DIRITTO FISCALITA

Gli Enti ecclesiastici possono e devono corrispondere l’ICI

Tributi – ICI – Immobile di proprietà di un ente ecclesiastico – Immobile destinato ad attività ricettiva remunerata – Esenzione ex art. 7, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992 – Esclusione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4066 del 12 febbraio 2019 interviene per la prima volta sul tema degli aiuti di stato, dopo la recentissima pronunzia della Corte UE del 2018 riferita alla sentenza nelle cause riunite C-622/16 P, C-623/16 P, e C-624/16 P, per affermare che le decisioni della Commissione Ue sugli aiuti di Stato sono immediatamente applicabili nel suolo nazionale.

La Corte di giustizia, pronunciatasi in Grande Chambre, preposta a garantire la corretta interpretazione e applicazione del diritto europeo da parte dei Paesi membri e delle istituzioni dell’Unione, il 6 novembre 2018 ha notificato il dispositivo della sentenza per cui lo Stato italiano deve trovare il modo di recuperare l’ICI non versata dalla Chiesa per le sue attività commerciali.

La vicenda relativa al contenzioso europeo ha avuto una lunga storia con sentenze non univoche, come peraltro dimostra il ribaltamento della decisione della Commissione europea del 19 dicembre 2012 (confermata in appello dal Tribunale dell’Unione), che aveva riconosciuto al nostro Paese il principio del diritto europeo della “assoluta impossibilità” (“ad impossibilia nemo tenetur”) a calcolare quell’imposta, trascurando però di verificarne poi l’effettiva fondatezza.

La recente sentenza della Corte, a cui fanno riferimento i giudici della Cassazione, denuncia l’anomalia della Decisione del 2012, sottolineandone anche la sua intrinseca contraddittorietà: se infatti, da un lato, la Commissione dichiarava l’Italia colpevole di illegale aiuto di Stato pro-Vaticano e pertanto ordinava il recupero del gettito fiscale evaso, dall’altro la assolveva dal farlo sulla base di insufficienti giustificazioni accampate, ma accreditate come “assoluta impossibilità”.

È interessante evidenziare come il testo della decisione della Commissione annullata dalla Corte di Giustizia dedichi pagine e pagine ad argomentare l’illegittimo favoritismo, stabilendo ad esempio che “l’esenzione dall’ICI ha apportato agli enti interessati un vantaggio economico rispetto ad altre imprese che non hanno potuto beneficiare di tali agevolazioni fiscali”. La Commissione europea, si leggeva nella sentenza, infine … “avrebbe dovuto esaminare nel dettaglio l’esistenza di modalità alternative volte a consentire il recupero, anche soltanto parziale, delle somme”.

Inoltre, i giudici europei hanno anche correttamente ricordato che i ricorrenti erano situati “in prossimità immediata di enti ecclesiastici o religiosi che esercitavano attività analoghe” e, dunque, l’esenzione ICI li poneva “in una situazione concorrenziale sfavorevole (..) e falsata”.

Gli sviluppi legislativi nazionali hanno contemporaneamente avuto delle accelerazioni e modifiche, piuttosto strumentali, nel tentativo di ricomporre l’intera matassa. Va comunque rammentato il tentativo di ricomposizione, concretizzatosi col decreto n. 200 del 19 novembre 2012, che avrebbe dovuto chiarire con facilità il come distinguere le aree no profit da quelle profit, da assoggettare all’imposta immobiliare. Il decreto, però, non ha avuto l’esito immaginato sia per la obiettiva difficoltà interpretativa, sia perché ne è scaturita una proliferazione di equivoci interpretativi che invece di chiarire la materia hanno in qualche modo contribuito alla produzione di una mescolanza di incroci indistricabili di aree calpestabili dove poi, di fatto, convivevano culto e guadagno.

In quel decreto 200/2012, la parte del leone era di competenza del famigerato art. 91-bis , peraltro più volte riformulato e adeguato alla bisogna, che si occupava delle “unità immobiliari a utilizzazione mista” nella quale era stato scelleramente inserito un periodo formato da due parole: “se identificabile”, per fornire motivi credibili di confusione o per creare una forma d’indistinguibilità tra sezioni di culto e di affari, ma che nella realtà sono servite solo ad accumulare incomprensioni e, nel peggiore dei casi, facili scappatoie. Citiamo solo un passo, tratto da dall’art. 2: “…Qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività”.

