CASSAZIONE FISCALITA

Il Cda non effettuato in Italia esclude l’esterovestizione

Tributi – Elusione e abuso del diritto – Esterovestizione della società – Sede sociale –Rilevanza – Prova – CDA effettuato all’estero – Residenza degli amministratori in Italia –  Sentenza Corte di Giustizia dell’Unione europea del 26 febbraio 2019, relativa alle cause riunite C-116/16 e C-117/16

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14527 del 28 maggio 2019, intervenendo sul tema generale dell’esterovestizione e correlatamente anche sull’abuso del diritto e sul concetto di beneficiario effettivo, dopo  la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 26 febbraio 2019, relativa alle cause riunite C-116/16 e C-117/16, ha riconosciuto la piena legittimità del rimborso della ritenuta sui dividendi erogati da una società italiana alla propria controllante olandese anche laddove quest’ultima si limiti a detenere le azioni della società italiana senza esercitare altre attività.

Con esterovestizione si intende la fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia.

Lo scopo principale della localizzazione, tipicamente in un Paese con un regime fiscale più vantaggioso di quello nazionale, è quella di fare in modo che gli utili siano sottoposti a una minore tassazione.

Rammentiamo anche, come nella sentenza “gemella” sulle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, che le decisioni dei giudici europei sono state di grande rilievo sulla materia, poiché chiariscono fino a che punto un gruppo multinazionale possa spingersi nella configurazione di strutture societarie, al fine di ridurre una ritenuta alla fonte definitiva sulle distribuzioni di dividendi all’interno della compagine, individuando quale sia il confine fra una costruzione fiscale lecita e una costruzione fiscale parimenti legale, ma abusiva.

In particolare la Corte UE, ritenendo il principio dell’abuso del diritto un principio di portata generale della normativa europea, osserva che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Di conseguenza, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità e i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una controllata alla propria società madre, stabilito dall’articolo 5 della direttiva 90/435, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego. In buona sostanza la Corte sostiene che la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla stessa non sia stato conseguito e, dall’altro, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa unionale mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.

La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la fondatezza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti: possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica, nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti.

I giudici romani, tornando al caso in esame hanno in buona sostanza stabilito che la residenza in Italia degli amministratori di una società olandese non è  una prova che da sola possa essere considerata  elemento sufficiente per  identificare l’esterovestizione, soprattutto se la sede legale e la sede dell’amministrazione sono stabilite all’estero.

La lunga ma interessante vicenda scaturisce dal ricorso di una società olandese che si era vista negare il rimborso delle ritenute sui dividendi distribuiti, in applicazione dell’art. 27-bis, DPR n. 600/1973 e della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni.

I giudici di merito avevano difatti ritenuto che la società, pur essendo formalmente costituita all’estero, sarebbe in realtà una società esterovestita, avente effettiva residenza fiscale in Italia e non possiederebbe, quindi, i requisiti per beneficiare del rimborso delle ritenute.

A fondamento della decisione, il fatto che gli amministratori risultano essere residenti in Italia

Tesi che non ha convinto la suprema Corte, che invece ha accolto il  ricorso affermando inoltre e più specificatamente che non può definirsi esterovestita una società i cui consigli di amministrazione si sono tenuti all’estero, anche se gli amministratori sono residenti in Italia.

I Giudici hanno inoltre chiarito che ai fini della individuazione della residenza fiscale delle società di capitali rileva il contenuto dell’art. 73, comma 3, DPR 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), e segnatamente quella parte della disposizione che considera la presenza in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta della sede legale o della sede dell’amministrazione.

La Cassazione ha infine precisato che la sede dell’amministrazione, in quanto contrapposta a quella legale, coincide con la sede effettiva e cioè come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente.

I Giudici di Piazza Cavour hanno poi voluto specificare che “… Ai fini della individuazione della residenza fiscale delle società ed enti soggetti ad Ires occorre avere riguardo al contenuto dell’art.73 comma 3 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 Al quale considera la presenza ( per la maggior parte dell’anno) sul territorio nazionale vuoi della sede legale, vuoi della sede dell’amministrazione, quali elementi probanti ai fini della attribuzione della qualifica di soggetto residente. Con riguardo alla nozione di “sede dell’amministrazione” questa Corte ha stabilito che, ai sensi dell’art. 73, comma terzo TUIR, si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno sede legale o dell’amministrazione nel territorio dello Stato; la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. (Sez. 5, Sentenza n. 2869 del 07/02/2013).

