CASSAZIONE SENTENZE

Il Fisco deve rimborsare il contribuente per il costo sostenuto per la fideiussione

Tributi – Attività di somministrazione di prodotti alimentari – Restituzione degli oneri sostenuti per le fideiussioni – Articolo 8, comma 4, Legge n. 212/2000 – Dichiarazione annuale IVA – Rimborso dei tributi – Portata generale del diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria – Accoglimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9743 del 12 aprile 2023 è tornata a esprimersi sulla restituzione dei costi relativi alla fideiussione prestata, ex artt. 30 e 38-bis del DPR 633/1972, in riferimento al credito IVA chiesto a rimborso con le istanze trimestrali e in sede di dichiarazione annuale. Gli Ermellini hanno confermato il diritto alla restituzione dei costi relativi alla fideiussione prestata, a prescindere dalla controversia tributaria alla quale si riferiscono.

Trattasi dunque di rimborso che “va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata”. Lo stesso art. 8, comma 4, della legge 212/2000 prevede che “con decreto del Ministro delle finanze … sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo”; il successivo art. 18 prevede, poi, che il decreto di cui all’art. 8 debba essere emanato entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dello Statuto.

In via preliminare va osservato che sino a prima dell’entrata in vigore dell’art. 7, legge 167/2017, la materia de qua era interamente disciplinata dal citato art. 8, c. 4, L. 212/2000, in base al quale l’Erario è tenuto a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere, fra l’altro, il rimborso dei tributi quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata.

Tale disposizione esprime il principio della tutela dell’integrità patrimoniale: invero, “qualora il credito da garantire non dovesse in effetti concretizzarsi, anche la fideiussione che lo accompagna perde la sua stessa valenza economica, e quindi il costo sostenuto per quest’ultima diviene un pregiudizio economicamente ingiustificato per colui che lo ha sostenuto, e cioè il contribuente”.

Al riguardo si ricorda che il citato art. 8 dello Statuto del contribuente impone all’Amministrazione finanziaria di restituire il costo delle garanzie che il contribuente “ha dovuto richiedere” per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso di tributi. La portata della disposizione statutaria era stata chiarita in passato dalla Cassazione, Sez. V, n. 16409/2015, a mente della quale “la norma comprende i costi di tutte le fideiussioni che il contribuente ha richiesto”, dovendosi intendere l’espressione “ha dovuto richiedere” con riferimento all’onere della richiesta della fideiussione in rapporto allo scopo perseguito.

Richiamando i precedenti in materia (Cass. 19751/2013) viene evidenziato come l’espressione “ha dovuto richiedere” non implica l’esistenza di un obbligo normativo in tal senso, ma va riferita alla necessità – intesa come onere – della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito: ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso.

Ma è proprio qui che si evidenzia una certa problematica attuativa, visto che secondo una prima interpretazione, in assenza del decreto ministeriale sono paralizzati i doveri di rimborso e il corrispondente diritto del contribuente o, comunque, la loro attuazione.

In altri termini, l’emanazione del regolamento viene considerata come conditio sine qua non per attuare il rimborso. In merito alla portata della norma riportata, la Cassazione ha affermato che tale obbligo di rimborso comprende i costi di tutte le garanzie che il contribuente ha richiesto: l’espressione “ha dovuto richiedere”, infatti, si deve intendere non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo in tal senso, bensì con riferimento alla necessità – intesa come onere – “della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito”, vale a dire ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso (ordinanza n. 5508/2020, in linea con la sentenza n. 16409/2015).

Sull’argomento si segnala altresì la pronuncia n. 19751/2013, con la quale gli Ermellini riconoscono portata generale al diritto al rimborso dei costi per le polizze fideiussorie indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria, “(sia che la stessa debba individuarsi con riferimento al credito d’imposta vantato dal contribuente, sia che debba invece individuarsi, come nella specie, con riferimento all’imposta o maggiore imposta pretesa dall’Amministrazione finanziaria in seguito all’avvenuto rimborso del credito IVA)”; anche nell’Ord. 11135/2019 ricordano che “… a prescindere dell’emanazione dei decreti ministeriali d’attuazione, considerato che, anche secondo una pluralità di riferimenti normativi (D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68; D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 18 e 19; art. 282 c.p.c., richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1), che le sentenze delle Commissioni tributarie concernenti atti impositivi sono immediatamente efficaci”.

