CASSAZIONE

Il contratto di affitto comprova la residenza all’estero

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5388 del 3 marzo 2017, ha chiarito che la stipula di un contratto di locazione di un immobile nello Stato estero da parte del contribuente, unitamente alle fatture per le utenze domestiche dell’immobile, costituiscono prove sufficienti per superare la presunzione di residenza in Italia ex art. 2, co. 2-bis, TUIR.

Ricordiamo, innanzitutto che, ai fini dell’art. 2, comma 2 del TUIR, “… si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

Questi presupposti, così come enunciati dalla norma mediante l’utilizzo della congiunzione alternativa “o”, evidenziano un vincolo di alternanza per cui è sufficiente che uno soltanto dei presupposti si realizzi, perché la persona sia considerata fiscalmente residente in Italia.

Tema, questo, che vede fra l’altro la precedente presa di posizione dei Giudici del Palazzaccio, espressa nella Sentenza n. 12311 del 15 giugno 2016, con la quale tornano a esprimersi in tema di trasferimento della residenza fiscale all’estero annotando, ancora una volta, che “… ai fini della determinazione del luogo della residenza normale si riconosce la preminenza dei legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato”, intendendo con ciò “la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali”.

Il puntuale intervento dei giudici di Piazza Cavour ha offerto l’opportunità di proporre alcune riflessioni in tema di residenza fiscale ed esterovestizione delle persone fisiche, intendo con ciò la fittizia localizzazione all’estero con il solo fine di sottrarsi all’ordinamento tributario nazionale.

L’esterovestizione della residenza fiscale consiste sinteticamente nella fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi o territori diversi dall’Italia, dove invece il soggetto effettivamente risiede, per sottrarsi agli adempimenti tributari previsti dall’ordinamento di reale appartenenza e beneficiare, al contrario, del regime impositivo più favorevole vigente altrove.

Questa interpretazione, peraltro, ben si collega con le conclusioni raggiunte anche dalla giurisprudenza comunitaria, come dimostrano le Sentenze C-262/99 (Louloudakis contro Stato ellenico) e C-156/04 (Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica ellenica), nelle quali si dichiarava che nel caso in cui un soggetto non abbia legami personali e professionali concentrati in un solo Stato, ai fini della determinazione del luogo della residenza normale tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire: la presenza fisica del soggetto e dei suoi familiari sul territorio di uno Stato, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali, il luogo in cui siano preminenti gli interessi patrimoniali, i legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali.

Merita inoltre attenzione anche la Sentenza C-528/14 – X contro Staatssecretaris van Financiën – con la quale i Giudici della Corte asserivano che, ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata e, qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, sulla base dei presupposti evidenziati dall’art. 7 della Direttiva 83/182/CEE, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi ritorni regolarmente.

Tali valutazioni collimano, peraltro, anche con la più diffusa giurisprudenza di legittimità.

Del resto, anche la Corte di Cassazione, in una pronuncia del 2010, la n. 12259, attinente alle vicende di un noto motociclista italiano cui veniva contestato il fittizio trasferimento di residenza nel Principato di Monaco, aveva dichiarato che un soggetto conserva il domicilio fiscale in Italia anche quando, prescindendo dalla sua presenza nel territorio italiano, mantenga in Italia il centro dei suoi interessi e dei suoi affari.

Peraltro, nei casi di trasferimento della residenza in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, come ad esempio il Principato di Monaco, la norma rubricata nell’art. 2, comma 2-bis del TUIR introduce una presunzione legale di residenza in Italia della persona fisica, con inversione dell’onere della prova.

In tal modo l’Amministrazione finanziaria è sicuramente legittimata all’emissione dell’atto impositivo senza necessità di attivare un contraddittorio preventivo, mentre spetta al contribuente dimostrare di avere reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato, trovando applicazione il principio dell’unicità del domicilio ai sensi dell’art. 43 del Codice civile (Cassazione Civile, Sentenza n. 961/2015; Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. Brescia, Sentenza n. 3869/2015; Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, Sentenza n. 589/2015).

Tanto premesso, però, è sempre possibile opporsi a valutazioni errate da parte dei funzionari del Fisco e non dovrebbe risultare troppo complicato dimostrare l’effettiva residenza di un contribuente all’estero: sono sufficienti, secondo l’interpretazione odierna, il contratto di locazione e le fatture relative alle utenze.