Il giudice di appello ha sostanzialmente basato l’assunto che la società A. B.V. non avesse sede effettiva in Olanda sul fatto che gli amministratori della stessa fossero residenti in Italia o nel Regno Unito e che l’attività di A. H. B.V. consistesse nella mera gestione dei pacchetti azionari. La motivazione è carente perché la residenza italiana o inglese degli amministratori di A. H. ( posseduta al 100% da A. Westland N.V. con sede in Olanda, a sua volta partecipata paritariamente (50%) da Finmeccanica spa residente in Italia e GKN plc con sede nel Regno Unito) non è di per se sintomatico dello ubicazione della sede dell’amministrazione effettiva sul territorio italiano più di quanto non lo sia della ubicazione della sede amministrativa effettiva sul territorio inglese; lo svolgimento di una mera attività di gestione dei pacchetti azionari è connaturata alla natura di H. della società A. B.V. Va aggiunto che soltanto a seguito dell’entrata in vigore dell’art.73 comma 5 bis TUIR, introdotto dal d.l. 4 luglio 2006 n.223 convertito nella I. 4 agosto 2006 n.248, applicabile a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge, la prevalente residenza nel territorio nazionale dei componenti del consiglio di amministrazione di una società estera che detiene partecipazioni di controllo si considera -salvo prova contraria- residente nello Stato.

La C.T.R., incorrendo nel denunciato vizio di insufficiente motivazione, ha del tutto omesso di esaminare le allegazioni difensive della società, supportate da produzione documentale, in ordine al fatto che l’effettiva amministrazione di A. H. BV si svolgeva in Olanda, ove avevano luogo i consigli di amministrazione e le assemblee dei soci e dove la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari ai fini dello svolgimento delle attività di amministrazione e gestione. Il riesame in fatto della preliminare questione relativa all’accertamento della residenza nazionale ovvero estera della società A. H. B.V. comporta l’assorbimento delle restanti censure ( svolte nei motivi secondo, terzo, quarto e parzialmente quinto) in ordine alla applicabilità della normativa nazionale (art.27 bis TUIR), convenzionale ( Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni) e comunitaria (Direttiva “madre-figlia”) sulla tassazione dei dividendi “in uscita” distribuiti da società-figlia residente a società- madre non residente, nonché sulla ricorrenza di una fattispecie di abuso del diritto, tutte questioni la cui rilevanza è subordinata all’accertamento “a monte” della soggettività tributaria domestica ovvero estera della società A. H. B.V. In accoglimento del terzo profilo del quinto motivo di ricorso principale, assorbiti i restanti profili ed i motivi secondo, terzo e quarto, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo per nuovo giudizio”.

Corte di Cassazione – Sentenza 28 maggio 2019, n. 14527

Sul ricorso 22098-2011 proposto da:

A. H. BV, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PAISIELLO 33, presso lo studio  dell’avvocato STEFANO PETRECCA, che lo rappresenta e  difende unitamente all’avvocato ROSAMARIA NICASTRO giusta delega a margine;

 – ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97/2011 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il 08/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/09/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e la inammissibilità del ricorso incidentale;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROSAMARIA NICASTRO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato BRUNO DETTORI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con istanza del 8.5.2002 la società olandese A. H. B.V. chiedeva, ai sensi dell’art.27 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni, la restituzione della ritenuta del 15% applicata sui dividendi distribuiti nell’anno 2001 da A. spa, ammontante ad euro 2.992.753. L’Agenzia delle Entrate , a seguito di controllo meramente formale, in data 6.8.2003 effettuava il rimborso richiesto in favore della società italiana A. spa.

A seguito di successivo controllo sostanziale l’Agenzia delle Entrate riteneva che la società A. H. BV, alla quale Finmeccanica spa aveva trasferito l’intero capitale sociale di A. spa, fosse stata fittiziamente costituita in Olanda allo scopo di beneficiare del regime agevolato di tassazione favorevole dei dividendi previsto dalla Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizione e del regime di esenzione dei dividendi dalle imposte vigente in Olanda, e che non possedesse i requisiti per beneficiare dell’istituto del rimborso delle ritenute sui dividendi ai sensi dell’art.27 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e ai sensi della Convenzione sulle doppie imposizioni.

