Gli oneri generali di sistema elettrico sono soggetti a IVA
Tributi – IVA – Oneri generali di sistema elettrico – OGSE o OGDS – Loro natura – Maggiorazioni tariffarie – Base imponibile – Domanda di rimborso IVA – Diniego tacito alla restituzione dell’imposta – Prestazione – Cessionario – Legittimazione all’istanza di rimborso – Esclusione – Limiti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8819 del 3 aprile 2025, ha stabilito il principio di diritto per cui gli oneri generali di sistema elettrico, in quanto maggiorazioni tariffarie inserite ex lege nei contratti di utenza stipulati dai distributori di energia elettrica in stretta correlazione alla prestazione da eseguire in favore dell’utente del servizio, pur essendo imposti dalla legge, non hanno natura tributaria, ma sono considerati corrispettivi contrattuali e quindi rientrano nella base imponibile IVA. Gli Ermellini forniscono inoltre un concetto utile alla corretta qualificazione di tali somme e al loro posizionamento giuridico, enunciando, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto: “… Gli oneri generali di sistema elettrico (cd. “OGSE” o “OGDS”), in quanto maggiorazioni tariffarie inserite ex lege nei contratti di utenza stipulati dai distributori di energia elettrica in stretta correlazione alla prestazione da eseguire in favore dell’utente del servizio, ancorché abbiano carattere cogente, non rivelano natura tributaria, ma di corrispettivo contrattuale, sicché rientrano nella base imponibile ai fini IVA”.
La sentenza oggi in commento rappresenta un’importante pronuncia sulla materia, già oggetto di diverse ordinanze da parte dei giudici di legittimità, e che oggi hanno finalmente indicato la natura giuridica di tali oneri classificandoli come corrispettivi contrattuali piuttosto che come tributi, perché, in definitiva, non soddisfano i requisiti fondamentali di un’imposta o tassa, anche perché non sono destinati al bilancio dello Stato ma al sistema elettrico nazionale, gestito da soggetti esterni come il Gestore dei Servizi Energetici. Gli oneri in commento, inoltre, non sono prelevati direttamente dall’Amministrazione finanziaria, ma sono riscossi dal fornitore di energia nell’ambito di un rapporto contrattuale e, infine, sono legati alla prestazione del servizio elettrico, sono cioè funzionali alla fornitura stessa: chi riceve energia elettrica, paga anche questi oneri come parte del servizio.
Sono piuttosto da considerare come corrispettivo contrattuale essenzialmente perché derivano da un contratto di somministrazione di energia, sono legati alla fornitura del servizio e vengono addebitati direttamente in bolletta, insieme al costo dell’energia, poiché sono pagati in cambio della prestazione del servizio elettrico anche se la loro determinazione è imposta dalla legge.
In definitiva, tali oneri devono essere assoggettati a IVA proprio perché parte del valore complessivo del servizio reso, dove la base imponibile IVA inserisce tutti gli elementi del corrispettivo ricevuto dal fornitore in relazione alla prestazione effettuata.
Fanno parte, quindi, del prezzo complessivo che l’utente paga per usufruire dell’energia elettrica e rientrano nella base imponibile IVA secondo quanto disposto dall’art. 13 del DPR 633/1972, anche seguendo quanto enunciato dall’interpretazione della giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia Ue, che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale anche della Corte Costituzionale, iniziato con la sentenza n. 238/2009, aveva affermato: “… Gli oneri generali di sistema sono inseriti nella tariffa elettrica sulla base di previsioni normative, ma sono funzionali alla regolazione del mercato e al finanziamento di attività connesse al servizio, e non rispondono ai presupposti tipici del prelievo tributario”.
Abbiamo quindi piena cognizione che gli oneri di sistema sono maggiorazioni tariffarie previste per legge, che vengono applicate alle bollette elettriche e servono a finanziare vari costi del sistema elettrico nazionale, costituendo un corrispettivo a copertura di costi relativi ad attività di interesse generale per il sistema elettrico o per il sistema gas e vengono conteggiati all’interno delle bollette.
Altra parte fondamentale del caso in esame attiene alla fondatezza del diritto della società contribuente di agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per chiedere il rimborso dell’IVA. La società ha ritenuto di essere legittimata, dal punto di vista sostanziale, a prospettare direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria il diritto al rimborso dell’IVA che ritiene di avere non correttamente versato in quanto essa stessa soggetto passivo ai fini IVA.
Il punto centrale, quindi, non è tanto la sussistenza o meno del diritto al rimborso, ma il diritto a richiederlo direttamente all’Amministrazione finanziaria, come sostenuto dalla difesa.
I confini dei settori entro i quali un soggetto può esercitare il diritto al rimborso IVA nei confronti dell’Amministrazione finanziaria sono stati specificamente esaminati da questa Corte con diversi interventi, che trovano nella pronuncia 27 settembre 2018, n. 23288, il punto di sintesi, con il quale si illustrava che: “… Secondo la ricorrente i principi unionali di neutralità, effettività e non discriminazione consentirebbero o addirittura imporrebbero che il cessionario-committente, che sia anche soggetto passivo dell’iva, richieda direttamente all’erario il rimborso dell’imposta pagata e non dovuta. Questa tesi tradisce la confusione tra differenti fattispecie giuridiche, ossia tra la posizione del soggetto che esercita il diritto alla detrazione dell’imposta versata nell’operazione di acquisto a monte (ossia, in caso di eccedenza a credito, ne chiede il rimborso con la dichiarazione fiscale) con la ben diversa posizione del soggetto che ha assolto l’iva in rivalsa nei confronti del soggetto passivo (emittente la fattura) e che, sul presupposto del parziale o totale pagamento indebito di detta somma (in quanto l’imposta liquidata in fattura non era dovuta, del tutto -operazione esente o non imponibile- oppure in parte -errata applicazione di un’aliquota maggiore-), ne chiede la restituzione, anziché al soggetto passivo, direttamente al fisco. 2.1.- Le due fattispecie sono ancorate a presupposti differenti, che non ne consentono la fungibilità. Presupposto della prima è l’esercizio del diritto alla detrazione dell’iva, che inerisce al meccanismo stesso dell’iva, e si fonda proprio sull’esistenza di un’imposta dovuta. Presupposto della seconda è il diritto al rimborso, ancorato all’esistenza di un versamento indebito alle autorità tributarie, da parte di un soggetto passivo, di una somma a titolo di iva: alla base del diritto alla ripetizione è quindi il carattere indebito dell’iva, di modo che l’onere economico che ne deriva da tale versamento va neutralizzato nei confronti di tale soggetto passivo (in termini, Corte giust. 14 giugno 2017, causa C-38/16, Compass Contract Services Ltd). 3.- Il rischio di confusione discende dal fatto che dal compimento dell’operazione imponibile scaturiscono tre rapporti (uno, tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa), i quali, peraltro, pur essendo collegati, non interferiscono. Sicchè il cedente non può opporre al cessionario, il quale agisca nei suoi confronti per restituzione dell’indebito, l’avvenuto versamento dell’imposta; il cessionario non può opporre all’amministrazione, che escluda la detrazione dell’imposta erroneamente liquidata in fattura, che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima; il prestatore che abbia proceduto, in favore dell’erario, a un versamento iva superiore al dovuto è legittimato a pretendere il rimborso dall’amministrazione finanziaria, non ostandovi la circostanza che abbia recuperato mediante rivalsa la pretesa eccedenza d’imposta dal committente (Cass. 13 gennaio 2017, n. 780). 3.1.- In seno ai rapporti tra cedente/prestatore, cessionario/committente e fisco, soltanto il cedente/prestatore ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente/prestatore e cessionario/committente, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (tra varie, vedi Cass. 6 luglio 2011, n. 14933; 26 agosto 2015, n. 17169; con riferimento alla triplice natura dei rapporti che derivano dalla medesima operazione economica, vedi anche sez. un., 20 luglio 2017, n. 26437)”.
Tale impostazione interpretativa è stata successivamente ribadita dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, nella sentenza n. 10480/2021, la quale chiariva che “… Gli oneri generali di sistema costituiscono una componente della tariffa del servizio di fornitura dell’energia elettrica, determinata dall’Autorità di regolazione competente, in base a criteri fissati dalla legge, e non possono considerarsi tributi, mancando il carattere della coattività del prelievo a fronte di un’obbligazione imposta dall’autorità pubblica al di fuori di un rapporto sinallagmatico”.
Precedentemente la stessa Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 26/2017, scriveva che “… Gli oneri generali di sistema non hanno natura tributaria, in quanto costituiscono componenti del prezzo del servizio di fornitura di energia, il cui pagamento è posto a carico degli utenti finali in virtù di un rapporto contrattuale”.
