CASSAZIONE SENTENZE

Il patteggiamento per l’omessa dichiarazione si attua solo con il pagamento del debito

Reati tributari – Omessa dichiarazione IVA – Rilevanza penale – Responsabilità del legale rappresentante – Artt.4, 5 e 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000

La Corte di Cassazione, intervenendo con la sentenza n. 47287 del 21 novembre 2019 nel tema dei reati tributari e della possibilità di accesso al rito del patteggiamento, ha stabilito che l’accesso al rito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti deve ritenersi ammissibile solo quando i debiti tributari sono stati comunque estinti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Il pagamento effettuato entro tale termine, continuano i giudici di legittimità, non costituisce una causa di non punibilità, come di fatto avviene per i reati di omesso versamento e di indebita compensazione (articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater), per i quali si assisterebbe all’estinzione per la mancanza dell’elemento oggettivo del reato con conseguente assoluzione dell’imputato.

In particolare, gli Ermellini che hanno accolto il ricorso presentato dal Procuratore Generale hanno voluto richiamare il dispositivo dell’art. 13-bis del D.lgs. n. 74/2000 sui reati tributari, spiegando che per i reati dichiarativi (Art. 4 – Dichiarazione infedele e Art. 5 – Omessa dichiarazione), anche alla luce della sentenza 13 maggio-5 giugno 2015, n. 100 della Corte Costituzionale, la presentazione di una dichiarazione integrativa non elide la responsabilità del contribuente per il reato di cui all’art. 4, D.lgs. n. 74/2000: in proposito ricordiamo specificatamente la sentenza n. 23810/2019 della Corte di Cassazione (Sez. III Pen.).

Il punto, nuovo e particolarmente interessante della decisione odierna, riguarda l’accesso al rito dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, che deve ritenersi ammissibile solo quando i debiti tributari sono stati comunque estinti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Il pagamento effettuato entro tale termine, continuano i Supremi Giudici, non costituisce una causa di non punibilità, come di fatto avviene per i reati di omesso versamento e di indebita compensazione (articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater), per i quali si assisterebbe all’estinzione per la mancanza dell’elemento oggettivo del reato con conseguente assoluzione dell’imputato.

Si tratta, in definitiva, di un approfondimento più puntuale e innovativo che in parte supera le recenti interpretazioni che affermavano che anche per i reati appena citati l’eventuale estinzione dei debiti tributari mediante il loro integrale pagamento in un momento anteriore, non costituirebbe una condizione necessaria per accedere al patteggiamento. Tesi peraltro recentemente affermata in sede di legittimità dalla sentenza n. 41133/2019, che ricordava che “… il completo pagamento integra un’ipotesi di non punibilità e non un filtro di accesso alla procedura”.

In buona sostanza si riteneva che la previsione normativa che subordina l’applicazione del patteggiamento al pagamento del debito tributario (art. 13-bis, comma 2, D.lgs. 74/2000) non si applica ai reati di dichiarazione infedele, omessa presentazione e occultamento o distruzione di scritture contabili: per questi ultimi il patteggiamento deve essere accordato senza alcun pagamento del debito in quanto si tratta di illeciti che di per sé non determinano un debito di imposta.

Tanto premesso, e tornando al caso in dibattimento, un contribuente legale rappresentante di una società era indagato per omesso versamento IVA in violazione dell’art. 5 del D.lgs. n. 74/2000.

Al termine delle indagini, ritenuta provata la colpevolezza dell’imputato, si apriva a suo carico un procedimento penale nelle cui more, entro i termini prescritti, la difesa richiedeva e otteneva l’accesso al rito premiale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444, c.p.p. e ss.), senza aver provveduto al pagamento dell’imposta. Il Tribunale competente, quindi, concludeva il primo grado di giudizio con l’applicazione della pena concordata con la pubblica accusa, ridotta per il rito, con contestuale riconoscimento dei benefici di legge. Il Procuratore della Repubblica, però, impugnava tale pronuncia denunciando che il rito del patteggiamento non era applicabile alla vicenda esaminata, in assenza dei presupposti attesi dall’articolo 13-bis, D.lgs. n. 74/2000, ossia del mancato pagamento del debito o del mancato verificarsi del ravvedimento operoso.