Questa, in sintesi, è la spiegazione offerta dai giudici della Corte di Cassazione con la sentenza in epigrafe. Nello specifico la Corte, accogliendo il ricorso presentato da un noto atleta che aveva posto la sua residenza nel Principato di Monaco, ha ritenuto illegittimo l’accertamento a fini IRPEF con il quale veniva accertato un diverso reddito, presumendo l’ufficio la residenza fiscale dello sportivo in Italia, nonostante egli avesse assunto fin dall’anno precedente la residenza nel principato monegasco.

Lo sportivo professionista aveva peraltro evidenziato in sede di appello che era stato depositato il contratto di locazione regolarmente sottoscritto e registrato, insieme a relativi documenti. Secondo i giudici tributari tale documentazione non era consona a provare l’effettiva residenza del contribuente nel Principato di Monaco, in quanto il contratto d’affitto non sarebbe stato sottoscritto dal locatore, né sarebbe stato registrato.

Ma tutto ciò non è bastato a convincere i giudici della Cassazione, che invece hanno affermato che “Nel giudizio di cassazione, infatti – secondo il consolidato insegnamento di questa Corte -, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza.

Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio deciderteli venga a trovarsi priva di base” (ex multis, Cass. n. 9368 del 2006, n. 25608 del 2013).

Nella specie non può non rilevarsi un difetto nella coerenza logico formale coerenza logico-formale nella attività del giudice di merito di individuazione delle fonti del proprio convincimento e di scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, ove si consideri che, in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento dei redditi per il periodo d’imposta 1999, ha omesso di valutare proprio la documentazione (allegata in copia nel corpo del ricorso) – anche se prodotta in appello nell’esercizio della facoltà fatta salva nel processo tributario dall’art. 58, ultimo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 – riguardante l’anno 1999 (contratto di locazione sottoscritto e registrato; il contratto con la banca del 2 giugno 1999; fatture dell’elettricità e del gas del 1999).

E che il fatto controverso (oggetto di tale prova documentale) fosse decisivo per il giudizio – che cioè “le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato” – emerge dalla stessa motivazione della sentenza impugnata (“la Commissione considera che la documentazione fornita dall’appellante e richiamata nell’atto di appello non è idonea a provare la effettiva residenza del contribuente nel Principato di M., con riferimento all’anno 1999, per i motivi di seguito esposti: il contratto di affitto prodotto non è sottoscritto dal locatore e non risulta essere stato registrato. Le fatture di M. T. non sono riferite all’anno in esame che è il 1999. Le fatture di M. T. Mobiles iniziano dal mese di febbraio 2001. Il contratto stipulato per l’utenza televisiva è datato 26/06/2001”. Nei n. 50 tabulati bancari del Monte dei Paschi Banque di Montecarlo, inerenti (a) n. 250 addebiti sulla carta di credito… non risultano movimenti per l’anno

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CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 3 marzo 2017, n. 5388

Svolgimento dei processo

  1. S., tennista professionista, propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che, rigettandone l’appello, ha dichiarato la fondatezza della pretesa manifestata con l’avviso dì accertamento ai fini dell’IRPEF per l’anno 1999 con il quale, presumendo la sua residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2, comma 2 bis, del Tuir, ancorché egli avesse assunto il 4 novembre 1998 la residenza nel Principato di M., veniva accertato un reddito di circa euro 562.000, ridotto in primo grado ad euro 500.000 circa, relativo a proventi di lavoro autonomo per partecipazione a tornei e per sponsorizzazioni.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto non provata la residenza all’estero del S., il quale non aveva vinto la presunzione posta, per i paesi a fiscalità privilegiata, dall’art. 2, comma 2 bis, del Tuir; in ordine alla misura del reddito accertato, poi, ha confermato la riduzione operata dal giudice di prime cure.