Ultimamente, e per evidenziare alcuni significativi interventi della Suprema Corte di Cassazione civile, citiamo sia l’ordinanza n. 7113/2021, che affermava come “… Gli oneri generali di sistema, pur imposti con provvedimenti amministrativi, non sono espressione della potestà impositiva tributaria, ma costituiscono parte del corrispettivo dovuto nell’ambito di un rapporto sinallagmatico di natura privatistica”, mentre per la precedente ordinanza n. 23482/2019, gli Ermellini assicuravano che “… Il pagamento degli oneri di sistema è previsto in via accessoria rispetto alla prestazione contrattuale principale, configurandosi come obbligazione derivante dal rapporto di fornitura e non come obbligo d’imposta” .
Alla luce delle pronunce giurisprudenziali e delle norme vigenti, si può allora affermare che gli oneri generali di sistema non rivestono natura tributaria, ma costituiscono elementi del corrispettivo del servizio di fornitura elettrica, funzionali a garantire l’equilibrio economico-finanziario del sistema elettrico e a perseguire obiettivi di interesse pubblico.
Pertanto, il loro pagamento si configura come obbligazione contrattuale e non come adempimento di un dovere fiscale in senso proprio, ma parte integrante del corrispettivo dovuto per il servizio reso, la cui disciplina rientra nell’ambito del contratto di somministrazione stipulato tra il fornitore e il cliente finale, regolato dagli articoli 1559 e ss. del Codice civile.
Tanto premesso e tornando alla vicenda oggi in discussione, essa ha inizio quando una S.r.l. presentava all’Agenzia delle entrate un’istanza di rimborso dell’IVA assolta nell’ambito dei rapporti di fornitura intrattenuti con la società fornitrice di energia elettrica che aveva definito in modo erroneo la base imponibile ai fini dell’imposta, facendovi concorrere anche gli oneri generali afferenti al sistema elettrico (c.d. “OGSE”). L’Agenzia non forniva alcun riscontro all’istanza, venendo così a formarsi il diniego tacito alla restituzione dell’imposta. La parte contribuente si rivolgeva alla CTP, che respingeva il ricorso con sentenza n. 533/2022. Il successivo appello della contribuente è stato rigettato a sua volta dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado. La contribuente affidava il proprio ricorso per cassazione a due motivi, nei quali essenzialmente lamentava la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 10 e 11, del D.lgs. 79/1999, nonché dell’art. 39 del D.L. 83/2012 e della relativa normativa di attuazione, laddove ha ritenuto che gli oneri generali del sistema elettrico fossero dei costi sostenuti dalle società fornitrici di energia elettrica nell’esecuzione dei relativi servizi di fornitura.
I Supremi Giudici, nel respingere tale tesi difensiva, affermavano invece che: “… . L’affermazione del difetto di legittimazione a richiedere il rimborso, nei termini sopra diffusamente argomentati, implica la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale. Tuttavia, la questione posta con il ricorso principale, relativa alla natura giuridica degli OGdS e alla loro tassabilità ai fini IVA, si palesa di particolare rilevanza sicché ricorrono i presupposti per l’affermazione di un principio di diritto ex art. 363 c.p.c. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno a suo tempo già affermato che “se le parti non possono, nel loro interesse e sulla base della normativa vigente, investire la Corte di cassazione di questioni di particolare importanza in rapporto a provvedimenti giurisdizionali non impugnabili, e il P.G. presso la stessa Corte non chieda l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, le Sezioni Unite della Corte chiamate comunque a pronunciarsi su tali questioni su disposizione del Primo Presidente dichiarata l’inammissibilità del ricorso, possono esercitare d’ufficio il potere discrezionale di formulare il principio di diritto concretamente applicabile. Tale potere, espressione della funzione di nomofilachia, comporta che relazione a questioni la cui particolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili” (Cass., Sez. Un., n. 27187 del 2007). Su tale assetto, la recente riforma attuata con il d.lgs. n. 149 del 2022 non ha inciso, tant’è che le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “il procedimento per l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 1, c.p.c., richiede la ricorrenza dei seguenti presupposti processuali: a) l’avvenuta pronuncia di uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile né ricorribile per cassazione; b) l’illegittimità del provvedimento stesso, quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta; c) un interesse della legge, quale interesse generale o trascendente quello delle parti, all’affermazione di un principio di diritto per l’importanza di una sua formulazione espressa” (Cass., Sez. Un, n. 8268 del 2023; v. anche Cass. n. 30220 del 2024). Orbene, i requisiti sopra indicati ricorrono tutti nel caso in esame attesa l’inammissibilità del ricorso e il concreto ed effettivo collegamento tra il provvedimento impugnato ed una concreta vicenda. Inoltre, come emerge chiaramente dalla stessa decisione qui impugnata (ma anche dagli atti delle parti), il contenzioso in esame appare di ampia incidenza non solo in termini quantitativi che, inclusi in bolletta gli OGdS riguardano la generalità degli utenti del servizio elettrico ma anche per la rilevanza dei profili sollevati, che attengono all’esatta definizione del perimetro tributario, con riflessi che riguardano l’entità complessiva del gettito fiscale.
La rilevanza della questione tanto più si coglie se si guarda alle implicazioni eurounitarie nella materia in relazione agli artt. 4 e 121 e ss TFUE, che hanno già dato origine ad un importante intervento della Corte di giustizia (con la sentenza del 18 gennaio 2017, resa nella causa C-189/2015). Tutto ciò rende apprezzabile la sussistenza di un interesse ad una pronuncia che, “prescindendo completamente dalla tutela dello ius litigatoris, si sostanzia nella stessa enunciazione del principio di diritto richiesta alla Corte, finalizzata alla stabilizzazione giurisprudenza” (Cass., Sez. Un., n. 13332 del 2010). 5. La questione che emerge dai due motivi del ricorso principale concerne la natura degli OgdS. La sentenza d’appello ha accolto i motivi di gravame della contribuente in punto di legittimazione della stessa a chiedere il rimborso, pervenendo, tuttavia, al rigetto dell’impugnazione, così disattendendo la tesi di (Omissis) in merito alla natura tributaria degli oneri generali di sistema. In particolare, la sentenza d’appello ha così opinato: “Non si ritiene …di condividere l’opzione ermeneutica suggerita dal contribuente circa la natura degli oneri generali di sistema. Trattasi, infatti, di costi per la gestione e la manutenzione degli impianti per la fornitura di energia elettrica che le società fornitrici sostengono per lo svolgimento della loro attività d’impresa. Sono costi inerenti alla gestione caratteristica di cui le società fornitrici tengono conto al momento della determinazione del prezzo praticato sull’energia venduta, al fine di calcolare il loro margine di redditività. La circostanza che l’erogazione di energia elettrica risponde a finalità di interesse generale non rileva al fine di trasformare tali costi di gestione di una società a scopo di lucro in oneri a carico della collettività. E parimenti, il fatto che tali costi siano solitamente indicati separatamente nella fattura risponde solo ad esigenze di chiarezza e trasparenza nella fornitura di un servizio alla collettività”. Su queste premesse, se col primo motivo di ricorso la contribuente si duole della sentenza d’appello nella parte in cui attribuisce agli OGSE natura di costi sostenuti dalle società fornitrici di energia elettrica nell’esecuzione dei relativi servizi di fornitura, col secondo motivo essa censura l’erroneità della sentenza nella misura in cui, reputando gli oneri in questione parte del corrispettivo dovuto alle società fornitrici per la prestazione di energia, li riconduce entro l’alveo della base imponibile ai fini IVA. È indispensabile una previa definizione del quadro normativo in materia.