I Giudici della Cassazione, ritenendo fondata detta doglianza, hanno precisato che “ … Per una più agevole comprensione della ricostruzione del sistema, è utile procedere ad una esposizione dei dati normativi rilevanti. Innanzitutto, l’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, fissa in termini generali, per tutti i delitti previsti dal medesimo provvedimento normativo, il seguente presupposto di accesso al rito del c.d. “patteggiamento”: «Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2». L’art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, a sua volta, così tipizza la circostanza indicata nel comma 2 quale presupposto per accedere al rito del c.d. “patteggiamento”: «Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie». Le cause di non punibilità, poi, sono previste dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, sulla base di presupposti diversi per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, da un lato, e per i delitti di cui agli artt. 4 e 5, dall’altro.  Precisamente, a norma dell’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, «i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».  A norma dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, invece, «i reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali». Dalla combinazione di tutte le disposizioni indicate, risulta innanzitutto evidente che problemi di ammissibilità del c.d. “patteggiamento”, per i delitti di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non si pongono quando il pagamento del debito tributario dà luogo ad una causa di non punibilità a norma dell’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, perché in tal caso il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione, in linea con quanto disposto dall’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. Ciò premesso, operando il raffronto tra gli elementi costituivi della circostanza di cui all’art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, la cui verificazione è presupposto per l’accesso al rito del c.d. “patteggiamento”, e gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, del medesimo d.lgs., per i reati previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10- quater, comma 1, emerge una totale sovrapposizione. Ne discende che, per i reati appena indicati, l’estinzione integrale dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado dà luogo alla causa di non punibilità, in quanto prevista da una norma che è speciale rispetto a quella relativa alla circostanza attenuante ad effetto speciale: ed infatti, in presenza dei medesimi presupposti, mentre l’art. 13-bis, comma 1, prevede la diminuente per tutti i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, l’art. 13, comma 1, si riferisce ad un sottoinsieme di fattispecie comprese in quella categoria, prefigurando una causa di non punibilità esclusivamente per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1.  Di conseguenza, per i reati appena indicati, l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del c.d. “patteggiamento” perché, se si verifica, dà luogo, in ogni caso, alla causa di non punibilità. In presenza delle indicate fattispecie, quindi, l’alternativa è o ritenere preclusa in radice la definibilità del procedimento penale a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., o, al contrario, ammetterla, ma senza richiedere il preventivo pagamento del debito tributario. La prima soluzione, però, sembra poco plausibile perché l’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nei suoi enunciati testuali, non fissa, in linea generale e programmatica, un divieto generale di accesso al c.d. “patteggiamento” per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1. Diversamente deve ritenersi con riferimento ai reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000.  Innanzitutto, per questi delitti, è giuridicamente ed empiricamente ipotizzabile ritenere che l’accesso al rito di cui all’art. 444 cod. proc. pen. sia subordinato al verificarsi della circostanza di cui all’art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000. Invero, la causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, d.lgs. cit. si verifica esclusivamente se l’integrale pagamento del debito è effettuato: a) in collegamento con il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo; b) «sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali». È quindi evidente che, per i reati in questione, il pagamento del debito tributario effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma dopo della formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, non potrà integrare la causa di non punibilità, ma solo la circostanza attenuante ad effetto speciale.  Inoltre, la ricostruzione secondo cui l’adempimento del debito tributario è condizione necessaria per accedere al rito di cui all’art. 444 cod. proc. pen. appare coerente con il dato normativo. Ed infatti, la deroga alla necessità dell’avvenuto integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado quale presupposto per la definizione del processo nelle forme del c.d. “patteggiamento” è prevista dall’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. cit. non in relazione a tipologie di reato puntualmente richiamate, ma avendo riguardo alla integrazione di una delle «ipotesi» previste dall’art. 13, e, quindi, sembra far riferimento all’avvenuta integrazione di una causa di non punibilità.  Ancora, l’esito ermeneutico di soluzioni differenziate per le fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, rispetto alle fattispecie di cui agli artt. 4 e 5, peraltro, non solo è logicamente e sistematicamente ammissibile e risulta coerente con il dato normativo, ma appare giustificabile anche alla luce della diversa gravità delle fattispecie. Invero, mentre i delitti di cui agli artt. 10- bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, sono tutti puniti con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, i delitti di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 sono puniti, il primo, con la reclusione da uno a tre anni, e, il secondo, con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni. Ritenuto che, per i reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. cod. proc. pen. è ammissibile solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, deve affermarsi che la sentenza impugnata ha illegalmente determinato la pena, applicando la diminuente del rito in assenza dei presupposti necessari.