Pertanto in data 15.10.2007 l’ente impositore emetteva provvedimento di diniego dell’esenzione tributaria, con richiesta del restituzione del rimborso percepito ma non spettante, oltre interessi, per un importo complessivo di euro 3.108.703, provvedimento notificato sia ad A. H. BV sia ad A. spa. Avverso il provvedimento di diniego la società A. H. BV proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Pescara che lo accoglieva con sentenza n.70 del 2008, sul preliminare rilievo della intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di recupero per decorrenza del termine previsto dall’art.43 comma 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo che lo accoglieva con sentenza n.97 del 8.4.2011.

Il giudice di appello rigettava l’eccezione di intervenuta decadenza dell’Ufficio dalla facoltà di procedere al recupero dell’indebito rimborso dovendosi fare applicazione del termine generale decennale di prescrizione dei diritti stabilito dall’art.2946 cod.civ.; riteneva che la società A. H. spa non avesse sede effettiva in Olanda bensì in Italia, e che non fosse l’effettiva beneficiaria degli interessi distribuiti da A. spa; riteneva l’insussistenza dei requisiti richiesti per l’applicazione dell’art.27 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 sul diritto al rimborso delle ritenute sui dividendi distribuiti a soggetti non residenti.

Contro la sentenza di appello la società A. H. BV propone cinque motivi di ricorso per cassazione. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Primo motivo: “Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art.43 e 38 del DPR 602/1973 in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la C.T.R. ha rigettato l’eccezione di intervenuta decadenza dell’Ufficio dalla facoltà di richiedere la restituzione delle somme rimborsate per violazione del termine previsto dall’art.43 comma 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 vigente all’epoca dei fatti, decorrente dalla data di esecuzione del rimborso. Il motivo è infondato. Il termine previsto dall’art.43 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 è inapplicabile perché riguarda la diversa fattispecie della rettifica della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente e decorre, testualmente, dalla data di presentazione della dichiarazione. Invece, nel caso in esame, il provvedimento impugnato non rettifica in alcun modo la dichiarazione presentata dal sostituto di imposta, ma possiede il contenuto di una revoca del precedente rimborso, successivamente risultato indebito a seguito dei controlli sostanziali eseguiti dall’Ufficio.

Il termine di decadenza previsto dall’art.38 d.P.R. 29 settembre 1973 n.602 è applicabile al contribuente che richieda il rimborso di un versamento di imposta erroneamente effettuato e non riguarda la tempistica con cui l’Amministrazione finanziaria agisce per il recupero di un rimborso effettuato ma non spettante.

Ne consegue che, non essendo applicabili i termini di decadenza indicati negli artt. 43 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e 38 d.P.R. 29 settembre 1973 n.602, si deve avere riguardo al solo termine ordinario di prescrizione previsto in anni dieci dall’art.2946 cod.civ.

In senso conforme questa Corte ha stabilito che i provvedimenti di diniego di esenzioni fiscali, sono equiparabile agli atti di accertamento ai soli fini loro impugnabilità, e quindi della tutela giurisdizionale del contribuente; ad essi, pertanto, non è applicabile, sotto altri profili, la disciplina propria degli atti di accertamento, come quella del regime di decadenza previsto dall’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. (Sez. 5, Sentenza n. 335 del 11/01/2005).

2.Secondo motivo: “Violazione del disposto dell’art.27 bis DPR 600/73 e artt. 24 comma 3 della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi resa esecutiva con legge n.305 del 1993 e artt.5 e 7 della Direttiva n.940/435 CEE ( cosiddetta Direttiva Madre Figlia) e art.6 del Trattato Istitutivo in relazione all’art.360 n.3 cod.proc.civ. “, distinto in un primo ed un secondo profilo di illegittimità, con richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea in materia di trattamento fiscale dei dividendi in uscita versati da società “figlie” residenti a società “madri” ubicate in altro paese UE e al divieto di applicazione di un sistema fiscale deteriore rispetto a quello applicato in caso di distribuzione di dividendi tra società entrambe residenti.

3.Terzo motivo ( quarto nella numerazione della ricorrente): “Insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia in relazione all’art.360 n.5 cod.proc.civ. “, nella parte in cui ha ritenuto che “la doppia imposizione economica sarebbe stata eliminata per via del diritto di deduzione delle ritenute sui dividendi dall’imposta olandese sui redditi riconosciuto dall’art.24 par.3 del Trattato Italia-Paesi Bassi”.