Gli OGdS sono contemplati dall’art. 3, co. 10 e 11, d.lgs. n. 79 del 1999 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), che prevede: “10. Per l’accesso e l’uso della rete di trasmissione nazionale è dovuto al gestore un corrispettivo determinato indipendentemente dalla localizzazione geografica degli impianti di produzione e dei clienti finali, e comunque sulla base di criteri non discriminatori. La misura del corrispettivo è determinata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, considerando anche gli oneri connessi ai compiti previsti al comma 12 ed è tale da incentivare il gestore allo svolgimento delle attività di propria competenza secondo criteri di efficienza economica. Con lo stesso provvedimento l’Autorità disciplina anche il periodo transitorio fino all’assunzione della titolarità da parte del gestore di cui al comma 4. 11. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo, con uno o più decreti del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, sono altresì individuati gli oneri generali afferenti al sistema elettrico, ivi inclusi gli oneri concernenti le attività di ricerca e le attività di cui all’articolo 13, comma 2, lettera e). L’Autorità per l’energia elettrica e il gas provvede al conseguente adeguamento del corrispettivo di cui al comma 10. La quota parte del corrispettivo a copertura dei suddetti oneri a carico dei clienti finali, in particolare per le attività ad alto consumo di energia, è definita in misura decrescente in rapporto ai consumi maggiori”. Gli artt. 1 e 2, co. 5, D.L. n. 25 del 2003, integrano il plesso normativo in tema, disponendo che:“A decorrere dal 1° gennaio 2004, gli oneri generali del sistema elettrico, di cui all’art. 3, comma 11, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, sono costituiti da: a) i costi connessi allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, alla chiusura del ciclo del combustibile nucleare ed alle attività connesse e conseguenti; b) i costi relativi all’attività di ricerca e di sviluppo finalizzata all’innovazione tecnologica di interesse generale per il sistema elettrico; c) l’applicazione di condizioni tariffarie favorevoli per le forniture di energia elettrica previste dalle disposizioni richiamate nell’articolo 2, punto 2.4, della deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas 26 giugno 1997, n. 70/97, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 30 giugno 1997, e dal decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato in data 19 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 16 febbraio 1996; d) la reintegrazione dei maggiori costi derivanti dalla forzata rilocalizzazione all’estero delle attività di scarico a terra e rigassificazione del gas naturale importato dalla (Omissis) S.p.a. dalla Nigeria, in base agli impegni contrattuali assunti anteriormente alla data del 19 febbraio 1997, e che non possono essere recuperati a seguito dell’entrata in vigore della direttiva n. 96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 1996, pari ai costi annui effettivamente sostenuti derivanti dal complesso dei relativi impegni contrattuali, al netto dei costi di rigassificazione del gas naturale, sommati agli oneri derivanti dalle perdite tecniche, effettivamente sostenuti fino al 1° gennaio 2010; (art. 2) 5. Al fine di tutelare la sicurezza e l’economicità del sistema elettrico nazionale, gli oneri di cui all’articolo 1 possono essere modificati con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”. La trama delle regole è poi intessuta dall’art. 39, co. 3, D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, che individua il soggetto tenuto al pagamento degli oneri:“3. I corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali sono rideterminati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro 60 giorni dalla data di emanazione dei decreti di cui al comma 1, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta nei decreti di cui al medesimo comma 1 e nel rispetto dei vincoli di cui al comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico. Dalla data di entrata in vigore della rideterminazione è conseguentemente abrogato l’ultimo periodo del comma 11 dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”. La disciplina prevede l’applicazione degli OGdS a tutte le tipologie di contratti di fornitura energetica secondo le determinazioni dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, cui spetta il potere tariffario e di regolazione dei mercati, secondo quanto previsto dalla L. n. 481 del 1995 (Legge istitutiva dell’Autorità di settore). ARERA fissa periodicamente le aliquote relative agli oneri, sulla base del fabbisogno, come “maggiorazione della tariffa di distribuzione (quindi all’interno dei servizi di rete), in maniera differenziata per tipologia di utenza”. Gli OGdS sono pagati in bolletta dai clienti finali, che versano i relativi importi ai venditori, i quali, a loro volta, sono tenuti a corrisponderli, attraverso il pagamento delle fatture del servizio di trasporto in rete del prodotto energetico, ai distributori. Il gettito raccolto è trasferito – in assoluta prevalenza su appositi conti di gestione istituiti presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA), incaricata della riscossione degli oneri. L’utilizzo e la gestione dei fondi sono disciplinati da ARERA, che indirizza le risorse alla realizzazione di finalità d’interesse pubblico sempre settorialmente ricomprese nel sistema elettrico. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è occupata della natura giuridica degli OGdS con la sentenza del 18 gennaio 2017, resa nella causa C-189/2015 (IRCCS Santa Lucia contro Cassa conguaglio…), con cui ha statuito che «i corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico costituiscono imposte indirette, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/96». Benché il decisum unionale riconduca gli oneri de quibus alla nozione eurounitaria di imposta indiretta, equiparandoli ad «indirect taxes» ai fini dell’applicazione della Direttiva 2003/96/CE, esso si cura di (e demandare esplicitamente al giudice nazionale la conferma di detta natura, sulla base della verifica «degli elementi di fatto e delle norme del diritto nazionale su cui siffatta risposta della Corte si basa». Su questa scia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 18 dicembre 2023, n. 35282, pur occupandosi di una questione di riparto di giurisdizione, hanno perciò avuto modo di osservare che gli oneri generali di sistema si contraddistinguono come componenti tariffarie, normativamente imposte, finalizzate alla copertura di costi relativi ad attività che, pur di interesse generale, si mostrano rigorosamente circoscritte al all’implementazione) del sistema elettrico nazionale.
Indubbiamente, gli OGdS, gravando ex lege sul cliente finale (art. 39, co. 3, D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 134 del 2012), rivelano una connotazione spiccatamente coattiva. Le imprese di distribuzione e vendita non possono esimersi dall’applicare in bolletta la“maggiorazione” correlata a tali esborsi, né gli utenti finali hanno alcun mezzo per sottrarsi al loro pagamento, salva la rinuncia alla fornitura di energia, scelta che impatterebbe inevitabilmente su bisogni essenziali della vita. La coattività emerge sensibilmente anche dalla possibilità di recupero degli OGdS mediante la procedura di riscossione coattiva esattoriale, secondo quanto previsto dall’art. 17, co. 3-bis, D.Lgs. n. 46 del 1999 (“Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337”). Peraltro, ad avviso di questa Corte, pur a fronte del tratto marcato di obbligatorietà, gli OGdS non rivelano natura tributaria. Risalta in principalità la nitidezza del dato letterale sopra riportato, che accosta inclusivamente gli OGSE ai “corrispettivi”, riconducendoli testualmente entro il relativo ambito. Sul piano sostanziale viene coerentemente in apice un attributo di negozialità degli oneri, che fanno essenzialmente corpo col corrispettivo d’acquisto dell’energia elettrica, maggiorandolo. La corrispettività degli OGSE, del resto, ben si coglie nella tendenziale commisurazione della prestazione patrimoniale in cui si sostanziano al costo del servizio, quindi nella rispondenza dell’esborso ad un criterio generale di proporzionalità rispetto alla fornitura energetica richiesta e/o ricevuta dalla specifica tipologia di utente. Gli OGdS sono, in effetti, composti da una quota fissa, ma anche da una quota variabile, collegata al consumo, quindi all’entità della prestazione energetica conseguita. La fruizione del servizio contrattualmente contrattualmente acquistato assurge, dunque, a fatto generatore dell’obbligo di pagamento. Gli oneri di sistema vengono conteggiati all’interno delle bollette in aggiunta alle altre voci di costo in quanto ne condividono l’identica matrice corrispettiva. La doverosità/coattività del pagamento finisce per collegarsi, infatti, non ad una finalità di prelievo fiscale, ma ad una più mirata necessità di raccolta di mezzi necessari a far fronte a costi generali di funzionamento e ammodernamento costante del sistema energetico nazionale. In questo solco, gli OGdS appaiono strumentali a consentire la salvaguardia della regolarità, economicità e funzionalità del servizio richiesto dai consumatori attraverso la sottoscrizione dei contratti di fornitura. In altri termini, la “maggiorazione” che gli oneri comportano in bolletta, ancorché determinata nel suo ammontare dalla legge e veicolata da un atto autoritativo dell’ARERA, incide in via immediata proprio su una delle prestazioni del contratto di utenza. La circostanza che l’obbligo di pagare i ridetti oneri generali trovi la propria origine in una norma di legge e non in un contratto, non ne esclude la stretta inerenza al rapporto negoziale e alla dinamica delle sue prestazioni. Pertanto, la maggiorazione rimane volta, quantomeno indirettamente, a soddisfare gli specifici e diversificati interessi dei soli soggetti che a quel ristretto sistema di erogazione energetica senz’altro partecipano, in quanto beneficiari del servizio in forza di appositi titoli contrattuali, sicché, in questa specifica connotazione, è diretta a remunerare la prestazione imponibile ricevuta dall’utente finale. Tale ristretta platea di soggetti-utenti è, con ogni evidenza, ben diversa dalla generalità dei consociati su cui per definizione agisce la c.d. “leva fiscale”. Ne deriva che, pur a fronte dell’obbligatorietà che ne connota il versamento, gli OGdS si configurano, in nuce, alla stregua di componenti tariffarie, atte ad integrare i corrispettivi del servizio di distribuzione, tanto da essere indefettibilmente inserite nei contratti stipulati da distributori e venditori aventi ad oggetto il servizio di somministrazione e trasporto