Invero, come risulta immediatamente già dall’intestazione della sentenza impugnata, l’imputato non ha ripianato nemmeno parzialmente il debito tributario. Fondate, poi, sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che deducono l’illegalità della pena per la mancata applicazione della confisca obbligatoria. Ed infatti, a norma dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, «nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto». In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con restituzione degli atti al Tribunale di Livorno”.

Sentenza 21 novembre 2019, n. 47287

Sul ricorso proposto da Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze nel procedimento nei confronti di C. M. E., nato in Turchia il 03/01/1974 avverso la sentenza in data 21/02/2019 del Tribunale di Livorno

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. 

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 21 febbraio 2019, il Tribunale di Livorno, in composizione monocratica, ha applicato a M.E.C. la pena di un anno e quattro mesi di reclusione condizionalmente sospesa, a norma dell’art. 444 e ss. cod. proc. pen., in ordine al reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, commesso quale legale rappresentante della società “M.K.P. s.r.l.” con riferimento alla dichiarazione I.V.A. per l’anno di imposta 2012, determinando una evasione a tale titolo di 167.603,00 euro.

La sentenza impugnata ha omesso di disporre confisca.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze, articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge per illegalità della pena, avendo riguardo alla inapplicabilità, nella specie, del rito del patteggiamento per difetto dei presupposti previsti dall’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000.

Si deduce che l’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000 esclude la possibilità di accedere al rito di cui all’artt. 444 e ss. cod. proc. pen. quando non vi sia stato integrale pagamento del debito o ravvedimento operoso e che tale violazione determina l’illegalità della pena.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge per illegalità della pena, avendo riguardo alla mancata applicazione della confisca obbligatoria prevista dall’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000.

Si deduce che, in caso di reato di omessa dichiarazione, la confisca deve essere obbligatoriamente ordinata stante il disposto di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Fondate, innanzitutto, sono le censure esposte nel primo motivo, che deducono l’illegalità della pena per l’inapplicabilità del rito del c.d. “patteggiamento”, per il mancato pagamento del debito o per il mancato verificarsi del ravvedimento operoso.

2.1. Ad avviso del Collegio, per i reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. cod. proc. pen. deve ritenersi ammissibile, a norma dell’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, solo quando, pur non sussistendo più i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13 d.lgs. cit., i debiti tributari sono stati comunque estinti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

Va precisato che la soluzione accolta segue ad una ricostruzione del dettato normativo che non intende in alcun modo porsi in contrasto con il principio, già affermato in sede di legittimità, secondo cui in relazione al delitto di omesso versamento dell’IVA, l’estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento, da effettuarsi prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità del patteggiamento ai sensi dell’art. 13-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’art. 13, comma 1, configura detto comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili (così Sez. 3, n. 38684 del 12/04/2018, Incerti, Rv. 273607-01).

2.2. Per una più agevole comprensione della ricostruzione del sistema, è utile procedere ad una esposizione dei dati normativi rilevanti.

Innanzitutto, l’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, fissa in termini generali, per tutti i delitti previsti dal medesimo provvedimento normativo, il seguente presupposto di accesso al rito del c.d. “patteggiamento”: «Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2».

L’art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, a sua volta, così tipizza la circostanza indicata nel comma 2 quale presupposto per accedere al rito del c.d. “patteggiamento”: «Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie».

Le cause di non punibilità, poi, sono previste dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, sulla base di presupposti diversi per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, da un lato, e per i delitti di cui agli artt. 4 e 5, dall’altro.

Precisamente, a norma dell’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, «i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».

A norma dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, invece, «i reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali».