Appare evidente quanto, nei precedenti giurisprudenziali, venga ricordato con regolarità (v. Sent. n. 4113/2021) come la Corte di Cassazione abbia affermato la validità operativa dell’art. 8, c. 4, della L. 212/2000, e come tale norma abbia natura immediatamente precettiva:“… prevedendo il diritto al rimborso del costo delle fideiussioni richieste dal contribuente nei casi indicati e imponendo all’amministrazione finanziaria l’obbligo di provvedere quando sia definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura inferiore a quella accertata: si tratta di una disciplina in sé sufficientemente compiuta – essendo stabiliti i presupposti dell’insorgenza del diritto al rimborso, il suo oggetto, il soggetto tenuto a provvedere e il soggetto avente diritto -, tale da attribuire al contribuente un diritto soggettivo perfetto, posto a tutela della sua integrità patrimoniale”. Anche l’omessa emanazione del decreto ministeriale previsto non è idonea a impedire l’operatività immediata del precetto,“… considerando che le disposizioni di attuazione ivi contenute non possono che riguardare, data la rilevata compiutezza della disciplina primaria, aspetti di natura meramente pratico-operativa, la cui mancata regolamentazione non può ritenersi ostativa all’esecuzione del rimborso”.

In linea con quest’indirizzo si pone anche Cassazione, n. 19751/2013, che ha riconosciuto portata generale al diritto al rimborso dei costi per le polizze fideiussorie indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria “sia che la stessa debba individuarsi con riferimento al credito d’imposta vantato dal contribuente, sia che debba invece individuarsi, come nella specie, con riferimento ai costi sopportati per il rilascio di una polizza fideiussoria a prima richiesta”. 

Una diversa opzione, in effetti, frustrerebbe l’esigenza presidiata dalla disposizione di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute e, per conseguenza, rischierebbe di entrare in frizione col diritto unionale. Il diritto al rimborso dei costi sostenuti per la polizza fideiussoria è legato alla definitività dell’accertamento della non debenza del tributo, sia che questa dipenda da vizi procedurali o da vizi sostanziali (v. Cass. n. 16409/2015).

La giurisprudenza di merito, sviluppatasi in senso favorevole ai contribuenti, ha poi precisato, riprendendo le argomentazioni della Cassazione, che non è fondata la distinzione tra rimborso IVA c.d. “accelerato” e altri rimborsi, come quello relativo a contenzioso pendente, posto che tutti devono intendersi coperti dall’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 8, c. 4, L. 212/2000.

Del resto, “il mancato riconoscimento del rimborso di tali oneri si risolverebbe in una ulteriore tassazione a carico dei contribuenti che si trovano in una posizione creditoria nei confronti dello Stato, penalizzandoli ingiustamente rispetto ad altri” (v. CTP Bergamo, n. 133/2017). Cionondimeno, negli ultimi anni si è fatto strada un opposto orientamento della giurisprudenza di merito (v. C.T.P. Roma, n. 12295/2017) che ha assunto una posizione in contrasto a quella manifestata dalla Suprema Corte e che si incentra, di fatto, sulla facoltatività del rimborso IVA accelerato, ex art. 38-bis, DPR 633/1972, in luogo di quello ordinario, ex art. 30, dal che ne viene fatta derivare la non rimborsabilità degli oneri connesse alle garanzie prestate in quanto frutto di una scelta del contribuente.

I ragionamenti sulla norma statutaria devono essere però posti e interpretati alla luce delle disposizioni della Direttiva IVA, come interpretate dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

A tal proposito costituisce principio ribadito in più occasioni quello secondo cui il rimborso dell’IVA può essere eseguito con “modalità […] devono segnatamente consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza di IVA, il che implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole mediante pagamento con somme liquide di denaro o in un modo equivalente, e che, inogni caso, il sistema di rimborso adottato non deve far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (v. C-25/07; C-525/11; C-387/16)”. Una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il diritto unionale e con il principio di neutralità fiscale sancito dalla Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA).

L’eventuale svantaggio economico in cui è incorso il contribuente per l’ottenimento di un rimborso IVA deve sempre essere compensato con il pagamento di interessi (causa C-107/10): al riguardo dobbiamo ricordare anche che l’inerzia dell’Italia nell’adeguare le proprie procedure interne di rimborso agli standard imposti dalla Direttiva IVA ha costretto la Commissione europea ad avviare una procedura di infrazione (n. 4080/2013, in relazione all’art. 138 della Direttiva IVA).