dell’energia elettrica sino ai punti di prelievo dei clienti finali. Sebbene riscossi coattivamente dai venditori-fornitori mediante la bolletta, gli oneri restano, in tal senso, variamente indirizzati alla copertura di costi relativi ad attività che espongono un nesso intimo con la gestione del sistema energetico nazionale, quindi pure un’inscindibile attinenza ai rapporti contrattuali stipulati dai consumatori finali e all’erogazione delle prestazioni da costoro acquistate. Un dato saliente alligna, pertanto, nella constatazione per cui il pagamento degli OGdS non confluisce nel bacino della “fiscalità generale”: il loro flusso permane nello spettro limitato delle esigenze di tenuta e di implementazione del sistema di rete elettrica. Proprio in questa prospettiva gli OGSE, come precisato dall’art. 3, co. 2, lett. b), del D.L. n. 210 del 2015, conv. con la L. n. 21 del 2016, vengono applicati col congegno che altrimenti si paleserebbe eccentrico della maggiorazione della tariffa di distribuzione all’interno dei servizi di rete. La destinazione del gettito del prelievo obbligatorio al finanziamento di finalità di interesse generale secondo criteri di ripartizione stabiliti dall’Autorità per l’energia elettrica non contraddice l’aspetto decisivo per cui beneficiario del gettito non è il bilancio generale dello Stato italiano, ma la Cassa deputata a favorire il miglioramento delle condizioni di approvvigionamento dell’energia elettrica. La natura tributaria è, alteris verbis, obliterata proprio dalla considerazione che i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema non sono destinati a supportare le entrate tributarie dello Stato, ma trasferiti sui conti di gestione istituiti dalla CSEA per essere impiegati in un ambito specifico, per esigenze fisiologicamente settoriali. Gli OGdS rispondono, invero, a logiche correlate al mercato di riferimento, sicché quand’anche intonate ad un interesse generale, sono ancorati alle prestazioni rientranti in altrettanti rapporti sinallagmatici e intrinsecamente collegati al consumo di un preciso servizio. Gli oneri, quindi, sfuggono al necessario collegamento con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., considerato come attuazione del concorso di tutti al finanziamento della spesa pubblicasu base solidaristica e in un modo equo, in quanto parametrato alle condizioni economiche del singolo soggetto. Mette punto, allora, rimarcare che gli OGdS rappresentano prestazioni economiche necessarie e indispensabili per l’erogazione del servizio, che, come tali, contribuiscono a delineare la tariffa del servizio stesso. La configurazione di quest’ultima è eminentemente privatistica e la sua inerenza a rapporti giuridici di marca contrattuale pone in luce un dato saliente, quello della coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio. La circostanza che il soggetto onerato sia anche l’utente che consegue la controprestazione energetica sembra confermare la collocazione del versamento degli OGdS nella circonferenza degli obblighi che sostanziano il rapporto sinallagmatico fra detto utente e il suo fornitore. La corresponsione degli OGdS è, in questo senso, un versamento direttamente correlato al pari degli altri costi che compongono la bolletta alla prestazione contrattualizzata di acquisto dell’energia, perché in difetto di tale versamento nemmeno la prestazione energetica sarebbe erogabile.La prestazione economica in cui si compendiano gli oneri rinviene, in definitiva, la propria ragion d’essere nel meccanismo privatistico di tariffazione del prezzo dell’energia, nel cui contesto si registra anche l’attività regolatoria di ARERA, un’attività che, in presenza di contratti di massa, trova spiegazione in una mera esigenza di redistribuzione dei costi in funzione di finalità che hanno una pubblicistica, ma conservano una vocazione rigorosamente settoriale e clusterizzata all’interno del sistema elettrico. L’approdo raggiunto in punto di corrispettività degli OGdS ne postula la tassabilità ai fini IVA. Del resto, sono assoggettabili all’IVA, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, tutte le prestazioni di servizio quale che ne sia la fonte; in particolare sono imponibili tutte le operazioni “verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”. Come puntualizzato dalla giurisprudenza unionale, la base imponibile della cessione di energia elettrica tendenzialmente racchiude tutto ciò che è acquisito a titolo di corrispettivo, ogni qualvolta sussista un nesso diretto tra il bene e/o il servizio fornito e il controvalore ricevuto (CGUE sentenze: 23 novembre 1988, C-230/87, Naturally yours cosmetics; 2 giugno 1994, C-33/93, Empire stores; 5 dicembre 2013, C- 618/11, TVI Televisao independente SA). Le conclusioni rappresentate sono corroborate anche dall’evoluzione del diritto vivente in almeno un settore che segnala un meccanismo di prelievo cogente assai affine. È significativo, infatti, che le Sezioni Unite di questa Corte, in ambito di rifiuti, abbiano ritenuto che “La tariffa integrata ambientale (cd. TIA2) di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, come interpretata dall’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla I. n. 122 del 2010, ha natura privatistica ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972”. In buona sostanza, è stata ritenuta la tassabilità ai fini IVA della c.d. TIA2, alla quale, pur a fronte della coercitività del prelievo che la connota, è stata riconosciuta valenza di corrispettivo e coerente qualificazione in termini di prelievo non tributario (v. anche Cass. n. 32250 del 2018; Cass. n. 4275 del 2019). Si sono valorizzati, a tal fine, taluni profili, tra i quali: il fatto generatore dell’obbligo di pagamento costituito dalla produzione di rifiuti, l’ancoraggio del debito alla fruizione del servizio, la parametrazione dell’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti. Proprio la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo assoggettabile ad IVA ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, senza che rilevi in senso ostativo la circostanza che il pagamento della TIA 2 sia obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3 del d.P.R. n. 633/1972 prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità all’IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”. Si è anche precisato (v. Cass. n. 4275 del 2019 e Cass. n. 19544 del 2019 cit.) che “nella prospettiva dell’opzione legislativa è … chiaro che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto anche di indici reddituali”. In definitiva, la decisione della Corte regionale appare corretta in parte qua, opportunamente avendo fatto rientrare gli OGSE nella base imponibile. 6. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del secondo mezzo, mentre il ricorso principale va dichiarato inammissibile. La sentenza d’appello va pertanto cassata senza rinvio. 7. In relazione al ricorso principale, inammissibile, va peraltro affermato, nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto:“Gli oneri generali di sistema elettrico (cd. “OGSE” o “OGDS”), in quanto maggiorazioni tariffarie inserite ex lege nei contratti di utenza stipulati dai distributori di energia elettrica in stretta correlazione alla prestazione da eseguire in favore dell’utente del servizio, ancorché abbiano carattere cogente, non rivelano natura tributaria, ma di corrispettivo contrattuale, sicché rientrano nella base imponibile ai fini IVA”.
Corte di Cassazione – Sentenza 3 aprile 2025, n. 8819
sul ricorso iscritto al n. 23662/2023 R.G. proposto da:
(Omissis) SRL, elettivamente domiciliata in ROMA presso lo studio dell’avvocato (Omissis) che la rappresenta e difende unitamente all’avv. (Omissis)
– ricorrente principale –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II Grado della Lombardia n. 1468/22/2023, depositata il 21 aprile 2023.
Udita la relazione del Cons. Salvatore Leuzzi alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2024.
Udito il Sost. P.G. Tommaso Basile, che ha concluso per la rimessione alla Corte di Giustizia.
Uditi per la ricorrente in via principale l’Avv. Prof. (Omissis) e l’Avv. (Omissis) che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
Udita l’Avv. Francesca d’Ambrosio per l’Avvocatura Generale dello Stato, che ha insistito per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
Il 17 ottobre 2018, la( Omissis) s.r.l. (successivamente fusa per incorporazione in (Omissis) presentava all’Agenzia delle Entrate un’istanza di rimborso dell’IVA assolta per il periodo ricompreso tra il 12.8.2016 e il 2.12.2016.
Ad avviso della società in parola, nell’ambito dei rapporti di fornitura intrattenuti con la società fornitrice di energia elettrica (Omissis) S.p.A. (c.d. “Trader”), quest’ultima aveva determinato in modo erroneo la base imponibile ai fini dell’IVA, facendovi concorrere anche gli oneri generali afferenti al sistema elettrico (c.d. “OGSE”). Tali somme, però, non potevano ritenersi dovute a titolo di corrispettivo del servizio, ma quali oneri posti dalla legge a carico degli utenti finali del servizio di energia elettrica e che le società distributrici si limitano a riscuotere, presso gli utenti stessi, per poi riversarli in nome e per conto di costoro, alla Cassa Conguagli per il Settore Energetico. Poiché la Società svolgeva prevalentemente attività di natura esente ai fini IVA, per l’ammontare dell’imposta non ammessa in detrazione la stessa era quindi rimasta illegittimamente e ingiustamente incisa dall’indebito versamento.
L’Agenzia non forniva alcun riscontro all’istanza, venendo così a formarsi il diniego tacito alla restituzione dell’imposta.
La contribuente proponeva tempestiva impugnazione innanzi alla CTP di Milano, che respingeva il ricorso con sentenza n. 533/2022.
Il successivo appello della contribuente è stato rigettato a sua volta dalla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia. La contribuente affida il proprio ricorso per cassazione a due motivi.
Resiste l’Agenzia, che spiega, a sua volta, ricorso incidentale basato su due censure.
Entrambi i ricorsi per cassazione sono stati illustrati dalle parti con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 10 e 11, del d.lgs. n. 79/1999, nonché dell’art. 39 del D.L. n. 83/2012 e della relativa normativa di attuazione (D.M. 26 gennaio 2000, D.M. 17 aprile 2001 e Testo integrato delle disposizioni per l’erogazione dei servizi di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, c.d. “T.I.T.”, vigente nel periodo 2016-2019 approvato con deliberazione AEEGSI 23 dicembre 2015 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., laddove ha ritenuto che gli oneri generali del sistema elettrico fossero dei costi sostenuti dalle società fornitrici di energia elettrica nell’esecuzione dei relativi servizi di fornitura.