Secondo la Commissione regionale, in particolare, “la documentazione fornita dall’appellante in primo grado e richiamata nell’atto di appello non è idonea a provare la effettiva residenza del contribuente nel Principato di M., con riferimento all’anno 1999, per i motivi di seguito esposti: il contratto di affitto prodotto non è sottoscritto dal locatore e non risulta essere stato registrato. Le fatture di M. T. non sono riferite all’anno in esame che è il 1999. Le fatture di M. T. Mobiles iniziano dal mese di febbraio 2001. Il contratto stipulato per l’utenza televisiva è datato 26/06/2001”. Nei n. 50 tabulati bancari del Monte dei Paschi Banque di Montecarlo, inerenti (a) n. 250 addebiti sulla carta dì credito… non risultano movimenti per l’anno 1999”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo del ricorso, denunciando “in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza sul principale fatto controverso e decisivo per il giudizio in violazione dell’art. 115 c.p.c., in correlazione all’art. 2, comma 2 bis, Tuir”, il contribuente, premesso che “in sede di appello, invero, è stato depositato il contratto di locazione regolarmente sottoscritto e registrato” (e che nell’atto di appello egli aveva dedotto che “il contratto di locazione contestato, infatti, come si evince dalla documentazione che si ripropone in allegato, risulta regolarmente sottoscritto e registrato”), contratto confortato da documenti, prodotti in primo grado, afferenti l’anno 1999 e 2000 – allegati in riproduzione fotostatica al ricorso per cassazione -, si duole che il detto contratto 26/10/1998 non sia stato, insieme con la documentazione relativa, correttamente valutato – avendo il giudice d’appello, contrariamente al vero, testualmente affermato che “il contratto di affitto prodotto non è sottoscritto dal locatore e non risulta registrato” . Ed assume che se la CTR avesse invece valutato correttamente contratto e documenti, “avrebbe ben potuto riconoscere l’assoluta idoneità della prova del rapporto giuridico in contestazione tale da determinare inequivocabilmente una decisione completamente diversa ed opposta rispetto a quella adottata. Se infatti è vero che il giudice di merito è libero di individuare e scegliere le fonti del proprio convincimento, è però altrettanto vero che ha tuttavia l’obbligo non solo dì tener conto di tutti gli elementi regolarmente acquisiti al giudizio, ma anche di indicare il contenuto di tali fonti ed il criterio che ha presieduto a tale scelta.

Con il secondo ed il terzo motivo denuncia l’insufficienza della motivazione, rispettivamente, in punto di quantificazione del reddito imponibile ai fini IRPEF, e con riguardo alle presunzioni impiegate, del tutto prive della base stessa della presunzione, vale a dire i fatti noti, con conseguente decisione logicamente incoerente ed affetta da errore di diritto.

Con il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 115 e 116 cod. proc. civ., e degli artt. 2729 e 2727 cod. civ. sostenendo non essere stata rispettata la disciplina della prova per presunzioni; con il quinto motivo denuncia, sotto il profilo dell’error in procedendo, l’omessa pronuncia su uno dei motivi di impugnazione, e con il sesto, infine, la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., dolendosi del mancato rispetto del principio dell’onere della prova con riguardo alla pretesa impositiva ed alla mancata risposta a domande contenute nel questionario a lui inviato ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973.

Il primo motivo è fondato.

Nel giudizio di cassazione, infatti – secondo il consolidato insegnamento di questa Corte -, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio deciderteli venga a trovarsi priva di base” (ex multis, Cass. n. 9368 del 2006, n. 25608 del 2013).

Nella specie non può non rilevarsi un difetto nella coerenza logico formale coerenza logico-formale nella attività del giudice di merito di individuazione delle fonti del proprio convincimento e di scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, ove si consideri che, in un giudizio avente ad oggetto l’accertamento dei redditi per il periodo d’imposta 1999, ha omesso di valutare proprio la documentazione (allegata in copia nel corpo del ricorso) – anche se prodotta in appello nell’esercizio della facoltà fatta salva nel processo tributario dall’art. 58, ultimo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 – riguardante l’anno 1999 (contratto di locazione sottoscritto e registrato; il contratto con la banca del 2 giugno 1999; fatture dell’elettricità e del gas del 1999).

E che il fatto controverso (oggetto di tale prova documentale) fosse decisivo per il giudizio – che cioè “le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato” – emerge dalla stessa motivazione della sentenza impugnata (“la Commissione considera che la documentazione fornita dall’appellante e richiamata nell’atto di appello non è idonea a provare la effettiva residenza del contribuente nel Principato di M., con riferimento all’anno 1999, per i motivi di seguito esposti: il contratto di affitto prodotto non è sottoscritto dal locatore e non risulta essere stato registrato. Le fatture di M. T. non sono riferite all’anno in esame che è il 1999. Le fatture di M. T. Mobiles iniziano dal mese di febbraio 2001. Il contratto stipulato per l’utenza televisiva è datato 26/06/2001”. Nei n. 50 tabulati bancari del Monte dei Paschi Banque di Montecarlo, inerenti (a) n. 250 addebiti sulla carta di credito… non risultano movimenti per l’anno 1999”).

Il primo motivo del ricorso deve essere pertanto accolto, assorbito l’esame degli ulteriori motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del il ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.

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