I Supremi Giudici, anche in base a questo consolidato orientamento europeo della Corte di giustizia, hanno poi richiamato l’esigenza di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute, in linea con le disposizioni del diritto unionale. 

Si segnala infine l’ordinanza 5508/2020, dove la Suprema Corte si era pronunciata sul ristoro degli oneri connessi alla prestazione delle garanzie ai fini della procedura di rimborso IVA accelerata, affermandone a chiare lettere la rimborsabilità nel pieno rispetto del principio di tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente, come sancito dall’art. 8, comma 4, della legge 212/2000, nonché in aderenza ai principi formulati dalla Corte di Giustizia Ue in materia.

Tanto premesso e tornando al caso di specie, si rivolgeva alla giustizia tributaria un contribuente titolare di una S.p.a. che non aveva ottenuto il rimborso degli oneri sostenuti per le fideiussioni presentate ex art. 38-bis, comma 1, DPR 633/1972 in riferimento al rimborso del credito maturato nei quattro trimestri dell’anno d’imposta, richiesto con istanze trimestrali e con la dichiarazione annuale IVA.

Tanto il giudice di prime cure quanto quello di appello condividevano l’operato dell’Amministrazione finanziaria, secondo la quale il diritto al rimborso dei costi delle fideiussioni sussiste solo nei casi di garanzie prestate dal contribuente nell’ambito dell’attività di accertamento e non anche in caso di richiesta di rimborso IVA annuale esposto in dichiarazione. Da qui il ricorso presentato in Cassazione, composto da unico motivo in cui, essenzialmente, si lamentava la violazione e falsa applicazione della norma e per aver la CTR mancato di interpretare correttamente tale previsione normativa, il cui testo, generico e onnicomprensivo, non si riferisce a particolari imposte né a specifiche tipologie di rimborsi e, dunque, è correttamente applicabile a tutte le fideiussioni prestate in ragione della richiesta di rimborsi d’imposta.

La Suprema Corte ha condiviso questa interpretazione sentenziando che “…Questa Corte, con l’ordinanza Sez. 5 n. 5508 del 28/02/2020 ha statuito che in tema di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto UE. 6. In precedenza la Corte di cassazione “(con sentenza 5 agosto 2015, n. 16409) ha già avuto occasione di stabilire che l’art. 8, comma 4, della l. n. 212 del 2000, che impone all’amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle garanzie fideiussorie richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, comprende i costi di tutte le garanzie che il contribuente ha richiesto: ciò perché l’espressione “ha dovuto richiedere” si deve intendere non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo in tal senso, bensì con riferimento alla necessità (intesa come onere) della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito (ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso). 2.1. – Diversamente da quanto sostenuto in ricorso dall’Agenzia, si pone in linea con quest’indirizzo anche Cass. 28 agosto 2013, n. 19751, che ha riconosciuto portata generale al diritto al rimborso dei costi per le polizza fideiussorie indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria “(sia che la stessa debba individuarsi con riferimento al credito d’imposta vantato dal contribuente, sia che debba invece individuarsi, come nella specie, con riferimento alla imposta o maggiore imposta pretesa dall’Amministrazione finanziaria in seguito all’avvenuto rimborso del credito IVA). 3. – Una diversa opzione in effetti frustrerebbe l’esigenza presidiata dalla disposizione di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute, e, per conseguenza, rischierebbe di entrare in frizione col diritto unionale. 3.1. – E ciò in base al consolidato orientamento della Corte di giustizia, in base al quale gli Stati membri indubbiamente dispongono di una certa libertà quanto alla determinazione delle modalità di rimborso dell’eccedenza di iva, purché, però, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte Giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, Glencore Agriculture Hungary, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok 3, punto 33). 3.2. – Il sistema italiano dei rimborsi iva, d’altronde, ha indotto la Commissione Europea a promuovere nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione (la n. 2013/4080), giusta allo stadio della messa in mora ex art. 258 del TFUE. Secondo la Commissione la combinazione degli artt. 30 e 38bis d.p.r. 633 del 1972, nel testo all’epoca vigente, non soltanto contemplava il termine finale di tre mesi per l’erogazione del rimborso in relazione a categorie troppo ristrette di contribuenti, ma subordinava l’erogazione del rimborso, a norma dell’art. 38-bis, 10 co., a requisiti eccessivamente onerosi, ossia alla prestazione di una garanzia (cauzione, fideiussione o polizza fideiussoria) per una durata di tre anni. 3.3.- Il legislatore italiano ha dovuto quindi modificare l’assetto dei rimborsi per fronteggiare la messa in mora: ha dapprima novellato il comma 1 dell’art. 38-bis escludendo la necessità della prestazione di garanzia, salvo casi specifici (art. 13 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175); poi ha elevato da 15.000 a 30.000 Euro la soglia dei rimborsi eseguibili senza alcun adempimento (art. 7quater, comma 32, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, conv., con mod., dalla l. 1 dicembre 2016, n. 225); infine, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso presenti profili di rischio e continui a essere tenuto alla prestazione di una garanzia, ha previsto il versamento di una somma forfetaria a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, per ogni anno di durata di questa, da corrispondere quando sia stata definitivamente accertata la spettanza del rimborso (art. 7 l. 20 novembre 2017, n. 167). 3.4. – L’interpretazione dell’art. 8 della L. n. 212 del 2000 offerta da Cass. n. 16409/15, e qui condivisa, dunque, si presenta come soluzione preferibile, anche alla luce del diritto unionale.” (cfr. Cass. n. 5508/2020). 7. A tale orientamento va data continuità anche nel caso di specie, non essendovi ragioni per discostarsi dall’iter argomentativo sopra riportato, specificando il principio di diritto nel senso che, in materia di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, richiesta dal contribuente al fine di ottenere il rimborso dei tributi, ha portata generale indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria, e non va pertanto riconosciuto esclusivamente per le spese relative a garanzie acquisite nell’ambito di una specifica attività di accertamento del tributo stesso. In applicazione del principio, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto ex art. 348 c.p.c., la controversia può inoltre essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente relativa. 8. Le spese dei due gradi di merito devono essere compensate in considerazione del consolidamento della giurisprudenza in data successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, mentre le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo”.

