CASSAZIONE

Il Fisco deve provare la natura commerciale delle ASD

Associazione sportiva – Avviso di accertamento per IVA-IRPEG-IRAP – Disconoscimento del diritto all’esenzione ex lege n. 398 previsto dalla legge n. 398/1991 per le associazioni sportive dilettantistiche

La Corte di Cassazione, con la pronunzia n. 15479 del 26 luglio 2016, è intervenuta in relazione al disconoscimento del diritto all’esenzione previsto dalla legge n. 398/1991 per le associazioni sportive dilettantistiche, mediante apposito avviso di accertamento per IVA – ex IRPEG – IRAP, ricordando che spetta solo al Fisco disconoscere i benefici fiscali previsti per le ASD nel caso che l’attività istituzionale non sia prevalente rispetto a quella commerciale e, al contempo, ha ricordato che la mancanza dei libri sociali e contabili non fa testo. Infatti, l’avvenuta distruzione delle scritture contabili non dimostra che l’ente non commerciale debba essere per forza solo fittizio, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate. Potrebbe quindi risultare interessante, per chi volesse intraprendere un percorso di associazionismo sportivo, soffermarci brevemente sui particolari profili fiscali connessi all’organizzazione delle attività sportive. Negli ultimi anni, oltre all’introduzione di norme di carattere civilistico finalizzate a dare certezza giuridica all’associazionismo sportivo, numerosi sono stati i provvedimenti fiscali finalizzati a sostenere le società e le associazioni sportive dilettantistiche nello svolgimento della loro attività (art. 90, L. 289/2002; DL 72/2004, conv. in L. 128/2004). Inoltre, dal 1° gennaio 2015, con il nuovo regime di determinazione dell’IVA le Associazioni e le Società sportive dilettantistiche adottano il regime di cui alla legge 398/1991, in caso di emissione di fatture per sponsorizzazione. Anche il D.Lgs. 175/2014 (c.d. “decreto semplificazioni”), all’art. 29 modifica – questa volta davvero semplificando – la disciplina della detrazione IVA prevista per le sponsorizzazioni per le Associazioni e le Società sportive dilettantistiche, per le Pro Loco e altre Associazioni non profit che adottano il regime di cui alla legge 398/1991. Di conseguenza, l’attività sportiva dilettantistica in forma associata può essere esercitata sia sotto la forma giuridica di “associazione sportiva dilettantistica” (con o senza personalità giuridica), sia sotto la forma di “società sportiva dilettantistica” costituita nella forma di società di capitale o di società cooperativa senza scopo di lucro. Fondamentale per ottenere lo status di “associazione o società sportiva” e per poter usufruire delle agevolazioni fiscali, è l’iscrizione nell’apposito Registro nazionale tenuto dal CONI.

Ricordiamo brevemente che le agevolazioni previste a favore delle associazioni sportive dilettantistiche riguardano sia la semplificazione degli adempimenti contabili sia la determinazione del reddito e gli obblighi ai fini IVA. In particolare, le agevolazioni prevedono la determinazione forfetaria del reddito imponibile (sulla base di un coefficiente di redditività); un sistema forfetario di determinazione dell’IVA; l’esonero dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro degli inventari, registri IVA, scritture ausiliarie e di magazzino, registro beni ammortizzabili); l’esonero dalla redazione dell’inventario e del bilancio; l’esonero dagli obblighi di fatturazione e registrazione (tranne che per sponsorizzazioni, cessione di diritti radio-Tv e pubblicità).