Con il secondo motivo del ricorso principale si censura la nullità della sentenza impugnata per falsa applicazione degli artt. 13 e 15 del d.P.R. n. 633/72, nonché degli artt. 78 e 79 della Direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., laddove, muovendo dall’errata premessa che gli oneri generali del sistema elettrico sono parte del corrispettivo dovuto alle società fornitrici per la prestazione di energia, ha ritenuto legittimo ricomprendere tali oneri all’interno della base imponibile dell’IVA spettante alle società fornitrici del servizio.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si contesta la violazione dell’articolo 30-ter del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art 360, comma 1, n. 3), del c.p.c., censurando la decisione di secondo grado laddove ha accolto l’appello della contribuente in relazione ai motivi di ricorso attinenti alla legittimazione a chiedere il rimborso, che non è, nella prospettazione accolta, limitata al solo cedente o prestatore, ancorché il su richiamato art. 30-ter identifichi quale unico soggetto legittimato a richiedere il rimborso dell’IVA erroneamente indicata in fattura il solo cedente o prestatore.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si adombra la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 co. 2, 36, 54 e 56 d.lgs. 546 del 1992 nonché 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c., censurandosi la decisione di primo grado per “omessa pronuncia, rectius assorbimento improprio” con riferimento alla rituale riproposizione in sede di appello da parte dell’Ufficio dell’eccezione di decadenza per decorso del termine biennale di cui all’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546/1992.
2. Va esaminato previamente il ricorso incidentale, che invero investe la questione, di natura senz’altro pregiudiziale, rappresentata dalla legittimazione a richiedere il rimborso.
3. Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale.
La Corte regionale ha rigettato l’appello della contribuente, reputando, nondimeno, meritevoli di accoglimento “i motivi di ricorso attinenti alla legittimazione a chiedere il rimborso, che non è limitata al solo cedente o prestatore”.
La sentenza si pone, in parte qua, in urto con il principio ancor di recente affermato da questa Corte e al quale deve darsi piena continuità, principio in base “Il cessionario non è legittimato a richiedere al fisco il rimborso dell’IVA di rivalsa che assume indebitamente assolta, salvo che la stessa si rifletta sulla liquidazione finale dell’imposta, determinando un’eccedenza rimborsabile” (Cass.12 luglio 2023, n. 19837).
Invero, la questione investita dalla controversia attiene alla sussistenza di un diritto della società contribuente di agire direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria per chiedere il rimborso dell’iva che la stessa ritiene di avere erroneamente versato in rivalsa alle proprie società fornitrici di energia elettrica sul presupposto che non avrebbero dovuto essere considerati, ai fini della determinazione della base imponibile, gli oneri generali afferenti al sistema elettrico.
La società ha ritenuto di essere legittimata dal punto di vista sostanziale a prospettare direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria il diritto al rimborso dell’iva che ritiene di avere non correttamente versato, in quanto essa stessa soggetto passivo ai fini IVA.
Tale prospettazione della società non è condividibile.
La perimetrazione degli ambiti entro i quali un soggetto può esercitare il diritto al rimborso IVA nei confronti dell’amministrazione finanziaria è stata specificamente esaminata da questa Corte con diversi interventi che trovano nella pronuncia 27 settembre 2018, n. 23288, il punto di sintesi.
Con detta pronuncia si è avuto cura di distinguere due differenti fattispecie giuridiche, cioè: quella relativa, da un lato, alla posizione del soggetto che esercita il diritto alla detrazione dell’imposta versata nell’operazione di acquisto a monte (ossia, in caso di eccedenza a credito, ne chiede il rimborso con la dichiarazione fiscale); rispetto alla diversa posizione del soggetto che ha assolto l’IVA in rivalsa nei confronti del soggetto passivo (emittente la fattura) e che, sul presupposto del parziale o totale pagamento indebito di detta somma (l’imposta liquidata in fattura non era dovuta, del tutto, per esser l’operazione esente o non imponibile, oppure non era dovuta in parte in quanto era stata applicata un’aliquota maggiore), ne chiede la restituzione direttamente al fisco anziché al soggetto passivo.
In questo ambito, va osservato che il presupposto della prima fattispecie, che consente un’azione diretta dinanzi all’amministrazione finanziaria per il rimborso dell’IVA, è l’esercizio del diritto alla detrazione dell’iva, che inerisce al meccanismo stesso dell’imposta e si fonda proprio sull’esistenza di un’imposta dovuta; il presupposto della seconda è il diritto al rimborso, ancorato all’esistenza di un versamento indebito alle autorità tributarie, da parte di un soggetto passivo, di una somma a titolo di IVA: alla base del diritto alla ripetizione è quindi il carattere indebito dell’iva, di modo che l’onere economico che ne deriva da tale versamento va neutralizzato nei confronti di tale soggetto passivo (in termini, Corte giust. 14 giugno 2017, causa C-38/16, Compass Contract Services Ltd).
In sostanza, occorre distinguere i rapporti che si profilano in caso di realizzazione di una operazione rilevante ai fini IVA: un primo rapporto, tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa. Tali rapporti, dunque, pur collegati, non interferiscono tra loro. Occorre evidenziare che la necessità che, pur nella facoltà concessa agli Stati membri di stabilire i requisiti al ricorrere dei quali le domande di rimborso possono essere presentate, siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (espressamente in termini, sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigaretten fabriken, causa C35/05, punto 37), ha condotto la Corte di giustizia a riconoscere che un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA può chiederne il rimborso e, dall’altro, l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale venditore, è rispettoso dei suddetti principi nonché di quello di neutralità (Corte giust. in causa C-35/05, cit., punti 38 e 39).
Il fruitore dei beni o dei servizi può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (v., in tema di iva, Corte giust. 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42 e, in tema di accise, Corte giust. 20 ottobre 2011, causa C-94/10, Danfoss); soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: Corte giust. in causa C564/15, Farkas, cit.; conf., maggio 2018, cause C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66). In questo ambito, dunque, in un caso quale quello di specie, in cui la società ha chiesto il rimborso dell’IVA direttamente all’amministrazione finanziaria, occorre ragionare, alla luce dei suddetti principi, se, in relazione alle operazioni di acquisto di energia elettrica da parte dei fornitori e del conseguente versamento di un’IVA calcolata su di una base imponibile ritenuta non corretta, possa dirsi sussistente un rapporto IVA tra la stessa e l’amministrazione finanziaria che ne legittimi, sotto il profilo sostanziale, la richiesta di rimborso.
In realtà, proprio in applicazione dei principi sopra indicati, va escluso che possa ragionarsi in termini di diretto rapporto ai fini IVA tra la società e l’amministrazione finanziaria, in quanto l’IVA è stata dalla stessa versata in rivalsa in favore del soggetto passivo dell’imposta, cioè del suo fornitore, ed è questi ad essere titolare del rapporto tributario con l’amministrazione finanziaria.
Né può assumere rilievo la considerazione espressa in ordine al fatto che, nella fattispecie, la società, in quanto opera in esenzione, non potrebbe detrarre l’IVA e che, in tal caso, vi sarebbe una “rivalsa economica” e che precedenti pronunce di questa Corte avrebbero precisato che il cessionario che acquista beni nell’esercizio di una impresa è egli stesso un soggetto attivo nel rapporto IVA, sicché può chiedere direttamente all’erario il rimborso delle somme indebitamente versate innanzi al giudice tributario; la corretta delimitazione della portata di tali affermazioni giurisprudenziali è stata tracciata dalla pronuncia di questa Corte n. 23288/2018, sopra citata, che ha precisato che: “Non contraddice questa ricostruzione l’indirizzo che, in relazione ai rapporti in questione, ammette che il cessionario che sia al tempo stesso soggetto passivo d’imposta in relazione alle operazioni attive da lui realizzate possa indirizzare la propria pretesa al rimborso dell’IVA pagata in rivalsa direttamente nei confronti del fisco (Cass., sez. un., 31 luglio 2008, n. 20752; 8 giugno 2011, n. 12433; 26 ottobre 2012, n. 18425)”.
È stato precisato che, in tale orientamento espresso dalla precedente giurisprudenza di questa Corte, riemerge il rapporto tributario tutte le volte in cui l’IVA indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica si rifletta sulla liquidazione finale dell’imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, e il fisco contesti, in tutto o in parte, che l’IVA assolta in rivalsa non potesse essere portata in detrazione (o se eccedente, non potesse essere esposta a credito), quel rapporto tributario ha modo di riemergere solo laddove viene in contestazione il diritto alla detrazione dell’IVA esposta in dichiarazione, poiché il cessionario, esercitando quel diritto, ristabilisce con l’amministrazione finanziaria il rapporto diretto finalizzato a far valere un proprio credito che la prima non riconosce;
è evidente, allora, che solo in quel caso può profilarsi la sussistenza di un rapporto diretto tra il contribuente
destinatario di una prestazione di servizi e l’amministrazione finanziaria.