Corte di Cassazione – Sentenza 12 aprile 2023, n. 9743

sul ricorso (Omissis) proposto da:

società I.I. S.p.a elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell’avvocato (Omissis), che lo rappresenta e difende;

 – ricorrente –

contro

L’Agenzia delle entrate del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza (Omissis)della COMM.TRIB.REG. di Milano depositata il (Omissis);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del (Omissis)  da (Omissis)

Fatti di causa

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia veniva rigettato l’appello proposto dalla società I.I. S.p.a., svolgente attività di somministrazione di prodotti alimentari, avverso la sentenza n. 4533/18/2017 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale aveva rigettato il ricorso introduttivo avente ad oggetto il diniego di rimborso presentato ex art. 8 comma 4 D.Lgs. n. 212 del 2000, al fine di ottenere la restituzione degli oneri sostenuti per le fideiussioni presentate ex art. 38bis, comma 1, d.p.r. 633 del 1972 in riferimento al rimborso del credito maturato nei quattro trimestri dell’anno di imposta 2008 richiesto con istanze trimestrali e con la dichiarazione annuale IVA.

2. Tanto il giudice di prime cure quanto quello di appello condividevano l’operato dell’Amministrazione finanziaria, secondo la quale il diritto al rimborso dei costi delle fideiussioni sussiste solo nei casi di garanzie prestate dal contribuente nell’ambito dell’attività di accertamento e non anche in caso di richiesta di rimborso IVA annuale esposto in dichiarazione ex artt. 30 e 38bis d.p.r. 633 del 1972.

3. Avverso la sentenza d’appello la contribuente propone ricorso, affidato ad un unico motivo, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Ragioni della decisione

4. Con l’unico motivo di ricorso si deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, l. 212/2000 per aver la CTR mancato di interpretare correttamente tale previsione normativa, il cui testo, generico ed onnicomprensivo, non si riferisce a particolari imposte né a specifiche tipologie di rimborsi e, dunque, è corretto applicarla a tutte le fideiussioni prestate in ragione della richiesta di rimborsi d’imposta.

5. Il motivo è fondato.

Questa Corte, con l’ordinanza Sez. 5 n. 5508 del 28/02/2020 ha statuito che in tema di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto UE.