Ricordiamo infine che per aiuto di Stato si intende qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza: tranne che in alcuni casi, gli aiuti di Stato sono vietati dalla normativa europea e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108.

Tornando al caso prospettato, la vicenda riguardava un contenzioso relativo alla richiesta di esenzioni ICI a fronte di attività commerciali di enti formalmente non commerciali come l’Opera Diocesana, proprietaria di immobili in villaggio turistico in provincia di Venezia.

La giustizia tributaria territoriale, in entrambi i giudizi riconosce di fatto le argomentazioni della difesa annullando gli avvisi di accertamento perché non dovuta l’imposta per la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dell’esenzione, ritenendo provato per tabulas il requisito soggettivo, e cioè la qualifica di ente ecclesiastico dell’Opera, nonché il requisito oggettivo.

In particolare, la CTR ha ritenuto che l’attività esercitata nel villaggio turistico non mostrava di possedere una natura dedita a fini rigorosamente prevalentemente e/o esclusivamente commerciali, posto che obiettivo dell’ente è di ottemperare ad esigenze di carattere sociale e che particolari agevolazioni vengono applicate in funzione del parametro ISEE a famiglie numerose con figli minorenni a persone disabili e loro accompagnatori.

Questa tesi non è stata reputata degna di accoglimento dai Giudici di legittimità, i quali hanno invece ritenuto che: “ … Questa Corte (cfr. Cass. civ. sez V, n. 13970/2016) ha altresì chiarito che deve tenersi conto della decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, che nel valutare se il D.lgs. 504/1992 art. 7 comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato; La Commissione ha osservato che anche laddove un’attività abbia una finalità sociale, questa non basta da sola a escluderne la classificazione di attività economica. E’ necessario, quindi, al fine dell’esclusione del carattere economico dell’attività, che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico.

6.4. – Con la predetta decisione la Commissione dell’Unione Europea ha valutato la compatibilità delle disposizioni legislative nel tempo susseguitesi con l’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato, che dispone: «sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino dì falsare la concorrenza». Conformemente a tale disposizione, la Commissione ha esaminato: 1) se la misura è finanziata dallo Stato o mediante risorse statali; 2) se la misura conferisce un vantaggio selettivo; 3) se la misura incide sugli scambi tra gli Stati membri e falsi o minacci di falsare la concorrenza. DHa quindi osservato che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento: pertanto, anche un soggetto che in base alla normativa nazionale è classificato come un’associazione o una società sportiva può essere considerato come un’impresa ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato. L’unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un’attività economica. □ Inoltre, osserva la Commissione, l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poiché anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato.

In conformità a queste valutazioni, si devono considerare irrilevanti -ai fini tributari- le argomentazioni sulle finalità solidaristiche e di inclusione sociale che connotano l’attività in questione, posto che, come la stessa CTR ha accertato, l’attività non è svolta a titolo gratuito, né dietro versamento di un importo simbolico, ma semplicemente praticando sconti a particolari categorie di soggetti, il che peraltro è una pratica commerciale comune, pur se in concreto possono variare, da azienda ad azienda e secondo la politica commerciale seguita, le categorie cui si applica la tariffa vantaggiosa (famiglie con bambini, anziani, studenti, clienti fidelizzati etc.).