La fattispecie qui in esame, pertanto, è al di fuori della suddetta ricostruzione giuridica: l’avere versato in via di rivalsa al proprio fornitore l’IVA, se del caso non dovuta in base alla non corretta determinazione della base imponibile, non pone il cessionario dinanzi ad un rapporto diretto con l’amministrazione finanziaria, non essendo lo stesso il soggetto passivo dell’imposta versata, qualifica attribuibile solo al soggetto che ha realizzato il presupposto impositivo.
Solo in casi eccezionali la giurisprudenza unionale riconosce il diritto del cessionario al rimborso IVA direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria nel caso in cui il rimborso dell’IVA nei confronti del prestatore risulti impossibile o eccessivamente difficile, come nel caso di fallimento del venditore (v. Corte giust. in causa lC564/15, Farkas, cit.; conf., 31 maggio 2018, cause C-660 e 661/16, KollroB e Wirti, punto 66), esito che discende dalla corretta applicazione del principio di effettività del cedente, nel cui ambito non è riconducibile il rischio meramente astratto di un pregiudizio per l’economia del cedente i cui interessi, peraltro, non sono tutelabili in questa sede.
Quel che rileva è il fatto che il sistema interno è orientato nel senso che il rapporto obbligatorio in materia di IVA è incentrato sulla esistenza del suddetto rapporto esclusivamente tra l’amministrazione finanziaria e il cedente/prestatore, sicché è quest’ultimo il debitore dell’imposta e solo questi, salvo le ipotesi eccezionali, può attivarsi per richiedere il rimborso.
La Corte di giustizia (causa C-35/2005) ha precisato, con riferimento all’ordinamento interno, che i principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale, secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore; l’ordinamento interno, invero, è strutturato proprio nel senso di consentire l’attivazione della generale azione di indebito oggettivo salvo che, come osservato, sussistano i presupposti per attribuire la legittimazione straordinaria in favore di un soggetto che non è parte del rapporto obbligatorio, configurabile, in linea generale, solo tra il soggetto passivo (cioè colui che cede il bene o presta il servizio) e l’amministrazione finanziaria.
Ancorché evocata in memoria dalla contribuente, non incide sul caso di specie la decisione dell’11 aprile 2024, della Corte di giustizia C/316/22, in causa Gabel Industria Tessile SpA, Canavesi SpA Convenute: A2A Energia SpA, Energit SpA, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Con tale pronuncia, la Corte di giustizia, pur confermando che il destinatario dei servizi può richiedere il rimborso dell’imposta indebitamente versata unicamente al prestatore esercitando con la relativa azione di ripetizione dell’indebito, mentre non può rivolgersi direttamente all’amministrazione finanziaria se non nelle limitate ipotesi di cui si è detto sopra, ha riconosciuto al consumatore finale il diritto a rivolgere direttamente a tale amministrazione l’istanza di rimborso di una imposta contraria “ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta” e ciò per l’evidente ragione che tale direttiva non può essere validamente invocata nell’ambito di un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito contro il fornitore (cd. inefficacia “orizzontale” o diretta di una direttiva non attuata, costantemente affermata dalla Corte unionale cfr. CGUE, C-316/22, punto 27; CGUE, 22 dicembre 2022, Sambre & Biesme e Commune de Farciennes, C 383/21 e C 384/21, punto 36, CGUE; 22 novembre 2017, Cussens, C-251/16, punto 26; CGUE, 12 dicembre 2013, Portgás, C 425/12, punti 18 e 22, richiamati in Cass. n. 24208/2024).
Sulla base di tale pronuncia questa Corte nella sentenza da ultimo citata ha affermato che, in presenza di una imposta incompatibile con il diritto dell’Unione, a causa di una direttiva non attuata o, come nel caso ivi esaminato, solo tardivamente attuata dallo Stato italiano, ripercossa a titolo di rivalsa dal fornitore sul consumatore finale, costituisce titolo per procedere nei confronti dell’ente impositore con azione di ripetizione di indebito oggettivo, stante l’impossibilità per il consumatore finale di invocare nei confronti del fornitore (in quel caso, di energia elettrica) l’efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano.
Ma non è questa la fattispecie che ci occupa, posto che gli oneri generali di sistema non sono affatto incompatibili con il diritto unionale, come confermato dal fatto che la Corte di giustizia UE si è anche occupata della loro natura giuridica (cfr. CGUE, sentenza 18 gennaio 2017, nella causa C-189/2015, IRCCS Santa Lucia) e ciò pure ha fatto questa Corte in sede di regolamento di giurisdizione (cfr. Cass. Sez. U., n. 35282/2023).
Le ragioni esposte, infine, portano ad escludere che sussistano i presupposti per la rimessione alla Corte di giustizia.
4. L’affermazione del difetto di legittimazione a richiedere il rimborso, nei termini sopra diffusamente argomentati, implica la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale. Tuttavia, la questione posta con il ricorso principale, relativa alla natura giuridica degli OGdS e alla loro tassabilità ai fini IVA, si palesa di particolare rilevanza sicché ricorrono i presupposti per l’affermazione di un principio di diritto ex art. 363 c.p.c. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno a suo tempo già affermato che “se le parti non possono, nel loro interesse e sulla base della normativa vigente, investire la Corte di cassazione di questioni di particolare importanza in rapporto a provvedimenti giurisdizionali non impugnabili, e il P.G. presso la stessa Corte non chieda l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, le Sezioni Unite della Corte chiamate comunque a pronunciarsi su tali questioni su disposizione del Primo Presidente dichiarata l’inammissibilità del ricorso, possono esercitare d’ufficio il potere discrezionale di formulare il principio di diritto concretamente applicabile. Tale potere, espressione della funzione di nomofilachia, comporta che in relazione a questioni la cui particolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto, la Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili” (Cass., Sez. Un., n. 27187 del 2007).
Su tale assetto, la recente riforma attuata con il d.lgs. n. 149 del 2022 non ha inciso, tant’è che le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “il procedimento per l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 1, c.p.c., richiede la ricorrenza dei seguenti presupposti processuali:
a) l’avvenuta pronuncia di uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile né ricorribile per cassazione;
b) l’illegittimità del provvedimento stesso, quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta;
c) un interesse della legge, quale interesse generale o trascendente quello delle parti, all’affermazione di un principio di diritto per l’importanza di una sua formulazione espressa” (Cass., Sez. Un, n. 8268 del 2023; v. anche Cass. n. 30220 del 2024).
Orbene, i requisiti sopra indicati ricorrono tutti nel caso in esame attesa l’inammissibilità del ricorso e il concreto ed effettivo collegamento tra il provvedimento impugnato ed una concreta vicenda. Inoltre, come emerge chiaramente dalla stessa decisione qui impugnata (ma anche dagli atti delle parti), il contenzioso in esame appare di ampia incidenza non solo in termini quantitativi che, inclusi in bolletta gli OGdS riguardano la generalità degli utenti del servizio elettrico ma anche per la rilevanza dei profili sollevati, che attengono all’esatta definizione del perimetro tributario, con riflessi che riguardano l’entità complessiva del gettito fiscale.
La rilevanza della questione tanto più si coglie se si guarda alle implicazioni eurounitarie nella materia in relazione agli artt. 4 e 121 e ss TFUE, che hanno già dato origine ad un importante intervento della Corte di giustizia (con la sentenza del 18 gennaio 2017, resa nella causa C-189/2015).
Tutto ciò rende apprezzabile la sussistenza di un interesse ad una pronuncia che, “prescindendo completamente dalla tutela dello ius litigatoris, si sostanzia nella stessa enunciazione del principio di diritto
richiesta alla Corte, finalizzata alla stabilizzazione giurisprudenza” (Cass., Sez. Un., n. 13332 del 2010).
5. La questione che emerge dai due motivi del ricorso principale concerne la natura degli OGdS.
La sentenza d’appello ha accolto i motivi di gravame della contribuente in punto di legittimazione della stessa a chiedere il rimborso, pervenendo, tuttavia, al rigetto dell’impugnazione, così disattendendo la tesi di
(Omissis) in merito alla natura tributaria degli oneri generali di sistema.
In particolare, la sentenza d’appello ha così opinato: “Non si ritiene …di condividere l’opzione ermeneutica suggerita dal contribuente circa la natura degli oneri generali di sistema. Trattasi, infatti, di cost i perla gestione e la manutenzione degli impianti per la fornitura di energia elettrica che le società fornitrici sostengono per lo svolgimento della loro attività d’impresa. Sono costi inerenti alla gestione caratteristica di cui le società fornitrici tengono conto al momento della determinazione del prezzo praticato sull’energia venduta, al fine di calcolare il loro margine di redditività. La circostanza che l’erogazione di energia elettrica risponde a finalità di interesse generale non rileva al fine di trasformare tali costi di gestione di una società a scopo di lucro in oneri a carico della collettività. E parimenti, il fatto che tali costi siano solitamente indicati separatamente nella fattura risponde solo ad esigenze di chiarezza e trasparenza nella fornitura di un servizio alla collettività”.