6. In precedenza la Corte di cassazione “(con sentenza 5 agosto 2015, n. 16409) ha già avuto occasione di stabilire che l’art. 8, comma 4, della l. n. 212 del 2000, che impone all’amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle garanzie fideiussorie richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, comprende i costi di tutte le garanzie che il contribuente ha richiesto: ciò perché l’espressione “ha dovuto richiedere” si deve intendere non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo in tal senso, bensì con riferimento alla necessità (intesa come onere) della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito (ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso).

2.1. – Diversamente da quanto sostenuto in ricorso dall’Agenzia, si pone in linea con quest’indirizzo anche Cass. 28 agosto 2013, n. 19751, che ha riconosciuto portata generale al diritto al rimborso dei costi per le polizza fideiussorie indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria “(sia che la stessa debba individuarsi con riferimento al credito d’imposta vantato dal contribuente, sia che debba invece individuarsi, come nella specie, con riferimento alla imposta o maggiore imposta pretesa dall’Amministrazione finanziaria in seguito all’avvenuto rimborso del credito IVA).

3. – Una diversa opzione in effetti frustrerebbe l’esigenza presidiata dalla disposizione di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute, e, per conseguenza, rischierebbe di entrare in frizione col diritto unionale.

3.1. – E ciò in base al consolidato orientamento della Corte di giustizia, in base al quale gli Stati membri indubbiamente dispongono di una certa libertà quanto alla determinazione delle modalità di rimborso dell’eccedenza di iva, purché, però, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte Giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, Glencore Agriculture Hungary, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok 3, punto 33).

3.2. – Il sistema italiano dei rimborsi iva, d’altronde, ha indotto la Commissione Europea a promuovere nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione (la n. 2013/4080), giusta allo stadio della messa in mora ex art. 258 del TFUE.

Secondo la Commissione la combinazione degli artt. 30 e 38bis d.p.r. 633 del 1972, nel testo all’epoca vigente, non soltanto contemplava il termine finale di tre mesi per l’erogazione del rimborso in relazione a categorie troppo ristrette di contribuenti, ma subordinava l’erogazione del rimborso, a norma dell’art. 38-bis, 10 co., a requisiti eccessivamente onerosi, ossia alla prestazione di una garanzia (cauzione, fideiussione o polizza fideiussoria) per una durata di tre anni.

3.3. – Il legislatore italiano ha dovuto quindi modificare l’assetto dei rimborsi per fronteggiare la messa in mora: ha dapprima novellato il comma 1 dell’art. 38-bis escludendo la necessità della prestazione di garanzia, salvo casi specifici (art. 13 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175); poi ha elevato da 15.000 a 30.000 Euro la soglia dei rimborsi eseguibili senza alcun adempimento (art. 7quater, comma 32, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, conv., con mod., dalla l. 1 dicembre 2016, n. 225); infine, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso presenti profili di rischio e continui a essere tenuto alla prestazione di una garanzia, ha previsto il versamento di una somma forfetaria a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, per ogni anno di durata di questa, da corrispondere quando sia stata definitivamente accertata la spettanza del rimborso (art. 7 l. 20 novembre 2017, n. 167).

3.4. – L’interpretazione dell’art. 8 della L. n. 212 del 2000 offerta da Cass. n. 16409/15, e qui condivisa, dunque, si presenta come soluzione preferibile, anche alla luce del diritto unionale.” (cfr. Cass. n. 5508/2020).

7. A tale orientamento va data continuità anche nel caso di specie, non essendovi ragioni per discostarsi dall’iter argomentativo sopra riportato, specificando il principio di diritto nel senso che, in materia di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, richiesta dal contribuente al fine di ottenere il rimborso dei tributi, ha portata generale indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria, e non va pertanto riconosciuto esclusivamente per le spese relative a garanzie acquisite nell’ambito di una specifica attività di accertamento del tributo stesso.

In applicazione del principio, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto ex art. 348 c.p.c., la controversia può inoltre essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente relativa.

8. Le spese dei due gradi di merito devono essere compensate in considerazione del consolidamento della giurisprudenza in data successiva alla proposizione del ricorso introduttivo, mentre le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Si dà atto che, ai sensi del d.p.r. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Accoglie ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della società contribuente; Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la contro-ricorrente alla rifusione delle spese di lite di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre 200 Euro per spese borsuali, rimborso spese forfetarie 15%, Iva e Cpa

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