4.Quarto motivo (quinto nella numerazione della ricorrente): “Violazione e falsa applicazione dei principi in tema di abuso della disciplina recata dalla Direttiva Madre Figlia , dell’art.27 bis D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917/1986 e dell’art.1 par.2 della Direttiva 940/435/CEE (cosiddetta Direttiva Madre Figlia ) in relazione all’art.360 comma 1 n.3 cod.proc.civ. ed omessa e insufficiente motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 comma 1 n.5 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che A. Bv “sia stata costituita al solo scopo di godere dei benefici fiscali e non abbia provato di essere l’effettivo beneficiario dei dividendi percepiti da A. spa” ovvero che la società olandese sia configurabile come una costruzione “meramente artificiosa”, costituita al solo scopo di ottenere un risparmio di imposta altrimenti indebito, considerato che, nella ipotesi in cui i dividendi fossero stati distribuiti direttamente dalla società A. spa a Finmeccanica spa , quest’ultima non avrebbe subito alcuna tassazione potendo beneficiare del regime del credito di imposta.

5.Quinto motivo (sesto nella numerazione della ricorrente): “Insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 c.1 n.5 cod.proc.civ. “, sotto un triplice profilo:

a) nella parte in cui ha rilevato un abuso della Convenzione Italia -Paesi Bassi sul rilievo che la società A. B.V. fosse stata costituita al solo scopo di godere dei benefici fiscali;

b) nella parte in cui ha ritenuto che la costituzione in Olanda della A. BN. non rispondesse a valide ragioni economiche; c) nella parte in cui ha ritenuto che la società A. H. B.V. fosse una società estero- vestita avente la propria residenza effettiva in Italia e non in Olanda.

Deve prioritariamente essere esaminata la censura di vizio di motivazione dedotta nel terzo profilo del sesto motivo di ricorso, trattandosi di questione preliminare di merito avente carattere risolutivo e logicamente antecedente alla trattazione delle altre questioni.

La complessiva motivazione svolta dal giudice di appello contiene una pluralità di ragioni decisorie ordinabili secondo un rapporto di pregiudizialità logica.

Il giudice di appello ha escluso l’applicabilità della norma nazionale sul rimborso delle ritenute sui dividendi distribuiti ai soggetti non residenti di cui all’art.27 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 e l’applicabilità della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni in quanto: ha ritenuto che la A. H. B.V., pur essendo formalmente costituita all’estero, fosse in realtà una società estero-vestita avente effettiva residenza fiscale in Italia; ha disconosciuto in capo a A. B.V. la qualifica di effettivo beneficiario dei dividendi distribuiti da A. spa; ha ritenuto insussistente il requisito richiesto dall’art.27 bis comma primo lett.c) del d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 per beneficiare del diritto al rimborso delle ritenute sui dividendi applicate dalla società “figlia” residente in Italia; ha ravvisato nella allocazione in Olanda della sede legale della A. H. B.V., previo trasferimento ad essa del capitale sociale di A. spa, una fattispecie di abuso del diritto in ragione del carattere strumentale e privo di valide ragioni economiche della operazione.

L’esame della questione relativa alla estero-vestizione della società A. H. B.V., che pur avendo la formale residenza in Olanda ove è ubicata la sede legale, secondo il giudice di appello deve considerarsi soggetto fiscalmente residente in Italia, riveste carattere prioritario, trattandosi di questione risolutiva, logicamente antecedente e condizionante il succedaneo esame delle denuncie di erronea interpretazione delle norme nazionali (art.27 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600), convenzionali (Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni) e comunitarie ( Direttiva madre-figlia ) in materia di tassazione dei dividendi distribuiti tra società madre e figlia residenti in diversi paesi dell’Unione europea, nonché di erronea prospettazione di una fattispecie di abuso del diritto convenzionale.