Ai fini IVA le ASD devono istituire solo il registro previsto dal DM 11 febbraio 1997, in cui vanno annotate, entro il 15° giorno di ogni mese, tutte le entrate conseguite nel mese precedente (art. 9, comma 3, DPR n. 544/1999), mentre ai fini civilistici i libri sociali da tenere sono due: il libro soci  e il libro verbali assemblee. Affinché l’associazione possa accedere al regime fiscale agevolato è necessario che nel periodo d’imposta precedente siano stati conseguiti, nell’esercizio di attività commerciali, proventi per un importo non superiore a 250.000 euro. In questo limite occorre tener conto dei ricavi, delle sopravvenienze attive e dei contributi erogati da pubbliche amministrazioni per l’esercizio dell’attività commerciale; non si considerano, invece, le indennità percepite per la preparazione e l’addestramento nel caso del trasferimento di un atleta da una società sportiva dilettantistica a una società professionistica.

Le associazioni sportive dilettantistiche sono assoggettate, in linea di principio, alla disciplina generale degli enti non commerciali che determinano il reddito in maniera forfetaria, applicando al totale dei ricavi conseguiti nell’esercizio delle attività commerciali un coefficiente di redditività variabile a seconda dell’attività svolta e dell’ammontare dei ricavi conseguiti. Per le associazioni è prevista un’ulteriore agevolazione dalla citata legge n. 398/1991, consistente in un coefficiente ancora più favorevole, per cui determinano il reddito sempre in maniera forfetaria, ma applicando ai proventi di natura commerciale un coefficiente di redditività molto più basso (3%); al reddito così determinato vanno aggiunte le plusvalenze patrimoniali. Un altro vantaggio è che i proventi commerciali conseguiti nello svolgimento di attività connesse agli scopi istituzionali e quelli derivanti dalla raccolta fondi non concorrono a formare il reddito imponibile fino a un importo complessivo di 51.645,69 euro per periodo d’imposta e per un massimo di 2 eventi all’anno. In ogni caso le associazioni sportive, anche se svolgono per la maggior parte del periodo d’imposta attività commerciale, non possono mai perdere la qualifica di “ente non commerciale”: questo non vale per le società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali che, anche se non perseguono il fine di lucro mantengono, dal punto di vista fiscale, la natura commerciale. Nei loro confronti, pertanto, non possono trovare applicazione le disposizioni relative agli enti non commerciali. Inoltre, le agevolazioni nel pagamento dell’IRAP consistono essenzialmente in deduzioni dalla base imponibile: i contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro; le spese relative agli apprendisti, ai disabili e al personale assunto con contratti di formazione lavoro; i compensi, i premi, i rimborsi forfetari e le indennità di trasferta corrisposti a sportivi dilettanti.

Le ASD sono, quindi, enti non commerciali. Ad esempio, non si considerano mai “commerciali” l’attività svolta nei confronti dei propri associati in conformità agli scopi istituzionali né le operazioni svolte in conformità allo statuto e in attuazione del fine istituzionale dell’ente, anche se comportano prestazioni dietro corrispettivi specifici.

Nel tornare alla pronunzia in oggetto, e riassumendone i fatti, ricordiamo che la CTR di Ancona aveva respinto l’appello dell’Agenzia – proposto contro la sentenza n. 61/07/2009 della CTP di Ascoli Piceno che aveva già accolto il ricorso dell’Associazione sportiva – annullando così l’avviso di accertamento per IVA-IRPEG-IRAP relativo al periodo d’imposta 1999, fondato sul disconoscimento del diritto all’esenzione previsto dalla legge n. 398/1991 e sulla mancanza (poi giustificata da distruzione per incendio) dei documenti e registri relativi all’attività associativa per le annualità antecedenti a quella qui in verifica. Inoltre, le difformità dello statuto associativo dallo schema previsto dalla legge e sull’assunto che la effettiva natura del soggetto giuridico (per le modalità del sua concreta manifestazione) erano ritenute idonee a evidenziare lo svolgimento di un’attività speculativa. I giudici tributari motivavano la decisione ritenendo che lo statuto dell’Associazione era stato redatto in ossequio alla normativa che consente la “decommercializzazione” e non sussistono clausole difformi rispetto a quelle richieste dalla legge. Inoltre, che la documentazione prodotta per gli anni di imposta 2001-2003 poteva essere considerata “indizio” della effettiva esistenza degli analoghi documenti relativi agli anni qui in considerazione, per quanto ne fosse stata dichiarata la distruzione, a causa di incendio, distruzione poi denunciata in data 27/1/2004 alla Questura di Ascoli Piceno. Infine, che – onerata la parte contribuente della prova “del possesso dei requisiti di legge che le consente di poter fruire dei benefici fiscali” e, per converso, onerato l’ufficio della prova “dell’esistenza di elementi che escludono il godimento di detti benefici” – non poteva ravvisarsi requisito imprescindibile quello della forma scritta dell’istanza di adesione degli associandi nel mentre i documenti prodotti – redatti in maniera esemplare – inducevano a ritenere sussistenti i requisiti minimi di conformità della gestione associativa al requisito democratico e mutualistico.

