CASSAZIONE

I costi di consulenza forniti di contratto dettagliato annullano i controlli del Fisco

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 23758 del 10 ottobre 2017, si è pronunciata riguardo la questione della deducibilità delle spese per consulenze da parte delle imprese, ritenendo che le spese di consulenza in favore dei soci, se supportate da contratti dettagliati e adeguatamente sottoscritti, non sono riconducibili a un’operazione fraudolenta di distribuzione di utili.

La società contribuente, nel caso di specie, aveva ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate con il quale erano stati ripresi a tassazione costi relativi ad attività di consulenza, giudicati indeducibili per difetto di inerenza, ossia il principio della riferibilità dei costi che si intendono dedurre, ai ricavi.

L’Ufficio delle Entrate, sospettando un’operazione volta alla surrettizia distribuzione di utili, ha disconosciuto l’inerenza, l’effettività e la congruità dei costi detratti per spese di consulenza in favore dei soci.

La società contribuente aveva impugnato l’atto dell’Amministrazione finanziaria dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che aveva respinto il ricorso.

Da ricordare che la prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi incombe sul contribuente, e che per la prova dell’inerenza non è sufficiente che la spesa sia stata riconosciuta e contabilizzata dal contribuente. Del resto, una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale soltanto se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi la ragione della stessa. Quindi, la prova dei costi deducibili deve essere opportunamente documentata, in modo tale che dalla documentazione si possa ricavare l’inerenza del bene o del servizio acquistato all’attività imprenditoriale.

Inoltre, occorre anche dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, e qualora sia contestata dall’Amministrazione finanziaria, anche la congruità dei dati relativi ai costi e ai ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni.

In mancanza di tale prova è legittima la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi e all’oggetto dell’impresa.

La CTR della Puglia aveva peraltro rilevato la congruità e l’inerenza dei costi in contestazione, tenuto conto del rilevante fatturato annuo e dei contratti di consulenza sottoscritti dalla società e dal contenuto dettagliato (attesa l’indicazione di tutte le operazioni richieste).

Secondo l’Amministrazione fiscale, però, la CTR leccese, nel disporre l’annullamento del recupero a tassazione, sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 109, comma 5, del TUIR e dell’art. 2700 cod. civ., avendo omesso di verificare le concrete modalità di attuazione delle attività di consulenza oltreché l’effettiva utilità arrecate o arrecabili all’attività d’impresa. Tale accertamento essendo necessario per escludere l’ipotesi che tutta l’operazione fosse stata volta a una surrettizia distribuzione di utili ai soci.

Le argomentazioni del Fisco non hanno convinto gli Ermellini, che pertanto hanno ritenuto inammissibile il ricorso con le seguenti motivazioni: “ … Il ricorso è inammissibile, in quanto la CTR dà un giudizio di congruità di fatto delle spese per consulenza mentre sotto l’apparente rubrica di una violazione di legge l’ufficio ricorrente propone censure di merito, inammissibili in sede di legittimità, mentre non censura i passaggi motivazionali della sentenza impugnata sotto la rubrica del n. 5 dell’art. 360 primo comma c.p.c.; più precisamente, l’ufficio ricorrente si interessa dell’onere di proporre censure specifiche e ricostruisce diversamente la fattispecie oggetto di controversia, chiedendo una nuova valutazione degli elementi di fatto della vicenda, paventando che attraverso il contratto di consulenza si fosse celata una surrettizia distribuzione di utili al socio, predicando la violazione del principio di proporzionalità e di razionalità economica, senza confrontarsi con la motivazione, peraltro adeguata, resa dai giudici d’appello”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza n. 23758 del 10 ottobre 2017

Sul ricorso 17148/2016 proposto da:

AGENZIA DEI LE INTRATE, C.F. 00363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

DISTRIBUZIONE E GESTIONE ALIMENTARI DGA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 52/23/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI BARI, SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata il 14/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Civile Ord. Sez. 6 Num. 23758 Anno 2017

Presidente: SCHIRO’ STEFANO

Relatore: SOLAINI LUCA

Data pubblicazione: 10/10/2017

R.G. 17148/16

Con ricorso in Cassazione affidato a un unico motivo, nei cui confronti la parte contribuente non ha spiegato difese scritte, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Puglia, relativa ad un avviso di accertamento per imposte dirette e Iva 2006, nella quale la società contribuente si era visto disconoscere dall’ufficio l’inerenza, l’effettività e la congruità di costi che la società si era detratta per spese di consulenza in favore di soci, denunciando la violazione dell’art. 109 comma 5 del DPR n. 917/86 e dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, erroneamente i giudici d’appello avevano ritenuto congrui i costi sopportati dalla società contribuente, avuto riguardo al rilevante fatturato annuo, nonché inerenti alla sua attività, in quanto comprovati dai contratti di consulenza sottoscritti dalla società, nei quali vi sarebbe stato il dettaglio di tutte le operazioni richieste, laddove, non avevano tenuto conto che i compensi erano stati erogati a favore di soci, e per scongiurare l’ipotesi che tutta l’operazione fosse stata volta a una surrettizia distribuzione di utili, sarebbe stato necessario verificare le concrete modalità di attuazione delle attività di consulenza nonché l’effettiva utilità arrecate alla società o arrecabili in un orizzonte temporale compatibile, in chiave strumentale, con l’attività d’impresa esercitata.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione, in forma semplificata.

Il ricorso è inammissibile, in quanto la CTR dà un giudizio di congruità di fatto delle spese per consulenza mentre sotto l’apparente rubrica di una violazione di legge, l’ufficio ricorrente propone censure di merito, inammissibili in sede di legittimità, mentre non censura i passaggi motivazionali della sentenza impugnata sotto la rubrica del n. 5 dell’art. 360 primo comma c.p.c.; più precisamente, l’ufficio ricorrente si interessa dell’onere di proporre censure specifiche, e ricostruisce diversamente la fattispecie oggetto di controversia, chiedendo una nuova valutazione degli elementi di fatto della vicenda, paventando che attraverso il contratto di consulenza si fosse celata una surrettizia distribuzione di utili al socio, predicando la violazione del principio di proporzionalità e di razionalità economica, senza confrontarsi con la motivazione, peraltro adeguata, resa dai giudici d’appello.

La mancata predisposizione di difese scritte esonera il Collegio dal provvedere sulle spese.

Poiché la parte ricorrente è un’amministrazione dello Stato, non è tenuta al doppio versamento del contributo unificato (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714; Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, alla camera di consiglio del giorno 16.5.2017

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