Su queste premesse, se col primo motivo di ricorso la contribuente si duole della sentenza d’appello nella parte in cui attribuisce agli OGSE natura di costi sostenuti dalle società fornitrici di energia elettrica
nell’esecuzione dei relativi servizi di fornitura, col secondo motivo essa censura l’erroneità della sentenza nella misura in cui, reputando gli oneri in questione parte del corrispettivo dovuto alle società fornitrici per la prestazione di energia, li riconduce entro l’alveo della base imponibile ai fini IVA.
È indispensabile una previa definizione del quadro normativo in materia.
Gli OGdS sono contemplati dall’art. 3, co. 10 e 11, d.lgs. n. 79 del1999 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), che prevede:
“10. Per l’accesso e l’uso della rete di trasmissione nazionale è dovuto al gestore un corrispettivo determinato indipendentemente dalla localizzazione geografica degli impianti di produzione e dei clienti finali, e comunque sulla base di criteri non discriminatori. La misura del corrispettivo è determinata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto,
considerando anche gli oneri connessi ai compiti previsti al comma 12 ed è tale da incentivare il gestore allo svolgimento delle attività di propria competenza secondo criteri di efficienza economica. Con lo stesso provvedimento l’Autorità disciplina anche il periodo transitorio fino all’assunzione della titolarità da parte del gestore di cui al comma 4. 11. Entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo, con uno o più decreti del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, sono altresì individuati gli oneri generali afferenti al sistema elettrico, ivi inclusi gli oneri concernenti le attività di ricerca e le attività di cui all’articolo 13, comma 2, lettera e). L’Autorità per l’energia elettrica e il gas provvede al conseguente adeguamento del corrispettivo di cui al comma 10. La quota parte del corrispettivo a copertura dei suddetti oneri a carico dei clienti finali, in particolare per le attività ad alto consumo di energia, è definita in misura decrescente in rapporto ai consumi maggiori”.
Gli artt. 1 e 2, co. 5, D.L. n. 25 del 2003, integrano il plesso normativo in tema, disponendo che: “A decorrere dal 1° gennaio 2004, gli oneri generali del sistema elettrico, di cui all’art. 3, comma 11, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, sono costituiti da: a) i costi connessi allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, alla chiusura del ciclo del combustibile nucleare ed alle attività connesse e conseguenti; b) i costi relativi all’attività di ricerca e di sviluppo finalizzata all’innovazione tecnologica di interesse generale per il sistema elettrico; c) l’applicazione di condizioni tariffarie favorevoli per le forniture di energia elettrica previste dalle disposizioni richiamate nell’articolo 2, punto 2.4, della deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas 26 giugno 1997, n. 70/97, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 30 giugno 1997, e dal decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato in data 19 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 16 febbraio 1996; d) la reintegrazione dei maggiori costi derivanti dalla forzata rilocalizzazione all’estero delle attività di scarico a terra e
rigassificazione del gas naturale importato dalla (Omissis) S.p.a. dalla Nigeria, in base agli impegni contrattuali assunti anteriormente alla data del 19 febbraio 1997, e che non possono essere recuperati a seguito dell’entrata in vigore della direttiva n. 96/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 1996, pari ai costi annui effettivamente sostenuti derivanti dal complesso dei relativi impegni contrattuali, al netto dei costi di rigassificazione del gas naturale, sommati agli oneri derivanti dalle perdite tecniche, effettivamente sostenuti fino al 1° gennaio 2010; (art. 2) 5. Al fine di tutelare la sicurezza e l’economicità del sistema elettrico nazionale, gli oneri di cui all’articolo 1 possono essere modificati con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”.
La trama delle regole è poi intessuta dall’art. 39, co. 3, D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, che individua il soggetto tenuto al pagamento degli oneri: “3. I corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali sono rideterminati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro 60 giorni dalla data di emanazione dei decreti di cui al comma 1, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta nei decreti di cui al medesimo comma 1 e nel rispetto dei vincoli di cui al comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico. Dalla data di entrata in vigore della rideterminazione è conseguentemente abrogato l’ultimo periodo del comma 11 dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”.
La disciplina prevede l’applicazione degli OGdS a tutte le tipologie di contratti di fornitura energetica secondo le determinazioni dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, cui spetta il potere tariffario e di regolazione dei mercati, secondo quanto previsto dalla L. n. 481 del 1995 (Legge istitutiva dell’Autorità di settore). ARERA fissa periodicamente le aliquote relative agli oneri, sulla base del fabbisogno, come “maggiorazione della tariffa di distribuzione (quindi all’interno dei servizi di rete), in maniera differenziata per tipologia di utenza”.
Gli OGdS sono pagati in bolletta dai clienti finali, che versano i relativi importi ai venditori, i quali, a loro volta, sono tenuti a corrisponderli, attraverso il pagamento delle fatture del servizio di trasporto in rete del prodotto energetico, ai distributori. Il gettito raccolto è trasferito – in assoluta prevalenza su appositi conti di gestione istituiti presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA), incaricata della riscossione degli oneri. L’utilizzo e la gestione dei fondi sono disciplinati da ARERA, che indirizza le risorse alla realizzazione di finalità d’interesse pubblico sempre settorialmente ricomprese nel sistema elettrico.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è occupata della natura giuridica degli OGdS con la sentenza del 18 gennaio 2017, resa nella causa C-189/2015 (IRCCS Santa Lucia contro Cassa conguaglio…), con cui ha statuito che «i corrispettivi a copertura degli oneri generali del sistema elettrico costituiscono imposte indirette, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/96».
Benché il decisum unionale riconduca gli oneri de quibus alla nozione eurounitaria di imposta indiretta, equiparandoli ad «indirect taxes» ai fini dell’applicazione della Direttiva 2003/96/CE, esso si cura di (e demandare esplicitamente al giudice nazionale la conferma di detta natura, sulla base della verifica «degli elementi di fatto e delle norme del diritto nazionale su cui siffatta risposta della Corte si basa».
Su questa scia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 18 dicembre 2023, n. 35282, pur occupandosi di una questione di riparto di giurisdizione, hanno perciò avuto modo di osservare che gli oneri generali di sistema si contraddistinguono come componenti tariffarie, normativamente imposte, finalizzate alla copertura di costi relativi ad attività che, pur di interesse generale, si mostrano rigorosamente circoscritte al all’implementazione) del sistema elettrico nazionale.
Indubbiamente, gli OGdS, gravando ex lege sul cliente finale (art. 39, co. 3, D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 134 del 2012), rivelano una connotazione spiccatamente coattiva. Le imprese di distribuzione e vendita non possono esimersi dall’applicare in bolletta la “maggiorazione” correlata a tali esborsi, né gli utenti finali hanno alcun mezzo per sottrarsi al loro pagamento, salva la rinuncia alla fornitura di energia, scelta che impatterebbe inevitabilmente su bisogni essenziali della vita. La coattività emerge sensibilmente anche dalla possibilità di recupero degli OGdS mediante la procedura di riscossione coattiva esattoriale, secondo quanto previsto dall’art. 17, co. 3-bis, D.Lgs. n. 46 del 1999 (“Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337”).
Peraltro, ad avviso di questa Corte, pur a fronte del tratto marcato di obbligatorietà, gli OGdS non rivelano natura tributaria.
Risalta in principalità la nitidezza del dato letterale sopra riportato, che accosta inclusivamente gli OGSE ai “corrispettivi”, riconducendoli testualmente entro il relativo ambito. Sul piano sostanziale viene coerentemente in apice un attributo di negozialità degli oneri, che fanno essenzialmente corpo col corrispettivo d’acquisto dell’energia elettrica, maggiorandolo.
La corrispettività degli OGSE, del resto, ben si coglie nella tendenziale commisurazione della prestazione patrimoniale in cui si sostanziano al costo del servizio, quindi nella rispondenza dell’esborso ad un criterio generale di proporzionalità rispetto alla fornitura energetica richiesta e/o ricevuta dalla specifica tipologia di utente.
Gli OGdS sono, in effetti, composti da una quota fissa, ma anche da una quota variabile, collegata al consumo, quindi all’entità della prestazione energetica conseguita.
La fruizione del servizio contrattualmente contrattualmente acquistato assurge, dunque, a fatto generatore dell’obbligo di pagamento. Gli oneri di sistema vengono conteggiati all’interno delle bollette in aggiunta alle altre voci di costo in quanto ne condividono l’identica matrice corrispettiva.
La doverosità/coattività del pagamento finisce per collegarsi, infatti, non ad una finalità di prelievo fiscale, ma ad una più mirata necessità di raccolta di mezzi necessari a far fronte a costi generali di funzionamento e ammodernamento costante del sistema energetico nazionale. In questo solco, gli OGdS appaiono strumentali a consentire la salvaguardia della regolarità, economicità e funzionalità del servizio richiesto dai consumatori attraverso la sottoscrizione dei contratti di fornitura.