6.5. – L’attenzione della Commissione UE si è focalizzata sul comma 2 bis dell’art. 7 citato, (già abrogato all’epoca della decisione) norma che qui viene in rilievo, come si è detto, per l’anno di imposta 2006. La Commissione UE ha dato atto che era stata emanata una circolare ministeriale (29 gennaio 2009) esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui all’art. 7 lett. i) dovevano essere considerate di natura «non esclusivamente commerciale». Se erano soddisfatte le condizioni indicate nella circolare, gli enti non commerciali erano esentati dall’io, anche quando le attività da essi svolte presentavano elementi di natura economica. In particolare, per quanto qui interessa, per le attività ricettive era richiesto che esse non fossero rivolte a un pubblico indifferenziato, ma a categorie predefinite e che il servizio non fosse fornito per l’intero anno solare. Il fornitore di servizi era inoltre tenuto ad applicare tariffe di importo ridotto rispetto ai prezzi di mercato e la struttura non doveva funzionare come un normale albergo. Deve qui osservarsi che il nessuno di questi criteri è stato tenuto in considerazione dal giudice d’appello nella decisione oggi impugnata, anzi, nel rilevare che la struttura offre particolari agevolazioni a famiglie numerose e a presone disabili, già per questo si riconosce implicitamente che l’offerta è rivolta ad un pubblico indifferenziato e quindi non è soddisfatto il primo requisito posto dalla circolare. In ogni caso, la Commissione UE nella sua decisione ha ritenuto che l’applicazione i criteri di cui alla citata circolare (disattesi dal giudice di secondo grado) non vale ad escludere la natura economica delle attività interessate. Rese queste premesse, la Commissione UE ha ritenuto che la misura in esame sia all’origine di una perdita di risorse statali nella misura in cui, garantendo un’esenzione fiscale, concede un vantaggio selettivo agli enti non commerciali che svolgono determinate attività. La misura deve quindi essere considerata aiuto di Stato, incompatibile con il Trattato, mentre l’esenzione fiscale prevista dal nuovo regime dell’imposta municipale unica, applicabile dal 1 gennaio 2012, non costituisce un aiuto di Stato. La Commissione non ha tuttavia ordinato il recupero delle somme, ritenendolo impossibile. Tuttavia, questa parte della decisione, che sembrava chiudere il capitolo dell’aiuto di Stato illegittimamente concesso in virtù della norma in esame con una sorta di sanatoria, è stata annullata dalla recente sentenza della CGUE del 6 novembre 2018, (cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C-624/16 P) dove si è evidenziato che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità e che diversamente sì farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura. In particolare la CGUE ha ricordato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale. Il che impone al giudice nazionale una ancora maggiore attenzione nella decisione delle cause pendenti, per evitare che si produca l’effetto, in assoluto contrasto con i principi sopra enunciati, di attribuire oggi, in presenza di questo arresto della giurisprudenza europea, un vantaggio indebito, tramite una illegittima esenzione dal tributo.

7. – Così ricostruita la portata e l’efficacia del dato normativo applicabile alla fattispecie, nelle due diverse formulazioni succedutesi nel tempo, deve concludersi che il giudice d’appello ha fatto una non corretta applicazione della norma, così come essa deve leggersi ed intendersi alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, e che, per tutte le annualità oggi in esame, manca il presupposto oggettivo per l’esenzione dall’ICI

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 12 febbraio 2019, n. 4066

 

Sul ricorso iscritto al n. 15008 /2014 R.G. proposto da

COMUNE DI CAVALLINO TREPORTI in persona del Sindaco pro tempore, con sede Ca’ Savio (VE) via Papa Giovanni Paolo II, autorizzato al giudizio con delibera di Giunta n. 28/2014 rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Trevisan del Foro di Venezia ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Venezia Cannaregio 5677;

– ricorrente –

contro O. D. P. L.A. R. o O..D.A.R. con sede in Belluno, piazza Piloni 11 in persona del legale rappresentante G. A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Innocenzo Megali e Maurizio Logozzo, elettivamente domiciliata in Roma viale Regina Margherita 1 presso lo studio dell’avv. Massimiliano de Stefano;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 179/25/2014 depositata il 4.2.2014 non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.1.2019 dal Consigliere Rita Russo

Rilevato che

  1. – L’Opera Diocesana, proprietaria di immobili ricadenti nel complesso turistico denominato Villaggio S. Paolo, ha impugnato gli avvisi di accertamento ICI degli anni 2004/2005/2006, deducendo di avere diritto alla esenzione dall’imposta ai sensi dell’art. 7, lett. i), del D.Lgs. n. 504/1992.
  2. – La Commissione Tributaria Provinciale di Venezia ha parzialmente accolto il ricorso dichiarando non dovute le sanzioni, ma dovuta l’imposta. La Commissione tributaria regionale del Veneto, adita con ricorso in appello dall’Opera, ha accolto le ragioni del contribuente e annullato gli avvisi di accertamento, ritenendo non dovuta l’imposta per la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dell’esenzione.
  3. – Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il Comune, affidandosi ad un unico motivo. Si è costituita l’Opera presentando controricorso e resistendo nel merito. Entrambe le parti, prima dell’adunanza camerale, hanno depositato memorie nelle quali si evidenza un errore materiale nel controricorso dell’O.D.A.R. che ha indicato trattarsi delle sanzioni per omissioni ICI anni 2007/ 2008/ 2009, mentre in realtà si controverte su avvisi di accertamento relativi agli anni 2004/2005/2006, e che chiede la correzione dell’errore materiale contenuto nel controricorso. Inoltre, con la predetta memoria, l’O.D.A.R. eccepisce la presenza di un giudicato dato da altra sentenza della Commissione veneta (n. 377/13/14), tra le stesse parti, che ha già riconosciuto l’esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’esenzione ICI in relazione all’anno 2010.