Per contro, l’Agenzia non aveva fornito la prova che l’associazione avesse svolto “attività istituzionalmente non prevista in quanto espletata a favore di terzi estranei (non soci), nel mentre la circostanza delle ulteriori somme mensili versate dai soci (oltre alla quota associativa) in ragione delle diverse prestazioni effettuate a loro favore da parte dell’ente associativo è perfettamente compatibile con la natura non lucrativa dell’ente stesso, atteso il disposto di cui all’art. 148 TUIR comma 3”.

L’Agenzia ha pertanto presentato ricorso per cassazione.

Gli Ermellini, nella sentenza n.15479/16, hanno voluto così ricordare che in relazione alla regola riguardante il riparto dell’onere della prova, spetta al contribuente dimostrare il possesso dei requisiti di legge che consentono di poter fruire dei benefici fiscali, mentre spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza di elementi che escludono il godimento di detti benefici. Lo svolgimento di attività commerciale prevalente rispetto a quella istituzionale, che esclude il godimento dei benefici fiscali, deve essere quindi documentata dal Fisco sulla base di elementi concreti e provati. L’ASD deve al contrario dimostrare la sussistenza di quegli elementi costitutivi che attribuiscono il diritto all’esenzione e che pertanto il Fisco ricorrente, “… con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 39 del DPR n. 600/1973; dell’art. 148 del DPR n. 917/1986 nonché dell’art. 2697 cod.civ.) la parte ricorrente lamenta che la Commissione di appello abbia erroneamente ritenuto che gravasse sull’Ufficio l’onere di provare che l’associazione avesse svolto attività di carattere commerciale, per quanto la norma dell’art. 148 TUIR preveda espressamente i casi nei quali le attività svolte dagli enti associativi non hanno rilevanza fiscale. Peraltro, per la fruizione del regime agevolato è necessaria non solo la astratta conformità delle previsioni statutarie, ma anche la conformità concreta dell’attività associativa alle previsioni dell’anzidetta norma. Alla luce di questo principio, la Commissione di appello ha – secondo la ricorrente – ‘del tutto omesso di conformare le proprie valutazioni alle risultanze probatorie del caso concreto’ ed ha disatteso il principio fondamentale circa la ripartizione dell’onere probatorio, considerando che sarebbe spettato alla contribuente fornire gli elementi utili a contrastare le risultanze dell’attività di verifica, onere in concreto non assolto. Dopo avere riepilogato i fatti accertati che avevano fatto propendere l’ufficio per l’attribuzione di natura commerciale all’attività svolta dall’associazione, ed avere trascritto passaggi significativi dell’atto di appello, la parte ricorrente è tornata a ribadire che se la CTR ‘avesse valutato concretamente e realmente le risultanze della verifica, il contenuto dell’avviso di accertamento e i numerosi e gravi indizi emersi a carico dell’associazione, non avrebbe potuto rigettare, come ha fatto, l’appello dell’Ufficio…’. Il motivo di impugnazione, nella sua composita formulazione (concretamente improntata alla identificazione di una pluralità di vizi riferiti alla pronuncia impugnata, tra i quali si sono evidenziati solo quelli nitidamente articolati) appare inammissibilmente proposto anche a voler prescindere dal rilievo della promiscuità”.

