FISCALITA FOCUS

I REATI SOCIETARI DEL Dlgs 231/2001

Il D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 (con le modifiche apportate, da ultimo, dalla L. 27 maggio 2015, n. 69 e dalla L. 29 ottobre 2016, n. 199) contiene una normativa di grande rilievo ed organica perché ha introdotto nel sistema giuridico italiano la responsabilità “amministrativa” delle società, ma pure degli enti e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

L’attenzione deve essere riposta sui cosiddetti reati presupposto nella fondamentale considerazione che la scelta legislativa di favorire un graduale inserimento nel tessuto normativo ha suggerito di ampliare il catalogo degli illeciti penale in modo progressivo.

Quello che è stato definito un vero e proprio “microcodice” era articolato, nella sua prima formulazione, in una parte generale di ampio respiro, e in una parte speciale ristretta, sia rispetto alle direttive contenute nella legge delega, sia rispetto al panorama potenzialmente esteso dei reati che possono consumarsi all’interno delle dinamiche aziendali.

La situazione è oggi radicalmente mutata, posto che sono state introdotte numerose fattispecie di reato dalle quali può derivare la responsabilità dell’ente

In altri termini, dal 2001 ad oggi si è assistito ad una serie di provvedimenti legislativi integrativi che hanno di molto ampliato l’elenco dei reati c.d. “sensibili” (esclusivamente quelli tassativamente indicati).

Sono stati inseriti, tra gli altri, delitti contro la pubblica amministrazione (quali corruzione e malversazione ai danni dello Stato, truffa ai danni dello Stato e frode informatica ai danni dello Stato, indicati agli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 231/2001) o contro la fede pubblica; reati societari (quali false comunicazioni sociali); Abusi di mercato, indicati dall’articolo 25-sexies); Reati transnazionali; Associazione per delinquere, di natura semplice e di tipo mafioso; Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (art. 25-septies); reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita previsti dagli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale (art. 25-octies); Delitti informatici ed illecito trattamento dei dati c.d. “Cybercrime” (art. 24-bis); Delitti contro l’industria e il commercio (art. 25-bis); Delitti in materia di violazioni del diritto d’autore (art. 25-nonies); Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorita’ giudiziaria (art. 25-decies); Impiego di lavoratori stranieri irregolari (art. 25-duodecies); Corruzione tra privati (art. 25-ter)

Deve inoltre essere aggiunto che attraverso la menzionata previsione del delitto di associazione a delinquere, nel catalogo dei reati-presupposto, la giurisprudenza sembra orientata ad estendere- sia pure in modo indiretto – la responsabilità degli enti ai c.d. delitti-scopo, ancorché rientranti in categorie di illeciti non previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.

È questo il caso dei delitti tributari per i quali la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui in presenza di un’ipotesi di reato di cui all’art. 416 c.p. è legittimo procedere alla confisca per equivalente del profitto derivante dai reati tributari cui è finalizzata l’associazione a delinquere.

 

Una annotazione importante deve essere riservata alle sanzioni.

Quelle previste per gli illeciti amministrativi derivanti da reato in capo alla società si distinguono in: a) sanzioni pecuniarie che si calcolano per quote aventi valore unitario da 258 € e 1.549 € ed irrogabili in numero minimo e massimo da 100 a 1000 (dunque una sanzione da 25.822,00 € a 1.549.871,00 €); b) sanzioni interdittive (artt. 13 e segg.) quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi, nonchè l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Con riguardo alla determinazione delle sanzioni pecuniarie irrogabili, trattandosi di un sistema di quote, per ciascun illecito il giudice, accertata la responsabilità dell’ente, determina la sanzione pecuniaria applicabile nel caso concreto commisurata alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell’ente, all’attività eventualmente svolta per riparare le conseguenze dell’illecito commesso e per prevenirne altri.

L’importo delle singole quote è invece fissato in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente, al fine di garantire l’effettività della sanzione.

Con riferimento invece alle sanzioni interdittive, considerata l’elevata invasività per la vita dell’ente, esse non possono essere applicate dal giudice in maniera generalizzata e indiscriminata.

Come riaffermato in giurisprudenza (Cass., VI sez. pen., sent. n. 20560 del 2010), tali misure devono essere riferite allo specifico settore di attività dell’ente in cui è stato realizzato l’illecito. Inoltre, esse devono essere modulate in ossequio ai principi di adeguatezza, proporzionalità e sussidiarietà.

 

Una sottolineatura particolare deve essere riservata alla già citata confisca (art. 19): con la sentenza di condanna (e comunque per addivenire ad un patteggiamento della pena) il giudice dispone sempre la confisca del prezzo o del profitto del reato salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato.

A questo proposito è opportuno segnalare il contenuto della sentenza della Corte Cass., Sezioni Unite pen., 5 marzo 2014, n. 10561 che ha affrontato il tema del­ l’ammissibilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente in pregiudizio di una persona giuridica per i delitti tributari commessi da un suo organo.

La pronuncia del Consesso plenario ha tratto impulso dall’ordinanza n.46726 del 2013, con la quale la III Sezione penale della Corte di Cassazione aveva richiesto una pronuncia sulla possibilità o meno di aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni commesse dal legale rappresentante.

La questione, sin dall’estensione della misura afflittiva al comparto dei reati tributari, aveva registrato indirizzi giurisprudenziali diversi e contrastanti.

Di estremo interesse sono i princìpi di diritto affermati nella citata sentenza: in primo luogo che è consentito, nei confronti di una persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dai suoi preposti, quando tale profitto sia nella disponibilità della stessa persona giuridica; per contro non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi dell’ente medesimo, salvo che esso costituisca uno schermo fittizio, pena la violazione del principio di legalità.

D’altra parte è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dei preposti della persona giuridica per reati tributari commessi, quando non sia possibile il sequestro del profitto diretto in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.

La confisca per equivalente è ammessa direttamente nei confronti degli amministratori per motivi cautelari anche quando la confisca ordinaria nei confronti dell’ente sia transitoriamente impossibile.

Infine una citazione deve essere riservata alla “sanzione” della pubblicazione della sentenza (art. 18), in linea di massima non comportante un significativo esborso economico, ma senza dubbio di rilievo in termini di danno d’immagine.

 

In conclusione è bene aggiungere, per la sua concreta rilevanza pratica, che le misure interdittive (e/o quelle alternative del commissariamento giudiziale che si applica laddove la interdizione comporti interruzione dell’attività dell’ente tale da provocare un grave pregiudizio alla collettività) possono essere evitate solo se l’ente prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ha risarcito integralmente il danno; adottato ed attuato il proprio modello d’organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi; ) messo a disposizione il profitto conseguito dalla commissione del reato al fine della confisca.

Le appena citate condizioni devono essere realizzate congiuntamente

 

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