FISCO & WEB LAVORO

I giganti di internet pagheranno la web tax? Forse qualcosa si muove…

Dopo anni che, in termini di versamenti di tasse, possono essere definiti “di cavalcate libere e selvagge”, le cosiddette Big Tech vedono formarsi nubi all’orizzonte, che potrebbero portare piovaschi – intesi come minori guadagni – ma neanche troppo intensi, poi, visto che si parla di minimum tax.

La notizia è di quelle importanti, le intenzioni sembrano serie (questa volta), il tempo e i fatti – anche in questo caso – definiranno meglio la situazione.

A differenza dell’amministrazione Trump, che minacciava dazi commerciali in caso di un inasprimento fiscale a danno delle multinazionali a stelle e strisce e aveva interrotto il percorso presso l’Ocse della riforma della relativa tassazione, il Presidente Biden ha recentemente lanciato la proposta di un nuovo modello di tassazione per le multinazionali, incluse quelle digitali, in base al quale pagherebbero un’imposta del 21% ai singoli Stati per le vendite effettuate nei loro confini, a prescindere dal fatto di avere o meno in loco Paese la sede fiscale, degli stabilimenti o dei lavoratori.

Iniziativa da più parti considerata apprezzabile e che andrebbe a limitare la giungla di singole e sparpagliate digital tax nazionali che di fatto, anche grazie ai sistemi fiscali favorevoli adottati da paesi europei come l’Olanda, Malta, il Lussemburgo, Cipro, l’Irlanda e l’Ungheria (ed extra Ue, tra i quali Bermuda, Isole Cayman, e Bahamas), alimentano il grave fenomeno dell’elusione fiscale a danno di una leale concorrenza fiscale, problematica peraltro fortemente acuita dalla pandemia.

Si tratta, in definitiva, di una prospettiva in grado di riformare, modernizzandolo, il sistema fiscale internazionale.

L’attività dell’Ocse

A livello mondiale l’evasione fiscale delle multinazionali è sotto gli occhi di tutti e da tempo (anni) è nel mirino dell’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, dove 135 Paesi faticano a trovare un accordo su come tassare i loro spropositati guadagni, che generano il poco morale atteggiamento di alcuni governi che offrono aliquote più basse in cambio della residenza fiscale, il che spiega assai bene perché il 40% di tali profitti confluisce proprio nei cosiddetti paradisi fiscali. Autorevoli organismi hanno calcolato che la cifra sottratta a una equa imposizione supera i 400 miliardi di dollari.  Da anni – appunto – l’attività dell’organismo internazionale ha creato un gran numero di proposte che però, in assenza di un accordo politico, non hanno avuto seguito.

Attualmente il G20 sta lavorando sulla proposta dell’Ocse, che prevede un sistema di tassazione planetario basato su due aspetti fondamentali:

– la realizzazione di un collegamento tra la presenza economica di una multinazionale e lo Stato nel quale consegue i guadagni, anche senza una ubicazione fisica;

– l’introduzione di un’aliquota minima mondiale.

L’auspicio è di raggiungere un’intesa entro il mese di luglio.

Riscontri favorevoli dall’Unione europea

L’iniziativa americana si inserisce positivamente nel contesto del negoziato, in piedi da mesi, tra Usa e Unione europea, il cui Parlamento nello scorso mese di maggio ha approvato una risoluzione che mira a introdurre un’aliquota fiscale minima a livello internazionale, anche in assenza di un’intesa a livello Ocse, in base proprio a quel principio per cui le tasse vanno pagate nel luogo in cui si realizzano effettivamente i profitti. Reazioni favorevoli dai parlamentari europei per la proposta del Presidente Biden, dunque, ma anche l’intenzione dichiarata di chiudere la questione con un accordo all’Ocse entro l’estate o andando avanti comunque, seguendo la propria idea di una nuova architettura fiscale.    

A sostegno della proposta Usa si sono espressi anche i Ministri economici di Francia e Germania e il Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, secondo il quale “una nuova serie di regole globali per la tassazione dei giganti digitali è la soluzione migliore”, ma ha anche sottolineato come l’iniziativa “non dovrebbe impedire all’Ue di introdurre un’imposta digitale propria con l’obiettivo di restaurare la parità di condizioni e finanziare la ripresa economica europea”. Al riguardo, si è in attesa proprio della proposta della Commissione su una nuova tassa per i giganti del web, che aiuterà a finanziare il Recovery Fund.

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