2.3. Dalla combinazione di tutte le disposizioni indicate, risulta innanzitutto evidente che problemi di ammissibilità del c.d. “patteggiamento”, per i delitti di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non si pongono quando il pagamento del debito tributario dà luogo ad una causa di non punibilità a norma dell’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, perché in tal caso il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione, in linea con quanto disposto dall’art. 444, comma 2, cod. proc. pen.

Ciò premesso, operando il raffronto tra gli elementi costituivi della circostanza di cui all’art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, la cui verificazione è presupposto per l’accesso al rito del c.d. “patteggiamento”, e gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, del medesimo d.lgs., per i reati previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10- quater, comma 1, emerge una totale sovrapposizione. Ne discende che, per i reati appena indicati, l’estinzione integrale dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado dà luogo alla causa di non punibilità, in quanto prevista da una norma che è speciale rispetto a quella relativa alla circostanza attenuante ad effetto speciale: ed infatti, in presenza dei medesimi presupposti, mentre l’art. 13-bis, comma 1, prevede la diminuente per tutti i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, l’art. 13, comma 1, si riferisce ad un sottoinsieme di fattispecie comprese in quella categoria, prefigurando una causa di non punibilità esclusivamente per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1.

Di conseguenza, per i reati appena indicati, l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del c.d. “patteggiamento” perché, se si verifica, dà luogo, in ogni caso, alla causa di non punibilità.

In presenza delle indicate fattispecie, quindi, l’alternativa è o ritenere preclusa in radice la definibilità del procedimento penale a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., o, al contrario, ammetterla, ma senza richiedere il preventivo pagamento del debito tributario. La prima soluzione, però, sembra poco plausibile perché l’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nei suoi enunciati testuali, non fissa, in linea generale e programmatica, un divieto generale di accesso al c.d. “patteggiamento” per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1.

Diversamente deve ritenersi con riferimento ai reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000.

Innanzitutto, per questi delitti, è giuridicamente ed empiricamente ipotizzabile ritenere che l’accesso al rito di cui all’art. 444 cod. proc. pen. sia subordinato al verificarsi della circostanza di cui all’art. 13-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000. Invero, la causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, d.lgs. cit. si verifica esclusivamente se l’integrale pagamento del debito è effettuato: a) in collegamento con il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo; b) «sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali». È quindi evidente che, per i reati in questione, il pagamento del debito tributario effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma dopo della formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, non potrà integrare la causa di non punibilità, ma solo la circostanza attenuante ad effetto speciale.

Inoltre, la ricostruzione secondo cui l’adempimento del debito tributario è condizione necessaria per accedere al rito di cui all’art. 444 cod. proc. pen. appare coerente con il dato normativo. Ed infatti, la deroga alla necessità dell’avvenuto integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado quale presupposto per la definizione del processo nelle forme del c.d. “patteggiamento” è prevista dall’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. cit. non in relazione a tipologie di reato puntualmente richiamate, ma avendo riguardo alla integrazione di una delle «ipotesi» previste dall’art. 13, e, quindi, sembra far riferimento all’avvenuta integrazione di una causa di non punibilità.

Ancora, l’esito ermeneutico di soluzioni differenziate per le fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, rispetto alle fattispecie di cui agli artt. 4 e 5, peraltro, non solo è logicamente e sistematicamente ammissibile e risulta coerente con il dato normativo, ma appare giustificabile anche alla luce della diversa gravità delle fattispecie. Invero, mentre i delitti di cui agli artt. 10- bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, sono tutti puniti con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, i delitti di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 sono puniti, il primo, con la reclusione da uno a tre anni, e, il secondo, con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.

2.4. Ritenuto che, per i reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. cod. proc. pen. è ammissibile solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, deve affermarsi che la sentenza impugnata ha illegalmente determinato la pena, applicando la diminuente del rito in assenza dei presupposti necessari.

Invero, come risulta immediatamente già dall’intestazione della sentenza impugnata, l’imputato non ha ripianato nemmeno parzialmente il debito tributario.

3. Fondate, poi, sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che deducono l’illegalità della pena per la mancata applicazione della confisca obbligatoria.

Ed infatti, a norma dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, «nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».

4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con restituzione degli atti al Tribunale di Livorno.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Livorno. Così deciso il 02/10/2019

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