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CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 26 luglio 2016, n. 15479

Osserva

La CTR di Ancona ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 61/07/2009 della CTP di Ascoli Piceno che aveva già accolto il ricorso della “Y.C. – Associazione sportiva” – ed ha così annullato l’avviso di accertamento per IVA-IRPEG-IRAP, relative al periodo di imposta 1999, fondato sul disconoscimento del diritto all’esenzione previsto dalla legge n. 398/1991 per le associazioni sportive dilettantistiche, sulla mancanza (poi giustificata da distruzione per incendio) dei documenti e registri relativi all’attività associativa per le annualità antecedenti a quella qui in verifica; sulle difformità dello statuto associativo dallo schema previsto dalla legge e sull’assunto che la effettiva natura del soggetto giuridico (per le modalità del sua concreta manifestazione) fosse idonea evidenziare lo svolgimento di una attività speculativa.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo: a) che lo statuto dell’Associazione è redatto in ossequio alla normativa che consente la “decommercializzazione” e non sussistono clausole difformi rispetto a quelle richieste dalla legge; b) che la documentazione prodotta per gli anni di imposta 2001-2003 poteva essere considerata “indizio” della effettiva esistenza degli analoghi documenti relativi agli anni qui in considerazione, per quanto ne fosse stata dichiarata la distruzione, a causa di incendio, distruzione poi denunciata in data 27.1.2004 alla Questura di Ascoli Piceno; c) che -onerata la parte contribuente della prova “del possesso dei requisiti di legge che le consente di poter fruire dei benefici fiscali” e, per converso, onerato l’ufficio della prova “dell’esistenza di elementi che escludono il godimento di detti benefici” – non poteva ravvisarsi requisito imprescindibile quello della forma scritta dell’istanza di adesione degli associandi nel mentre i documenti prodotti – redatti in maniera esemplare – inducevano a ritenere sussistenti i requisiti minimi di conformità della gestione associativa al requisito democratico e mutualistico. Per contro l’Agenzia non aveva fornito la prova che l’associazione avesse svolto “attività istituzionalmente non prevista in quanto espletata a favore di terzi estranei (non soci), nel mentre la circostanza delle ulteriori somme mensili versate dai soci (oltre alla quota associativa) in ragione delle “diverse prestazioni effettuate a loro favore da parte dell’ente associativo è perfettamente compatibile con la natura non lucrativa dell’ente stesso, atteso il disposto di cui all’art. 148 TUIR comma 3.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte contribuente non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Ed invero, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 39 del DPR n. 600/1973; dell’art. 148 del DPR n. 917/1986 nonché dell’art. 2697 cod.civ.) la parte ricorrente lamenta che la Commissione di appello abbia erroneamente ritenuto che gravasse sull’Ufficio l’onere di provare che l’associazione avesse svolto attività di carattere commerciale, per quanto la norma dell’art. 148 TUIR preveda espressamente i casi nei quali le attività svolte dagli enti associativi non hanno rilevanza fiscale. Peraltro, per la fruizione del regime agevolato è necessaria non solo la astratta conformità delle previsioni statutarie, ma anche la conformità concreta dell’attività associativa alle previsioni dell’anzidetta norma. Alla luce di questo principio, la Commissione di appello ha – secondo la ricorrente – “del tutto omesso di conformare le proprie valutazioni alle risultanze probatorie del caso concreto” ed ha disatteso il principio fondamentale circa la ripartizione dell’onere probatorio, considerando che sarebbe spettato alla contribuente fornire gli elementi utili a contrastare le risultanze dell’attività di verifica, onere in concreto non assolto. Dopo avere riepilogato i fatti accertati che avevano fatto propendere l’ufficio per l’attribuzione di natura commerciale all’attività svolta dall’associazione, ed avere trascritto passaggi significativi dell’atto di appello, la parte ricorrente è tornata a ribadire che se la CTR “avesse valutato concretamente e realmente le risultanze della verifica, il contenuto dell’avviso di accertamento e i numerosi e gravi indizi emersi a carico dell’associazione, non avrebbe potuto rigettare, come ha fatto, l’appello dell’Ufficio…”.