In altri termini, la “maggiorazione” che gli oneri comportano in bolletta, ancorché determinata nel suo ammontare dalla legge e veicolata da un atto autoritativo dell’ARERA, incide in via immediata proprio su una delle prestazioni del contratto di utenza. La circostanza che l’obbligo di pagare i ridetti oneri generali trovi la propria origine in una norma di legge e non in un contratto, non ne esclude la stretta inerenza al rapporto negoziale e alla dinamica delle sue prestazioni.
Pertanto, la maggiorazione rimane volta, quantomeno indirettamente, a soddisfare gli specifici e diversificati interessi dei soli soggetti che a quel ristretto sistema di erogazione energetica senz’altro partecipano, in quanto beneficiari del servizio in forza di appositi titoli contrattuali, sicché, in questa specifica connotazione, è diretta a remunerare la prestazione imponibile ricevuta dall’utente finale.
Tale ristretta platea di soggetti-utenti è, con ogni evidenza, ben diversa dalla generalità dei consociati su cui per definizione agisce la c.d. “leva fiscale”.
Ne deriva che, pur a fronte dell’obbligatorietà che ne connota il versamento, gli OGdS si configurano, in nuce, alla stregua di componenti tariffarie, atte ad integrare i corrispettivi del servizio di distribuzione, tanto da essere indefettibilmente inserite nei contratti stipulati da distributori e venditori aventi ad oggetto il servizio di somministrazione e trasporto dell’energia elettrica sino ai punti di prelievo dei clienti finali. Sebbene riscossi coattivamente dai venditori-fornitori mediante la bolletta, gli oneri restano, in tal senso,
variamente indirizzati alla copertura di costi relativi ad attività che espongono un nesso intimo con la gestione del sistema energetico nazionale, quindi pure un’inscindibile attinenza ai rapporti contrattuali stipulati dai consumatori finali e all’erogazione delle prestazioni da costoro acquistate.
Un dato saliente alligna, pertanto, nella constatazione per cui il pagamento degli OGdS non confluisce nel bacino della “fiscalità generale”: il loro flusso permane nello spettro limitato delle esigenze di tenuta e di implementazione del sistema di rete elettrica. Proprio in questa prospettiva gli OGSE, come precisato dall’art. 3, co. 2, lett. b), del D.L. n. 210 del 2015, conv. con la L. n. 21 del 2016, vengono applicati col congegno che altrimenti si paleserebbe eccentrico della maggiorazione della tariffa di distribuzione all’interno dei servizi di rete. La destinazione del gettito del prelievo obbligatorio al finanziamento di finalità di interesse generale secondo criteri di ripartizione stabiliti dall’Autorità per l’energia elettrica non contraddice l’aspetto decisivo per cui beneficiario del gettito non è il bilancio generale dello Stato italiano, ma la Cassa deputata a favorire il miglioramento delle condizioni di approvvigionamento dell’energia elettrica.
La natura tributaria è, alteris verbis, obliterata proprio dalla considerazione che i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema non sono destinati a supportare le entrate tributarie dello Stato, ma trasferiti sui conti di gestione istituiti dalla CSEA per essere impiegati in un ambito specifico, per esigenze fisiologicamente settoriali.
Gli OGdS rispondono, invero, a logiche correlate al mercato di riferimento, sicché quand’anche intonate ad un interesse generale, sono ancorati alle prestazioni rientranti in altrettanti rapporti sinallagmatici e intrinsecamente collegati al consumo di un preciso servizio. Gli oneri, quindi, sfuggono al necessario collegamento con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., considerato come attuazione del concorso di tutti al finanziamento della spesa pubblica su base solidaristica e in un modo equo, in quanto parametrato alle condizioni economiche del singolo soggetto.
Mette punto, allora, rimarcare che gli OGdS rappresentano prestazioni economiche necessarie e indispensabili per l’erogazione del servizio, che, come tali, contribuiscono a delineare la tariffa del servizio stesso. La configurazione di quest’ultima è eminentemente privatistica e la sua inerenza a rapporti giuridici di marca contrattuale pone in luce un dato saliente, quello della coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio.
La circostanza che il soggetto onerato sia anche l’utente che consegue la controprestazione energetica sembra confermare la collocazione del versamento degli OGdS nella circonferenza degli obblighi che sostanziano il rapporto sinallagmatico fra detto utente e il suo fornitore.
La corresponsione degli OGdS è, in questo senso, un versamento direttamente correlato al pari degli altri costi che compongono la bolletta alla prestazione contrattualizzata di acquisto dell’energia, perché in difetto di tale versamento nemmeno la prestazione energetica sarebbe erogabile.
La prestazione economica in cui si compendiano gli oneri rinviene, in definitiva, la propria ragion d’essere nel meccanismo privatistico di tariffazione del prezzo dell’energia, nel cui contesto si registra anche l’attività regolatoria di ARERA, un’attività che, in presenza di contratti di massa, trova spiegazione in una mera esigenza di redistribuzione dei costi in funzione di finalità che hanno una pubblicistica, ma conservano una vocazione rigorosamente settoriale e clusterizzata all’interno del sistema elettrico.
L’approdo raggiunto in punto di corrispettività degli OGdS ne postula la tassabilità ai fini IVA.
Del resto, sono assoggettabili all’IVA, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, tutte le prestazioni di servizio quale che ne sia la fonte; in particolare sono imponibili tutte le operazioni “verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Come puntualizzato dalla giurisprudenza unionale, la base imponibile della cessione di energia elettrica tendenzialmente racchiude tutto ciò che è acquisito a titolo di corrispettivo, ogni qualvolta sussista un nesso diretto tra il bene e/o il servizio fornito e il controvalore ricevuto (CGUE sentenze: 23 novembre 1988, C-230/87, Naturally yours cosmetics; 2 giugno 1994, C-33/93, Empire stores; 5 dicembre 2013, C- 618/11, TVI Televisao independente SA).
Le conclusioni rappresentate sono corroborate anche dall’evoluzione del diritto vivente in almeno un settore che segnala un meccanismo di prelievo cogente assai affine.
È significativo, infatti, che le Sezioni Unite di questa Corte, in ambito di rifiuti, abbiano ritenuto che “La tariffa integrata ambientale (cd. TIA2) di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, come interpretata dall’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010, ha natura privatística ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972”.
In buona sostanza, è stata ritenuta la tassabilità ai fini IVA della c. . TIA2, alla quale, pur a fronte della coercitività del prelievo che la connota, è stata riconosciuta valenza di corrispettivo e coerente qualificazione in termini di prelievo non tributario (v. anche Cass. n. 32250 del 2018; Cass. n. 4275 del 2019).
Si sono valorizzati, a tal fine, taluni profili, tra i quali: il fatto generatore dell’obbligo di pagamento costituito dalla produzione di rifiuti, l’ancoraggio del debito alla fruizione del servizio, la parametrazione dell’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti. Proprio la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo assoggettabile ad IVA ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, senza che rilevi in senso ostativo la circostanza che il pagamento della TIA 2 sia obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3 del d.P.R. n. 633/1972 prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità all’IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”. Si è anche precisato (v. Cass. n. 4275 del 2019 e Cass. n. 19544 del 2019 cit.) che “nella prospettiva dell’opzione legislativa è … chiaro che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto anche di indici reddituali”.
In definitiva, la decisione della Corte regionale appare corretta in parte qua, opportunamente avendo fatto rientrare gli OGSE nella base imponibile.
6. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del secondo mezzo, mentre il ricorso principale va dichiarato inammissibile. La sentenza d’appello va pertanto cassata senza rinvio.
7. In relazione al ricorso principale, inammissibile, va peraltro affermato, nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “Gli oneri generali di sistema elettrico (cd. “OGSE” o “OGDS”), in quanto maggiorazioni tariffarie inserite ex lege nei contratti di utenza stipulati dai distributori di energia elettrica in stretta correlazione alla prestazione da eseguire in favore dell’utente del servizio, ancorché abbiano carattere cogente, non rivelano natura tributaria, ma di corrispettivo contrattuale, sicché rientrano nella base imponibile ai fini IVA”.
8. Le spese del giudizio, per ogni fase e grado, vanno integralmente compensate attesa la novità e omplessità delle questioni investite dalla controversia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, e dichiara inammissibile il ricorso principale.
Cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa integralmente le spese del giudizio.
Enuncia, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto:
“Gli oneri generali di sistema elettrico (cd. “OGSE” o “OGDS”), in quanto maggiorazioni tariffarie inserite ex lege nei contratti di utenza stipulati dai distributori di energia elettrica in stretta correlazione alla prestazione da eseguire in favore dell’utente del servizio, ancorché abbiano carattere cogente, non rivelano natura tributaria, ma di corrispettivo contrattuale, sicché rientrano nella base imponibile ai fini IVA”
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma l’11 dicembre 2025