Considerato che

  1. – Preliminarmente occorre valutare l’eccezione di giudicato esterno, formulata dall’O.D.A.R. nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. Il giudicato al quale l’ente fa riferimento è quello dato da una sentenza della Commissione regionale veneta depositata il 10 settembre 2014 che ha riconosciuto l’esenzione dall’ICI per l’anno 2010 relativamente alla medesima struttura ricettiva.

4.1. – L’eccepito giudicato non osta alla autonoma valutazione della fattispecie oggetto del presente giudizio. E’ giurisprudenza costante di questa Corte l’affermazione che il giudicato in materia tributaria fa stato solo in relazione a quei fatti che, per legge, hanno efficacia tendenzialmente permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (Cass. civ. sez. V, n. 32254/2018).

In particolare, in tema di ICI, si è affermato che la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità, fa stato con riferimento anche ad annualità diverse in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, ma non con riferimento ad elementi variabili (Cass. civ. sez. V n. 1300/2018).

Il requisito oggettivo per ottenere l’invocata esenzione dal tributo, che attiene alle modalità di esercizio della attività svolta nei locali, non costituisce una «qualità permanente» della struttura. Le modalità di esercizio di una determinata attività, infatti, ben possono essere diverse se riferite a periodi di imposta diversi, in particolare se così distanti nel tempo e peraltro sottoposti a regime legale parzialmente diverso, date le modifiche nel tempo apportate all’art. 7 del D.lgs. 504/1992 (Cass. civ. sez. V, n. 13966/2016, tra le stesse parti). E’ pacifico, infatti, che nella fattispecie si tratta della imposta per gli anni 2004, 2005, 2006 malgrado l’errore materiale contenuto nel controricorso di cui l’O.D.A.R. chiede la correzione dell’errore materiale, che però non compete a questa Corte, avendo la parte stessa rettificato il proprio errore nell’ atto. L’eccezione è quindi da rigettare e il ricorso può essere esaminato nel merito.

  1. – Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione all’art. 7 lett. i) del D.lgs. 504/1992 e in relazione all’art. 87, comma I lett. c) del TUIR 917/1996;

5.1- La CTR ha annullato gli avvisi di accertamento ritenendo provato per tabulas il requisito soggettivo e cioè la qualifica di ente ecclesiastico dell’Opera, nonché il requisito oggettivo: in particolare ha ritenuto che l’attività esercitata nel villaggio turistico non appare «avere natura dedita a fini rigorosamente prevalentemente e/o esclusivamente commerciali» posto che obiettivo dell’ente è di ottemperare ad esigenze di carattere sociale e che «particolari agevolazioni vengono applicate in funzione del parametro ISEE a famiglie numerose con figli minorenni a persone disabili e loro accompagnatori».

5.2. – Il Comune obietta che tale interpretazione della norma non può condividersi perché ciò che rileva è che l’attività abbia natura commerciale e non gli scopi perseguiti dall’ente. Deduce che il villaggio San Paolo è una casa per ferie gestita imprenditorialmente in una zona balneare ad alta intensità turistica e che la attività ricettiva è remunerata. Secondo l’Opera tale censura costituirebbe una censura in fatto e non una erronea interpretazione del diritto, e quindi il motivo sarebbe inammissibile. L’Opera sostiene inoltre che il pagamento di un corrispettivo non fa venire meno il fine solidaristico, citando, quale precedente a suo favore, la sentenza di questa Corte, resa a sezioni unite, n. 24883/2008.

