affermato che, ai fini della responsabilità dell’odierno intimato, non fosse sufficiente il fatto che egli fosse stato, nel periodo di riferimento, il presidente e legale rappresentante dell’associazione e fosse invece necessario la di lui ingerenza nella gestione della associazione medesima;

2. il secondo motivo di ricorso viene proposto “in via gradata”, per l’ipotesi in cui l’ulteriore affermazione della CTR secondo cui “nel caso di associazioni sportive dilettantistiche, l’eventuale corresponsabilità per illeciti fiscali dalla stessa commessi, che comportino, eventualmente, la riqualificazione di fatto dell’attività della stessa, come attività commerciale, va ricercata nell’amministratore di fatto che ha gestito i rapporti commerciali e nel caso di specie l’ufficio non ha dimostrato che il R. abbia svolto tale ruolo” potesse essere intesa come espressiva di una autonoma ratio decidendi. Viene lamentata “la violazione e falsa applicazione dell’art.132 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. 546/92” per essere la suddetta affermazione non motivata;

3. va preliminarmente dato conto del fatto dal fascicolo del merito è stato possibile evincere che il ricorso per cassazione è stato correttamente notificato alla parte privata -contumace in appello- di persona, in Camerano, Via Marconi;

4. il primo motivo di ricorso è fondato.

4.1. Questa Corte è da tempo univocamente orientata ad affermare che “in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art.38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Peraltro, l’operatività di tale principio in materia tributaria non esclude che per i debiti d’imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano “ex lege” dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura.” (Cass. Sez. 5-, Sentenza n. 25650 del 15/10/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4747 del 24/02/2020).

E ciò perché deve presumersi che il legale rappresentante, in quanto tale, “abbia concorso nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione.» (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1602 del 22/01/2019; conforme, ex plurimis, Cass. Sez. 5, ordinanza n. 1328 del 22/01/2020, in motivazione).

Per completezza è da ricordare altresì la statuizione secondo cui, «In tema di associazione non riconosciuta, nell’ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di rappresentante legale, colui che invoca in giudizio la responsabilità personale e solidale ex art. 38 c.c. del rappresentante subentrante – il quale non può andarne esente, ai fini fiscali, soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente, in quanto è obbligato a redigere ed a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa – ha l’onere di provare gli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione, mentre grava sul chiamato a rispondere dei debiti d’imposta – derivanti “ex lege” dal verificarsi del relativo presupposto – dimostrare la sua estraneità alla partecipazione e gestione dell’ente nel periodo di relativa investitura.» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 3093 del 09/02/2021).

4.2. La CTR ha disatteso i sopra esposti principi.

Ha fatto malamente richiamo alla pronuncia di questa Corte n.19486/2009 senza considerare che tale pronuncia si riferisce all’applicazione dell’art.38 cod. civ a fattispecie diverse dall’imposizione tributaria.

Vi si legge infatti: “È principio più volte affermato da questa Corte di legittimità e, nella specie, il Collegio non ritiene che sussistano ragioni per discostarsene, quello secondo cui: “La responsabilità personale e solidale, prevista dall’art.38 c.c. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, ne consegue, altresì, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, (Cass, civ. sent. nn.5089 del 1998, n. 8919 del 2004), non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente” (cfr., ex multis, Cass. civ. sent. nn. 2471 del 2000, 26290 del 2007 e, recentemente, n. 25748 del 2008).

Nella specie la C.T.R., così come la C.T.P., invece, con ragionamento diametralmente opposto a quello sotteso al principio di diritto sopra espresso, ha affermato la responsabilità del rappresentante legale dell’associazione all’epoca dell’accertamento de qua, deducendo che a questi, in virtù della carica rivestita nell’associazione “non può che far capo l’attività negoziale della stessa e non vale affermare un inesistente obbligo di prova sull’esercizio in concreto di detta attività, dovendosi piuttosto, nella negativa, dimostrare con concreti elementi il fatto che il contribuente non abbia svolto, per l’associazione in argomento, l’attività negoziale posta a base dell’accertamento”.

5. in conclusione il primo motivo di ricorso va accolto e, restando il secondo assorbito, la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla corte territoriale per esame delle eventuali questioni assorbite;

6. il giudice del rinvio dovrà decidere anche delle spese del processo;

PQM

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara il secondo assorbito, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche anche per le spese. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 dicembre 2022, svolta con modalità da remoto

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