Il motivo di impugnazione, nella sua composita formulazione (concretamente improntata alla identificazione di una pluralità di vizi riferiti alla pronuncia impugnata, tra i quali si sono evidenziati solo quelli nitidamente articolati) appare inammissibilmente proposto anche a voler prescindere dal rilievo della promiscuità.

Da un canto, la parte ricorrente si duole della violazione della regola attinente al riparto dell’onere della prova, ma senza riferire detta violazione al concreto argomentare del giudicante e rimanendo nei limiti della vaghezza e della genericità della critica. Quest’ultimo – d’altronde – non ha affatto addossato alla parte pubblica l’integrale debito della dimostrazione dei fatti ma solo degli “elementi che escludono il godimento dei benefici” (e cioè, come specificato nel seguito della motivazione della sentenza, le attività “istituzionalmente non previste” perché “espletate a favore di terzi estranei”), è perciò non ha affatto violato il principio secondo il quale incombe alla parte onerata in via principale la dimostrazione dei fatti costitutivi ed alla parte onerata in via secondaria la dimostrazione dei fatti impeditivi.

D’altro canto, la parte ricorrente – imputando al giudicante di non avere conformato le proprie valutazioni alle risultanze probatorie del caso concreto, peraltro senza specificarne il dettaglio – ha chiamato la Corte ad effettuare non già un controllo sulla corretta applicazione della regola in tema di riparto probatorio o un controllo sulla regolarità logica dell’iter argomentativo, ma addirittura una revisione della corretta e congrua selezione del materiale probatorio acquisito in atti e perciò ha non solo contraddetto la tipologia del vizio identificato in rubrica, ma anche invocato una verifica straripante rispetto ai compiti istituzionali della Corte, che non può spingersi alla revisione del giudizio sul merito qualificatorio della concreta vicenda di fatto.

Con il secondo motivo di impugnazione (improntato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante avrebbe omesso di esaminare la circostanza che l’associazione aveva – solo in data 27.1.2004, e perciò successivamente all’accesso dei funzionari, avvenuto il 12.12.2003 – presentato la denuncia di smarrimento dei documenti relativi alle annualità 1991-2001, siccome distrutte in occasione dell’incendio del 28.2.2001.

Anche detto secondo motivo appare inammissibilmente formulato.

A tacer del fatto che il giudicante ha espressamente dato atto nella pronuncia che la denuncia della distruzione era appunto datata 27.1.2004, ciò che appare rimarchevole ai fini del giudizio di inammissibilità è il fatto che la parte ricorrente non ha in alcun modo giustificato la qualificazione di decisività del fatto asseritamente eluso, qualificazione che peraltro non è neppure evidente “ex se”, sicché non è prospettata né prospettabile la ragione per la quale la decisione non avrebbe potuto non essere diversa ove mai il giudicante avesse dato il giusto rilievo al fatto che la parte ricorrente ha valorizzato.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Ritenuto inoltre:

– che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

– che la parte ricorrente ha depositato memoria con la quale insiste sulla fondatezza dei motivi di impugnazione, senza neppure argomentare a riguardo della proposta di inammissibilità del primo, rilievo che è da considerarsi dirimente ai fini della soluzione della questione controversa, siccome è stato correttamente evidenziato nella relazione dianzi trascritta;

– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

– che la decisione sostanzialmente processuale, non inficia i consolidati principi di Cass. 8623/12, 4872/15 ed altri.

– che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

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