5.3- La censura di inammissibilità del ricorso è infondata, atteso che il Comune non discute l’accertamento in fatto operato dalla Commissione, ma solo l’inquadramento della fattispecie nella norma.

  1. – Nel merito, si deve premettere che nella fattispecie vengono in rilievo, in relazione alle diverse annualità di imposta, due disposizioni legislative parzialmente diverse. L’art 7 comma 1 lett. i) del D.lgs. 504/1992 nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005 dispone l’esenzione ICI per «gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c ), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive». Successivamente, l’art 7 è stato integrato e modificato dapprima, dal D.L. 203 del 2005, art. 7 comma 2 bis quale introdotto dalla legge di conversione del 2.12.2005 n. 248, che aveva esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse, e poi dal D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito con modificazioni nella I. 248 del 2006 che, sostituendo il comma 2 bis del citato art 7, ha stabilito che l’esenzione disposta dal D.lgs. 504 del 1992 art. 7 comma 1 lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera «che non abbiano esclusivamente natura commerciale». Contrariamente a quanto sembra ritenere la CTR, che non opera alcuna distinzione, e parla genericamente di attività avente natura dedita a fini «rigorosamente, prevalentemente e/o esclusivamente commerciali» le modifiche legislative de quo non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (Cass. civ., sez. V, n. 14530/2010; Cass. civ., sez. V, n. 14795/2015).

6.1. – Già la lettera della legge, in entrambi i casi, esclude che possa farsi riferimento al principio enunciato da Cass. sez. un. n. 24883/2008 richiamato dalla controricorrente, che tratta invece della interpretazione dell’art. 10, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 460 del 1997, laddove non viene in rilievo, come nella norma in esame, l’attività concretamente esercitata, bensì la definizione di scopo solidaristico. Peraltro, il motivo di ricorso riguarda anche questo punto, poiché si lamenta l’errore del giudice d’appello nell’avere ritenuto che l’attività possa qualificarsi in ragione dello scopo soggettivamente perseguito e non in ragione della natura oggettiva della stessa. Le condizioni dell’esenzione sono infatti cumulative: devono sussistere tanto il requisito soggettivo e cioè la natura non commerciale dell’ente quanto il requisito oggettivo e cioè che l’attività svolta nell’immobile rientri tra quelle previste dall’art. 7 citato (cfr. Cass. civ. sez. V n. 13966/2016, cit.). Non rileva quindi, al fine di ritenere la sussistenza del requisito oggettivo, la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. sez. V, n. 24500/2009).

6.2. – Per giurisprudenza costante di questa Corte, il requisito oggettivo ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7 (nella formulazione vigente per le annualità 2004/2005) è «rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale». L’onere della prova incombe sul contribuente e non sussiste detto requisito nel caso di gestione di attività alberghiere dietro pagamento di un corrispettivo, quale è il caso di specie (Cass. civ. sez. V 10754/2017; Cass. civ. sez. V n. 5041/2015).

6.3. – Questa Corte (cfr. Cass. civ. sez V, n. 13970/2016) ha altresì chiarito che deve tenersi conto della decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, che nel valutare se il D.lgs. 504/1992 art. 7 comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato; La Commissione ha osservato che anche laddove un’attività abbia una finalità sociale, questa non basta da sola a escluderne la classificazione di attività economica. E’ necessario, quindi, al fine dell’esclusione del carattere economico dell’attività, che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico.

6.4. – Con la predetta decisione la Commissione dell’Unione Europea ha valutato la compatibilità delle disposizioni legislative nel tempo susseguitesi con l’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato, che dispone: «sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino dì falsare la concorrenza». Conformemente a tale disposizione, la Commissione ha esaminato: 1) se la misura è finanziata dallo Stato o mediante risorse statali; 2) se la misura conferisce un vantaggio selettivo; 3) se la misura incide sugli scambi tra gli Stati membri e falsi o minacci di falsare la concorrenza. DHa quindi osservato che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento: pertanto, anche un soggetto che in base alla normativa nazionale è classificato come un’associazione o una società sportiva può essere considerato come un’impresa ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato. L’unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un’attività economica. □ Inoltre, osserva la Commissione, l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poiché anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato.