Sul punto il giudice di appello ha testualmente ritenuto “non provata la effettiva residenza all’estero di A. H…. anzi dalle indagini emerse risulta che A. H. BV non è effettivamente residente nei Paesi Bassi…gli amministratori risultano essere residenti in Italia o nel Regno Unito…ulteriore elemento è che A. H. non svolge alcuna attività economica e non ha la sede di direzione effettiva in Olanda, non risultando sufficiente il fatto che la società sia stata costituita secondo le leggi di uno stato estero, non implicando automaticamente che debba considerarsi residente anche ai fini fiscali, mancando la direzione effettiva elemento questo probante del luogo dove vengono adottate le decisioni strategiche e la prova della prevalente attività svolta dalla società…. da qui la corretta definizione della A. H. BV quale H. passiva estero vestita …ancora il Collegio intende evidenziare che la A. H. BV nei bilanci al 31.12.2000,2001,2002,2003, 2004 non mostrano movimenti finanziari significativi ma si limita a custodire la partecipazione di A. Spa, a registrare annualmente la percezione dei dividendi e a pagare gli onorari a consulenti ed amministratori.”

La denuncia di motivazione insufficiente è fondata.

Ai fini della individuazione della residenza fiscale delle società ed enti soggetti ad Ires occorre avere riguardo al contenuto dell’art.73 comma 3 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 Al quale considera la presenza ( per la maggior parte dell’anno) sul territorio nazionale vuoi della sede legale, vuoi della sede dell’amministrazione, quali elementi probanti ai fini della attribuzione della qualifica di soggetto residente.

Con riguardo alla nozione di “sede dell’amministrazione” questa Corte ha stabilito che, ai sensi dell’art. 73, comma terzo TUIR, si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno sede legale o dell’amministrazione nel territorio dello Stato; la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. (Sez. 5, Sentenza n. 2869 del 07/02/2013).

Il giudice di appello ha sostanzialmente basato l’assunto che la società A. B.V. non avesse sede effettiva in Olanda sul fatto che gli amministratori della stessa fossero residenti in Italia o nel Regno Unito e che l’attività di A. H. B.V. consistesse nella mera gestione dei pacchetti azionari. La motivazione è carente perché la residenza italiana o inglese degli amministratori di A. H. ( posseduta al 100% da A. Westland N.V. con sede in Olanda, a sua volta partecipata paritariamente (50%) da Finmeccanica spa residente in Italia e GKN plc con sede nel Regno Unito) non è di per se sintomatico dello ubicazione della sede dell’amministrazione effettiva sul territorio italiano più di quanto non lo sia della ubicazione della sede amministrativa effettiva sul territorio inglese; lo svolgimento di una mera attività di gestione dei pacchetti azionari è connaturata alla natura di H. della società A. B.V. Va aggiunto che soltanto a seguito dell’entrata in vigore dell’art.73 comma 5 bis TUIR, introdotto dal d.l. 4 luglio 2006 n.223 convertito nella I. 4 agosto 2006 n.248, applicabile a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge, la prevalente residenza nel territorio nazionale dei componenti del consiglio di amministrazione di una società estera che detiene partecipazioni di controllo si considera -salvo prova contraria- residente nello Stato.

La C.T.R., incorrendo nel denunciato vizio di insufficiente motivazione, ha del tutto omesso di esaminare le allegazioni difensive della società, supportate da produzione documentale, in ordine al fatto che l’effettiva amministrazione di A. H. BV si svolgeva in Olanda, ove avevano luogo i consigli di amministrazione e le assemblee dei soci e dove la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari ai fini dello svolgimento delle attività di amministrazione e gestione. Il riesame in fatto della preliminare questione relativa all’accertamento della residenza nazionale ovvero estera della società A. H. B.V. comporta l’assorbimento delle restanti censure ( svolte nei motivi secondo, terzo, quarto e parzialmente quinto) in ordine alla applicabilità della normativa nazionale (art.27 bis TUIR), convenzionale ( Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni) e comunitaria (Direttiva “madre-figlia”) sulla tassazione dei dividendi “in uscita” distribuiti da società-figlia residente a società- madre non residente, nonché sulla ricorrenza di una fattispecie di abuso del diritto, tutte questioni la cui rilevanza è subordinata all’accertamento “a monte” della soggettività tributaria domestica ovvero estera della società A. H. B.V.

In accoglimento del terzo profilo del quinto motivo di ricorso principale, assorbiti i restanti profili ed i motivi secondo, terzo e quarto, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo per nuovo giudizio.

Alla Commissione tributaria regionale è demandata la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo, accoglie il terzo profilo del quinto motivo e dichiara assorbiti i restanti profili ed i motivi secondo, terzo e quarto:

cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto del quinto motivo e rinvia per nuovo giudizio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo in diversa composizione.

Così deciso il 20.9.2018 e 14.11.2018.

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay