CASSAZIONE FISCALITA

Il credito d’imposta si disconosce solo con l’accertamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5785 del 9 marzo 2018, ha confermato che non è sufficiente l’emissione di una cartella di pagamento per esigere il recupero di un credito d’imposta vantato dal contribuente ma disconosciuto dall’ufficio finanziario: in tali casi appare necessaria la predisposizione di un apposito avviso di recupero del credito o, almeno, la notifica di un avviso bonario.

Gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta manifestano una volontà impositiva dell’ufficio e assumono, pertanto, natura sostanzialmente accertativa. Tale circostanza è stata peraltro riconosciuta dalla giurisprudenza in diverse occasioni (si vedano, ex multis, Cass. 22/3/2011, n. 6582 e 3/11/2010, n. 22322; Cass. 9/6/2010, n. 138585; C.T.P Palermo 26/5/2005, n. 917), nonché confermata (seppur indirettamente) anche dall’Agenzia delle Entrate la quale, nella circolare 4/E/2010, ha precisato come gli avvisi in parola possano essere posti alla base della richiesta di misure cautelari ex articolo 22 del D.lgs. 472/1997, stante la loro “natura giuridica [di] atti autoritativi impositivi [recanti] una pretesa tributaria ormai definita, compiuta e non condizionata”. Per quanto sopra, dunque, qualora l’ufficio al termine della propria attività di verifica negasse la fruizione del credito d’imposta, il contribuente potrebbe proporre ricorso, essendo, tra l’altro, l’avviso di recupero il primo atto impositivo notificatogli.

Si tratta, in definitiva, di attività che comportano una preventiva verifica e delle valutazioni giuridiche che escludono che l’ufficio possa far ricorso alla procedura del mero controllo cartolare automatizzato. Al riguardo esistono altri precedenti giurisprudenziali, oltre quelli sopra cennati, peraltro ben noti, come quello affermato dalla S.C. – sentenza 19860 depositata il 5 ottobre 2016 – nel quale era confermato che “… Solo con un avviso di recupero motivato può essere negato un beneficio fiscale”. Gli Ermellini affermavano pure che l’azione del Fisco non poteva essere ricondotta al mero controllo cartolare in quanto implica, appunto, verifiche e valutazioni giuridiche, con la conseguenza che il disconoscimento del credito e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta deve avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica. Inoltre, risultava pacifico che se il disconoscimento del credito d’imposta deriva da un mero controllo formale ex art. 36-bis, DPR 600/73, è nulla la cartella di pagamento emessa dall’Agente della riscossione.

Le Sezioni Unite sono infine intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in merito affermando, con due distinte pronunzie – la n. 17757 e n. 17758 dell’8/9/2016 – che l’omissione della dichiarazione IVA da parte del soggetto passivo non comporta ex se la perdita del credito maturato nella stessa annualità (perdita che si verifica solo in assenza dei requisiti sostanziali del diritto alla detrazione), ma è onere del contribuente, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione (Cassazione, SS. UU., sentenza n. 17757 dell’8/9/2016).

I giudici di Piazza Cavour hanno anche ribadito che “…se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione negando la corrispondenza delle realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova” … “diversamente, se il contribuente non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione”.

Alla luce di tali considerazioni la Suprema Corte ha formulato il seguente principio di diritto: “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili”.

Anche la fattispecie decisa con la pronuncia n. 17758/2016 ha ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione IVA annuale, dove la parte contribuente aveva esposto un credito d’imposta riportato dall’annualità precedente rispetto alla quale, dall’interrogazione dell’Anagrafe tributaria, la dichiarazione IVA risultava essere stata omessa.

Le Sezioni Unite, sulla base di quanto previsto dall’art. 54-bis, comma 2, del DPR 633/1972, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “… In fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento, ben potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 54 bis e 60, (fatta salva, nel successivo giudizio d’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione a cura del contribuente che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili)” (Cassazione, SS. UU., sentenza n. 17758 del 08/09/2016).

Tornando al caso in esame, a una S.r.l. era notificata una cartella di pagamento con la quale si richiedeva un considerevole importo corrispondente a un credito d’imposta vantato dalla società, che l’Agenzia delle Entrate non aveva riconosciuto, negando quindi il diritto al rimborso IVA della contribuente. L’atto veniva impugnato e successivamente annullato dalla CTP, con decisione confermata dalla CTR, la quale evidenziava l’assenza di un avviso bonario che doveva precedere la cartella poi impugnata. In particolare, il giudice d’appello rilevava la necessità dell’instaurazione di un preventivo contraddittorio in casi, come nella specie, nei quali l’Ufficio riscontri errori o incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, venendo conseguentemente richiesta una somma diversa da quella dichiarata. L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza di secondo grado lamentando l’errore dei giudici di merito in quanto non ci sarebbero state incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione della società.

La Corte di Cassazione ha rigettato la tesi dell’ufficio, affermando che: … Anche di recente le S.U. di questa Corte hanno ribadito che il procedimento di controllo automatizzato dei dati è eseguito senza alcun intervento diretto degli uffici e in forza delle disposizioni di legge di cui ai ricordati artt.36 bis e 54 bis può essere attivato nei casi di mancata considerazione dei pagamenti effettuati errata o incompleta trasmissione e/o ricezione dei dati della dichiarazione, errori di compilazione della dichiarazione da parte del contribuente sanabili e facilmente riconoscibili, errata individuazione del contribuente, incoerenza della dichiarazione, eccedenze di imposta non completamente confermate dal sistema informativo concludendosi la procedura con un atto liquidatorio ai fini dell’iscrizione a ruolo a titolo definitivo (cfr. Cass.S.U. n.17758/2016). Questa Corte ha affermato che con tali modalità non possono risolversi questioni giuridiche, chiarendo, in particolare, che il mancato riconoscimento di un rimborso IVA non può essere ricondotto al mero controllo cartolare, in quanto implica, appunto, verifiche e valutazioni giuridiche; con la conseguenza che il disconoscimento del credito e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta deve avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica (ordinanza n. 5318/12). Nella specie, trattandosi del potere dell’Ufficio di recuperare tramite cartella di pagamento somme in relazione alle quali il contribuente ha ritenuto di vantare un credito verso il Fisco, ma da quest’ultimo disconosciute, discende che il disconoscimento del credito di imposta non poteva avvenire mediante l’emissione di una cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, ma richiedeva un previo avviso di recupero di credito di imposta; in difetto di previo avviso di recupero, sarebbe stato necessario quanto meno l’avviso bonario, la cui mancanza è stata quindi correttamente ritenuta dalla Commissione Tributaria Regionale causa di illegittimità della cartella impugnata”.

 

 

Corte di Cassazione Ordinanza 9 marzo 2018, n. 5785

ORDINANZA sul ricorso 26703-2013 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro M. 2000 SRL SOCIO UNICO, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE ALFONSO (avviso postale ex art. 135);

AGENTE RISCOSSIONE DI PALERMO SICILIA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentato e difeso dall’avvocato ACCURSIO GALLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 57/2013 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO, depositata il 26/03/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

Ritenuto in fatto

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, nei confronti di Monreale 2000 s.r.l. con socio unico, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 57/30/2013, depositata in data 26/03/2013 con la quale, in una controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento, era stata confermata la decisione n. 231/06/2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo che aveva accolto il ricorso della contribuente, stante il ritenuto mancato invio dell’avviso bonario.

In particolare, i giudici della Commissione Tributaria Regionale, nel rigettare l’appello dell’Agenzia delle Entrate, hanno evidenziato che in relazione al mancato riconoscimento di un rimborso IVA di ingente importo appariva necessario instaurare il prescritto contraddittorio.

Resiste il contribuente con controricorso, illustrato con memoria.

Ritenuto in diritto

1.Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio lamenta la violazione dell’art.54 bis del D.P.R. 600/73 e dell’art. 6, comma 5, 1.212/00, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella quale la Commissione Regionale sarebbe incorsa annullando la cartella pur in assenza di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.

Il motivo non è fondato.

2.Ed invero, il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54 bis, comma 2, riconosce in capo all’amministrazione finanziaria il potere di:

  1. a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dal R.G.N. 26703/2013 dichiarante riguardo alla determinazione del volume d’affari e alla liquidazione dell’imposta;
  2. b) correggere gli errori materiali riscontrati nel riporto delle eccedenze d’imposta derivanti da precedenti dichiarazioni;
  3. c) controllare la tempestività dei versamenti dell’imposta (acconto, conguaglio, liquidazione periodica) e la loro coerenza con le risultanze della dichiarazione annuale.

Si tratta, pacificamente, di controllo formale che avviene attraverso procedure automatizzate dalle quali è scevra l’attività di verifica della posizione sostanziale della parte contribuente.

Anche di recente le S.U. di questa Corte hanno ribadito che il procedimento di controllo automatizzato dei dati è eseguito senza alcun intervento diretto degli uffici e in forza delle disposizioni di legge di cui ai ricordati artt.36 bis e 54 bis può essere attivato nei casi di mancata considerazione dei pagamenti effettuati errata o incompleta trasmissione e/o ricezione dei dati della dichiarazione, errori di compilazione della dichiarazione da parte del contribuente sanabili e facilmente riconoscibili, errata individuazione del contribuente, incoerenza della dichiarazione, eccedenze di imposta non completamente confermate dal sistema informativo concludendosi la procedura con un atto liquidatorio ai fini dell’iscrizione a ruolo a titolo definitivo (cfr. Cass.S.U. n.17758/2016).

Questa Corte ha affermato che con tali modalità non possono risolversi questioni giuridiche, chiarendo, in particolare, che il mancato riconoscimento di un rimborso IVA non può essere ricondotto al mero controllo cartolare, in quanto implica, appunto, verifiche e valutazioni giuridiche; con la conseguenza che il disconoscimento del credito e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta deve avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica (ordinanza n. 5318/12).

Nella specie, trattandosi del potere dell’Ufficio di recuperare tramite cartella di pagamento somme in relazione alle quali il contribuente ha ritenuto di vantare un credito verso il Fisco, ma da quest’ultimo disconosciute, discende che il disconoscimento del credito di imposta non poteva avvenire mediante l’emissione di una cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, ma richiedeva un previo avviso di recupero di credito di imposta; in difetto di previo avviso di recupero, sarebbe stato necessario quanto meno l’avviso bonario, la cui mancanza è stata quindi correttamente ritenuta dalla Commissione Tributaria Regionale causa di illegittimità della cartella impugnata.

  1. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la carente motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 c.p.c. n.5 4.11 motivo deve essere disatteso.

La CTR ha, sia pure in maniera sintetica, adeguatamente motivato sulla necessità di previa instaurazione del contraddittorio, nel ritenuto caso di errori o incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, essendo stata richiesta una somma diversa da quella dichiarata, in seguito al contestato riconoscimento di un rimborso Iva di ingente importo.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi €5.000,00 oltre accessori.

Così deciso, in Roma, il 20.2.2018

 

 

 

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