In conformità a queste valutazioni, si devono considerare irrilevanti -ai fini tributari- le argomentazioni sulle finalità solidaristiche e di inclusione sociale che connotano l’attività in questione, posto che, come la stessa CTR ha accertato, l’attività non è svolta a titolo gratuito, né dietro versamento di un importo simbolico, ma semplicemente praticando sconti a particolari categorie di soggetti, il che peraltro è una pratica commerciale comune, pur se in concreto possono variare, da azienda ad azienda e secondo la politica commerciale seguita, le categorie cui si applica la tariffa vantaggiosa (famiglie con bambini, anziani, studenti, clienti fidelizzati etc.).

6.5. – L’attenzione della Commissione UE si è focalizzata sul comma 2 bis dell’art. 7 citato, (già abrogato all’epoca della decisione) norma che qui viene in rilievo, come si è detto, per l’anno di imposta 2006. La Commissione UE ha dato atto che era stata emanata una circolare ministeriale (29 gennaio 2009) esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui all’art. 7 lett. i) dovevano essere considerate di natura «non esclusivamente commerciale». Se erano soddisfatte le condizioni indicate nella circolare, gli enti non commerciali erano esentati dall’io, anche quando le attività da essi svolte presentavano elementi di natura economica. In particolare, per quanto qui interessa, per le attività ricettive era richiesto che esse non fossero rivolte a un pubblico indifferenziato, ma a categorie predefinite e che il servizio non fosse fornito per l’intero anno solare. Il fornitore di servizi era inoltre tenuto ad applicare tariffe di importo ridotto rispetto ai prezzi di mercato e la struttura non doveva funzionare come un normale albergo. Deve qui osservarsi che il nessuno di questi criteri è stato tenuto in considerazione dal giudice d’appello nella decisione oggi impugnata, anzi, nel rilevare che la struttura offre particolari agevolazioni a famiglie numerose e a presone disabili, già per questo si riconosce implicitamente che l’offerta è rivolta ad un pubblico indifferenziato e quindi non è soddisfatto il primo requisito posto dalla circolare. In ogni caso, la Commissione UE nella sua decisione ha ritenuto che l’applicazione i criteri di cui alla citata circolare (disattesi dal giudice di secondo grado) non vale ad escludere la natura economica delle attività interessate. Rese queste premesse, la Commissione UE ha ritenuto che la misura in esame sia all’origine di una perdita di risorse statali nella misura in cui, garantendo un’esenzione fiscale, concede un vantaggio selettivo agli enti non commerciali che svolgono determinate attività. La misura deve quindi essere considerata aiuto di Stato, incompatibile con il Trattato, mentre l’esenzione fiscale prevista dal nuovo regime dell’imposta municipale unica, applicabile dal 1 gennaio 2012, non costituisce un aiuto di Stato. La Commissione non ha tuttavia ordinato il recupero delle somme, ritenendolo impossibile. Tuttavia, questa parte della decisione, che sembrava chiudere il capitolo dell’aiuto di Stato illegittimamente concesso in virtù della norma in esame con una sorta di sanatoria, è stata annullata dalla recente sentenza della CGUE del 6 novembre 2018, (cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C-624/16 P) dove si è evidenziato che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità e che diversamente sì farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura. In particolare la CGUE ha ricordato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale. Il che impone al giudice nazionale una ancora maggiore attenzione nella decisione delle cause pendenti, per evitare che si produca l’effetto, in assoluto contrasto con i principi sopra enunciati, di attribuire oggi, in presenza di questo arresto della giurisprudenza europea, un vantaggio indebito, tramite una illegittima esenzione dal tributo.

  1. – Così ricostruita la portata e l’efficacia del dato normativo applicabile alla fattispecie, nelle due diverse formulazioni succedutesi nel tempo, deve concludersi che il giudice d’appello ha fatto una non corretta applicazione della norma, così come essa deve leggersi ed intendersi alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, e che, per tutte le annualità oggi in esame, manca il presupposto oggettivo per l’esenzione dall’ICI.

Il ricorso merita quindi accoglimento e può decidersi nel merito, rigettando l’originario ricorso del contribuente. In ragione della complessità della vicenda e del succedersi nel tempo delle interpretazioni giurisprudenziali, le spese dell’intero giudizio si compensano.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Roma, Camera di consiglio del 23 gennaio 2019

 

 

 

 

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